19

Il viaggio verso Poseidone avrebbe potuto essere molto più rapido. Anche se doveva trasportare tutta la base da me costruita sugli Anelli, il rimorchiatore che Cathay aveva rubato non incontrava difficoltà; era stato fabbricato per spingere buchi neri con qualche problema.

Ma tutto dipendeva dall’arrivare su Poseidone esattamente al momento giusto e con l’esatta angolazione. Eravamo condizionati dalle posizioni relative di Giove e di Saturno all’atto della partenza, dalla velocità orbitale di Poseidone e da quella di rotazione.

Non mi ero mai preoccupata di dare un nome al mio nascondiglio di rocce. Quando fummo vicini a Poseidone e azionammo di nuovo i motori del rimorchiatore per far acquistare velocità alla roccia, Cathay la chiamò Vendetta.


Erano a circa cinquanta chilometri da Poseidone, immobili rispetto a lui. A occhio nudo, appariva come una piccola macchia grigia irregolare. Ma sullo schermo di Lilo si potevano vedere meglio i dettagli. Era scuro e frastagliato, e sull’orlo si ergeva una piccola tazza dentro la quale brillava un’intensa luce azzurra.

Lilo ripensò all’ultima volta che aveva visto Parameter/Solstizio. Avrebbe voluto che fossero andati con loro, ma era stato evidentemente impossibile. Se lei e Cathay fossero riusciti in quello che si apprestavano a fare, non ci sarebbe stato il tempo per far scendere Parameter da nessuna parte; avrebbero dovuto abbandonare il sistema solare alla svelta. Ma Lilo li avrebbe voluti con sé per vedere il loro piano funzionare.

Se avesse funzionato, pensò, deglutendo nervosamente.


«Dieci secondi!» gridò Lilo. Era collegata al computer e ne controllava l’operato attraverso le telecamere della Vendetta. Poteva percepire le minuscole spinte mentre il programma di guida effettuava le ultime correzioni di rotta. Il bersaglio si stava avvicinando a velocità accecante e Lilo riusciva a seguirlo solo attraverso il terminale del computer. Vide un lampo argenteo, poi l’impatto distrusse la telecamera.

«Colpito,» disse con voce normale. Estrasse il cavo del computer dalla spina che aveva in testa.

La Vendetta era entrata nella tazza a campo nullo contenente il buco nero. In una frazione di secondo, la sua massa era stata ridotta a un miscuglio di lava, di gas bollenti e di plasma. C’era stato uno spruzzo.

Il buco aveva cominciato a divorarlo immediatamente. Il gradiente gravitazionale fece rapidamente contrarre la materia più vicina al buco e cominciò a tirarla in un abisso senza fondo, liberando nello stesso tempo energia. Via via che la materia veniva distrutta, altra la sostituiva; ma la nuova era respinta dalla pressione delle reazioni a catena. Ci fu una grossa esplosione, e il novanta per cento della massa della Vendetta venne espulsa dal campo gravitazionale combinato di Poseidone e del buco. Ciò che rimase fu nuovamente sottoposto a compressione.

Nessuna conseguenza si registrò nell’emisfero protetto dal campo nullo, che era a prova di qualsiasi cosa il genere umano fosse fino a quel momento in grado di produrre.

Ma Lilo osservò molto attentamente per vedere come i generatori elettromagnetici di campo sopportassero lo sforzo. L’incognita nell’equazione di Parameter erano i generatori. Stavano già sostenendo là massa del buco nero. Non si poteva avere la certezza che resistessero all’improvvisa accelerazione dovuta all’impatto. Se avessero ceduto, il buco nero avrebbe cominciato a scendere, distruggendo rapidamente il generatore di campo nullo sottostante. Senza il campo nullo, il buco avrebbe attraversato Poseidone come uno spazio vuoto e loro avrebbero dovuto cercare di recuperarlo dall’altra parte.

«Non vedo nessun movimento. E tu?» chiese Lilo.

«No. Sembra che tenga.»

