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La pellicola arrivò alla fine e per un po’ sbatté rumorosamente sulla bobina. Uno degli uomini si allungò e spense il proiettore. Si accesero le luci e Lilo, Javelin, Vaffa e Cathay si trovarono di fronte a otto facce che li guardavano con espressione interrogativa. Nella stanza l’atmosfera era tesa; i Mercanti stavano aspettando qualcosa.

Per qualche motivo, a Lilo sembrava di vivere in una commedia musicale. La situazione era distaccata dalla realtà proprio come in un musical, con i personaggi che si bloccano a metà dell’azione per mettersi a cantare.

«Be’,» fece William. «Bene. Che ne pensate?»

«Efficace,» azzardò Cathay.

«Solido. Va dritto allo scopo,» disse uno dei Mercanti.

Javelin si schiarì la gola.

«Uh… sì. È un bel film. Ma siamo davvero venuti qui per discutere i meriti artistici dei vostri addetti alla propaganda?»

«Vorremmo sapere cosa ne pensate,» disse William. La sua voce trasudava fermezza. «Naturalmente ci rendiamo conto che non avete il potere di accettare o di rifiutare quello che vi abbiamo offerto… Non siete i rappresentanti della vostra razza.»

«Che avete intenzione di farne? Non l’avrete girato solo per noi.»

«Lo trasmetteremo. Non sulla Linea Calda, però. Questa volta arriverà direttamente a tutti i pianeti abitati del vostro sistema. Questo è il modo in cui agiamo di solito. Vi sarete resi conto che non abbiamo mai utilizzato tutta la potenza del trasmettitore. Non possediamo un laser grande abbastanza per trasmettere a diciassette anni luce di distanza, ma possiamo inviare un segnale più forte di quelli che avete ricevuto finora. L’abbiamo confuso e distorto deliberatamente, simulando quello che vi sareste aspettati se fosse venuto da 70 Ophiucus. Volevamo che pensaste che eravamo molto lontani.

«Quando sappiamo che essere scoperti è solo una questione di tempo, inviamo il primo messaggio che avete ricevuto. Di solito arriva qualcuno. Se non si vede nessuno ci domandiamo se non stiamo perdendo il nostro tempo. Voi siete stati molto abili.»

Javelin si spostò sulla sedia, con un’espressione amara sul volto.

«Sì, ma cosa vi aspettate che faccia la gente una volta visto il film?»

«Prego?» William le puntò gli occhi addosso.

«Quello che intendo dire è che voi volete qualcosa in cambio delle informazioni che ci avete mandato. D’accordo, questo lo capirebbero tutti. Però volete la nostra cultura. Ho paura di non aver afferrato com’è che intendereste prenderla.»

«Credevo che il film lo spiegasse chiaramente.»

«Per me no,» intervenne Cathay. «Non l’ho capito, e neppure ho capito quali sono le alternative se la razza umana non è disposta a collaborare.»

«Ah.» William si inumidì le labbra. «Forse dovremo apportare dei cambiamenti al finale prima di trasmetterlo, Vedete quanto ci siete utili? Ora vi lascio al nostro Ministro per l’Assimilazione. Alicia?»

Se William sembrava ampolloso e leggermente irreale nei suoi manierismi, Alicia era poco più che un manichino. Lilo riusciva a immaginare tanti fili che le andavano alle braccia e alle gambe. Si domandò come fossero effettivamente fatti questi Mercanti. Alicia le rispose subito.

