I treni gravitazionali partivano dal livello immediatamente sottostante al Centro. Lilo comprò due biglietti, infilando nervosamente la mano nella fessura del decodificatore genetico prima di riceverli. Aveva già funzionato su Marte.
La lunga mano nixoniana di Tweed arrivava a cinque miliardi di chilometri di distanza. Sentì l’ago della sonda graffiarle il palmo, la macchina ronzò e nelle banche del Computer Centrale di Plutone venne immessa l’informazione: GIOVIANA-342 (CARTA IDENTITÀ L-502-KC-98) SALITA SU LINEA FLORIDA-BARROW ORE 0349. 4/8/71.
Il lasciapassare era automatico e si accese una luce verde. Il nome Gioviana-342 non compariva su nessun elenco di persone ricercate e quello bastava. Se il computer di Plutone avesse sentito la necessità di effettuare un ulteriore controllo presso gli archivi lunari, dodici ore dopo sarebbe venuto a sapere che Gioviana-342 era un membro della Chiesa dell’Ingegneria Cosmica, un’esimia cittadina della Luna e una viaggiatrice entusiasta. Quello che non avrebbe saputo era che Gioviana-342 era emigrata dieci anni prima e che adesso era presumibilmente accoppiata sugli Anelli, isolata dal resto del mondo e impossibilitata a protestare per il furto della sua identità.
Lilo non sapeva come avesse fatto Tweed. Sapeva che le persone che lavoravano ai computer centrali erano potenzialmente al di sopra della legge e che quindi le precauzioni contro eventuali manomissioni erano severe. Però era già successo in passato e sarebbe successo ancora.
All’interno la carrozza era rivestita di elegante velluto marrone, le luci erano tenui e abbondavano le cromature. Si sprofondò in uno dei sedili e allacciò le cinture mentre Vaffa le si sedeva accanto. Porte a tenuta stagna si aprivano e si richiudevano al passaggio del convoglio che prendeva velocità. Lilo contò fino a dodici. Poi, fuori dal finestrino, apparvero le stelle. Tirò su i piedi e se li strofinò. Aveva freddo.
Era solo un fatto psicologico, ma le sembrava che i gas congelati all’esterno le si stringessero addosso. Odiava il freddo. Su quel pianeta non c’era niente di caldo, neppure di giorno.
Un uomo grosso percorse il corridoio e si piazzò sul bracciolo del sedile di Vaffa. Le fece un largo sorriso, quindi cercò di venderle una tessera per un circolo sessuale. Vaffa era seccata, ma appena cercò di allontanarlo, la mano gli passò attraverso il corpo. Era solo il primo. In breve furono circondate.
Vaffa fece un salto quando uno di loro la toccò.
«Mi scusi,» disse l’uomo. «Vedo che venite dalla Luna.»
«Sì,» rispose Lilo. «Si vede tanto?»
«Il naso,» disse. «È appuntito.» Il suo era schiacciato come quello di un cattivo pugile. Aveva ciglia lunghe mezzo metro, che lo costringevano a sbattere le palpebre al rallentatore. «E ci sono altre cose. Non vi sarete offese, spero. Pensavo solo che potrebbe interessarvi quello che vendo.»
«Sa che potrebbe essere sostituito da un’illusione,» disse Vaffa.
«Cosa vende che non possa venir propagandato da un’olografia?» chiese Lilo.
«Un generatore antiolografie,» rispose l’uomo.
Era un piccolo braccialetto con sopra inciso un numero telefonico da chiamare in caso di guasti. Venivano noleggiati, non venduti, come i terminali dei computer. C’era una vasta gamma di prezzi e di modelli. Alcuni si limitavano a tenere le olografie a un braccio di distanza. Alla maggior parte dei Plutoniani bastava. Se non si potevano vedere gli annunci pubblicitari, come si faceva a sapere cosa era alla moda?
L’uomo non si mostrò sorpreso quando Lilo e Vaffa presero il modello distruttore più potente.
Il treno arrivò a Barrow e i finestrini si appannarono. Quando scesero videro che l’esterno della vettura era rivestito di ghiaccio che si scioglieva gocciolando dentro le fogne della banchina ricoperta da un tappeto.
