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“Ma i neanderthal non attraversarono lo Stretto di Gibilterra. Ed è lì che venne fuori tutta la differenza tra loro e noi. Perché noi, appena scorgemmo un nuovo mondo a portata di mano, ci lanciammo alla sua conquista…”


— Ed ecco il famoso codificatore di codoni — disse Vissan, posando sul tavolo uno strumento color verde chiaro.

L’oggetto aveva la forma e le dimensioni di tre pagnotte messe in fila, anche se di certo non sarebbe stato questo il paragone che avrebbe scelto un neanderthal.

— È in grado di sintetizzare qualsiasi sequenza di acido desossiribonucleico, o ribonucleico se preferite. Inoltre, tutte le proteine extra che sono necessarie a costruire cromosomi e altre strutture biologiche.

Mary non riusciva a crederci. — La fabbrica della vita… — Guardò Vissan. — Nel mio mondo ti avrebbero assegnato il premio Nobel, il massimo riconoscimento per meriti scientifici.

— Qui invece sono una fuorilegge — disse lei. — Per quanto buone fossero le mie intenzioni.

Mary alzò un sopracciglio. — E quali erano le tue intenzioni?

Vissan non rispose subito. — Ho un fratello minore che vive all’interno di un istituto — disse poi, fissando Mary. — Abbiamo eliminato la stragrande maggioranza dei disagi genetici, ma qualche disfunzione non ereditaria può ancora capitare. Mio fratello è… non so come direste voi. Ha un doppio cromosoma 22.

— Che per noi è il 21 — disse Mary. — La chiamiamo sindrome di Down.

— Anche nei gliksin produce i medesimi effetti? Ritardo fisico e mentale?

Mary annuì. La sindrome ha anche effetti sui tratti somatici, ma non aveva idea di quali fossero nei barast.

— Mia madre — proseguì Vissan — apparteneva alla generazione 140. Avrebbe dovuto concepire il primo figlio all’età di 20 anni, ma non ci riuscì né allora né a 30 anni. Io nacqui quando lei aveva 40 anni, e mio fratello Lanamar quando ne aveva 50.

— Anche nel mio popolo il concepimento in età avanzata facilita la sindrome — disse Mary.

— Avviene a causa dei deterioramenti nella capacità di produrre sequenze cromosomiche regolari. Volevo trovare una soluzione a questo problema, e l’ho trovata. La mia invenzione avrebbe eliminato tutti gli errori di copiatura e tutti i…

— I… che cosa? — fece Mary.

— Chiedo scusa — intervenne Christine. — Non so come tradurre il termine usato da Vissan. Indica la situazione in cui si hanno tre cromosomi anziché due.

— Trisomia — disse Mary.

— Se i miei genitori avessero avuto accesso a una tecnologia simile — disse Vissan — Lanamar non sarebbe nato con la sindrome. Si potrebbero evitare molti drammi di questo tipo.

“Molti, sì” pensò Mary. Tra i gliksin, un bambino su 500 nasce con squilibri a livello di cromosomi sessuali, come la sindrome di Klinefelter (due o più cromosomi X e un Y, oppure un mosaico di tipi), la sindrome da “tre X”, quella di Turner (un singolo cromosoma X, o privo di compagno, o con un secondo cromosoma tronco), o la sindrome XYY, che predispone gli uomini alla violenza (chissà se Cornelius Ruskin…). Altre varianti sono dovute, perlopiù, a smarrimenti di parti di codice.

— Non è tutto — proseguì Vissan. — Il desiderio di prevenire la trisomia era solo la spinta iniziale. Man mano che mi ci dedicavo, mi sono venute in mente altre possibili meraviglie.

— Sul serio? — chiese Ponter.

— Sul serio! Avrei eliminato la casualità della selezione genetica, lasciando la scelta ai genitori.

— Che vuoi dire? — chiese Ponter.

Vissan lo osservò. — Tu hai ereditato tot caratteristiche da tuo padre e tot da tua madre. A sua volta, gli spermatozoi che produci selezionano a caso tra i tuoi caratteri. Ogni spermatozoo contiene solo 24 dei tuoi 48 cromosomi complessivi, quindi porta in sé solo il contributo di tuo padre al colore dei tuoi occhi o solo quello di tua madre, e così via. In uno spermatozoo, quindi, potremo trovare il contributo di tua madre al colore dei tuoi occhi, quello di tuo padre per il colore dei capelli, e quello di tua madre per la forma dell’arcata sopraciliare. Un altro spermatozoo conterrà la combinazione opposta; un terzo, solo i contributi materni, eccetera, per tutte le decine di migliaia di geni che possiedi. È improbabile che due spermatozoi abbiano lo stesso identico contenuto, e il discorso si applica pari-pari agli ovuli femminili.

— Fin qui ci siamo — disse Ponter.

— Di fatto… Vediamo, Mega è tua figlia, vero?

— Certo! — disse lei.

Vissan si accovacciò per guardarla negli occhi. — Iridi castane, mentre tu Ponter le hai dorate. Hai altri figli?

— Una figlia più grande, di nome Jasmel.

— E di che colore ha gli occhi?

— Come i miei.

— Beata lei — sospirò Mega.

— Eh sì — disse Vissan, si rialzò e fece una carezza alla bambina. Poi si rivolse a Ponter: — Il colore marrone è un carattere dominante, quello dorato è recessivo. Le possibilità che una tua figlia ereditasse il tuo colore erano una su quattro. Ma se tu ti fossi fatto codificare i codoni dalla mia macchina, avresti potuto decidere di dare a entrambe le figlie pupille color oro. O qualunque altra caratteristica aveste scelto tu e la tua compagna.

— Anch’io voglio occhi color oro! — esclamò Mega.

