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’Come ho detto più volte in campagna elettorale, e ora confermo: un Presidente deve guardare avanti, non solo in vista delle prossime elezioni ma ai decenni, alle generazioni che verranno. È con questo atteggiamento che ora desidero rivolgermi a voi…”


Cornelius Ruskin, nel suo “attico dei poveri” nel quartiere di Driftwood, a Toronto, giaceva a letto madido di sudore. Dalle veneziane filtrava la luce del sole. Erano giorni che non metteva la sveglia, e non aveva neppure la forza di voltarsi a guardare che ora fosse.

Il mondo reale non avrebbe tardato a ripresentarsi. Non ricordava con esattezza quanti giorni di malattia gli fossero consentiti per contratto, ma passato un certo periodo l’Università, il sindacato, l’assicurazione, o tutt’e tre, avrebbero richiesto un certificato medico. Perciò, se non tornava a insegnare, non avrebbe ricevuto la paga. E senza paga…

Be’, aveva ancora risparmi sufficienti per un altro mese d’affitto, oltre alle rate anticipate. Poteva resistere tutto dicembre compreso.

Per l’ennesima volta, andò con le dita in cerca dei testicoli spariti. Non che la scienza medica fosse inerme: molti uomini venivano privati dei genitali per combattere un tumore. Si poteva andare avanti a forza di testosterone senza che nessuno, pubblicamente, lo sapesse.

Ma la vita intima? Non ne aveva più una da due anni, da quando Melody lo aveva mollato. Attualmente Melody lavorava per una multinazionale, con uno stipendio di 180.000 dollari all’anno. No, lui non era l’uomo forte di cui lei aveva bisogno.

Tanto meno adesso.

Fissava il soffitto. Non riusciva a mettere a fuoco nulla.

Era solo qualche mese che Mary e Colm non si vedevano, ma lui le sembrò invecchiato di cinque anni.

Quando Mary gli fu vicina Colm si alzò, e si chinò per darle un bacio. Lei si voltò di scatto, offrendogli solo la guancia.

— Ciao, Mary — disse, e si rimise seduto.

La steak-house aveva un aspetto surreale all’ora di pranzo; i listelli in legno scuro, le lampade in stile Tiffany, l’assenza di finestre davano l’impressione che fosse notte. Colm aveva già ordinato il vino: il loro preferito, L’ambiance. Le riempì il bicchiere.

Mary cercò di sembrare il più disinvolta possibile, e prese posto al lato opposto del tavolo. Tra loro due in un calice di cristallo sfrigolava una candela. Anche Colm era un po’ sovrappeso e ingrigito, e in più si stava stempiando. Aveva naso e bocca piccoli perfino per gli standard gliksin.

— Sempre in TV, eh? — disse Colm. Mary, sulla difensiva, stava per replicare, ma lui la interruppe: — Sono felice per te.

Mary cercò di conservare il sangue freddo. Era già abbastanza difficile così, non era il caso di buttarla sull’emotivo. — Ti ringrazio.

— E allora? Com’è? — chiese Colm. — Il mondo dei neanderthal, intendo.

Mary fece spallucce. — Proprio come dice la TV: più pulito, meno affollato.

— Mi piacerebbe visitarlo, una volta o l’altra — disse Colm, ma poi si accigliò. — Anche se non credo che mi inviterebbero. Le mie competenze non sembrano granché utili laggiù.

Non aveva tutti i torti. Insegnava Lettere all’Università di Toronto, con un corso sui drammi di Shakespeare dalla paternità dibattuta. — Chi può dirlo? — commentò lei. Una volta, dopo il matrimonio, Colm si era preso sei mesi di permesso che aveva trascorso in Cina; lei non avrebbe mai sospettato che i cinesi fossero interessati alla questione.

Colm, nel suo campo, era autorevole quanto Mary nel proprio. Solo che il mondo reale faceva delle discriminazioni: sia l’Università di York che quella di Toronto retribuivano i docenti sulla base della richiesta di mercato, e il “valore” di una genetista era considerato parecchio superiore a quello di uno studioso shakespeariano. Un amico di Mary aveva l’abitudine di attaccare questa barzelletta al termine delle e-mail:

Di fronte all’oggetto misterioso, il laureato in Scienze chiede: “Come fa a funzionare?”. Quello in Ingegneria: “In che modo funziona?”. Il diplomato in Ragioneria: “Quanto costerà?”. E il laureato in Lettere: “Posso metterci le patatine fritte?”.