«Cosa sai di questo tipo?» chiese Lilo.
Vaffa stava esaminando le pareti. Sembrava non rilassarsi mai.
«Un ex insegnante. È un tipo strano. Non si è mai completamente ripreso dall’essere stato espulso dall’Associazione Educativa. Il Capo lo fa lavorare su Plutone da solo. Il suo compito non è molto importante. Non lo è stato finora, almeno.»
«Ha avuto a che fare con l’intercettazione della trasmissione?»
«Sì. L’ultimo messaggio del Capo mi ha rivelato qualcosa su questo punto. Può accadere ai dati della Linea Calda. Li manda al Capo, di modo che li riceviamo quasi contemporaneamente al consiglio di amministrazione della StarLine.»
«Perché? Voglio dire, a cosa vi sono serviti finora?»
Vaffa alzò le spalle. «Gli piace sapere le cose. Stiamo combattendo una guerra.»
Lilo doveva continuare a ricordarselo. Il Partito della Terra Libera contro gli Invasori. Ancora non era stato sparato neppure un colpo. Lilo aveva poche speranze su come sarebbe andata a finire se Tweed fosse mai riuscito a far scoppiare il conflitto.
Però era la cosà più importante della vita di Vaffa. Stava sempre in guardia nei confronti di eventuali nemici. Adesso era nervosa e Lilo credeva di sapere perché. Vaffa era andata spesso su Titano ma non si era mai allontanata molto dallo spazioporto. La Luna era il solo ambiente che conoscesse bene. Soffriva di uno shock culturale.
Lilo conosceva bene quel fenomeno. Non era vero che tutti i corridoi fossero uguali. Ci sono particolari che uno nota inconsciamente: la lampada al soffitto, la diversa disposizione dei comandi delle macchinette per l’aria, le forme insolite delle fontane, delle cabine, delle porte, delle installazioni mediche e delle serrature. Anche l’aria aveva un odore diverso. L’aria di Plutone veniva purificata solo sette volte prima di essere riutilizzata. Era impregnata di umanità.
Arrivarono a destinazione e suonarono il campanello. La porta si aprì con uno scatto e loro entrarono nel caos.
La stanza era grande, ma sembrava che sette o otto bambini la riempissero. Non smettevano mai di muoversi e di gridare. Stavano facendo una corsa e i mobili erano gli ostacoli. Lilo e Vaffa si addossarono a una parete e aspettarono. Dall’altra parte della stanza c’era un uomo che parlava con una donna incinta. Sollevò lo sguardo.
«La festa è finita!» gridò. «Tornate più tardi. Potete tenere la porta aperta?» Vaffa eseguì e l’uomo radunò i bambini. Loro ridevano e cercavano di colpirlo, ma lui aveva allungato un braccio e li faceva cadere. Sembrava che avesse un potere quasi magico su di loro. Di lì a poco erano tutti nel corridoio.
«Dovrà tornare più tardi,» stava dicendo alla donna. La prese per mano e la accompagnò alla porta. Lilo le osservò la pancia nuda. Non dovevano mancare molti giorni.
Quando se ne fu andata, l’uomo le guardò e scrollò le spalle.
«Vuole un insegnante clandestino,» disse loro. «Qualcosa è andato storto. Non ha fatto un buon contratto con l’insegnante che aveva scelto, immagino. Vengono da me in continuazione.»
«Eppure, avendo solo un’occasione, la gente dovrebbe stare più attenta,» osservò Lilo.
«Vero? Avrebbe almeno potuto farsi spiegare il contratto da qualcuno, anche se è analfabeta. Io…» La guardò sorridendo. Le tese la mano.
«Mi chiamo Cathay.»
«Lilo.» Gli prese la mano. Lui guardò Vaffa.
«Ti conosco,» esclamò senza una particolare espressione.
«Ma non ci siamo mai incontrati,» replicò Vaffa.
«Allora era tuo fratello. Il tuo clone. Ti conosco.» Sembrava sul punto di aggiungere qualcos’altro, ma si interruppe. «Bene, mettetevi a sedere. Dove vi è più comodo. Posso offrirvi qualcosa?» Stava guardando Lilo.
