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“Alcuni di noi, comunque, rimarranno stanziali su Marte. Ora, nei testi di scienza e fantascienza si è parlato spesso di terraformazione: trasformare Marte in una nuova Terra, accrescendone l’atmosfera e sciogliendone i ghiacciai in modo da renderlo un pianeta abitabile per l’uomo…”


Jock, Ponter e Adikor erano allo Strong Memorial Hospital insieme a Lonwis Trob, ancora privo di sensi. Quanto a Mary, non c’era nulla che potesse fare ed era rimasta alla Synergy come voleva Jock.

Le ci volle un’ora buona a calmarsi abbastanza da poter riprendere il lavoro. E quando finalmente ci riuscì, tutto andò in malora.

Mary aveva un amico che era un apostolo di Linux. Lei tendeva a non immischiarsi nelle polemiche informatiche, ma ogni volta che il suo PC Windows assumeva il colore blu della morte le veniva tanta voglia di aggregarsi alla guerriglia linuxiana. Ed ecco che adesso le succedeva di nuovo, per la seconda volta in un giorno: CONNESSIONE AL SISTEMA FALLITA.

Mary sospirò. Erano le 7 di sera, ma non poteva staccare perché Ponter e Adikor avevano bisogno di lei per tornare fino al Village, a qualunque ora fossero tornati dall’ospedale.

Però, a ben pensarci, lì dentro i computer non mancavano. In particolare, alla postazione di Jock c’era una poltroncina ergonomica che aveva un’aria così confortevole…

Mary scese al piano di sotto. La porta dell’ufficio di Jock era spalancata. Lei si diresse verso la postazione in metallo nero e plastica, con schienale a maglie fitte che, almeno in teoria, evitava la sudorazione. Eccitata dalla trasgressione si abbandonò voluttuosamente sulla sedia del capo.

“Ma allora la pubblicità diceva il vero!” pensò. Si divertì a ruotare a destra e sinistra con lievi colpetti del piede. Deciso: costasse quel che costasse, se ne sarebbe procurata una.

Terminata la pausa relax, si mise al lavoro. Jock, ricevuto l’allarme per l’infarto di Lonwis, era corso fuori dall’ufficio lasciando il computer connesso. Mary non era sicura al 100 per cento che la sua password avrebbe funzionato anche da quella postazione, perciò decise di restare collegata come “Jock”. Andò sul file-server e aprì la cartella GENETICA NEANDERTHAL, dove…

“Oh!” Era la cartella che Mary usava più spesso, ma qui comparivano due icone mai viste prima. La prima reazione fu di stizza: il crash del suo computer, al piano di sopra, doveva averla esclusa dalla directory principale.

Fece doppio click su una delle icone misteriose, che mostrava una doppia elica rossa e nera. Doveva essere il logo di qualche laboratorio di Ingegneria genetica, ma il simbolo le risultava nuovo.

Un attimo dopo si aprì una finestra, con la scritta “USAMRIID Geneplex-Surfaris” sulla barra e una schermata di testo e formule. L’acronimo USAMRIID era piuttosto frequente nella letteratura specializzata; stava per Istituto medico di ricerca dell’esercito USA sulle malattie infettive. Geneplex doveva essere il nome di un programma di ricerca. Surfaris, per quanto la riguardava, equivaleva a hic sunt leones.

Dando un’occhiata al contenuto del file, Mary rimase impietrita. All’inizio della sua collaborazione con la Synergy si era occupata della possibilità di sfruttare un conteggio di tipo batterico per determinare il numero di coppie di cromosomi presenti, 23 o 24; ma non aveva funzionato. Innanzitutto perché il meccanismo di calcolo non era in grado di eseguire conteggi precisi; e poi perché i cromosomi emergono dalla cromatina solo durante il processo di mitosi, che non è la condizione usuale della cellula.

Però, pareva che Jock avesse affidato il compito a qualche altro genetista, il quale aveva sviluppato un metodo molto più semplice. Negli Homo sapiens gli atavici cromosomi 2 e 3 si sono fusi creandone uno solo, più lungo; così che, adesso, i geni che in passato si trovavano all’estremità del cromosoma 2 sono adiacenti a quelli iniziali dell’ex numero 3, circa a metà del cromosoma nuovo.

Nei neanderthal si ritrovavano gli stessi geni, ma non fusi insieme. Anzi, l’ultimo gene del cromosoma 2 era seguito da un telomero, un “tappo inattivo” che non faceva altro che proteggere l’estremità del cromosoma, come la punta plastificata in cima a un laccio da scarpe. Così come era preceduto da un telomero anche il cromosoma 3. Quindi la sequenza in un neanderthal era:

Alla fine del cromosoma 2:

… [geni] [gene alfa] [telomero]

All’inizio del cromosoma 3:

[telomero] [gene beta] [geni]..

E viceversa, nei gliksin:

… [geni] [gene alfa] [gene beta] [geni]…

Si trattava di uno sviluppo coerente della scoperta iniziale di Mary, oltre a un modo eccellente, semplice e affidabile, per distinguere il DNA delle due specie umane.

