7

La base di Poseidone era un labirinto di catacombe che aveva più di quarant’anni. Si estendeva disordinatamente nella roccia come un cunicolo di termiti nel legno marcio, e per almeno l’ottanta per cento era abbandonata.

Lilo aveva scoperto le sezioni vuote durante il suo primo giorno completo nella stazione, allorché le era stato detto di guardarsi intorno e familiarizzarsi col posto. Alcuni corridoi terminavano con specchi. Quando ci passava attraverso, la tuta la avvolgeva per proteggerla dal vuoto che era dall’altra parte.

Al tempo in cui Tweed era presidente e in grado di incanalare il denaro dei contribuenti nel progetto, Poseidone era una base molto più grande. Adesso che non ricopriva più quella carica e disponeva solo dei propri fondi e di quelli del partito, l’attività del centro era stata ridotta. Tuttavia restava una grande impresa per un uomo solo: coinvolgeva ottanta prigionieri adulti, i loro figli e un numero indeterminato di guardie, tutte cloni dell’onnipresente Vaffa.

Non c’era modo di sapere quante fossero le Vaffa, semplicemente perché non erano mai tutte nello stesso posto. Avevano la loro sezione nella stazione, protetta da un campo nullo sintonizzato per far passare solo loro e per bloccare tutti gli altri. Ce n’erano due modelli standard — maschio e femmina — ed erano completamente prive di capelli. Erano almeno sei, ma avrebbero anche potuto essere il doppio. Era impossibile capire quali fossero i loro turni e quante fossero presenti al di là del muro impenetrabile.

Le misure di sicurezza erano discrete. Nella base tutti potevano spostarsi liberamente, escluso nel reparto delle guardie; a condizione che i compiti assegnati venissero svolti, l’interferenza era minima. Tutte le Vaffa avevano una pistola a laser. Era stato scoperto a caro prezzo che le armi erano efficaci per colpire i prigionieri, ma inutili per sparare alle Vaffa. Potevano passare attraverso un campo nullo purché dietro non ci fosse una Vaffa. Alcuni avevano cercato di modificare i generatori delle proprie tute in modo da bloccare le frequenze dei laser. Funzionava, ma solo all’esterno, quando il campo era in azione. E l’aria nei polmoni bastava solo per trenta ore. Quando i ribelli dovevano rientrare, venivano uccisi.

Lilo imparò tutto questo rapidamente. Sembravano tutti disposti a discutere i precedenti tentativi di fuga, ad ascoltare eventuali nuove idee. Ma tutto ciò che lei proponeva aveva una risposta. L’opinione generale era che Poseidone fosse a prova di fuga. Lilo si riservava di giudicare, ma la situazione non le sembrava promettente.

«Qualsiasi cosa è sempre meglio che essere nella cella della morte,» diceva.

«Non lo so. Penso di sì.»

Il suo compagno attuale era un uomo chiamato Cathay. Lo aveva incontrato qualche minuto prima alla mensa, a colazione. Erano gli unici nella sala; era presto, e gli orari di Lilo non erano ancora sincronizzati con quelli della stazione.

La mensa era una delle zone centrifugate e ruotava lentamente in una cavità della roccia. C’era una ruota più grande che serviva da palestra per corsa e sollevamento pesi, e una terza che conteneva cuccette per quelli a cui non piaceva dormire in assenza di peso.

Cathay era un uomo alto e magro. Aveva una gran massa di capelli arruffati, gambe lunghe e una faccia infantile con un paio di folte basette che sembravano fuori posto. Aveva un aspetto sgradevole, ma non in modo eccessivo, e questo a Lilo piaceva; provava verso di lui — le accadeva di rado — una chiara attrazione fisica, senza averlo neppure toccato né annusato. La bellezza fisica aveva poco valore ed era universale, grazie alla chirurgia estetica, ma tendeva a fissarsi su una dozzina di modelli standard. Lilo era stanca di tutti quanti. Tutti gli stimoli visivi che riceveva da un uomo erano proporzionali a quanto egli si discostava dalla moda corrente.

«Così tu non sei stato rapito dall’Istituto?» gli domandò, ripulendo quanto restava dello sciroppo d’acero con un pezzo di pancake.

«Sono stato rapito, ma non dall’Istituto. Sono stato rapito come gene.»

«Vuoi dire che non hai fatto niente… be’… per meritare di essere qui? Vuoi ancora caffè?»

«Sì, grazie. Quello che ho fatto per finire qui è stato fidarmi di Tweed. Avrei dovuto essere più prudente, ma chi poteva immaginare una cosa simile?»

