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“È tempo, per tutti noi sapiens, di puntare su Marte…”


“Gli si sta rivoltando lo stomaco dalla rabbia” pensò Ponter, gustandosi ogni attimo del disagio provato dal consigliere Bedros.

Del resto, Bedros se lo meritava. Era stato lui a ordinare a Ponter e all’ambasciatrice Tukana Prat di tornare indietro dalla versione gliksin della Terra in modo da poter chiudere per sempre il varco tra i due universi. Peccato che non solo Ponter si fosse rifiutato di obbedire, ma Tukana aveva convinto a passare “dall’altra parte” dieci eminenti neanderthal, incluso Lonwis Trob.

Ed ecco che a Bedros toccava accogliere ufficialmente la delegazione gliksin nel mondo barast. Quanto a Ponter, si era tenuto a disposizione presso il computer quantistico: non sarebbe stato carino se il massimo rappresentante dell’umanità sapiens fosse finito ghigliottinato da un’improvvisa chiusura del varco.

Bedros non era sceso nelle viscere della miniera di Debrai; era rimasto in superficie ad attendere l’arrivo dell’“amanuense-capo militare” e degli altri delegati ONU. I quali erano appena giunti a destinazione. Erano stati necessari due viaggi con l’ascensore sotterraneo, ma adesso erano tutti lì. Sul posto c’erano anche quattro Esibizionisti in tuta d’argento. Il primo a uscire dall’ascensore era stato il segretario generale delle Nazioni Unite, seguito da Ponter, poi tre uomini e due donne, infine l’allampanato Jock Krieger.

— Benvenuti su Jantar — disse Bedros. “Jantar” era il nome barast della Terra, e il Companion non lo aveva tradotto. Da parte loro, i sette ospiti non avevano Companion. La decisione non era stata presa senza attriti, ma alla fine l’aveva avuta vinta l’immunità diplomatica”. Che era stata applicata anche a Jock Krieger, sebbene non rientrasse nella categoria.

— Vi diamo il benvenuto in nome delle più elevate speranze per il nostro comune futuro — continuò Bedros. Ponter dovette fare del suo meglio per non sghignazzare; per comporre il sermoncino in stile gliksin, Bedros si era fatto aiutare da Tukana. Proseguì su quel tenore per quelli che parvero secoli, con l’amanuense-capo militare che rispondeva a tono.

In compenso, Jock dimostrava di avere un cuore gliksin nel disinteressarsi completamente degli sproloqui, che invece parevano così graditi ai suoi simili. Jock osservava gli alberi e le colline, gli stormi di uccelli, il cielo blu.

Terminato il cerimoniale, Ponter scivolò accanto a Jock, che indossava un lungo cappotto cammello con cintura, guanti di pelle e cappello a falde larghe (i gliksin avevano deposto e ripreso i propri abiti in miniera dopo la decontaminazione). — Allora, che te ne pare del nostro mondo?

Jock trasudava stupore. — È bellissimo.

A casa di Bandra il Voyeur era appeso in soggiorno, con una superficie quadrata che seguiva la dolce curvatura della parete. Lo schermo era suddiviso in quattro sezioni, su ognuna delle quali erano trasmesse le immagini registrate da uno degli Esibizionisti presenti all’evento. Bandra non era in condizioni di apparire in pubblico, per cui lei e Mary se n’erano rimaste a casa a seguire l’arrivo della delegazione gliksin.

— Guarda là! — disse Bandra. — C’è Ponter.

Mary sperava tanto di poter avere un’immagine almeno di sfuggita di lui. Di più no, perché gli Esibizionisti non erano interessati al barast che accompagnava i gliksin.

— Chi sono quelli? — domandò Bandra.

— Quello — disse Mary indicandolo — è il segretario generale delle Nazioni Unite.

— Quale?

— Quello a sinistra.

— Con la pelle scura?

— Be’, sì.

— Ed è il vostro leader mondiale?

— Non proprio. Però è la massima autorità all’ONU.

— Ah. E quello alto?

— Jock Krieger, il mio boss.

— Ha un’aria… rapace.

Mary considerò la cosa. In effetti, era così. — “Cesare armato, con li occhi grifagni” — disse. Bandra ne fu deliziata. — È un proverbio?

— No, un verso di un poema.

— Be’, sembra scritto per lui. Quel tizio non mi piace: non c’è nessuna gioia nel suo sguardo… Ops, chiedo scusa, non intendevo insultare un tuo amico.

— Non è mio amico — rispose Mary. — Lavoriamo solo insieme.

— Ehi! — esclamò Bandra. — Non ha un Companion!

Mary si avvicinò allo schermo. — È vero. — Esaminò gli altri riquadri. — E neppure gli altri gliksin.

— Com’è possibile?

Mary ci meditò un attimo. — Immunità diplomatica, suppongo. Il che significa…

— Che…?

A Mary batteva forte il cuore. — Che un diplomatico può viaggiare senza che gli venga esaminato il bagaglio. Se riuscissi a passare a Jock il codificatore di codoni, Jock potrebbe trasportarlo nel mio mondo senza difficoltà.

