Capitolo 12 I GIOCOLIERI

«No, no, no!», strillò Dapsl, tirandosi le trecce in segno di rabbia impotente. «Tutti quei grugniti potranno impressionare i barbari avversari con cui combattete, ma il Loo-chim li troverà disgustosi. Fatelo di nuovo, ma con più stile!»

M/Dur ringhiò un commento che Fssa giudicò opportuno non tradurre. Sin dai primi giorni Rheba gli aveva chiarito che il suo compito era di prevenire i litigi, invece che rischiare di fomentarli traducendo anche le sgarberie, così il serpente si limitò a farsi comparire delle piume metalliche bianche e blu, belle a vedersi quanto inutili. Kirtn sorrise sotto i baffi. Anch’egli s’era ormai sentito ripetere cento volte dalla ragazza che bisognava andar d’accordo a tutti i costi con lo sgradevole ometto, il quale sembrava però incapace di rinunciare ai suoi atteggiamenti antipatici.

«Pronti?», abbaiò Dapsl, battendo il tempo con due rametti scortecciati. «E uno — e due — e tre — e quattro!»

I cinque J/taals, disposti a losanga con M/Dere nel centro, scattarono agli ordini del piccolo in una complessa serie di piroette e capriole volanti, che si conclusero con la formazione di una piramide umana. Subito iniziò la seconda parte dell’esercizio, sempre sotto l’assillante direzione di Dapsl: la piramide parve esplodere in cinque pezzi, che eseguirono ciascuno altre movenze elastiche e di bell’effetto. Come conclusione, altri salti e volteggi all’apparenza facili ma in realtà faticosissimi consentirono agli J/taals di ricostruire la piramide.

«Un po’ meglio», approvò Dapsl con un grugnito. «Ma voi femmine sudate troppo, e la vostra pelliccia sembra erba appiccicosa. Bah!»

Invece di tradurgli quella che fu la risposta di M/Dere, Fssa preferì cambiar forma ancora una volta e si fornì di un bel collarino rosso.

Dapsl batté con impazienza i bastoncini. «Di nuovo l’esercizio numero quattro. Questa volta lentamente, chiaro? Cercate di convincervi che state fluttuando, dico fluttuando. E non ansimate come mantici. Voglio che sorridiate come angioletti. Niente grugniti e smorfie, quelle vanno bene per le bestie da soma. Per piacere al Loo-chim dovete sorridere».

M/Dere indirizzò a Rheba un mugolio di disperazione. Ma la giovane Danzatrice del Fuoco era in quel momento concentrata su una gabbia di fiamme roventi, la cui costruzione richiedeva tutte le sue capacità, e non fece caso alla protesta della J/taal.

Il suo esercizio era spettacolare: quando sollevava le mani, una linea di fuoco si alzava a spirale intorno a lei fino a mutarsi in un arco scintillante. Poi ella muoveva le dita, inviandovi attorno filamenti azzurri che brillavano più del sole, e l’arco esplodeva come un fuoco artificiale in dozzine di scintille dorate. Le scintille ricadevano e diventavano le sbarre di una gabbia, che nelle sue intenzioni doveva essere grande a sufficienza per contenere Kirtn. Con mosse graziose delle mani, lanciava poi vere e proprie corde di luce colorata nella gabbia d’energia, come a legare con esse una besta feroce lì contenuta.

Dopo aver provato un paio di volte si girò a fissare Kirtn, misurò ad occhio la sua altezza, poi sbuffò e apportò una modifica alla sua creazione allargando tutte le sbarre. Il pensiero che quell’esercizio avrebbe potuto esser pericoloso per il compagno la irritava, e infatti il giorno prima gli aveva strinato la peluria su una spalla. Se fosse dipeso da lei avrebbe usato energia fredda, ma Dapsl aveva insistito che l’effetto avrebbe usato energia fredda, ma Dapsl aveva institito che l’effetto sarebbe stato più drammatico con fiamme ardenti e guizzanti. Per un po’ Rheba aveva recalcitrato, cercando di dargli a bere che non sapeva creare il fuoco, ma l’ometto s’era dichiarato sicuro che in tal caso avrebbe avuto meno probabilità d’essere inclusi nella Concatenazione. Vedendolo impuntarsi a quel modo, la ragazza aveva ceduto.

Sbuffando prese a grattarsi le braccia, dove le Linee di Potenza di più recente formazione le prudevano forte. Per dedicarsi a quel compito smise di manovrare l’energia, e si chiese se non stesse lavorando troppo. Il prurito era anche un sintomo di stanchezza, e su Deva quando una Danzatrice del Fuoco era stanca, c’era stato l’uso di dirle di grattarsi e basta, perché lavorare in condizioni di stress era pericoloso.

