11

“Fu questo spirito di avventura a spingere i Vichinghi a raggiungere le coste del Nord America mille anni fa, e che cinquecento anni fa diede vela alla Niña, alla Pinta e alla Santa Maria…”


Alla fine, Mary e Ponter arrivarono all’Osservatorio di neutrini. Attraverso un dedalo di vasche e tubature, raggiunsero la sala di controllo. Era deserta: la prima comparsa di Ponter aveva distrutto la sfera ad acqua pesante, e i lavori di ristrutturazione erano stati interrotti dalla riapertura del varco.

Scesero al tunnel che collegava i due universi, costituito da un tubo Derkers. Lanciarono un’occhiata all’interno del tunnel: all’estremità opposta s’intravedevano le pareti gialle della stanza del computer quantistico neanderthaliano.

All’imboccatura sul lato gliksin stava di guardia un militare canadese. Gli mostrarono i passaporti (anche a Ponter era stata conferita la cittadinanza canadese).

— Dopo di te — disse in tono galante Ponter a Mary. Lei si fece coraggio e s’incamminò per il tunnel, che all’interno era lungo una ventina di metri e largo 6 (all’esterno, se ne vedeva solo metà). Al centro baluginava un anello bluastro di luce. Mary attraversò con un lungo passo nervoso il confine tra i due mondi, sentendosi formicolare addosso elettricità statica.

E, di punto in bianco, eccola nell’universo neanderthal.

Si voltò indietro per guardare Ponter. Mentre emergeva dal punto di discontinuità, gli si elettrizzarono i capelli biondi, con la scriminatura in mezzo come in quasi tutti quelli del suo popolo.

Appena anche lui fu tutto sul suo lato, Mary riprese a percorrere il tubo.

Di là, una Terra che si era staccata da quella dei sapiens 40.000 anni fa. Adesso i due viaggiatori si trovavano all’interno dell’impianto che avevano intravisto dall’imboccatura opposta. Il computer quantistico era stato realizzato da Adikor Huld per far girare un software creato da Ponter Boddit; lo scopo era fattorizzare numeri più elevati di quanto si fosse mai tentato finora. Il risultato imprevisto era stata l’intrusione in un universo parallelo: il nostro.

— Ponter! — esclamò una voce tonante.

Mary guardò chi fosse; Adikor, il compagno di Ponter, stava scendendo di corsa i cinque scalini che collegavano la sala controllo al computer.

— Adikor! — disse Ponter. I due si abbracciarono, leccandosi a vicenda le guance.

Mary distolse gli occhi. In condizioni “normali”, ammesso che il termine avesse un senso, Mary avrebbe visto molto di rado i due insieme; quando i Due diventavano Uno, Adikor trascorreva infatti tutto il tempo insieme alla compagna e al figlio.

Ma in quel momento i Due non erano Uno, quindi Ponter conviveva con Adikor.

I due uomini si staccarono, e Ponter indicò Mary: — Ti ricordi di Mèr, no?

— Ovvio! — disse lui, sorridendo in modo che pareva sincero. Mary si sforzò di emulare la sua cortesia: — Ciao, Adikor.

— Felice di rivederti, Mèr.

— Grazie.

— Qual buon vento? Non è ancora il Due-Uno.

“Ci siamo” pensò lei: Adikor stava marcando il territorio.

— Lo so — rispose Mary — ma sono venuta per una visita prolungata. Intendo conoscere più da vicino la vostra genetica.

— Ah — disse Adikor. — Allora Lurt sarà un’ottima interlocutrice.

Mary ponderò tra sé quelle parole. Adikor voleva essere gentile, o sottolineare che lei avrebbe dovuto frequentare altre donne, restandosene al Centro, lontano da loro due?

— Non vedo l’ora — disse Mary.

— Accompagno rapidamente Mèr a casa nostra — disse Ponter ad Adikor. — Le fornirò varie cose che le torneranno utili nel periodo che trascorrerà qui. Poi le ordinerò un mezzo di trasporto per il Centro.

— Bene — disse il compagno. Osservò Mary, poi di nuovo Ponter. — Quindi, a cena saremo solo noi due?

— Naturalmente — rispose Ponter.

Mary si spogliò completamente; l’assenza di tabù sessuali nel mondo neanderthal le rendeva più facile l’operazione. Quindi si sottopose al processo di decontaminazione laser. Apparecchiature dello stesso genere erano in costruzione sulla sua Terra per curare vari tipi di infezione; peccato che questa tecnologia non fosse in grado di combattere le forme tumorali, in quanto non si tratta di corpi estranei ma di patologie derivate dalle cellule del malato stesso. Perciò, due anni prima, la leucemia si era portata via la moglie di Ponter, Klast.