Ci furono altre esplosioni, a pochi secondi una dall’altra, finché i resti fusi della roccia non si furono liberati di massa sufficiente per permettere di raggiungere una situazione stabile. Adesso sembrava che ci fosse una piccola stella bianca, più luminosa del sole, del diametro di appena un metro.

«Lasciamo che gli astronomi siano perplessi,» esclamò Lilo, e accese la radio. «Mi sentite laggiù? Vaffa, Vaffa, mi ascoltate?»

Per un po’ non ci fu risposta. Lilo continuò a ripetere finché dalla radio non giunse una voce maschile.

«Chi è che chiama?»

«Sono Lilo, tornata dal regno dei morti. Sono con Cathay. Vi abbiamo riportato la nave, e anche un regalo. L’avete sentito arrivare pochi minuti fa. Si è fatto male nessuno?»

Lilo capì anche che non gliene importava niente. Rabbrividì. Era il suo primo contatto con un Vaffa.

«Cosa speravi di ottenere, comunque? Dovevi saperlo che qualunque cosa tu avessi fatto non ci avresti mai ucciso. Tutt’al più potevi sperare di sotterrare alcuni di noi — e ci sei riuscita — ma le tute ci proteggeranno e potremo uscire.» La voce era imperiosa, di una persona abituata a essere obbedita, ma con una punta di incertezza.

«Sicuramente non sei stupida,» commentò Cathay, soddisfatto. «Talvolta fa male ai nervi sapere tante cose di una persona.»

«Lo spero,» sussurrò Lilo. Poi, nel microfono: «Abbiamo spinto Poseidone fuori dalla sua orbita. Ormai è successo, ed è troppo tardi perché possiate farci qualcosa. È stato spettacolare, lascia che te lo dica. Fra qualche minuto, in tutto il sistema solare ci si chiederà cosa stia succedendo da queste parti. Ti fa venire in mente niente?»

Dall’altra parte il silenzio.

«Prima che tu corra a consultare il Capo, ci sono alcune cose che deve sapere. Secondo noi la situazione è semplice. Tutti penseranno che si tratti degli Invasori. Del resto, questo è Giove. Non avranno il coraggio di mandare qualcuno a indagare. Tweed sarà d’accordo, vedrai.»

Non ci furono commenti, e Lilo continuò.

«Vogliamo ricordarvi che possediamo una radio potente. Sono sicuro che da parecchio tempo Tweed è preoccupato per questo fatto, e si sta chiedendo dove sia Cathay e cos’abbia intenzione di fare. Forse è pronto a fuggire, di corsa, se qualcosa dovesse cominciare ad andare storto. D’accordo, non importa. Però gli ci vorrà per forza un po’ di tempo. Quello che vogliamo domandargli è: quanto tempo è disposto a comprare?»

«Spiegati meglio.»

«Stavo per farlo, ma prima voglio una risposta da voi: quanto vi ci vuole, senza contare i novantasei minuti di intervallo, per mettervi in contatto con Tweed, parlargli e avere la sua risposta? Non esitare, rispondimi subito.» Cathay aveva insistito sull’importanza di quell’aspetto. Secondo lui Vaffa non era né molto intelligente né bravo a mentire. Non bisognava dargli il tempo di pensare. Tuttavia il suo primo impulso sarebbe stato rivolgersi subito a Tweed per chiedere ordini, e ciò li avrebbe aiutati.

«Be’, io…»

«Veloce! Ne va della vita di Tweed. Non ci far dubitare su quello che dirai.»

«Gli parlo in codice, attraverso un laser che viene deviato sulla Luna da un satellite, in modo che il seg’nale non lasci traccia. L’intervallo oggi è di novantasette minuti. Ha sempre un ricevitore con sé; non mi ci sono mai voluti più di tre minuti per stabilire il contatto.»

«Bene. Adesso le proposte. Cathay e io siamo interessati alla sorte delle persone sotto di voi. Ci rendiamo conto che, se vi viene ordinato, voi potreste ucciderle, e abbiamo concluso che Tweed potrebbe ordinarvelo.» A Lilo era difficile crederlo, ma doveva ammettere che su Tweed e Vaffa Cathay ne sapeva più di lei.

«Vogliamo che tu dica al Capo che sarebbe una cosa molto stupida.

