“Come può essere successo? Come abbiamo potuto allontanarci da quel sentiero glorioso che ci aveva portati dalla Gola di Olduvai ai crateri lunari? La risposta, ovviamente, è che ci sentivamo troppo sazi. Il secolo appena trascorso ha visto più sviluppi nel campo della prosperità, della salute, della tecnologia e dei comfort, che nei 40 millenni di Storia precedente…”
Mary cominciava a strutturare in modo standard la propria vita: giornate di studio nel campo genetico insieme a Lurt o colleghe, seguite da piacevoli serate a casa di Bandra.
Aveva sempre pensato di avere i fianchi troppo larghi, ma le donne neanderthaliane la battevano di gran lunga. L’ipotesi iniziale del paleoantropologo Erik Trinkaus era che ciò fosse dovuto a una gestazione di undici o dodici mesi. Poi ulteriori studi avevano dimostrato che quella conformazione del bacino era legata al modo di camminare, alla cavallerizza. I fatti confermavano la seconda ipotesi.
Per contro, Mary trovava scomodissime le sedie a sella; e le panche erano troppo basse, dato che la parte inferiore della gamba dei barasi era più corta della coscia. Quindi aveva chiesto all’amica di Lurt, l’artigiana, di realizzarle una sedia in pino, imbottita di morbidi cuscini.
Quel giorno Bandra era rientrata prima di Mary, e si trovava in camera da letto. Appena Mary fece il suo ingresso, Bandra spuntò dicendo: — Bentornata, Mèr! Mi pareva, di aver sentito il tuo odore.
Lei abbozzò un sorriso. Si stava abituando alla fraseologia neanderthal.
— Guarda là — proseguì Bandra. — La tua sedia è arrivata. Su, provala!
Mary lo fece.
— E allora?
— Si sta da Dio — rispose Mary.
— Allora dovresti sparire nel nulla — commentò Bandra.
Risero.
— Ci si sta davvero comode — aggiunse Mary.
— Soldi spesi bene! Un lavoro fatto a modino! Tombola! — concluse Bandra.
Più tardi; Mary sottopose la sedia a un test più accurato: vi si abbandonò in compagnia di uno dei libri che aveva comprato alla libreria della Laurenziana.
Bandra stava dipingendo una scena ornitologica, ma decise di fare una pausa. Raggiunse Mary e le chiese: — Che si legge di bello?
D’istinto, Mary le mostrò la copertina. Poi le tornò in mente che l’amica, pur con tutto l’amore per la cultura gliksin, non sapeva ancora decifrare il suo alfabeto. — Si intitola Il possidente, di John Galsworthy. È uno scrittore che ha vinto il più importante premio letterario del mio mondo, il Nobel.
— Di che parla?
— Di un ricco avvocato sposato con una donna bellissima. U protagonista chiama un architetto per farsi costruire una casa in campagna, e la moglie intreccia una relazione con l’architetto.
— Ah — si limitò a dire Bandra.
Mary ci riprovò: — Affronta il tema della complessità dei rapporti interpersonali tra i gliksin.
— Me ne leggeresti un po’?
Mary fu onorata dalla richiesta. — Volentieri.
Bandra si spostò una “sella” di fronte a lei, e vi prese posto, con le braccia incrociate. Mary lesse a voce bassa, dando a Christine il tempo di tradurne:
Molte persone definirebbero quello tra Soames e Irene un matrimonio riuscito. Lui aveva i soldi, lei la bellezza: il classico compromesso. Non c’era motivo per cui i due non dovessero procedere appaiati nella vita, per quanto si detestassero a vicenda. Nessun problema se si prendevano le rispettive libertà, purché avessero salvato la facciata: il rispetto della sacralità del matrimonio, del letto coniugale. Metà dei matrimoni dell’alta borghesia erano basati su questi princìpi: non offendere la suscettibilità della Società, non offendere la suscettibilità della Chiesa. Per evitare di offenderle entrambe, valeva la pena sacrificare i propri sentimenti più personali. I vantaggi di una convivenza stabile sono ben visibili, tangibili, con tutte quelle proprietà al sole; lo status quo non fa male. Guastare un matrimonio è, nella migliore delle ipotesi, un esperimento pericoloso; e, in fin dei conti, un atto di egoismo.
