“Per quanto i nostri cugini neanderthal saranno i benvenuti, se vorranno unirsi alla missione Marte, è probabile che l’idea li alletterebbe poco…”
Cornelius Ruskin bussò.
— Avanti — disse una voce femminile che lui conosceva bene, con quell’accento pachistano.
Cornelius inspirò profondamente, e aprì. — Ciao, Qaiser.
La scrivania della professoressa Remtulla era sistemata ad angolo retto rispetto alla porta. Lei indossava una giacchetta verde scuro, con pantaloni neri. — Cornelius! Cominciavamo a preoccuparci tutti!
Lui non riuscì a sorridere, ma disse: — Vi ringrazio.
Poi il viso piatto di Qaiser si corrugò. — Però avrei preferito che tu mi avessi avvertito che saresti rientrato oggi. Dave Olsen è già in classe a sostituirti.
Cornelius scosse appena la testa. — Va bene così. È proprio per questo che sono venuto.
Qaiser fece ciò che fanno in questi casi tutti i docenti universitari: si alzò dalla sedia girevole e liberò un’altra sedia da una pila di libri e riviste. — Prego, accomodati — disse.
Lui lo fece, distendendo le gambe e incrociandole all’altezza delle caviglie.
Scosse la testa. Nel compiere il gesto, non aveva sentito nessuna pressione contro la parte interna delle cosce.
— Cosa posso fare per te? — lo incoraggiò Qaiser.
Cornelius la osservò. Occhi marroni, pelle scura, capelli castani: tre varianti del color cioccolato. Aveva circa 45 armi, una decina in più di lui. E lui l’aveva vista piangere, supplicandolo di non farle del male. Non che se ne fosse pentito: era ciò che lei si meritava. Ma… Ma.
— Desidererei un periodo sabbatico — disse.
— Gli assistenti stagionali non hanno diritto a ferie pagate — fece notare lei.
Cornelius annuì. — Lo so. È che… — Aveva ripetuto tra sé mille volte la parte, ma ora si chiedeva se fosse l’approccio giusto. — Come sai, sono stato poco bene. Il mio medico sostiene che ho bisogno di… di riposo.
Qaiser fece un’espressione preoccupata. — È qualcosa di serio? Posso aiutarti in qualche modo?
— No, no, tutto bene. Ma è che… non me la sento di tornare in classe.
— Be’, tra poche settimane arriva Natale. Se potessi resistere fino ad allora…
— Mi spiace. Penso di non farcela.
Qaiser fece una smorfia. — Sai che siamo già sotto organico. Con Mary assente, poi… Lui annuì, ma non disse nulla.
— Devo farti una domanda. Questa, dopotutto, è una facoltà di Genetica, con un sacco di sostanze in giro che potrebbero danneggiare la salute, e io sono responsabile per gli studenti e il corpo docente. Il tuo problema è legato a qualche sostanza chimica qui presente?
Cornelius scosse la testa. — No, niente del genere. — Inspirò a lungo. — Però non posso trattenermi.
— Perché?
— Perché… — Fino a qualche settimana prima, parlare di questo argomento lo avrebbe fatto infuriare come una belva. Adesso si limitò ad alzare le spalle. — Perché avete vinto voi.
— C… come?
— Avete vinto voi: il sistema. Mi avete battuto.
— Quale sistema?
— Oh, andiamo! Il sistema di assunzione, quello di promozione, quello di assegnazione delle cattedre. Non c’è posto per l’uomo bianco.
Qaiser non lo guardò negli occhi. — Sono state scelte difficili per l’ateneo… per ogni ateneo. Ma, nonostante la presenza mia e di qualche altra collega, la facoltà di Genetica si trova ancora al di sotto delle quote rosa fissate.
— Vi spetterebbe il 40 per cento — rimarcò Cornelius.
— Esatto, e siamo ancora ben lontane. — Qaiser assunse un tono polemico. — E anche se fosse, dovrebbe spettarci il 50. Perciò…
— Il 50 — ripeté Cornelius, con una calma che sorprese lui stesso. — Anche quando le donne rappresentano solo il 20 per cento dei candidati?
— Be’, okay, in quel caso… ma comunque la quota è del 40.
— Quante cattedre ci sono in questa facoltà?
— Quindici.
— E quante sono tenute da donne?
— Al momento? Contando anche Mary?
— Ovvio.
— Tre.
Cornelius annuì. Due di loro, le aveva sistemate. La terza era sulla sedia a rotelle, e lui non aveva avuto il coraggio di…
— Perciò, le prossime tre assegnazioni di cattedre andranno in quote rosa, dico bene?