«Trasmetteremo le informazioni sulla base di Poseidone a tutto il sistema solare. Se lo prenderanno, lo uccideranno.

«Per lui è importante quando effettueremo questa trasmissione. Adesso ascolta bene. Se fa quello che gli diremo, aspetteremo un mese standard prima di trasmettere. È chiaro che non è nel nostro interesse reclamizzare questo posto. Non vogliamo che si sappia in giro quello che succede qui. In un modo o in un altro, infatti, siamo tutti fuorilegge, voi compresi. Se una nave degli Otto Mondi atterra su Poseidone, saremo tutti giustiziati.

«Ciò che dobbiamo fare è adoperarci per gli interessi comuni. Noi abbiamo bisogno di tempo, e ne ha bisogno anche Tweed. Ma abbiamo anche bisogno dell’assicurazione che chi è con voi non sarà massacrato.» Respirò profóndamente. «Ecco la nostra proposta. Tweed deve ordinarvi, a te e a tutti i tuoi fratelli e sorelle clonati, di uscire dalla base e di radunarvi all’aperto, a un chilometro dall’entrata più vicina. Senz’armi. Prima di uscire dovete disattivare la barriera che impedisce di entrare nei vostri alloggi e permettere a Niobe e a Vejay di controllare che non vi sia rimasto nessuno. Dopo…»

«Ho appena saputo che Vejay non si trova,» disse l’uomo. «Sembra che sia rimasto sepolto. Niobe è qui.»

«Dopo che Niobe sarà entrata nei vostri alloggi e avrà visto che siete usciti tutti, ce lo dirà. Allora noi atterreremo e vi faremo prigionieri. Tweed deve anche ordinarvi, alla presenza di Niobe e di chiunque altro lei voglia, di non far male a nessuno, né ora né in futuro. In cambio, tu e i tuoi cloni potrete vivere, finché naturalmente obbedirete agli ordini. Tweed avrà un mese per abbandonare la Luna, o per mettere in atto il suo eventuale piano di emergenza.»

«Come facciamo a sapere che manterrete la vostra parola e non ci ucciderete?» chiese Vaffa. Era la prima volta che appariva preoccupato, e Cathay diede una pacca sulle spalle a Lilo. Lei gli rispose con un ghigno.

«È chiaro che non potete esserne sicuri. Dovrete fidarvi della mia parola. Ma l’alternativa è la morte certa. Sappiate che noi trasmetteremo, se ci saremo costretti. Se Tweed non accetterà le nostre proposte, voi ucciderete comunque tutti coloro che sono su Poseidone, e noi non avremo niente da perdere. In questo modo anche voi avete la possibilità di sopravvivere.

«Pure l’alternativa di Tweed è semplice. Da questo momento ha esattamente centoquindici minuti di tempo per accettare le nostre proposte. Se in questo periodo Niobe non ci dirà niente, cominceremo a trasmettere.»

«Lo stiamo chiamando,» disse Vaffa. «Ho solo un’altra domanda: come faccio a sapere che stai dicendo la verità? che hai veramente spostato Poseidone dalla sua orbita?»

«Uh… immagino di non poter dimostrarti che non è un bluff. Comunque non cambia niente. Fra centoquattordici minuti comincio a trasmettere.»

«Bene.» Ci fu una pausa. «Penso che tu dica la verità. È stata una bella botta.»

Lilo si rimise a sedere. Stava sudando. Guardò Cathay e si scoprì a sperare nella sua approvazione.

«Come sono andata?»

«Mi è parso molto bene,» rispose. Si stava rendendo pienamente conto che non potevano più tornare indietro. Suo figlio era laggiù, fuori della sua portata, in balia delle decisioni di Tweed. «Che succede se non accetta? Vorrei quasi che non avessimo fatto niente. È… è una tale responsabilità…»

Lilo allungò una mano e lo toccò, delicatamente. Sapeva di rischiare meno di lui, tuttavia anche per lei era molto importante che tutto andasse bene. La sua iniziale antipatia verso Cathay era svanita appena aveva cominciato a capirne il modo di pensare e gli interessi di lui avevano preso a coincidere meglio con i suoi. Lei era impaziente di conoscere suo figlio, che sembrava essere stato il miglior amico del suo clone. Sperava di averne la possibilità.