«Qualcosa di leggermente intossicante,» disse lei. «Non sono esigente.»
«Ho proprio quello che ci vuole.» Scomparve in un’altra stanza. Vaffa aspettò un attimo, poi si alzò e lo seguì. Tornarono uno alla volta, Vaffa con un bicchiere, Cathay con due. Avevano tutti e due l’aria tesa. Il bicchiere che le allungò era pieno di un liquido verde.
La bevanda la fece star meglio. Si rilassò sulla poltrona ed esaminò Cathay. Aveva lunghi capelli ricci, gambe lunghe e una faccia da ragazzo. Aveva un aspetto gradevole, ma non in modo esagerato, proprio come piaceva a Lilo.
«A cosa devo il grande piacere di questa visita?» chiese Cathay. «Aspettate, lasciatemi indovinare. Tweed è incinto e cerca un insegnante clandestino.»
Vaffa, che si era seduta davanti alla porta, si raddrizzò ancora di più. Anche Lilo si fece più tesa e si rese conto di quanto fosse sintonizzata con le sensazioni dell’altra donna.
«Ti avverto per una volta sola,» disse Vaffa. «Non sono disposta ad ascoltare battute sul Capo.» Guardò minacciosamente prima Cathay, poi Lilo, poi di nuovo Cathay. Lilo guardò impotente Cathay: voleva dirgli quale forma avrebbe preso il secondo avvertimento. Con sua sorpresa, lui sembrò capire. Le fece un cenno quasi impercettibile e si appoggiò allo schienale della sedia.
«D’accordo. Andiamo avanti. Si tratta della Linea Calda, vero? Di cos’altro potrebbe trattarsi? Il Capo ha paura, e non posso biasimarlo.»
«Conosci il contenuto del messaggio?» chiese Vaffa, quasi alzandosi dalla sedia. «Credo che me l’avrebbero detto se tu fossi stato autorizzato a leggerlo.»
«Be’, non so se fossi autorizzato o no,» fece lui. «Ma era già tradotto quando l’ho ricevuto. Te l’ha detto il Capo che la mia fonte è il reparto di traduzione? Non posso avere i dati originali.»
Vaffa si rilassò un po’. «Sì, me l’ha detto. Ma non avresti dovuto leggerlo. Il tuo compito è quello di trasmettere i messaggi al Capo.»
Cathay alzò le spalle. «Dovevo metterlo in codice per mandarglielo, e sono curioso come tutti. Nessuno mi ha detto di dimenticare quello che leggo. Ma lo terrò presente… Ciò che ancora non capisco è perché siate venute qui. Non so cosa il Capo pensi che possiate fare che io non possa fare meglio. Ho contatti. So come muovermi. Tu… si, tu sei forte, lo so. Vuole che tu costringa la Linea Calda a prolungare i servizi?»
Lilo si agitò nervosamente sulla sedia, ma Vaffa non pareva offesa.
«No. La nostra missione è semplice. Hai detto che il Capo è spaventato. Questo non è esatto, ma è giusto dire che è preoccupato. Il messaggio sembra molto importante, e potenzialmente pericoloso.»
Lilo non riuscì a non ridere. «Sì, penso che questo si possa dire. Fa pensare, se non altro.»
«Quello che sembra a me,» disse Cathay seriamente, «è che ci abbiano mandato un conto del telefono.»
«Ma non ci siamo mai abbonati,» osservò Vaffa.
«È sempre un’evasione,» disse Cathay. «È vero che non abbiamo mai richiesto il servizio. Ma ce ne siamo serviti. Sono secoli che ce ne serviamo, e per quanto ne so nessuno ha mai cercato di mandare nulla in cambio.»
«I costi…»
«Questo non ha importanza. Ci sto pensando da quando ho visto il messaggio. Adesso mi sorprende che nessuno abbia mai considerato questa possibilità. Abbiamo sempre preso la Linea Calda come una risorsa naturale, come il vuoto. Ci siamo domandati come potevano essere gli Ophiuciti, ma immagino che quando non ci hanno fatto sapere niente di loro si sia preferito credere che fosse una… una specie di programma di assistenza interstellare.»
«Mentre invece si trattava più di uno scambio culturale?» suggerì Lilo.