Lilo mise una tazza di plastica bianca davanti a Cathay, poi si appoggiò allo schienale della sedia, allungò le gambe, e si posò la tazza calda sulla pancia.

«D’accordo,» continuò Cathay. «Mi trovavo in difficoltà, lo ammetto. Ma non ero in prigione. Tweed mi fece una buona offerta. Disse che…» Cathay si fermò e abbassò lo sguardo. Le lanciò un’altra occhiata, sospirò, e riprese, senza guardarla negli occhi: «Sono un insegnante. Ero un insegnante. Non ha senso tentare di nascondertelo. Venni espulso dalla Associazione Educativa. Ingiustamente, secondo me, ma non c’è modo per poterlo dimostrare.» La guardò di nuovo. Lilo scrollò le spalle, decise che non bastava, e gli sorrise.

«Per me è lo stesso,» disse. «Io sono una Nemica dell’Umanità, ricordi?»

«Anche queste sono tutte idiozie,» ribatté pronto. «Non sei la sola qui dentro. Un paio sono veri pazzi, ma la maggior parte sono come tutti gli altri. Sono andati un po’ troppo avanti, ma di solito è avvenuto per qualche ragione di principio.» Sollevò le sopracciglia, ma Lilo non era ancora disposta a parlarne. Non ancora. Non con qualcuno che aveva appena incontrato.

«Continua.»

«Ecco, Tweed mi disse che avrebbe potuto farmi lavorare di nuovo, insegnare ai bambini. Ero davvero disperato. Erano passati cinque anni. Ho bisogno dei bambini, veramente. Comunque l’accordo era che avrei svolto due compiti per lui. Uno, insegnare ai bambini in un luogo remoto e non precisato. L’altro — pensavo che prima avrei dovuto portare a termine il primo — era lavorare per lui su Plutone. Non mi disse di che tipo di lavoro si trattava, né mi interessava saperlo. Dopo qualche anno mi avrebbe lasciato andare e avrebbe pensato a farmi riammettere sotto un altro nome.»

«Allora cosa è successo?» Lilo mise un altro cucchiaino di zucchero nel caffè, sperando di coprirne il sapore. «Questa roba è schifosa.»

«Sì, vero? Vedi, avrei dovuto insospettirmi quando mi disse che avrebbe potuto farmi riammettere. Ciò significa che può accedere, illegalmente, ad alcuni potenti computer governativi. Capisci quello che voglio dire?»

«Sì. Temo di sì. Cosa ha preso? La tua registrazione?»

Cathay sorrise. «Uh… huh. Venne fuori che aveva sempre pensato che dovessi svolgere i due compiti contemporaneamente. Mi mandò su Plutone, immagino. Prese la mia registrazione e la inserì in un clone. Io.»

«Portato a bordo a forza.»

«Esattamente. Qui ce ne sono un’altra decina come me. Persone che avevano fatto un patto con Tweed e che si sono risvegliate in un corpo clonato.»

Lilo bevve un sorso di caffè. «È davvero schifoso. Non ha nessuna… che cosa? Vergogna? Principi?»

«Non so. Quando pensa che una cosa sia importante per lui, la fa. In un modo o in un altro.»

«Quindi il resto delle persone che sono qui sono come me, gente che ha subito una condanna…»

«No. Ce n’è una quindicina. Sembra che gli piacciano. Gli altri sono stati rapiti, semplicemente. La massima parte sono scienziati. Tweed aveva deciso che gli facevano comodo. Apparentemente per lui è più facile rubare le loro registrazioni e un campione di tessuto e sviluppare il suo scienziato che non rapire l’originale.»

«Capisco perché. In questo modo non c’è nessuna ripercussione. Non si sa neppure che è stato commesso un crimine.»

Cathay si alzò per riempire le tazze, quindi rimasero per un po’ seduti in silenzio mentre sei altri entravano per far colazione. Nessuno si sedette al loro tavolo, ma Cathay ne salutò molti.

«Una cosa che nessuno mi ha ancora detto,» riprese Lilo, «è perché mai Tweed abbia bisogno di un ingegnere genetico. Che cosa dovrò fare qui?»

Cathay fece una smorfia. «Tanto per cominciare, potresti produrre una pianta di caffè migliore. Sei capace?»

«Forse.» Lilo rise. «Cucino anche piuttosto bene, e a quanto pare qui può essere utile. È per questo che Tweed mi ha mandato quassù?»

«In realtà non me l’ha detto. Ma se sai cucinare, non è poi spietato come credevo.»