«Cos’altro può fare?» esclamò Lilo. «Ci abbiamo pensato un milione di volte.»

«Lo so. Ho solo paura che ci faccia qualche scherzo.»

«Senti. Quando Tweed riceverà il messaggio di Vaffa, avrà due ore di tempo. Un paio di minuti per decidere, quarantotto per ricevere la sua risposta e altri quarantotto minuti perché la nostra trasmissione arrivi sulla Luna. È un personaggio pubblico. I computer della polizia sanno dov’è perché è un possibile bersaglio di attentati. Se scompare improvvisamente, senza avvertire nessuno, in sessanta secondi sarà ricercato da tutta la macchina statale.»

«Ma deve aver preparato qualcosa. Sapeva che ero quassù, con una radio, e che avrei potuto accusarlo appena l’avessi voluto.»

«Ma sapeva che non l’avresti fatto. Ne era abbastanza sicuro, altrimenti avresti ucciso tuo figlio.»

Cathay cominciò a tremare e Lilo gli accarezzò una spalla. La cabina di controllo del rimorchiatore era troppo stretta persino perché potessero voltarsi e mettersi uno di fronte all’altro, ma riuscì a dargli un bacio su una guancia.

«Tweed non ha scelta,» ripeté Lilo. «Se non fa quello che vogliamo noi ha solo due ore di tempo per nascondersi in un posto talmente sicuro da sfuggire alle nostre massicce ricerche. Non credo che sia in grado di farlo.»

«Ma trasmetteremmo davvero?» Il tormento di Cathay aumentava. Sarebbero state due lunghe ore.

Lilo non disse niente. Adesso la situazione era veramente al di fuori del loro controllo; lo era da quando la Vendetta era precipitata. Se non avessero ricevuto qualche conferma da Niobe entro due ore, avrebbe significato che su Poseidone stavano succedendo cose tremende, spaventose, impensabili.

A quel punto avrebbero senz’altro trasmesso…


Tweed era una figura popolare nelle strade di King City e questo gli era sempre piaciuto. La maggior parte dei suoi ex elettori erano contenti di vederlo camminare pesantemente in Clarice Boulevard. Talvolta andava in giro senza una meta e con l’espressione cordiale, avvicinandosi alla gente; aveva un sorriso e una pacca sulle spalle per tutti.

A volte, però, era necessario tenere a distanza l’affetto della gente. Si doveva sì familiarizzare col popolo per continuare a vincere le elezioni, ma c’erano anche occasioni in cui era indispensabile potersi spostare liberamente, senza essere assaliti dai fans. Il cappello era il segnale: se lo teneva in mano erano liberi di parlare con lui, se lo indossava, voleva dire che era impegnato negli affari pubblici.

Col cappello saldamente piantato in testa, il Gran Capo Tweed marciava in mezzo al corridoio, implacabile come un rinoceronte, sbuffando nuvole azzurre di fumo dal sigaro.

Voltava gli angoli con la grazia pesante di un rimorchiatore, addentrandosi sempre di più nelle zone meno frequentate della città. In fondo a un corridoio deserto c’era una porta anonima. Si aprì riconoscendo l’impronta della sua palma; lui entrò in una piccola stanza e si richiuse la porta alle spalle. Schiacciò un pulsante e la stanza cominciò lentamente a scendere.

Si levò la giacca nera e grigia, i pantaloni larghi, le scarpe di cuoio, le ghette bianche. In pochi secondi si ritrovò nudo davanti a un mucchio di vestiti. Senza scarpe era più basso di nove centimetri, ma era sempre un uomo alto.

Si fece qualcosa alla faccia e le guance cadenti caddero ancora di più, fino a staccarsi. Le prese in mano. Al tatto erano calde, di una plastica a metà fra la materia viva e quella morta. Lasciò cadere le due masse tremolanti sulla pila di vestiti, sulla tuba che aveva indossato tutti i giorni per cinquant’anni. Il cappello si ripiegò su se stesso.