«Forse. Se è così, devono essere offesi che non abbiamo mai mandato niente in cambio.»
«Ma cosa abbiamo che gli possa interessare?» chiese Lilo. «Sono così progrediti rispetto a noi!»
«Chi lo sa? Probabilmente loro si sono posti la stessa domanda. E apparentemente quello che hanno fatto è stato mandarci tutto. Abbiamo utilizzato le nuove invenzioni, le tecniche di ingegneria biologica e così via. Ma ancora non riusciamo a decifrare il novanta per cento delle trasmissioni. Forse è arte. O filosofia. O pettegolezzi. O sono nove miliardi di Ophiuciti che richiedono partner sessuali. Però non credo che la Linea Calda sia uno scambio culturale. Credo che si tratti piuttosto di un’iniziativa commerciale. Si aspettano che paghiamo per quello che riceviamo, valore dato per valore ricevuto. Ma vorrei tanto sapere cosa intendono con quell’affare delle ‘pene severe’.»
Vaffa aveva seguito il ragionamento di Cathay con la fronte corrugata. La sua faccia si rilassò quando si tornò su un terreno più familiare.
«Ci siamo allontanati dall’argomento,» disse. «Parlavamo della nostra missione, del perché Lilo e io siamo state mandate qui. È semplice. In una vicenda potenzialmente seria come questa, il Capo sente il bisogno di avere ulteriori informazioni. È infatti impossibile per noi sapere come comportarci in base a quello che conosciamo finora. Poiché è impossibile fare direttamente agli Ophiuciti le domande che ci interessano, dobbiamo fare del nostro meglio per trovare le risposte nel messaggio originale.»
«È ragionevole,» commentò Lilo. Vaffa la guardò e lei capì che Vaffa le era grata per quelle parole. A lei invece non era sembrato molto ragionevole. Aveva accettato il giudizio del Capo sulla situazione essenzialmente con un atto di fede.
«Voglio dire,» continuò Lilo, «che è difficile immaginare che non abbiano incluso nel messaggio tutto quanto dobbiamo sapere. Anche se potessimo far loro delle domande, ci vorrebbero trentaquattro anni prima di ricevere una risposta.»
«Esatto. Hai notato che nel messaggio ci sono molte parole che hanno una probabilità di traduzione?»
«È una cosa normale nei messaggi della Linea Calda,» osservò Cathay.
«Così mi hanno detto. Ma la sola cosa che abbiamo è il messaggio tradotto che hai ottenuto tu. Ciò di cui abbiamo bisogno sono i dati originali. Il Capo desidera riceverli per poterli analizzare indipendentemente.»
Cathay si accigliò. «Non sarà facile. Anzi, è impossibile.»
«Spiegati meglio, per favore.»
«Be’, io… d’accordo. La mia fonte di informazioni lavora al reparto traduzioni della StarLine. Sapete come ricevono i loro dati?» Osservò le due donne, annuì e continuò. «La StarLine ha una stazione nella zona dove il segnale della Linea Calda è più forte. Un tempo c’erano molte stazioni. Adesso la Star-Line ha ottenuto il diritto di monopolio dal governo di Plutone. Un paio di volte la Luna si è opposta, ma immagino che la situazione politica non abbia molta importanza adesso. Praticamente Plutone controlla tutto quello che si trova al di là della propria orbita.
«Il personale della stazione non trasmette niente su Plutone perché il segnale potrebbe essere intercettato. Registrano tutto quello che ricevono sulla Linea Calda e lo spediscono con missili telecomandati, ad alta accelerazione, che vengono ricuperati in condizioni di massima sicurezza.
«Quando c’era concorrenza, avevano missili estremamente veloci. Il personale della stazione agiva da filtro. Se nelle traduzioni preliminari notavano qualcosa che potesse aver valore, lo infilavano in uno di quei missili e cercavano di superare i concorrenti nei brevetti, nella pubblicità e in tutto il resto. Adesso non è più necessario, però hanno sempre uno di quei razzi per le consegne speciali. Quando hanno ricevuto questo messaggio, l’hanno usato. Il mio contatto mi ha detto come è arrivato. Non credeva di riuscire a procurarmelo. Ho esercitato tutte le pressioni che potevo, e ce l’ha fatta. Ma dice che di più non può fare. I servizi di sicurezza sono stati così rigorosi che non esistono copie dei dati originali. Sono immagazzinati nel computer della StarLine, e se pensate di riuscire a penetrare lì dentro e a derubare la memoria, buona fortuna.»