Inoltre, non mancava nessuno dei test di verifica. In teoria si poteva focalizzare solo una condizione per volta: se si riscontrava una delle prime due sequenze (telomero + gene alfa o beta), si era di fronte a un Homo neanderthalensis; se si riscontrava la terza sequenza (alfa e beta adiacenti) si aveva un Homo sapiens. Tuttavia poteva saltare fuori qualche complicazione, per cui era stato predisposto un piccolo cladogramma:

PASSO 1: I geni alfa e beta si trovano affiancati?

Se SÌ, interrompere procedura (non è un neanderthal).

Se NO, è probabile che sia un neanderthal: vai al Passo 2.


PASSO 2: Il gene alfa si trova adiacente a un telomero?

Se sì, resta probabile che si tratti di un neanderthal: vai al Passo 3.

Se no, interrompere procedura (non è un neanderthal).


PASSO 3: Il gene beta si trova adiacente a un telomero?

Se sì, è incontrovertibilmente un neanderthal: vai al Passo 4.

Se no, interrompere procedura (non è un neanderthal).

Le interruzioni ai Passi 2 e 3 avvenivano quando i geni alfa e beta non fossero adiacenti e neppure collegati a un telomere: questa doppia condizione infatti non si riscontrava in nessuna delle due specie ominidi.

Per un computer sarebbe stato un gioco da bambini, ma la faccenda diventava un po’ più complessa di fronte a una gran massa di reazioni biochimiche. In ogni caso, Mary riconobbe senza difficoltà gli enzimi prodotti a ogni stadio dell’esperimento, e i risultati erano coerenti con le premesse. Al termine del processo si aspettava di incontrare un enzima o un altro marcatore facile da individuare; una bandierina che dicesse senza mezzi termini sì o no.

Invece, continuando nella lettura, si accorse di non essere affatto arrivata alle conclusioni. All’apparire del Passo 4, Mary restò a bocca aperta. Si era ormai abituata al linguaggio da Guerra Fredda usato da Jock e altri membri del team provenienti dalla RAND, ma qui la definizione era dura da digerire: “Sganciare il carico”.

Ovvero: se, e solo se, il soggetto risultava un neanderthal, si avviava una nuova sequenza a cascata, che conduceva a…

Mary non riusciva a credere ai propri occhi. Il fatto che fosse un’esperta in DNA antichi non significava che non sapesse identificare sequenze più recenti, soprattutto se erano state sbattute in prima pagina sui giornali.

Se il soggetto risultava neanderthal, veniva “sganciato un carico” virale. Con rapido sviluppo di febbre emorragica.

Letale.

Mary crollò all’indietro contro lo schienale. L’acidità le bruciava la base della gola.

Qualcuno voleva compiere un genocidio…

Le febbri emorragiche sono contagiose. I gliksin attualmente non erano in grado di curarle. E probabilmente neppure i barast, per due ragioni. Anzitutto, non avendo mai praticato l’agricoltura e l’allevamento, non avevano mai dovuto combattere contro le epidemie. In secondo luogo, le febbri emorragiche sono malattie tropicali, ma i neanderthal si erano stanziati solo nelle aree settentrionali del pianeta.

Mary deglutì a fatica.

Ma… perché? Perché qualcuno voleva sterminare i neanderthal? Era assur…

E all’improvviso ricordò quella conversazione con Jock. “Assolutamente sbalorditivo. Sapevo, in teoria, che noi avevamo strapazzato l’ambiente, ma finché non ho visto questo spettacolo… È come essere tornati al paradiso terrestre.”

Lei aveva riso. “Peccato che sia già occupato, eh?”

Jock non aveva riso alla battuta. Eliminare quelle piattole dei neanderthal, insediarsi nel loro Eden…

Uno scenario da orrore, ma Jock aveva fatto il callo alle distruzioni di massa. Per lei poteva anche essere un orrore; per lui, era normale routine.

Il primo impulso fu di cancellare quei file. No, inutile, dovevano esistere dei backup.

La seconda idea fu di attaccarsi al telefono. Chiamare la CBC, gridare la notizia ai quattro venti.

Ma non sapeva a che punto del piano si trovasse Jock. Se ormai aveva predisposto tutto, al sentirsi accerchiato avrebbe immediatamente scatenato l’offensiva.

Mary aveva bisogno di aiuto, consiglio, sostegno. Non da Ponter; da qualcuno che sapesse come funziona questo mondo.

Di chi si poteva fidare, qui negli Stati Uniti? Forse sua sorella Christine… ma era a Sacramento, dalla parte opposta del Paese, a migliaia di chilometri di distanza.

“Ci sono!”

La soluzione più ovvia, nonostante le antipatie.

La donna che aveva salvato la vita a Ponter nel primo viaggio.

La fisica assoldata da Jock per replicare la tecnologia quantistica dei neanderthal.

Louise Benoît.

Certo, non aveva qualifiche di tipo medico…

… ma era fidanzata con il dottor Reuben Montego!

Mary si rese conto che in futuro l’accesso a quel computer poteva esserle negato per sempre. Si guardò intorno. C’erano dei CD vergini.

Inserire.

Copiare.

Ma come rallentare il battito impazzito del cuore?

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