Rimase per un attimo a guardare il mucchio di vestiti e cominciò a tremare.

«No,» disse. «No, questa non è la fine. È solo una battuta d’arresto.» Si appoggiò a una parete e aspettò che quella specie di collasso gli passasse. Con la faccia sepolta fra le mani si tolse altri strati di plasticarne.

Allorché finalmente sollevò lo sguardo era una persona diversa. Aveva perduto trent’anni di età apparente, e anche la sottile rete di rughe e di sporgenze che aveva reso la sua faccia quella di un essere umano maschio. Adesso era androgino; la sua grossa pancia non poteva nascondere il fatto che non aveva organi sessuali. Le due protuberanze del petto potevano appartenere tanto a una donna quanto a un uomo molto grasso.

Si raddrizzò. Con un rumore di qualcosa di viscido venticinque chili di plasticarne gommosa gli caddero dalla pancia, dalle braccia, dalle gambe, dal sedere. I seni rimasero; sporgevano sopra uno stomaco piatto che non vedeva da cinquanta anni.

Adesso Tweed sembrava una femmina; ma un esame attento delle labbra nascoste sotto il triangolo dei peli pubici non avrebbe rivelato nessuna apertura vaginale. Nessun ormone percorreva il corpo di Tweed, niente che potesse distoglierlo dal suo scopo. Aveva deciso di essere neutrale molto tempo prima e non se ne era mai pentito. Adesso quel fatto l’avrebbe aiutato a salvarsi la vita. Di solito il primo passo nell’assunzione di una nuova identità comportava un intervento di chirurgia plastica radicale. Da solo, non sarebbe mai bastato a risolvere il problema, ma era un primo passo essenziale. Lui l’aveva appena compiuto in tempo record, come aveva progettato tanto tempo prima, se mai fosse dovuto arrivare a tanto.

«Arrivare a tanto…» borbottò. Di nuovo si sentì mancare. Barcollò e quasi cadde sul pavimento scivoloso. La plasticarne si era dissolta, come pure i vestiti. L’acqua e la poltiglia grigiastra che erano rimaste venivano risucchiate in un condotto del pavimento.

Ripensò agli anni successivi ai primi barlumi della visione, rivide il futuro di una Terra liberata. Sapeva che c’era chi lo considerava un opportunista, chi pensava che stesse semplicemente sfruttando un movimento di opinione che sulla Luna era cresciuto per un secolo. Invece era sincero.

Anzi, Tweed era stato talmente sincero da prendere il suo unico figlio ed educarlo perché diventasse un assassino, un esecutore di ordini, di qualunque ordine. Prima di farlo aveva studiato libri antichi per un anno, ed era riuscito a tirar fuori un soldato. I metodi dei marines degli Stati Uniti e dell’Armata Rossa, uniti a una terapia farmacologica e alla psicologia comportamentale, avevano funzionato in modo eccellente. Vaffa non l’aveva mai deluso, a parte la sensazione di tristezza derivante dal fatto che lui e i suoi fratelli e sorelle clonati costituivano una compagnia decisamente noiosa.

Sarebbe stato uno scandalo, senza dubbio. Anche con la moratoria di un mese, le cose sarebbero cominciate a saltare fuori non appena fosse stata chiara la scomparsa di Tweed. Dapprima l’avrebbero cercato, i programmi di localizzazione automatica si sarebbero interessati a lui; in seguito, iniziate le domande, le cose sarebbero cominciate a venire a galla. Vaffa sarebbe stata la prima, ma ce ne sarebbero state altre. Sulla Luna c’erano sempre due Vaffa, e lui non poteva farci niente.

Adesso si trovava di fronte al problema quasi insolubile di ridiventare un cittadino con il diritto alla vita, registrato nelle memorie dei computer. Non poteva più essere il Gran Capo Tweed; doveva insinuarsi fra le pieghe dei circuiti integrati, proprio il compito che aveva assegnato a una dozzina di criminali in alternativa al fatto di lavorare per lui. Non era impossibile — membri del partito occupavano posizioni chiave in molti dei computer più importanti — ma ci sarebbe voluto del tempo.