Vaffa corrugò la fronte. «No, è escluso. Il Capo ha già tentato questa strada prima di mandarci su Plutone. Continua a cercare di impadronirsi delle informazioni, ma i programmi di difesa sono formidabili.»
«I migliori di Plutone,» disse Cathay. «Non so cosa abbiate sulla Luna.»
«Il tuo contatto non potrebbe rubare i dati lei, dall’interno?»
Cathay ci pensò. «Vi possono accedere solo le quattro o cinque persone di grado più elevato. Solo una ventina sanno che il messaggio esiste. Non le consegnerebbero i dati più riservati e non avrebbe modo di impadronirsene.»
«Come fai a controllare quella donna?»
«Uh, suo figlio è uno dei miei alunni. Si era cacciata in un vicolo cieco, come quella che era qui prima. Incinta e senza nessun insegnante a disposizione. È venuta da me e il Capo mi ha concesso di aiutarla. Inoltre, e penso sia piuttosto importante, ho dovuto darle un sacco di denaro di Tweed, per questo messaggio. Oltre a minacciarla, cioè, a dirle che non mi sarei più occupato di suo figlio.» Distolse lo sguardo. Lilo era imbarazzata per lui. Il solo motivo che giustificasse l’abbandono di un bambino durante il processo educativo era la morte dell’insegnante.
Apparentemente Vaffa non lo aveva notato. «E non funzionerebbe ancora?»
«L’ultima volta ha guadagnato abbastanza per assumere un insegnante autorizzato. È possibile, qualsiasi cosa dica l’Associazione Educativa.»
«Comunque è meglio che tu riprovi con lei.»
«D’accordo.»
Vaffa si incupì. «Nel frattempo dovremo accettare la tua valutazione per buona e cercare un’alternativa.»
Lilo guardò Cathay: sembrava perplesso quanto lei.
«Quale alternativa?» chiese. «Hai detto che la sola copia del messaggio originale è dentro il computer della StarLine. In che altro modo può essere tirato fuori?»
«In nessuno. Il Capo ha svolto indagini, ma non ha trovato nessuno piazzato altrettanto bene del contatto di Cathay. E continuerà a tentare di accedere al computer attraverso i normali canali. Ma è probabile che non serva. Così dovremo ottenere i dati direttamente. Compreremo una nave e andremo alla Linea Calda.»
Cathay non l’aveva presa bene quando era stato chiaro che Vaffa voleva dire andare tutti e tre. Discusse per ore e alla fine arrivò a una posizione che giurò non avrebbe abbandonato.
«Non è possibile. Non posso andarmene almeno per tre anni, anche se non prendo nessun altro bambino. Il più giovane avrà bisogno di me per tutto questo tempo.»
«Non eri autorizzato a impegnarti in contratti educativi,» ribatté Vaffa. «Quello che hai fatto sono affari tuoi, ma la prima persona alla quale devi fedeltà, la persona più importante, è il Capo.»
«Sciocchezze! Non mi puoi chiedere di abbandonare questi bambini. È un dovere sacro. Quando si fa un contratto, lo si deve portare fino in fondo.»
«Questo non lo porterai fino in fondo.» Lilo notò il linguaggio preciso di Vaffa e la sua assoluta calma. Attenzione, pensò.
«Lo porterò. Non puoi farci niente.»
Vaffa lo colpi col taglio della mano sul collo, poi si voltò chinandosi per fronteggiare Lilo, che era rimasta completamente immobile. A poco a poco si rilassò e si sedette, pensosa, incurante dell’uomo che giaceva inconscio sul pavimento. Lilo lo sollevò e, barcollando, lo portò in camera. Lo mise sul letto e gli si sedette accanto, al buio.
«Lilo, vieni qui.» Lei si alzò e tornò nell’altra stanza.
«Credo che dovrò ucciderlo,» disse Vaffa.