Però “portata via” era un’espressione da gliksin, che sottintendeva che la persona fosse finita da qualche parte. Per i neanderthal non era così. Per loro, si scompariva e basta.

Neppure la parola “moglie” era corretta. Klast era la yat-dija, “compagna”. Finché fosse rimasta nel mondo dei neanderthal, meglio sforzarsi di pensare con le loro categorie.

Quando i laser ebbero finito con Mary, il quadrato luminoso al di sopra della porta cambiò colore, segnalandole che doveva uscire. Lei eseguì, e cominciò a indossare abiti locali, mentre Ponter si sottoponeva a sua volta alla decontaminazione. Durante la sua prima visita, Ponter si era preso il batterio Streptococcus equii, a cui i sapiens sono immuni ma i neanderthal no. Quindi, la decontaminazione era obbligatoria.

Solo chi non aveva altra scelta abitava nel quartiere di Cornelius. Driftwood era un postaccio pieno di criminali e spacciatori. Il suo unico pregio era di trovarsi a breve distanza dalla York University.

Cornelius scese al piano terra in ascensore. Nonostante tutto, a quella casa era… be’, “affezionato” sarebbe dire troppo, ma se non altro le era riconoscente. Il fatto di poter raggiungere a piedi il campus gli permetteva di risparmiare sui costi di un’automobile o sull’abbonamento alla metropolitana.

Era una bellissima giornata, con cielo azzurro e limpido; Cornelius indossava un giaccone scamosciato. Oltrepassò la rivendita con sbarre alle vetrine: un negozietto specializzato in riviste porno e alimenti in scatola. Era il locale in cui lui si riforniva di sigarette, ma per fortuna in quel momento aveva ancora una scorta.

Attraversò la strada, diretto al campus. Era un pigiapigia di studenti, alcuni in maniche corte, altri con la felpa. Cornelius immaginava che avrebbe potuto escogitare un piano per procurarsi testosterone all’Università; per esempio, proponendo un progetto laboratoriale in cui ce ne fosse bisogno. Poteva sembrare un buon incentivo per tornare al lavoro. Eppure…

Eppure, in lui erano avvenuti dei cambiamenti decisivi. Tanto per cominciare, non aveva più incubi, anzi ronfava come un ghiro. Non restava più sveglio un’ora o due, prima di prendere sonno, intento a masticare rabbia per tutte le cose storte della sua vita.

È vero, per qualche giorno avrebbe voluto restare inchiodato al letto per sempre; ma quel sentimento era passato. Ora si sentiva… no, non pieno di energie, non pronto per la battaglia quotidiana, ma in uno stato in cui non ricordava di trovarsi dai tempi delle elementari, durante le vacanze estive, lontano dai bulli della scuola.

Cornelius si sentiva calmo.

— Buongiorno, professor Ruskin — disse una squillante voce maschile.

Lui si voltò. A salutarlo era stato uno dei suoi studenti del corso sugli organismi eucarioti, un certo… John? Jim? Il ragazzo sognava di diventare docente di Genetica. Cornelius avrebbe tanto voluto convincerlo a lasciar perdere: non c’era posto per chi fosse maschio e bianco. Però si limitò a un: — Salve!

— Bentornato! — disse lo studente, allontanandosi in un’altra direzione.

Cornelius proseguì verso il Farquharson Life Sciences Building. Aveva inserito il pilota automatico, per cui si accorse solo all’ultimo momento, con un sobbalzo, di essere finito davanti al…

Il luogo non aveva un nome, né lui gliene aveva mai dato uno personale. Due pareti di sostegno che si incrociavano ad angolo retto, a una certa distanza dai lampioni, al coperto di alcuni grossi alberi. Era lì che aveva spinto due donne, quelle due notti. Era lì che lui aveva fatto vedere a Qaiser Remtulla chi fosse il maschio dominante. E dove aveva sfondato Mary Vaughan.

Cornelius aveva l’abitudine di venire qui anche in pieno giorno, quando aveva bisogno di tirarsi un po’ su. Il solo ricordo di essersi fatto valere, una volta tanto, gli procurava un’erezione di soddisfazione. Oggi no, però.

I muri erano coperti di graffiti. Cornelius non era l’unico ad apprezzare quel posto: anche i virtuosi della spray-art, o le coppiette che volevano giurarsi eterno amore, come…

Come lui e Melody, quando avevano scritto le loro iniziali su un cuore dipinto.

Cornelius cacciò il pensiero, diede un’ultima occhiata a quell’angolo e poi si allontanò.

Era una giornata troppo bella per restasene ad ammuffire in ufficio, pensò, girando i tacchi verso casa.

Загрузка...