«E uno — e due — e tre … No, no, no! Più leggeri, voialtri bastardi kaza-flatch che non siete altro! Volare, ho detto!»

Le invettive di Dapsl erano ormai come un ronzio di mosche per le orecchie di Rheba. Fletté le dita. Frecce di fiamma saettarono nella gabbia splendente, ed a questo punto Kirtn avrebbe dovuto mandare terribili ruggiti, ai quali lei si proponeva di conferire un aspetto visivo tramite efficaci vibrazioni d’energia. Qui c’era anche la parte di Fssa, cui spettava la creazione di un sottofondo sonoro, ma il serpente era impegnato a tradurre — o a non tradurre — quel che si dicevano Dapsl e gli J/taals.

Sospirò, e lasciò, svanire la gabbia. Poi cominciò a costruire forme colorate d’aspetto umanoide, che imitavano i movimenti degli J/taals. Da un lato fece apparire una piccola creatura purpùrea, che apriva e chiudeva la bocca seguendo il parlare di Dapsl. Quindi scoprì che riusciva a fargli una caricatura ridicola, con le gambe storte, una testa oscillante da idiota, trecce che svolazzavano in alto e un gesticolare farneticante. Le impresse dei movimenti meccanici, e se ne distrasse per costruire un serpentello d’argento che si rimirava con mosse vezzose in uno specchio dorato.

Un’esclamazione stupefatta provenne da Kirtn, alle sue spalle: «Ehi! … Non sapevo che tu fossi capace di fare queste cose».

Rheba gli diede un’occhiata timida, stringendosi nelle spalle con un sorrisetto. Si passò le mani fra i capelli, scaricandola dell’energia elettrostatica che li faceva svolazzare.

«Non ho più visto numeri di varietà di questo genere, da quando abbiamo lasciato Deva. Credo di non essere troppo abile», disse, quasi per scusarsi. «A un Maestro Danzatore bastava poco per fare cose molto più belle e divertenti. Non ho ancora dimenticato quanto risi una sera d’estate, al giardino pubblico, quando vidi …» Tacque, mentre i suoi occhi sembravano perdersi in quel silenzio, e in essi Kirtn poté leggere ricordi che appartenevano anche a lui. Le figure create dalla ragazza svanirono pian piano.

«Un giardino pubblico su Deva … i bambini che giocavano!»

Rheba abbassò il capo e si guardò le mani irretite dal disegno dorato, senza vederle. La sua voce suonava lontana e debole: «So che non riuscirò mai a togliermeli dagli occhi: la gente, i miei amici, quelli fra cui ci sarebbe stato il mio compagno e amante … il padre dei bambini che non ho mai avuto e che forse non avrò più. Tutti loro, e i loro sguardi pieni di terrore rivolti al sole che esplodeva …» Barcollò verso Kirtn rifugiandosi nelle sue braccia. «Dobbiamo uscire da qui. Voglio trovare il bambino Senyasi e la donna Bre’n! Noi siamo Akhenet. Noi non possiamo vivere senza bambini», ansimò, guardandolo con occhi che avevano visto troppe fiamme.

Lui la strinse, cercando di consolarla come meglio poteva, e dentro di sé maledisse quel bisogno di avere bambini che era stato installato nei Bre’n e nei Senyasi. C’era una necessità fisica che li spingeva inesorabilmente verso un compagno della stessa razza, anche quando l’affetto fra due compagni di razza diversa era fortissimo come nel loro caso. Era un fatto genetico, anche se si usava dire che l’eredità genetica dei Danzatori fosse in parte Bre’n e in parte Senyasi, perché nel lontano passato fra le due razze erano nati molti ibridi.

Kirtn avrebbe desiderato dividere con la giovane Danzatrice del Fuoco ciò che sapeva della loro storia, metterla a parte di quel passato che era rappresentato nelle cellule del suo corpo … ma lei era troppo giovane. Non aveva ancora scoperto da sola con quale profondità le razze Bre’n e Senyasi si compenetrassero. Sebbene la sua maturazione fosse stata accelerata e forzata dopo la distruzione di Deva, non aveva mai mostrato per lui gli istinti tipici della femmina verso il maschio. Nessun trasporto sensuale, salvo quelli ingenui e superficiali caratteristici di una Senyasi giovane. Molto facilmente neppure in futuro lo avrebbe considerato un possibile amante. Non tutte le coppie di Akhenet univano l’affinità fisica a quella mentale. E tuttavia, di quelle che non sviluppavano questo tipo di attrazione fino all’unione più completa, era destino che molte non sopravvivessero. I Bre’n in preda al rez erano una forza distruttiva cieca e priva di ragione.