— Perfetto — disse Bandra. — Ed ecco di nuovo Ponter!

Il volo da Saldak all’isola di Donakal richiese due decimi di giorno, quindi molto di più della distanza corrispondente nel mondo gliksin. Ponter impiegò gran parte del tempo a riflettere su Mèr e sulla figlia che avrebbe avuto da lei; ma a un certo punto venne interrotto da Jock che gli chiese: — Non avete mai inventato aeroplani?

— No, ed è una domanda che mi ero posto anch’io. Certo, il mio popolo è sempre stato affascinato dagli uccelli e dalla nozione del volo; tuttavia, vedendo le vostre… piste di atterraggio?

Jock annuì.

— Vedendo le vostre piste di atterraggio, ho concluso che solo una specie abituata a disboscare a scopi agricoli avrebbe trovato naturale asfaltare lunghe strisce di terreno.

— Non avevo mai considerato questo aspetto del problema — disse Jock.

— Be’ — proseguì Ponter — si nota agevolmente che non abbiamo autostrade. Siamo gente piuttosto sedentaria.

Jock diede un’occhiata all’interno dell’elicottero. — Ma questo veicolo è molto confortevole. C’è un sacco di spazio tra un sedile e l’altro. Da noi, tendiamo a pigiare i passeggeri uno contro l’altro.

— Lo scopo non è il comfort, quanto piuttosto di tenere a debita distanza i feromoni altrui. E questo è uno dei motivi per cui i nostri veicoli volanti non raggiungono le altitudini dei vostri: non abbiamo cabine pressurizzate, ma usiamo aria a circuito esterno per evitare l’accumulo di feromoni, e… — Ponter tacque per qualche secondo. — Oh, grazie, Hak. — Si rivolse a Jock: — Gli avevo chiesto di segnalare quando fossimo al di sopra della località corrispondente a Rochester. Se dai un’occhiata dal finestrino…

Jock lo fece. E commentò: — C’è solo foresta!

Ponter annuì. — Esiste qualche capanno di caccia, ma non edifici.

— Senza le strade, diventa difficile riconoscere il territorio.

— Presto sorvoleremo uno dei Finger Lakes… che noi denominiamo allo stesso modo: “laghi-dita”. Quelli non dovrebbero essere difficili da individuare.

Jock osservò di nuovo fuori dal finestrino, come stregato.

Sul volo della rappresentanza ONU non erano stati ammessi gli Esibizionisti, ma Bandra aveva detto che ce ne sarebbero stati altri a Donakat. Nel frattempo, spense vocalmente il Voyeur e per un po’ restò in silenzio. Poi si rivolse a Mary: — Ieri sera non abbiamo approfondito… il mio problema con Harb.

Mary annuì. — È stato per questo che… che la tua compagna ti ha lasciata?

Bandra si mise a contemplare il soffitto, con le decine di specie ornitologiche meticolosamente dipinte da lei stessa. — Sì. Non sopportava più di vedermi in questo stato. Ma… in un certo senso, meglio così.

— Perché?

— Se non c’è nessuno in giro, è più facile nascondere la vergogna.

Mary le afferrò le spalle e la guardò in faccia. — Ascoltami, Bandra: non c’è nulla di cui tu ti debba vergognare. Non hai fatto niente di male.

Lei fece un lieve cenno affermativo. — Lo so, ma…

— Ma un cavolo. Troveremo il modo di uscirne.

— Non c’è via di uscita — disse Bandra, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano.

— Ci deve essere — incalzò Mary. — E la troveremo. Insieme.

— Non sei tenuta a farlo…

— Sì, lo sono.

— Perché?

Mary si strinse nelle spalle. — Diciamo che ho un debito con la parte femminile del mondo.

— Signore e signori — declamò Bedros — eccoci giunti all’isola di Donakat, quella che voi chiamate Manhattan.

Jock non riusciva a credere ai propri occhi. Quello che sulla sua Terra era il South Bronx, qui era una foresta lussureggiante, con tronchi secolari, alberi di noce, cedro, castagno, acero, quercia.

— Quella è Rikers Island! — indicò il segretario generale. Mancavano, ovviamente, non solo la colonia penale ma anche le estensioni artificiali che ne avevano triplicato la superficie. Niente ponte verso il Queens, niente aeroporto La Guardia. In compenso c’era un porto. Jock individuò con grande sorpresa quella che pareva una portaerei. Non immaginava che i neanderthal possedessero un armamentario del genere. Per quanto non volesse che il suo vicino di posto riprendesse le spiegazioni, non poté fare a meno di chiedere a Ponter: — Quella che cos’è?

— Una nave — rispose lui, in tono che denotava una ovvietà.

— Grazie, l’avevo capito — disse Jock. — Ma perché ha un ponte così largo e piatto?

— Per ospitare i collettori solari che le forniscono l’energia.

Il pilota aveva ricevuto indicazioni di fare un ampio giro sulla zona. Adesso erano diretti a ovest sull’isola di Wards, che lungo i margini mostrava casupole simili a chalet.

Proseguendo, pareva che Central Park si fosse allargato sull’intera Manhattan.