La superiorità professionale di Mary era stata solo uno dei motivi di frizione. Con tutto ciò, non osava pensare a come avrebbe reagito Colm se avesse saputo quanto la pagavano alla Synergy.

Arrivò una cameriera. Colm ordinò bistecca e patatine; Mary, pesce persico.

— Com’è New York? — chiese lui.

Per un attimo lei pensò che si riferisse alla città, dove Ponter era quasi stato ucciso da un attentatore. Poi capì che si riferiva allo Stato di New York, alla nuova casa di Mary a Rochester. — Carino — rispose. — Il mio ufficio dà sul lago Ontario, e l’appartamento su uno dei Finger Lakes.

— Magnifico. — Bevve un sorso di vino, invitandola con lo sguardo a proseguire.

Mary inspirò profondamente. — Colm…

Lui posò il bicchiere. Erano stati sposati per sette anni; dal tono, era facile prevedere che ciò che stava per dire non gli sarebbe piaciuto.

— Colm — riprese Mary — penso che sia arrivato il momento per noi… per noi, di chiudere il capitolo.

Gli occhi di lui si ridussero a fessure. — Mi pare che abbiamo sistemato tutti i conti in sospeso.

— Voglio dire, è tempo di rendere… permanente la separazione.

La cameriera aveva scelto il momento meno opportuno per portare le insalate. Colm le fece cenno di posarle e di lasciarli soli.

— Cioè, l’annullamento?

— Penso… penso che preferirei il divorzio — disse Mary, quasi in un sussurro.

— Bene — disse lui spostando lo sguardo sul caminetto del locale. — Bene. Molto bene.

— Mi pare che sia il momento, è tutto qui — aggiunse Mary.

— Davvero? Perché proprio adesso?

Mary sospirò. Studiare Shakespeare a lungo era un’ottima formazione per vedere complotti dappertutto. E ora, a che parafrasi ricorrere?

Oh sì, si era preparata a memoria ogni singola parola. Ma non riusciva a prevedere la reazione di Colm.

— Ho conosciuto qualcuno — disse Mary. — Abbiamo intenzione di metterci insieme.

Colm sorseggiò un altro po’ di vino, poi prese un pezzetto di pane e lo alzò tra loro due. Una parodia della Comunione, che a scanso di equivoci venne esplicata anche a voce: — Divorziare significa non poter più partecipare all’Eucarestia.

— Lo so — disse Mary, con un dolore al petto. — Ma l’annullamento continua a sembrarmi una soluzione ipocrita.

— Non voglio sentirmi estromesso dalla Chiesa, Mary. Sono già stato estromesso da troppe cose.

Già. Era stata lei a piantarlo in asso. — Ma io non voglio dichiarare che il nostro matrimonio non è mai esistito.

La frase ebbe l’effetto di intenerire Colm. — È uno che conosco… il tuo nuovo fidanzato?

Mary scosse la testa.

— Uno yankee, suppongo — disse lui. — Un colpo di fulmine, eh?

— Non… è americano. È cittadino canadese. — Poi, sorprendendosi della propria crudeltà mentale: — Ma, sì, è stato un colpo di fulmine.

— Come si chiama?

Mary sapeva il senso che aveva la domanda. Non che Colm si aspettasse di conoscerlo, ma secondo lui i nomi rivelavano molte cose. Aveva ereditato dal padre l’abitudine di dividere il mondo in razze: se italiano, era uno sciupafemmine; se ebreo, era pieno di soldi; e così via.

— Non è uno che conosci.

— Me l’hai già fatto notare. Però mi piacerebbe saperlo.

Mary chiuse gli occhi. Ingenuamente, si era augurata di circumnavigare quel territorio, ma era inevitabile che ci finisse dentro. Per guadagnare qualche secondo, prese una forchettata di insalata. Poi, senza alzare lo sguardo, disse: — Ponter Boddit.