Mettendo da parte i pensieri spiacevoli, Kirtn fischiò dolcemente per richiamare la ragazza fuori dalle tenebre del malumore in cui anch’ella era precipitata. Rheba gli rispose modulando una nota armonica dello stesso genere. Fssa, che le si stava arrampicando su per una gamba, mandò suoni flautati simili al ritornello di una canzone. Gradualmente la tensione abbandonò il corpo della ragazza, che si rilassò fra le braccia del Bre’n e aderì a lui con candido languore, sfiorandogli il collo con la fronte. Kirtn immerse il volto nei suoi capelli soffici e vaporosi, aspirandone il profumo lieve.

In quell’atteggiamento, sebbene Rheba non se ne rendesse conto, le ciocche dei suoi capelli si mossero come animate di vita pròpria, e carezzarono il volto di lui sull’alito degli invisibili fremiti d’energia che le Danzatrici Senyasi mettevano in moto solo per i loro amanti. La ragazza non era in grado di riconoscere la sua reazione per quel che significava. Nessuno, se non lo stesso Kirtn, avrebbe saputo erudirla in merito. E lui non poteva.

«Se avete finito di sprecare il tempo», sbottò Dapsl, seccato, «ho bisogno di quel rettile balordo. Gli J/taals fanno finta di non capire neanche i più semplici ordini, quando non gli vengono tradotti. Dannati kaza-flatch idioti!»

Rheba sentì fremere i muscoli di Kirtn, e per un istante fu tentata di dirgli che all’ometto avrebbe fatto bene una razione di sberle. Ma incitare un Bre’n alla violenza era cosa dagli sviluppi solitamente imprevedibili. Lasciò che dal suo corpo a quello di lui fluissero deboli impulsi elettrici, un trucco che aveva imparato per fargli rilassare la muscolatura, e nell’accorgersene il compagno le dedicò un sorrisetto ironico.

La ragazza accarezzò il dorso del serpentello, senza nessuna fretta. Fssa aveva assunto una colorazione molto scura, che come lei sapeva indicava tanto la necessità di non disperdere calore corporeo quanto uno stato psichico di sconforto.

Irritato dalla noncuranza di lei, Dapsl allungò una mano ad afferrare il serpente, ma Kirtn lo scostò cn una spintarella e l’altro vacillò indietro, imprecando imbestialito.

«Non sei molto educato con Fssa», gli fece osservare il Bre’n.

«Se desideri i suoi servizi, devi chiederglielo per favore». «E va bene: per favore», sospirò rabbiosamente Dapsl. «E adesso digli che è bello».

«Bello, quel coso lì? Che vada in malora. Ho visto vermi di palude molto più attraenti».

Ma il volto dell’ometto si fece pallido, quando una mano di Kirtn gli afferrò una spalla come in una morsa di ferro. «Digli che è bello», si sentì ripetere.

«Ma sì, è bellissimo, è amabile, è perfetto … Lasciami!» Dapsl si contorse con una serie di smorfie finché non riuscì a liberarsi. Poi lo fissò con odio. «Fra voi animali ve la intendete bene, vero? Un Peloso che fa la balia a un rettile … Che schifo!»

Rheba si volse a fronteggiarlo e, prima che potesse impedirselo dalle dita le scaturirono dieci sottili lingue di fiamma. Il piccolo schiavo saltellò freneticamente da una parte e dall’altra per evitarla, mandando strida rauche quando ne veniva sfiorato.

«Il nostro patto … ricorda il nostro patto!», la supplicò. «Smettila!»

«Danzatrice del Fuoco!» La voce del Bre’n suonò secca come uno schiaffo.

Rheba abbassò le braccia, controllandosi con un sospiro. Riflessi fluidi d’energia le lampeggiavano dai polsi alle spalle, e le sue mani splendevano come irretite d’oro.

«Se tu non fossi una kaza-flatch così stupida», strillò lo schiavo con una acuta, «e se ti accontentassi di fare un numero erotico col tuo amico Peloso, invece di mettere insieme il più dannato gruppo di kaza-flatch mai visti, il Loo-chim non vi avrebbe certo separati mai. Non si separano i membri di un’Azione buona per la Concatenazione. Invece con questa banda di saltinbanchi …»

Qualunque cosa Dapsl fosse sul punto di dire, dovette interrompersi per evitare un ceffone di Kirtn che l’avesse preso l’avrebbe sbattuto via come un fuscello. Borbottando e ringhiando tornò fra gli J/taals. Dopo un momento anche Fssa lo seguì, scivolando sul terreno polveroso con veloci serpentine.