Questa era la versione della difesa, pensò, con un sospiro, il giovane Jolyon.
“Il nocciolo della questione” pensò “è la proprietà. Però ci sono molte persone che non la metterebbero in questo modo. Per loro c’è di mezzo la ‘sacralità del vincolo coniugale’… ma la sacralità del vincolo coniugale dipende dalla santità della famiglia, e la santità della famiglia dipende da quella della proprietà. E tuttavia, pensa un po’, tutti questi sono seguaci di Uno che non aveva neppure un sasso per posare il capo. Curioso, no?”
E il giovane Jolyon sospirò di nuovo…
— Interessante — disse Bandra.
Mary rise. — Scommetto che è tutta cortesia. Lo avrai trovato ermetico.
— No, no —” fece lei. — Mi pare di aver capito. C’è un uomo… Soames, giusto?… che vive con una donna, di nome…
— Irene — suggerì Mary.
— Esatto. Ma nella loro unione manca il calore umano. Lui desidera più momenti d’intimità di quanto li desideri lei…
Mary era impressionata. — Proprio così.
— Ho il sospetto che si tratti di problemi universalmente diffusi.
— Approvo — disse Mary. — Mi identifico molto con Irene. Ha sposato Soames senza sapere bene ciò che faceva, proprio come me con Colm.
— Ma adesso lo sai?
— So di amare Ponter.
— Che però non vive sulla Luna. Ha Adikor, ha le sue figlie.
Mary chiuse il romanzo. — Lo so — mormorò.
Bandra temette di aver rattristato l’ospite. — Chiedo scusa. Andrò a prendermi qualcosa da bere. E tu?
Mary avrebbe fatto follie per un bicchiere di vino, ma i neanderthal non ne producevano. In compenso, dalla sua Terra si era portata una confezione da un chilo di caffè solubile. Di solito non beveva caffè la sera, ma la temperatura nelle case neanderthal era di 16 °C, e una tazza fumante l’avrebbe un po’ scaldata. — Ti do una mano — disse, alzandosi.
Nel suo mondo Mary teneva sempre a portata di mano una confezione di latte e cioccolata, da mischiare al caffè. Qui si arrangiava con cappuccino in polvere e cioccolata calda di importazione.
Le due donne tornarono in salotto. Bandra si sedette su uno dei divani che sporgevano dalle pareti. Mary stava per tornare alla sua sedia, quando si accorse che non avrebbe avuto lo spazio per posare la tazza. Quindi si prese il romanzo e andò a sistemarsi all’estremità opposta del divano, lasciando la tazza sul tavolino accanto.
— Nel tuo mondo, vivevi da sola — disse Bandra. Non era una domanda: lo sapeva.
— Infatti — disse Mary. — In uno di quelli che chiamiamo “appartamenti in condominio”. Un gruppo di stanze di proprietà personale, all’interno di un grande edificio in cui abitano altre duecento persone.
— Duecento! — esclamò lei. — Quanto è grande quell’edificio?
— Ha 22 piani, 22 livelli. Io sto al diciassettesimo.
— Di lì si deve godere di un panorama impressionante.
— È vero — disse Mary, ma era una risposta istintiva. Dal suo alloggio vedeva solo vetro e cemento, palazzi e viali trafficati. A suo tempo il posto le piaceva, ma i suoi gusti stavano cambiando.
— Che fine ha fatto quell’appartamento? — chiese Bandra.
— È ancora di mia proprietà. Quando io e Ponter avremo preso una decisione definitiva, vedrò che cosa farne. Potremmo anche tenerlo.
— E quale decisione definitiva prenderete tu e Ponter?
— Vorrei tanto saperlo — rispose Mary. Prese la tazza e sorseggiò. — Come hai dello prima, Ponter non vive sulla Luna.
— Non dovresti farlo neppure tu — disse Bandra, tenendo gli occhi bassi.
— Come?
— Se intendi entrare a far parte di questo mondo, non dovresti trascorrere da sola gran parte del mese.
— Oh… — disse Mary. — La maggior parte degli abitanti del mio mondo sono attratti solo da persone del sesso opposto.
Bandra sollevò lo sguardo, poi lo riabbassò. — Niente relazioni tra donne?