A Colm cadde la forchetta sul piatto. — Cristo, Mary! Il Neanderthal!

Mandando a monte il proposito di essere distaccata, Mary difese Ponter a spada tratta: — È un uomo pieno di aspetti positivi, Colm. Gentile, intelligente, affettuoso.

— Ma senti senti! — disse lui, in un tono che non corrispondeva all’ironia delle parole. — Suona anche bene: “Mary Boddit”. E andrete a vivere là, o intendete prendervi una casetta in questo… — Di colpo, un pensiero lo bloccò. — No, non puoi farlo, vero? Ho letto qualcosa sui giornali: loro non vivono insieme alle loro donne. Gesù santo, Mary, che razza di crisi di mezz’età stai attraversando?

Mille risposte ronzavano in testa a Mary. Anzitutto, lei aveva 39 anni, che poteva essere la mezza età sul piano biologico, ma non su quello sentimentale. Ed era stato lui per primo a stringere una nuova relazione, anche se la storia con Lynda era finita da un anno. Alla fine Mary scelse una frase classica dal repertorio del loro matrimonio: — Tu non capisci.

— Hai ragione, non capisco — disse Colm, sforzandosi di non farsi sentire da tutti gli altri avventori. — Questa è… questa è morbosità. Lui non è neppure umano!

— Sì che lo è!

— Ma se lo hai scoperto tu! í neanderthal non hanno neppure il nostro numero di cromosomi.

— Questo non conta nulla.

— Un cazzo, non conta. Sarò anche un professore di Lettere, ma so abbastanza da capire che loro sono una specie diversa da noi. E quindi voi due non potrete avere figli.

“Figli!” pensò Mary con un tuffo al cuore. Quand’era più giovane, ne avrebbe voluti; ma quando lei e Colm ebbero finalmente un’occupazione sicura, ormai il rapporto cominciava ad andare a rotoli. E adesso su di lei incombevano gli “anta”. E Ponter aveva già due figlie.

A dire il vero…

A dire il vero, fino a quell’istante Mary non aveva ancora valutato l’ipotesi di avere un figlio da Ponter. Ma Colm aveva ragione. Qui c’erano barriere ben più formidabili di quelle tra Montecchi e Capuleti. Un incrocio tra specie diverse. Tra universi differenti.

— Non ne abbiamo mai parlato — rispose Mary. — Ponter ha già due figlie; anzi, è già ben avviato a diventare nonno.

— Il matrimonio è per la procreazione — disse Colm.

Mary chiuse gli occhi. Era stata lei a insistere di attendere fino al termine del dottorato; ragion per cui aveva cominciato ad assumere la pillola, e che il papa dicesse quel che voleva.

— I neanderthal non hanno matrimoni come i nostri — disse.

La risposta non centrò il bersaglio. — È evidente che vuoi sposarlo — disse Colm. — Altrimenti non avresti bisogno di divorziare da me. — Ma poi la voce gli si fece più dolce, facendo ricordare a Mary il tempo in cui se n’era innamorata. — Devi volergli davvero bene, se per lui sei disposta a essere emarginata dalla Chiesa.

— Sì, gliene voglio — disse Mary. Poi, siccome quelle parole somigliavano troppo alla formula nuziale di tanto tempo prima, ripeté il concetto in modo diverso: — Lo amo tantissimo.

La cameriera tornò con le ordinazioni. Mary osservò il pesce, forse l’ultimo pasto che avrebbe consumato insieme a Colm. All’improvviso, sentì che doveva fare qualcosa di bello per lui. — Se è ciò che tu davvero desideri — disse — accetterò di chiedere l’annullamento.

— Sì. Ti ringrazio — rispose lui. Piantò il coltello nella bistecca. — Direi che non ha senso dilazionare oltre. Potremmo avviare la pratica immediatamente.

— Va bene — disse Mary.

— Solo una richiesta.

Mary restò con il fiato sospeso. — Quale?

— Digli… di’ a Ponter… che non è stata tutta colpa mia, se il nostro matrimonio è fallito. Digli che ero… che sono… una brava persona.

Mary allungò una mano e strinse quella di Colm. — Lo farò — disse.

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