— Be’, sì. Se le candidate sono qualificate.
In passato, quell’ultima frase lo avrebbe fatto esplodere. Ora replicò: — Se Mary non dovesse tornare in facoltà, come sembra probabile, anche lei verrà sostituita da una docente, giusto?
Qaiser annuì, ma continuava a non guardarlo negli occhi.
— Se ne deduce che le prossime quattro cattedre verranno assegnate a donne. — Riuscì a fermarsi prima di aggiungere: “Preferibilmente nere e zoppe”.
Qaiser annuì di nuovo.
— Ogni quanto tempo si libera una cattedra? — chiese Cornelius, come se non lo sapesse.
— Dipende da quando la gente va in pensione, o si trasferisce.
Lui attese in silenzio.
— Una ogni due anni, all’incirca — rispose Qaiser alla fine.
— Direi piuttosto: ogni tre. Fidati, ho fatto il calcolo. Il che significa che passeranno 12 anni prima che tocchi a un uomo, e anche allora si accorderà la preferenza a un disabile o esponente di minoranza etnica. Dico bene?
— Be’…
— Dico bene?
Non che avesse bisogno della risposta. Cornelius aveva letto così spesso il contratto collettivo tra il sindacato docenti e il Consiglio d’istituto che avrebbe potuto recitare a memoria gli articoli incriminati.
— Cornelius, mi dispiace… — disse lei dopo interminabili secondi.
— Chiunque si trova più avanti, nella lista, di un uomo di pelle bianca e senza difetti fisici.
— Ma solo perché…
Qaiser tacque, e Cornelius le piantò addosso le pupille. — Sì?
Lei si mosse nervosamente sulla sedia. — Solo perché in passalo i bianchi e i forti hanno sempre avuto i posti d’onore.
A Cornelius tornò in mente l’ultima volta che aveva sentito quella frase: l’aveva detta a un party il classico liberal piagnone, bianco. Cornelius gli era volato addosso e lo aveva assordato urlando che non doveva pagare luì gli errori dei suoi antenati, e quindi…
E quindi si era reso ridicolo a quella festa. Se ne rese conto solo adesso.
— Forse hai ragione — le disse. — Come recitava quella vecchia preghiera? “Dio, dammi la serenità per accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio per cambiare quelle che posso cambiare, e la saggezza per distinguerle.” — Pausa. — In questo caso vedo bene la distinzione.
— Mi dispiace tanto, Cornelius.
— Perciò, tanti saluti. — “Porto via le palle” pensò, ma non era appropriato.
— Molte università seguono questi stessi protocolli. Dove andrai?
— In qualche istituzione privata, magari. Insegnare mi piace, ma…
Qaiser annuì. — C’è il boom dell’Ingegneria genetica, con un sacco di opportunità. E poi…
— E poi — concluse Cornelius — siccome è una branca nuova, non ci sono vecchie ingiustizie da riparare.
— Ehi, sai cosa farebbe per te? Il gruppo Synergy!
— Che roba è?
— Un think tank del governo americano impegnato nello studio dei neanderthal. Sono quelli che hanno assunto Mary.
A Cornelius l’idea di lavorare gomito a gomito con Mary non faceva impazzire. Ma Qaiser soggiunse: — Ho sentito che le hanno offerto 150.000 dollari USA.
Gli venne un colpo. Corrispondevano a… Dio mio, un quarto di milione di dollari canadesi. Ecco uno stipendio confacente a un laureato a Oxford come lui.
Anche se… — Non mi va di invadere il territorio di Mary.
— Non lo faresti affatto — disse Qaiser. — Per quanto ne so Mary ha lasciato la Synergy. Daria Klein ha ricevuto da lei un’e-mail in cui dice che si è data alla vita dei nativi, trasferendosi in modo permanente nell’universo neanderthal.
— Permanente?
— Così pare.
Cornelius ci pensò. — Allora, non farà male presentarsi a quei signori.
— Ma certo! — esclamò Qaiser, apparentemente lieta di rendersi utile. — Ascolta, permettimi di scriverti una lettera di presentazione. Scommetto che stanno cercando un genetista per sostituire Mary, e tu… tu sei specializzato a Oxford al Centro per le biomolecole antiche, vero? Saresti l’uomo giusto al posto giusto.
Cornelius si era trasformato in un maniaco a causa delle sue frustrazioni. Ora, per uno strano giro del destino, quell’atto (con le sue conseguenze), stava finendo per offrirgli la carriera su un piatto d’argento. — Ti ringrazio, Qaiser — disse, sorridendole. — Davvero.