«Come spero abbiate capito dal film,» attaccò, «quello che vedete davanti a voi non è il risultato della cultura dei Mercanti né dei loro geni. Questa stanza e i nostri corpi sono stati approntati per questo incontro. Sono circa ottocento anni che vi studiamo, che ascoltiamo le vostre trasmissioni radiofoniche e televisive. È molto più tempo che siamo qui. La prima volta che visitammo la Terra fu ventimila anni fa. Da allora abbiamo aspettato che voi veniste da noi. Abbiamo imparato a essere umani.» Allargò le braccia. «È un compito impossibile da svolgere a distanza, ma questa stazione è un laboratorio sperimentale per l’assimilazione delle culture umane. Sotto di noi ci sono duecento celle ambientali che riproducono le condizioni di varie società umane del presente e del passato. Inoltre siamo pronti a compiere esperimenti di incrocio, a fondere culture già in nostro possesso con quanto apprendiamo della cultura umana. Come vedete, finora abbiamo solo una comprensione limitata delle opinioni e degli atteggiamenti mentali che rendono umano un essere.»

«Sì, capisco,» disse Lilo. «O almeno credo. Sta dicendo che non avete una vostra cultura, che l’avete perduta o che si è così completamente fusa con altre che non riuscite più a separarla.»

«Giusto,» annuì Alicia. «Grosso modo. Ma non è stato un fatto casuale. Abbiamo osservato nelle altre razze che un popolo tende a perdere la propria vitalità se costretto a vivere per un milione d’anni un’esistenza transitoria e nomadica. La scintilla che ogni razza possiede — e ognuna di esse è diversa — si spegne e la razza scompare. È capitato a molte razze. Così noi compiamo lo sforzo di cambiarci in tutte le possibili occasioni. Gli individui continuano a esistere. Personalmente io ho più di due milioni di anni come coscienza di gruppo. Penso che sarebbe inutile tentare di spiegarvi cosa significhi.»

«Sì, l’avete detto nel film,» intervenne Javelin, spazientita. «Quello che ancora non mi avete detto è cosa volete fare. Con noi. Con la razza umana.»

«Semplicissimo. Desideriamo coesistere per qualche tempo con alcuni di voi. Il solo modo di apprendere una cultura è dall’interno. Esistono tecniche — molto simili alla registrazione mnemonica che avete scoperto autonomamente e che noi vi abbiamo aiutato a perfezionare — per la sovrapposizione di una mente su un’altra. Desideriamo che le vostre menti ci diano un passaggio per alcuni anni. Dopo di che saremo umani come voi, non le costruzioni imperfette che vedete adesso.»

«Pensate che questa idea verrà accolta?» chiese William.

«Intendete dire se penso che la gente accetterà?» Javelin sospirò. «Ci sono cose più facili da vendere. A cosa assomiglierà? A un simb?»

«No, no, niente di così drastico. Saremo osservatori inosservati. Dopo qualche anno vi lasceremo ai vostri strumenti. Ma non avete molto tempo. Gli Invasori non vi concederanno più di un secolo prima di sterminarvi tutti dagli Otto Mondi.»

«E quanti… ah, e quanti ospiti vi occorrerebbero?»

«Poche migliaia. Per avere un campione significativo. Dopo potremmo imparare a essere umani gli uni dagli altri.» Fece una pausa. «Sappiamo che è una richiesta strana. Ma è la sola cosa che la vostra razza possa offrirci. È il solo motivo per il quale vi abbiamo trasmesso le nostre scoperte di sette milioni di anni. Non abbiamo bisogno né del vostro oro né del vostro argento, e nemmeno delle vostre cosiddette ricchezze. Conosciamo tutta la vostra tecnologia. Non ci servite come schiavi, né come fonte di cibo, né come nuovo anello nella catena del nostro impero. E non siamo filantropi interstellari. In effetti siamo invasori. La vostra razza ha subito una seconda invasione, e questa volta l’ha accettata con piacere.»

«Che intende dire?» Era Vaffa, sempre in guardia contro il pericolo.

«È stata un’invasione a distanza. Adesso arriviamo al nocciolo della questione: le pene di cui abbiamo parlato nel primo messaggio. Avete mai sentito nominare il cavallo di Troia?»

Lilo guardò i suoi amici. Solo Javelin annuì.