«Tutti gli ingegneri genetici imparano a cucinare,» disse, costringendosi a finire il caffè. «Ho cominciato sviluppando una pianta di uova con il guscio duro e con due tuorli per una società di Mercurio. Ho imparato mille modi di cucinare le uova per risparmiare senza che mi venisse a noia mangiarle. Ma davvero non hai idea di perché mi abbia mandata quassù?»

«Forse un’idea ce l’ho. La maggior parte degli altri scienziati sono specialisti planetari, fisici, chimici inorganici, ingegneri meccanici e così via. Ogni due mesi abbiamo inviato una sonda nell’atmosfera di Giove. Abbiamo raccolto alcuni organismi vivi. Probabilmente vogliono che tu lavori su quelli.»

Lilo era affascinata, ma restava perplessa. Si sapeva da tempo che su Giove c’era vita, ma nessuno l’aveva mai studiata.

«Perché proprio io? Il mio campo non è tanto l’analisi quanto la ristrutturazione.»

Cathay scrollò le spalle. «Non lo devi domandare a me. Ma non credere che qui si faccia ricerca pura. Qualsiasi cosa ti faranno fare, avrà come scopo la distruzione degli Invasori.»

«Continuo a non capire come possano essere utili le mie nozioni.»

Cathay si alzò. «Cosa devo dirti? Talvolta Tweed è più interessato alla persona che non a quello che sa fare. Per questo rapisce i detenuti, mi dicono. Vuole la gente diversa, non le menti comuni. In un certo senso è come scegliere un ingranaggio per un macchinario perché ha un bel colore e non perché ha il numero giusto di denti.»

«Sembrerebbe un modo ben strano di organizzare un esercito. Dove vai?»

«A giocare.» Sogghignò. «A fare i miei giri. Ho settantatré alunni — non meravigliarti, qui le cose sono diverse — e uno di loro è il mio secondo figlio. Ah, ah! Ora ti ho scandalizzato.»

«No, sono… sono sorpresa. Mi ci vorrà un po’ di tempo per abituarmici. Ti dispiace se vengo con te?» Lilo aveva detto la verità; non era scandalizzata, ma era una grossa sorpresa sentire che la regola più fondamentale della civiltà umana — Una Persona, Un Figlio — era stata violata: che un’intera comunità procreava come desiderava.

Presero l’ascensore per il mozzo della stanza cilindrica, poi entrarono nei corridoi e avanzarono spingendosi piano piano con le mani e con i piedi contro le pareti. Lilo stava diventando brava.

Non aveva visto tutti quei bambini. Il motivo, scoprì presto, era che passavano la maggior parte del tempo nelle zone abbandonate. Cathay prese una lampada e lei lo seguì attraverso una delle barriere di campo nullo. Presto cominciarono a sentire delle voci alle loro radio. Quindi cominciarono a incontrarli, a gruppetti di due o tre, immersi nei loro affari. Sembrava che avessero simpatia per Cathay, abbastanza da tollerare che li presentasse a una sconosciuta. Ma lei aveva sempre più la sensazione che in quelle caverne avessero la loro società. Giocavano a giochi elaborati, ricavati da trasmissioni televisive e fumetti educativi, che avevano poco a che fare con la loro realtà.

Erano bambini strani. Eppure, pensò, dovevano essere diversi. Molti stavano crescendo insieme a fratelli e sorelle. Lilo riusciva appena a immaginare quanto ciò potesse rendere diverso un bambino. E finalmente rimase esterrefatta quando ne vide uno colpirne uno più piccolo. Cathay non fece nulla, sicché lei fu sul punto di intervenire.

«Lasciali stare,» le disse Cathav. «Non ci puoi fare niente.»

«Ma…»

«Lo so. All’inizio è stato molto difficile anche per me. Ma guarda. È finita, no?»

Il litigio non era durato a lungo. Per fortuna. Ma aveva la netta sensazione che il più piccolo avesse subito un torto, e lo disse.

«Certo che lo ha subito. E ha dovuto umiliarsi, ritirarsi dalla lotta, perché è piccolo. Devi capire che sono il solo insegnante di tutto questo gruppo. Posso arrivare solo fino a un certo punto, e ho scoperto che è meglio che mi concentri sull’insegnargli a risolvere i loro conflitti. È duro, ma finora nessuno è stato ucciso.»

Lilo cominciava a capire quanto fossero diversi quei bambini.