— Qualche volta. Ma, di solito, le donne con questo tipo di relazioni non hanno un partner maschile.
— Qui non è così — disse Bandra.
La risposta di Mary fu appena percettibile. — Lo so.
— lo… noi… io e te… stiamo bene insieme. Mary si irrigidì. — È vero, sì.
— Qui da noi, due donne che vivano felicemente insieme, e senza avere legami di parentela, sono… — all’improvviso, posò l’ampia mano sul ginocchio di Mary — sono molto vicine l’una all’altra.
Mary osservò la mano di Bandra. Le era capitalo spesso di togliersi di dosso le zampe di qualche corteggiatore indesiderato, ma ora…
Ora non voleva ferire i suoi sentimenti. — Bandra… io… io non provo attrazione per le donne.
— Forse… forse è solo… — cercò l’espressione adatta — un condizionamento culturale.
Man’ aggrottò le ciglia. Forse lo era sul serio, ma questo non cambiava nulla. Certo, quando aveva 13 o 14 anni aveva baciato qualche ragazza, ma solo per fare pratica in preparazione ai baci con i maschietti.
O almeno, questa era la scusa che avevano accampato lei e le amiche.
Però era stato eccitante, a suo modo.
Anche se…
— Perdonami, Bandra. Non voglio apparire maleducata. Ma, davvero: non mi interessa.
— Sai — disse lei, guardandola per un attimo, poi distogliendo gli occhi — nessuno sa come fare felice una donna, meglio di un’altra donna.
Mary aveva il cuore in gola. — So… sono sicura che è così, ma… — Con delicatezza, scostò la mano di Bandra.
— Ma non fa per me.
Bandra annuì più volte. — Se però cambiassi idea… — Tacque per qualche secondo, quindi aggiunse: — La vita può diventare molto pesante, tra un Due-Uno e il successivo.
“Poco ma sicuro” pensò Mary, ma rimase in silenzio.
— Be’ — disse Bandra alla fine — io vado a dormire. Ah… “buonanotte e sogni d’oro”, giusto?
Mary riuscì a sorridere. — Giusto. Sogni d’oro anche a te, Bandra.
Restò a osservare la neanderthaliana mentre entrava in camera da letto. Mary dormiva in quella che era stata la cameretta di Dranna, la figlia minore. Quasi quasi sarebbe andata a dormire anche lei, ma poi decise di leggere qualche altra pagina, nella speranza di riuscire a rilassarsi un po’.
Riprese Il possidente dalla pagina a cui era rimasta. Lo stile di Galsworthy era sempre molto ironico, ammiccante. Non erano solo i neanderthal a trovale bizzarri i gliksin. Mary si immerse nella lettura, assaporando quelle splendide ricostruzioni della società borghese nell’Inghilterra vittoriana. Aveva davvero un’ottima penna, e…
“Oh mio Dio…”
Mary chiuse di colpo il libro, con il cuore che batteva impazzito.
“Mio Dio!”
Inspirò in profondità, espirò lentamente; poi di nuovo.
Soames aveva…
Il cuore le stava per scoppiare.
Forse aveva letto male. Dopotutto, non c’erano descrizioni esplicite. Doveva averci visto solo lei quella cosa.
Riaprì la pagina.
No. Non c’era possibilità di abbagli. Soames Forsyte, il possidente, aveva dimostrato a Irene che cosa lei significasse per lui. Irene poteva accoglierlo con tutta l’indifferenza che voleva, anche a letto… ma lui l’aveva violentata.
Fino a quel punto Mary aveva gustato la trama, in particolare la relazione segreta tra Irene e l’architetto Bosinney, perché un po’ le ricordava la “strana coppia” formata da lei stessa e Ponter. Ma ora…
Uno stupro.
Uno stramaledetto stupro.
Non si poteva incolpare lo scrittore. Era esattamente ciò che avrebbe fatto uno come Soames.
Ciò che avrebbe fatto un uomo.
Mary posò il romanzo accanto alla tazza di caffè ormai freddo. E rimase a fissare nel vuoto, in direzione della porta della camera da letto di Bandra. Dopo chissà quanto tempo, si alzò dal divano e raggiunse la propria stanza. Nella solitudine. Nel buio.