— Donakat — spiegò Ponter — costituisce il Centro della nostra città di Pepraldak. In altri termini, è territorio riservato alle donne. A Saldak il Centro e l’Anello cittadino sono separati da chilometri di campagna; qui li divide semplicemente il fiume, quello che voi chiamate Hudson.

— Per cui, gli uomini vivono in New Jersey? Ponter annuì.

— E come passano sulla riva opposta? Non vedo ponti.

— D’estate, con i cubi volanti. D’inverno il fiume gela, e lo si attraversa a piedi.

— Mai visto l’Hudson gelare.

— Qui gela. Le vostre attività modificano il clima più di quanto pensiate.

Adesso l’elicottero aveva virato a sud, e costeggiava il fiume. Sotto di loro, la foresta vergine di Hoboken. Jock esaminò il territorio alla sua sinistra. Manhattan c’era, con le sue colline (del resto il suo nome significa “isola di colline”) e i suoi laghetti, ma neppure l’ombra di un grattacielo. In alcune radure spuntavano edifici in mattoni, ma non più alti di quattro piani. Sul lato destro, in corrispondenza del Liberty State Park c’era foresta pura. Ecco anche Ellis Island e Liberty Island, ovviamente senza statua. Meglio così, pensò Jock: non avrebbe gradito una neanderthal di 46 metri.

I passeggeri si lasciarono andare a grida stupefatte: nella baia superiore di New York nuotavano due balene. Erano lunghe una dozzina di metri, con schiene grigio scuro.

Il veicolo svoltò a est, sorvolando le acque tra Governors Island e Battery Park, quindi imboccando l’East River. Lungo la riva sorgevano centinaia di case costruite con la tecnica dell’arboricoltura, e…

— Quello cos’è? — chiese Jock.

— Un osservatorio — disse Ponter. — Voi inserite i vostri grandi telescopi in strutture semisferiche, ma noi preferiamo quelle cubiche.

Jock era sbalordito. Osservare le stelle dal Greenwich Village!

— C’è anche molta fauna selvatica?

— Oh sì. Castori, orsi, lupi, volpi, procioni, cervi, lontre… per non parlare di quaglie, pernici, cigni, oche, tacchini, e milioni di colombe migratrici. — Pausa. — Peccato che sia autunno, altrimenti, in primavera, avresti visto le rose fiorite e molte altre specie floreali.

Proseguirono a bassa quota lungo l’East River, acque blu che lambivano coste erbose. Il pilota seguì il corso del fiume lungo l’ansa a nord; infine, dopo un paio di chilometri, atterrò su un ampio prato circondato da meli e peri. Scese per primo il consigliere Bedros, seguito da Ponter e Adikor, quindi dal segretario generale dell’ONU. Infine Jock e il resto del gruppo. L’aria era limpida e frizzante; il colore del cielo sembrava quello estivo in Arizona.

Li accolsero alcune personalità locali (tutte donne) e un paio di Esibizionisti. Altri discorsi di rito, tra cui quello della presidentessa del Consiglio dei Grigi. Jock valutò che avesse all’incirca la sua età, quindi doveva appartenere alla generazione… vediamo… 142. La presidentessa si era rasata la testa a zero tranne una lunga coda di cavallo argentea. Jock la giudicò una megera, perfino per gli standard neanderthaliani.

La donna terminò con un invito a un pranzo ufficiale, a base di ostriche ed enormi aragoste, quindi passò la parola a Ponter.

— Grazie — disse Ponter, mettendosi di fronte al gruppo. Non era facile seguirlo: i neanderthal non avevano potenti impianti audio, e Jock e compagnia erano sprovvisti di Companion. — Abbiamo dovuto faticare non poco per identificare, sulla nostra versione della Terra, il punto che corrisponde alla sede delle Nazioni Unite. Come sapete, noi non abbiamo nessun sistema satellitare, e i nostri esploratori si stanno ancora accanendo in discussioni: potremmo essere fuori bersaglio di qualche decina di metri, anche se speriamo di risolvere al più presto il problema. In ogni caso… — indicò — vedete quegli alberi? Riteniamo che lì sia il punto corrispondente all’ingresso del Palazzo di vetro.

Jock si sentiva come Hansel e Gretel. Quella era New York?! Erano passati pochi secoli da quando Peter Minuit, nel 1626, aveva acquistato Manhattan dagli indiani per il prezzo di 24 dollari; e all’epoca l’isola era incontaminata come quella che vedeva adesso.

Gli altri membri della delegazione parlottavano tra loro, e il succo dei discorsi era lo stesso.

Ponter s’incamminò in direzione della sponda dell’East River. Si trovava più vicina di quanto avrebbe dovuto essere; del resto, gran parte dell’attuale Manhattan sorgeva su terra di riporto. Il neanderthal si inginocchiò a riva e immerse le mani a coppa, quindi si spruzzò ripetutamente la faccia.

A molti delegati sfuggì il senso del gesto, ma non a Jock. Ponter stava dimostrando che quella era acqua assolutamente incontaminata. Jock sospirò. Se solo la sua umanità avesse potuto fare tabula rasa dei disastri compiuti e ricominciare…

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