Lilo si sedette lentamente. «Perché? Non ha fatto niente, no?»
«È quello che probabilmente farà che mi disturba.» Sospirò e si strofinò il collo. Sembrava scontenta di quello che l’aspettava, ma decisa a farlo. «È stato un errore mandarmi qui sola,» riprese. «Non posso fidarmi di nessuno di voi due e non posso sorvegliarvi tutti e due contemporaneamente. Uno di voi dovrà andarsene.»
«Perché non può restare qui? C’è rimasto per tutto questo tempo, no?»
«Il Capo è preoccupato per ciò che potrebbe fare. Ormai sa troppe cose sul messaggio della Linea Calda. A parte quelli della StarLine, su Plutone è il solo, insieme a te e me, che ne sia a conoscenza.»
«Ma non è… voglio dire, come me? Un criminale condannato?»
«No. Non è altro che un insegnante espulso dall’Associazione. Il Capo si mise in contatto con lui quando stava sragionando e gli promise che, se avesse lavorato per il partito, avrebbe avuto la possibilità di insegnare di nuovo con un’identità diversa. Avrebbe dovuto aspettare ancora un paio d’anni. Non sapevamo del suo insegnamento clandestino. Sembra che allora sia diventato impaziente, e non dovrebbe esserlo secondo quello che…» si interruppe all’improvviso, guardò Lilo e si prese la testa fra le mani.
Lilo immaginò che Vaffa avesse accennato a qualcosa di cui non doveva parlare. Però era chiaro che bruciava dal desiderio di farlo.
«Non posso aiutarti a decidere se non mi racconti tutti i particolari.»
«Chi ha detto che voglio il tuo aiuto?»
«Nessuno. Ma hai detto che ti saresti fidata di me. Abbiamo fatto un patto.»
«Lo so. Voglio fidarmi di te. Devo fidarmi di te, se non voglio ucciderlo.»
«Ma non sai se è prudente. E non puoi dire al Capo che hai fatto un patto con me. Sei andata al di là degli ordini che avevi ricevuto, vero?»
«Sì.» Aveva un’aria molto infelice. La vita di Vaffa si basava sull’obbedienza agli ordini. Agire di propria iniziativa la turbava profondamente.
«In ogni caso è meglio che prima tu consulti il Capo,» le suggerì Lilo. «Per sapere cosa pensa di Cathay. Forse ha ancora bisogno di lui. Non c’è bisogno che tu gli parli del nostro patto.»
Vaffa rifletté a lungo, poi annuì. Lilo era un po’ sollevata. Ci sarebbero volute almeno dodici ore prima che Vaffa potesse ricevere una risposta da Tweed.
Cathay era sempre privo di conoscenza. Lilo prese una bacinella d’acqua e si sedette sul letto accanto a lui. Gli bagnò il livido che gli era venuto sulla fronte dove aveva battuto cadendo. Si lamentò, aprì per un attimo gli occhi, poi li richiuse. Lilo lo collegò all’analizzatore medico vicino al letto e quello le disse che dormiva e che non aveva una commozione cerebrale.
Si spogliò e si infilò sotto le coperte accanto a lui. L’abbracciò dal dietro e lo tenne stretto.
Per un’ora rimase completamente immobile. Cercò di addormentarsi, ma continuava a ripensare a Cathay e a ciò che avrebbe potuto fare per lui.
Alla fine decise di svegliarlo. Gli passò le mani sul petto, sul ventre. Era piatto e duro. Aveva un’erezione. Gli prese il pene e gli carezzò delicatamente il glande. Lui si mosse.
«Come va la testa?»
Se la toccò con cautela. «Non troppo male, direi. Ho la mascella tenera.»
«Parla piano,» l’ammonì Lilo. «Sei bravo nella lotta?»
Si girò sulla schiena. «Credo di essere un po’ migliore di quello che hai visto. Mi ha preso completamente di sorpresa. Comunque no, non sono un lottatore. Mi demolirebbe. E tu?»
«No. Dovrai venire con noi, lo sai. Le è stato ordinato di non lasciarti qui. C’è solo un’alternativa.»
«Lo so. Credo di averlo saputo fin dall’inizio, con lei.»
