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“Ovviamente, una volta che noi Homo sapiens avremo piantato fiorellini sulle sabbie di Marte, innaffiandoli con acqua presa dalle sue calotte polari, potremo di nuovo prenderci il gusto di annusare le rose…”


— Maledetto stronzo!

Jock sapeva benissimo che l’altro automobilista non poteva sentirlo, ma non sopportava che qualche idiota gli tagliasse la strada.

Quel giorno il traffico era infernale. Cioè, non era peggio del solito ma, adesso che Jock aveva in mente quel paradiso di là, qualunque cosa lo faceva innervosire.

“Quel paradiso di là”… Merda, gli sembrava di sentire sua madre: “Tutto sarà bello una volta di là, in paradiso”.

Al cielo e all’inferno lui non ci credeva neanche un po’, ma il mondo neanderthal era ben tangibile. Solo per un colpo di fortuna, per quel loro olfatto delicato, i neanderthal non avevano fatto disastri anche dall’altra parte. Se solo i “veri umani” avessero avuto proboscidi come quelle…

Fermò al semaforo. Una pagina dell’“USA Today” portata dal vento. Ragazzini che fumavano alla fermata del bus. Una sirena della polizia. I clacson. Un camion che buttava fumo nero dalla marmitta. Jock si guardò intorno alla disperata ricerca di un albero.

Il giornale-radio si aprì con la notizia di un tizio che aveva crivellato di colpi quattro colleghi di lavoro in Illinois. Poi un kamikaze al Cairo. Venti di guerra tra India e Pakistan. Una chiazza di petrolio nel Puget Sound. Un treno deragliato vicino a Dallas. A Rochester una rapina.

“Che razza di casino” pensò Jock. “Che razza di cazzo di casino.”

Jock attraversò l’ingresso principale del palazzo sede del gruppo Synergy. In corridoio si imbatté in Louise. — Ehilà, Jock! L’altro mondo è bello come dicono?

Lui annuì.

— Di là non so — continuò lei — ma da questa parte ti sei perso la più bella aurora boreale che si possa immaginare.

— L’aurora boreale? Qui?

— Già, uno spettacolo incredibile perfino per me, che sono una fisica specializzata in fenomeni solari. Pare proprio che il campo magnetico terrestre si stia dando da fare.

— A occhio e croce sembri avere ancora tutto, inclusa la coscienza.

Louise sorrise, e indicò il pacco tenuto da Jock: — Ti perdono la battutaccia, visto che mi hai portato dei fiori.

Lui osservò la confezione. — Veramente, è un favore che ho fatto a Mary.

— Che cosa contiene?

— È ciò che intendo scoprire.

Jock si diresse alla reception, dove sedeva la signora Wallace.

— Bentornato, signore.

— Grazie. Appuntamenti per oggi?

— Solo uno. L’ho fissato in sua assenza, spero non le dispiaccia. Un genetista in cerca di lavoro, con credenziali da favola.

Jock emise un grugnito.

— Sarà qui alle 11.30 — aggiunse la signora Wallace.

Jock diede un’occhiata all’e-mail, ascoltò la segreteria telefonica, si fece un caffè espresso, e infine aprì il pacco che gli aveva consegnato Mary. Materiale, colore, struttura: quello lì dentro era senza dubbio un oggetto alieno.

Tuttavia non era un prodotto di serie, visto che alcune delle etichette parevano scritte a mano, in caratteri neanderthaliani. Forse un prototipo.

Jock sollevò la cornetta del telefono e digitò un numero interno. — Lonwis? Sono Jock. Potresti venire nel mio ufficio, per favore?

Lo scienziato neanderthal entrò senza bussare. — Che c’è, Jock? — chiese.

— Ho qui un’apparecchiatura che non saprei come accendere.

Lonwis si avvicinò scricchiolando alla scrivania. Quindi accostò all’oggetto i suoi occhi meccanici. — Qui — disse, indicando un comando isolato. Lo estrasse con due dita: dall’apparecchiatura si levò un ronzio. — Che cos’è?

— Mary lo ha definito un sintetizzatore di DNA.

Lonwis lo esaminò da vicino. — La cassa è standard, ma ha una strumentazione che non avevo mai visto. Puoi alzarlo dal tavolo?

— Come? — disse Jock. — Oh, ma certo. — Lo prese e lo tirò su, permettendo all’anziano scienziato di osservarlo nella parte inferiore.

— Sarà meglio collegarlo a una sorgente energetica esterna, perché… Ottimo, ha una porta standard per interfacciarlo. Io e la dottoressa Benoît abbiamo realizzato alcuni accessori che permettono di far dialogare la tecnologia neanderthal con i vostri PC. Vuoi che te ne fornisca uno?

— Eh?… Sicuro.

— Chiederò alla dottoressa Benoît di occuparsene. — Si diresse all’uscita. — Divertiti, con il tuo nuovo giocattolo!

Jock trascorse ore a studiare il codificatore di codoni con l’aiuto degli appunti di Mary. Quel coso serviva a produrre DNA, almeno questo era fuori dubbio. Nonché RNA. Inoltre sembrava in grado di sintetizzare le relative proteine.

Le conoscenze di genetica di Jock erano strettamente legate ai suoi trascorsi professionali alla RAND, per esempio sull’utilizzo di bio-armamenti. Ma se questo apparecchio poteva produrre stringhe di acidi nucleici e proteine… allora…

Unì le punte delle dita. Ah, quanto avrebbero dato per quella tecnologia i ragazzi di Fort Derrick!

Acidi nucleici. Proteine.

I componenti base dei virus.

Jock restò a fissare l’invenzione barasi, immerso nei propri pensieri.

Il telefono emise uno squillo da un interno. Jock sollevò la cornetta, e la voce della signora Wallace gli comunicò: — È arrivato il suo appuntamento delle 11.30, signore.

— Va bene.

Un attimo dopo entrò nell’ufficio un uomo magro, con gli occhi blu, sui trentacinque. — Dottor Krieger — disse, tendendogli la mano — è un vero piacere conoscerla.

— Si accomodi.

L’ospite prese posto, non prima di avergli passato un corposo curriculum. — Come potrà notare, ho conseguito il dottorato in Genetica a Oxford, dove ho lavorato al Centro per le biomolecole antiche.

— Ha esperienza con i neanderthal?

— Non in modo specifico, però mi sono occupato spesso di materiale tardo-cenozoico.

— Come ha saputo dell’esistenza della nostra società?

— Alla York University, quella di Mary Vaughan, e…

— Di solito, siamo noi a chiamare chi ci interessa assumere.

— Me ne rendo conto, signore. Ma pensavo… siccome Mary si è trasferita nell’altro universo, potreste avere bisogno di un genetista esperto.

Jock lanciò un’occhiata all’oggetto posato sulla scrivania. — In effetti, professor Ruskin, è così.

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