Cathay aveva in un certo senso rappresentato una vittoria per la gente di Poseidone. A prima vista non si capiva molto, ma Poseidone aveva un ordinamento sociale estremamente brutale. I suoi abitanti erano lì perché erano stati rapiti o solo come alternativa alla morte. Una volta arrivati, avevano ben prestò capito che dovevano lavorare, e che c’erano pochissime altre cose che contassero. Le uniche regole da rispettare erano fare ciò che veniva ordinato e non tentare la fuga. L’unica punizióne per i trasgressori era la morte.

A parte questo, a Tweed non importava cosa facessero. Le Vaffa effettuavano una stretta sorveglianza, se mai qualcuno avesse cercato di attaccare l’astronave o di costruire una radio. La prima cosa era tanto difficile e avrebbe richiesto tanto tempo e tanta astuzia che era stata tentata solo una volta. La seconda era un suicidio, anche se Tweed non la vietava espressamente. Certo, se gli Otto Mondi avessero saputo di Poseidone Tweed sarebbe stato rovinato. Ma avrebbe anche voluto dire la morte di tutti quelli che ci vivevano. Anche quelli che erano stati rapiti erano cloni illegali. La confederazione avrebbe dovuto eliminarli, a malincuore, perché, legalmente, con un determinato insieme di geni poteva esistere solo una persona. Le Vaffa non avevano mai trovato una trasmittente.

La ricerca procedeva lentamente. Tweed non aveva intenzione di reclamizzare la propria presenza agli Invasori e ai Gioviani. Giove era costantemente osservato con tutti gli strumenti noti alla scienza; di tanto in tanto veniva inviata una sonda nella sua atmosfera. Gli scienziati di Poseidone conoscevano il gigantesco pianeta meglio di chiunque altro in tutto il sistema solare. Ma non era ancora abbastanza.

Il secondo campo di attività su Poseidone era la ricerca di nuove armi che risultassero efficaci nella futura guerra contro gli Invasori.

C’era molto tempo libero. I reclusi potevano trascorrerlo come preferivano. Alla fine, quando fu evidente che sarebbero rimasti lì per tutta la vita, cominciarono ad avere bambini. E a un certo punto qualcuno ebbe l’idea rivoluzionaria che non era obbligatorio fermarsi al primo figlio.

Tweed ne era stato felice. Aveva addirittura inviato un sociologo a studiare l’unica società a riproduzione illimitata esistente al di fuori degli Anelli. Sperava di potersi servire di quello che avrebbe appreso come base per la società futura, sulla Terra, dopo la sconfitta degli Invasori.

Ma i bambini erano stati la causa della sola resistenza organizzata di qualche efficacia. I genitori si erano riuniti e avevano detto a Tweed che volevano insegnanti, altrimenti non avrebbero più lavorato. Fu organizzato il primo e unico sciopero. Avevano richiesto venti insegnanti. Ottennero Cathay, e la promessa che se avessero scioperato di nuovo sarebbero stati uccisi tutti. Tweed poteva farlo e sostituirli con un gruppo di cloni esattamente uguali a loro, ma era riluttante. Avrebbe significato la perdita delle nozioni e delle capacità acquisite dai reclusi dalla loro ultima registrazione.

«Hanno cercato di persuadermi a farmi clonare, come le Vaffa,» disse Cathay. «Sarebbe senz’altro la soluzione più pratica, ma non posso farlo. Al solo pensarci sono stato male. Non voglio essere una dozzina di persone.»

«Non c’è bisogno che tu me lo spieghi,» disse Lilo con un tremito. «Fa venire i brividi anche a me.»

Un gruppo di cinque bambini argentei arrivò a rotta di collo lungo il corridoio. Si fermarono quanto bastò perché potessero essere presentati a Lilo.

«… Olympica, Cypris, e quello piccolo laggiù è Iseult. Quello grazioso, là, è mio figlio, Cass.»

Cass era un bambino alto. Lilo immaginò che avesse circa dodici anni, poi dovette guardare attentamente per essere sicura che fosse un maschio, e intanto si domandava se sarebbe mai riuscita ad abituarsi a esseri i cui corpi erano specchi ricurvi. Cominciava a essere impaziente di tornare dentro, dove c’era aria. Non aveva visto le facce di nessun bambino, solo dei riflessi deformati.

Cathay notò il suo disagio e la riportò indietro, lungo il labirinto dei corridoi disabitati. Lilo tirò un profondo respiro, per la prima volta in più di un’ora.

Un Vaffa maschio li stava aspettando. Toccava con noncuranza la pistola che aveva nella fondina e sembrava conoscere la persona che aspettava.

«Comincerai a lavorare con questo turno,» disse. «Seguimi, e ti mostrerò cosa devi fare.»

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