«Quindi cosa intendi fare? Uh, vuoi che smetta?»
«No, ti prego. È bellissimo.» Si voltò verso di lei e cominciò a carezzarle il corpo. «Non voglio parlare. È troppo doloroso.»
«Dobbiamo parlare un altro po’. Devo sapere cosa intendi fare. Abbiamo circa un giorno.»
Si stese nuovamente sulla schiena. Lei gli stava ancora accarezzando delicatamente il pene; lui le mise una mano sopra la sua. Rimasero tutti e due fermi a lungo.
«Perché?» chiese alla fine.
«Se vuoi restare, lei ti ucciderà. Tu cercherai di fare il possibile per fermarla. Io pensavo… oh, al diavolo. Quello che mi domandavo era se dovevo… se dovevo rischiare con te… non te lo sto proponendo, capisci, pensavo solo che dovremmo discutere.»
«Ti fideresti di me fino a questo punto? Non mi conosci neppure. Se decidessi di restare, non avrei molto da perdere a mettermi d’accordo con te. Forse avrei addirittura la possibilità di farcela. Ma tu perché dovresti entrarci?»
«Potrebbe essere la mia ultima occasione. Sai niente di me?»
Lui si voltò di nuovo verso di lei. «Niente di preciso, e non voglio saperlo. Quello che hai fatto non mi interessa. So che sei una dei suoi criminali clonati.» Vide la sorpresa dipingersi sul suo volto. «Sì, sono venuto a sapere alcune cose su di lui. Abbastanza per fargli avere dei grossi problemi. Ha ragione a volersi liberare di me.» Sospirò e si girò nuovamente sulla schiena, allontanandosi da lei. Si intrecciò le dita dietro la testa.
Lilo pensò che avesse finito di parlare e si accorse che non le dispiaceva. Avrebbero potuto farlo più tardi. Adesso si stava eccitando. Era un bell’uomo. Le piaceva il suo odore, il contatto delle sue mani. Si spostò verso il basso e si alzò su un gomito, poi si chinò su di lui.
«Ne fa collezione,» disse Cathay, massaggiandole distrattamente la testa con una mano. «In una base segreta da qualche parte ne ha a dozzine, poveri disgraziati. Cercano il modo per cacciare gli Invasori.» Rise amaro, poi la guardò. «Se tu fossi una Terrestre Libera non avresti tanta paura di quella donna. Cioè, ne avresti paura, ma la rispetteresti, capisci che voglio dire?»
Lei sospirò piano e gli appoggiò la guancia sul ventre. D’accordo, voleva parlare, dopo tutto.
«Ho visto cosa sa fare Vaffa. Credo anche di conoscere alcune sue debolezze. Adesso è molto confusa. Tweed non avrebbe mai dovuto farle fare questo viaggio da sola.»
«Non gliel’ha fatto fare,» esclamò Cathay. «Ha mandato anche te.»
«Cosa vuoi dire? Pensi che sia una Terrestre Libera?»
«No, però ti ha mandato. Avrà avuto un motivo.»
Sollevò la testa per guardarlo. «Apparentemente sono qui per caso. Stavamo andando su Titano quando ha ricevuto il tuo messaggio.»
«No. Non è andata così. Sono tre mesi che gli ho inviato il messaggio. Non mi importa dove abbia detto a te e a Vaffa che stavate andando. La vostra destinazione era questa. Forse non lo sapeva neanche il pilota. Il messaggio vi sarebbe arrivato appena in tempo per deviare su Marte.»
«Ce l’abbiamo fatta appena,» osservò lei.
«No. Voleva che veniste qui. Voleva che Vaffa fosse il suo solo agente fedele fra di noi. Se avesse pensato che Vaffa non era in grado di far fronte alla situazione da sola, stai sicura che allo spazioporto vi avrebbe fatto seguire da qualcun altro.»
«Non capisco. Sembra un gioco. Vuole che facciamo qualcosa per lui o solo che ci uccidiamo a vicenda?»
«Non è mai una cosa semplice,» sospirò Cathay. La prese per un braccio e la tirò su con delicatezza. Lei gli si premette contro, stretta dal suo braccio. «Sono quindici anni che ho a che fare con lui. Altri cinque… be’, mi ha promesso una nuova identità. Ho cominciato a dubitarne, ma si deve pur vivere per qualcosa.»