— Capisci? — disse Vissan. — In natura, il concepimento unisce tratti presi a caso.

Ponter annuì.

— Ma non vedi che è una follia? Un getto di dadi! E non stiamo parlando di dettagli innocui come il colore degli occhi. Per esempio, tu possiedi due geni che regolano la flessibilità della tua retina, uno da tuo padre e uno da tua madre. Immaginiamo che quello di origine materna sia perfetto, il che ti permetterà di arrivare alla vecchiaia senza l’uso di sussidi ottici. Ma il gene paterno ti costringerebbe a portare lenti fin dall’infanzia. Ai tuoi figli trasmetterai uno, e uno solo, di questi geni: tu quale sceglieresti?

— Quello di mia madre, ovviamente — rispose Ponter.

— Esatto! Però, in un concepimento per via naturale, non potresti scegliere. Tutto dipenderà dalla fortuna. Viceversa, se noi sequenziassimo il tuo DNA, potremmo scegliere il gene migliore per ciascuno dei tuoi tratti somatici, creando una serie aploide di cromosomi che contenga solo quelli. Potremmo quindi ripetere l’operazione con la nostra Mary, dopodiché li combineremmo in modo da dare alla luce il migliore figlio possibile. Il figlio, o la figlia, sarebbe ancora per metà prodotto del padre e metà della madre, ma combinando il meglio del loro materiale genetico.

— Caspita — disse Mary, scuotendo la testa. — Non è la progettazione a tavolino di un bambino, ma…

— No, per quanto sarebbe tecnicamente possibile. Ma questa non è mai stata la mia intenzione. Presto verrà concepita la generazione 149, e desideravo tanto che fosse un capolavoro, con l’espressione di tutti i caratteri migliori del nostro popolo, e nessuno di quelli negativi. — Il suo tono di voce si fece più cupo. — Avrebbe migliorato la nostra specie almeno quanto la purificazione del pool genetico. — Un attimo dopo, però, l’acredine scomparve. — Pare che questo sogno non si avvererà. Ma, se non altro, ne potrete approfittare voi due.

A Mary il cuore batteva all’impazzata. Stava per diventare madre! Stava per succedere davvero! — Mi sembra di vivere in una favola, Vissan. Puoi mostrarci come funziona?

— Certo… purché non si siano scaricate le batterie. — Toccò un comando, e al centro dell’apparecchiatura si accese uno schermo quadrato. — Ovviamente, si può collegare a uno schermo più grande. Quanto alla procedura, si introducono le sostanze chimiche di base in quest’apertura… — indicò una fessura sul lato destro — e i composti finali escono di qui, in sospensione di acqua distillata — indicò un rubinetto all’estremità opposta. — Va da sé che qui va attaccata una provetta sterile.

— Come si indica la composizione del prodotto finale? — chiese Mary, quasi imbambolata.

— Basta domandarglielo. — Estrasse una sferetta e disse, rivolta alla macchina: — Produrre una stringa di DNA della lunghezza di 100.000 nucleotidi, consistente nella ripetizione a catena del codone: adenina-citosinatimina. — Si voltò verso Mary: — Cioè l’aminoacido…

— Treonina — disse Mary.

— Esatto. — Sul codificatore apparve una serie di luci verdi. — Ah, dice che gli manca la materia prima. — Vissan indicò lo schermo. — Viene specificato qui. Un altro modo per inserire i dati è utilizzare gli appositi comandi. — Mostrò un interruttore. — Con questo si seleziona la modalità DNA oppure RNA. Dopodiché è possibile immettere la propria richiesta con qualsiasi livello di precisione, fino al singolo nucleotide. — Lo si faceva tramite quattro sferette.

Mary annuì, poi indicò una griglia di 8 pulsantini per 8. — E questi servono a specificare i codoni, giusto? — Ogni codone (consistente di 3 nucleotidi, per cui ne esistono 64 combinazioni) specifica uno dei 20 aminoacidi che costituiscono le proteine. Siccome esistono più codoni che aminoacidi, ci sono codoni che veicolano la stessa proteina; in pratica, dei sinonimi genetici.

— Infatti — rispose Vissan. — Se però non interessa quale codone codifichi un determinato aminoacido, basta selezionare il nome dell’aminoacido stesso, di qui — indicò un gruppo di 4 per 5 comandi. — Naturalmente, questa procedura serve solo per le precisazioni al dettaglio, perché sarebbe indescrivibilmente tedioso digitare a mano una lunga sequenza di DNA. Di norma l’apparecchiatura andrà interfacciata a un computer, limitandosi a scaricare il pattern genetico che si intende produrre.

— Stupefacente — disse Mary. — Non crederesti alle difficoltà che dobbiamo affrontare noi gliksin per scomporre una sequenza. — Guardò Vissan negli occhi. — Ti ringrazio.

— Per me è un piacere — rispose lei. — E adesso, al lavoro!

— Già ora? — chiese Mary.

— Sicuro. Non produrremo ancora il DNA, ma intanto setteremo il processo. Per prima cosa raccoglieremo campioni del vostro acido desossiribonucleico e li sequenzieremo.

— Hai i mezzi per farlo?

— Ce li ha il codificatore. Non faremo altro che fornirgli il campione, e lui lo analizzerà. Occorrerà circa un decimo di giorno a testa.

— Un decimo di giorno per sequenziare un intero genoma? — chiese Mary.

— Oh, sì — rispose Vissan. — Così avremo il tempo di procurarci qualcosa da mettere sotto i denti.

— Ti aiuterò volentieri per la caccia — disse Ponter, sollevando una mano. — Anche se non ne hai bisogno.

— Un po’ di compagnia sarà la benvenuta — disse lei.

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