«Se non foste una razza abituata a scambiare valore con valore, sareste stati più lenti ad accettarci quando siamo venuti a offrirvi doni. Ma non abbiamo notato nessuna riluttanza. È raro che ne incontriamo. È quasi una caratteristica universale prendere ciò che sembra regalato.

«I simb. Non hanno mai riscosso grande successo, ma è ormai molto tempo che sono sugli Anelli, e si riproducono rapidamente. Ci sono ormai più di centonovanta milioni di coppie umano-simb. Ognuna di esse è una bomba a orologeria. Se mandassimo il giusto segnale ogni coppia si fonderebbe in un solo essere appartenente a noi, non a voi. Sarebbero in grado di compiere le missioni per le quali sono stati programmati tanti anni fa. Spostarsi da pianeta a pianeta, in ibernazione, e una volta raggiunti i mondi umani… be’, lo lascio alla vostra immaginazione.» Si appoggiò allo schienale della sedia e tutti gli altri fecero altrettanto.

Lilo non ebbe alcuna difficoltà a immaginarlo.

Gli esseri umani vivevano dappertutto sottoterra tranne che su Venere e su Marte. Probabilmente quei due posti sarebbero stati al sicuro poiché avevano un’atmosfera, ma in tutti gli altri posti i simb potevano portare la rovina distruggendo gli impianti vitali.

Le possibilità si moltiplicavano nella sua mente. Era facile dimenticarsi della situazione vivendo in compartimenti sicuri sotto la superficie dei pianeti, ma l’ambiente spaziale era costantemente in guerra con gli animali che respiravano aria. L’unico vantaggio era stato rappresentato dal fatto che l’ambiente, ostile, non era malevolo. Non cercava deliberatamente di distruggere gli esseri umani. Se si prendevano le precauzioni adeguate, poteva diventare inoffensivo.

Ma con milioni di sabotatori, di soldati perfettamente adattati all’ambiente spaziale…

A pensare a Parameter si sentiva male. Conosceva un po’ la complessità interna di un simb, quella che gli permetteva di vivere nello spazio. Solstizio poteva modificare il corpo a piacimento, affrontare qualsiasi situazione, o quasi. Non era difficile credere che dissolvesse la sottile linea che divideva il proprio corpo da quello di Parameter, fondendoli tutti e due in un organismo di un’efficienza suprema. Ma cosa sarebbe rimasto di Parameter come essere umano? Parameter aveva detto a Lilo che, per quanto una coppia fosse molto unita e potesse quasi essere considerata un essere unico, tuttavia restava sempre qualcosa di ciascuno con un’identità separata. Ciò non sarebbe stato più vero se i Mercanti avessero attuato la loro minaccia. Sarebbe rimasto solo Solstizio, e Lilo non si era mai pienamente fidata del simb.

Era una sfiducia giustificata? Era anche Solstizio un pupazzo nelle mani dei Mercanti, un alleato potenziale involontario?

Lilo stava per cercare di scoprirlo, ma un forte rumore la interruppe. Era una specie di sirena, e tutti i Mercanti alzarono lo sguardo costernati. O almeno, cercarono di assumere un’espressione preoccupata; Lilo rabbrividì di nuovo nel vedere quanto potessero sembrare diversi sebbene avessero l’aspetto di esseri umani.

«Un momento,» esclamò William. «Un momento. Sembra che ci sia qualche problema. Farò…» Si interruppe un attimo, e all’improvviso non sembrò affatto umano. Aveva gli occhi chiusi e tutti i muscoli rilassati. Javelin era in piedi e guardava preoccupata le pareti della stanza. Vaffa aveva fatto cadere la sedia e si era allontanata dal tavolo. Anche Lilo si ritrovò in piedi.

Quando riprese a parlare, la voce di William era cambiata.

«È stata rilevata attività da parte degli Invasori,» disse, e poi le sue parole diventarono un borbottio incomprensibile per Lilo, ma evidentemente allarmante per i Mercanti. Il gruppo si agitò incerto.

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