Adesso non voleva più parlare. La strinse più forte, poi si spostò in giù e cominciò a baciarle i seni. Ma adesso fu Lilo a respingerlo e a sollevare la testa per guardarlo.
«Continuo a non capire.»
«D’accordo. V’affa è un grande soldato, ma un cattivo generale. Non ha spirito di iniziativa. Per questo tu sei qui, per prendere le eventuali decisioni difficili, quelle che non possono aspettare un giorno per essere risolte dal Capo. Non quelle di vita o di morte, né quelle di carattere etico, dell’etica dei Terrestri-Liberi. Per quelle può fidarsi di Vaffa. Ti ha giudicata molto bene. So qualcosa di quello che hai pensato, e so quanto ti conosce lui. Non ti alleeresti mai con Vaffa. È impossibile.»
«Come puoi dirlo?» chiese. Si sentiva le guance rosse. Rabbia, vergogna. Aveva appena deciso che opporre resistenza a quel modo sarebbe stato sciocco: la cosa migliore era aspettare quando fosse tornata su Plutone e ne avesse saputo di più del suo avversario.
«Intanto perché le migliori possibilità di fuga per te si presenteranno più tardi. Lo sai. La tua non è una prigione fisica. Puoi acquistare la libertà a poco a poco, scoprendo lentamente cosa puoi fare e poi facendolo tutto insieme. Ammesso che sia possibile, il che non è ancora stato dimostrato, per quanto ne so io. A questo punto è molto probabile che Vaffa non sia sola. Tweed non doveva necessariamente dirle che c’era qualcun altro che ti sorvegliava. Pensa che tu lo capirai e non cercherai di fuggire.»
Sembrava effettivamente il tipo di occasione tentatrice che doveva aver avuto il suo primo clone, Lilo 2. Ricordò di aver deciso di sospettare delle possibilità di fuga facili, di cercare quelle difficili. Però era sempre arrabbiata.
«E che succede se mando al diavolo il buon senso? Rischiare tutto, mettermi con te e farla fuori. Come fa a sapere che non prenderò una decisione irrazionale? A meno che non sia un altro esame e che non esista un messaggio della Linea Calda.»
«Esiste, ma sono contento che tu abbia considerato anche questa possibilità. Ti sei fidata di me troppo alla svelta, per il tuo bene, lo sai.» La lingua era nuovamente sui suoi capezzoli, e questa volta lei non protestò. Gli carezzò la schiena e chiuse lentamente gli occhi. Gli ultimi nodi ai muscoli, causati dal viaggio ad alta accelerazione, stavano sciogliendosi in un calore che avvolgeva tutto, in un fremito che andava dalle punte calde delle orecchie alle dita dei piedi. Riaprì gli occhi e lo guardò.
«Non hai risposto alla mia domanda.»
«Non lo sa. Può darsi che la tua migliore occasione sia effettivamente questa. In realtà è indifeso contro una tua mossa del tutto illogica. Non la può prevedere.»
«E allora perché rischia?»
Cathay sospirò. «Perché conosce piuttosto bene anche me. Non ti puoi mettere d’accordo con me, se io abbandonerò i miei studenti, rinuncerò un’altra volta alla mia dignità, o a quello che rimane. Adesso che te l’ho detto, che ho messo a nudo la mia vergogna, vuoi per favore stare zitta e allargare le gambe?»
Lo disse in tono scherzoso e con un mezzo sorriso sulla faccia, ma quando la penetrò lo fece con violenza, deciso a dimenticare se stesso in un eccesso di passione. Lilo si abbandonò e lasciò che fosse lui a stabilire il ritmo, almeno la prima volta. Con stupore notò che rispondeva bene. In parte era per bisogno fisico; era passato molto tempo. Poi le dispiaceva per lui. Ma in parte era qualcos’altro, forse l’inizio di quel sentimento che un giorno avrebbe potuto trasformare un semplice atto di cop ricreativo in quella cosa che è così sottilmente e tuttavia così totalmente diversa: in un atto d’amore.