«Se lo avessi arrostito», disse Rheba, «credi che i clepts lo avrebbero mangiato?»

«Difficile. Non sono mangiatori di carogne».

«Neppure se gli avessi bruciato quelle trecce unte d’olio?»

«Dubito che qualcuno lo troverebbe piacevole anche senza trecce».

«Dannato bastardo». La ragazza si grattò distrattamente le braccia. Quel giorno i gomiti le prudevano in modo particolare. Le sarebbe piaciuto avere un po’ dell’unguento adatto, ma era rimasto a bordo del Devalon con tutte le loro cose.

«Esercizio numero quattro!», berciò Dapsl con l’eco della traduzione di Fssa. «Avanti, scansafatiche: e uno — e due — e tre …»

Rheba scrollò le spalle. «È un soldo di cacio piccolo e brutto, ma devo dire che sa quello che vuole. La nostra Azione sarebbe un caos senza di lui».

Una mano di Kirtn le scivolò dietro il collo, e le massaggiò la nuca finché lei non sorrise per il piacere. «Quando saremo fuori di qui ci libereremo di lui, appena possibile».

Rheba rovesciò indietro la testa contro la sua mano, gli si strinse addosso ed emise un mugolio. Kirtn ridacchiò, ma poi dovette scostarsi per evitare che i suoi sensi rispondessero all’innocente sensualità di lei.

«Al lavoro, Akhenet. E questa volta guarda di fare la gabbia larga abbastanza per non ustionarmi».

Lei sbuffò. «Al diavolo! Quanto ci vorrà prima che questi compratori di schiavi si decidano a venire?»

«Se Dapsl dice il vero, tre giorni ancora».

«Non ho voglia di lavorare». La ragazza lo abbracciò languidamente. «Grattami dietro la schiena, ti prego».

Kirtn le passò le mani intorno alle spalle, frizionandole l’epidermide attraverso la stoffa sottile del vestito. Le scostò il colletto e si accorse che alcune Linee di Potenza le si erano prolungate sui deltoidi fino al collo. Mentre gliele massaggiava, Rheba rispose a quel contatto aderendo a lui ancor di più e con forza.

«Bruci troppo, piccola Danzatrice», mormorò il Bre’n. «Ed è ancora presto per te».

Per un momento la ragazza rifiutò di dare ascolto alla sua esortazione. Lo strinse quasi con ansia, ed egli sentì le barriere della disciplina vacillare in lei come un frangiflutti aggredito dalle ondate dell’istinto. Chiuse gli occhi, lasciando che le emozioni di lei lo avvolgessero senza travolgerlo. Poi le premette le dita sulle spalle, facendo scorrere nelle sue Linee di Potenza un impulso mentale fatto di calma allo stato puro. All’istante il suo effetto costrinse Rheba a rilassarsi.

Lei alzò il viso stupita. «Non sapevo che tu fossi in grado di fare questo», mormorò. «Grazie, Mentore».

«Non l’ho fatto io soltanto, lo abbiamo fatto in due. Tu stai crescendo molto rapidamente, piccola Danzatrice». L’espressione di Kirtn era in bilico fra la speranza e la paura. «Comunque, trasmettere impulsi di forza mentale è appena una delle tante cose che i Bre’n fanno per i Senyasi, e non certo la più importante».

«Ma come ci sei riuscito?»

Lui esitò, chiedendosi se non fosse troppo presto per dirle la verità su quegli scambi d’energia psichica. Decise di rivelargliene solo una parte, e non la parte più significativa. «Ho usato un canale».

«Un canale?»

«Uno sbocco per le emozioni. Energia Bre’n».

«Come nel rez?», sussurrò lei con un tremito.

«No. Non correrei questo rischio con te».

Rheba non rispose. Entrambi sapevano che il rez era un riflesso automatico, non una scelta consapevole. Comunque Kirtn era un Bre’n, e avrebbe fatto ciò che doveva fare un Bre’n. Lei era una Senyasi, e lo avrebbe accettato. Si sforzò di sorridere.

«Bene. Adesso mettiti lì accanto a quel cespuglio, e io cercherò di inventare una gabbia dove tu possa stare comodo. D’accordo?»

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