«È solo una battuta d’arresto,» si ripeté Tweed.

Ma doveva proprio esserlo? La faccia di lui/lei si corrugò mentre Tweed riesaminava i fatti. C’era ancora tempo per annullare gli ordini impartiti a Vaffa, ma era agli sgoccioli. La faccia si contorse e lui/lei sbatté un pugno sulla parete. Lilo!

Tweed aveva sempre saputo, dentro di sé, che con i rischi che lui/lei correva era inevitabile che un giorno qualcuno fuggisse. Poi, qualche mese prima, la chiamata da Plutone. Lilo che parlava attraverso Vaffa e gli diceva cosa doveva fare. L’aveva molto disturbato, ma in effetti non aveva avuto scelta. E adesso questo colpo finale, e di nuovo da parte di Lilo. Ma quale? L’insegnante, Cathay, dopo essersi impadronito del rimorchiatore, ne aveva scaricato il pilota vicino a Poseidone. L’uomo aveva detto che Cathay era solo, che Lilo era caduta dentro al buco nero o su Giove. Come aveva fatto a tornare?

Tweed si ricordò allora che Lilo aveva una base sugli Anelli. Doveva essere quella. L’altra era morta. Il pensiero le diede una soddisfazione crudele. Aveva il comunicatore in mano, pronto a metterla in contatto col ripetitore. Poteva dire a Vaffa di ucciderli tutti. Si arrestò col pollice sul pulsante.

Due ore, il tempo che gli sarebbe rimasto se avesse dato quell’ordine. In due ore Lilo avrebbe raccontato tutto e tutti i poliziotti del sistema solare avrebbero dato la caccia a lui. Ce l’avrebbe fatta? Aveva risorse che Lilo non sospettava nemmeno; già il cambiamento di sesso avrebbe tenuto le autorità su una falsa pista per almeno tre o quattro ore.

Tutto questo, però, presupponeva che nessuno la stesse ancora cercando. Se avesse dato l’ordine adesso, la caccia sarebbe iniziata due ore dopo. E le si sarebbero letteralmente messi alle calcagna. Passò l’unghia del pollice sul pulsante del trasmettitore.

No. Aveva bisogno di qualche giorno per distanziarli. In quattro giorni — due, con un po’ di fortuna — sarebbe stata una persona diversa, con un curriculum di settant’anni adeguatamente registrato nelle memorie dei computer. Il Gran Capo Tweed era morto e la donna che era diventato voleva vendicarlo. Ma sarebbe costato troppo. Entro due o tre anni sarebbe tornata. Sarebbe stata qualcun altro, ma non sarebbe dovuta ripartire da zero. Il Partito per una Terra Libera sarebbe vissuto, e lei ne sarebbe stata il capo.

Il comunicatore cadde a terra e la porta dell’ascensore si aprì. La donna nuda uscì e si affrettò lungo il corridoio. Aveva molte cose da fare.


La mensa era al completo ed erano stati di poco superati i limiti di sicurezza, anche se per Lilo era difficile crederlo. La stanza non sembrava affollata.

Su Poseidone non c’erano grandi possibilità di riunirsi. I Vaffa avevano ostacolato la formazione di gruppi di più di dieci persone. C’erano ampi spazi nelle zone abbandonate, ma non avevano ancora avuto il tempo di rioccuparli. Avevano provato a riunirsi in una di quelle stanze, però non era piaciuto a nessuno, con tutte le tute in funzione. Era impossibile vedere le espressioni dei volti.

Così era stata scelta la mensa. Essa era, tuttavia, non meno sconcertante. Le persone dovevano disporsi intorno al cilindro rotante a distanze uguali le une dalle altre; inoltre dovevano sedere tutte sulla circonferenza interna, cosicché l’oratore veniva a trovarsi esattamente sopra le loro teste. Ci furono un sacco di torcicolli.

«Ma mi avevate promesso due settimane,» stava dicendo Vejay. «Ho fatto del mio meglio. Se potete darmi altri quattro giorni, anche solo tre giorni, potrei…»

«Ci rendiamo tutti conto del tuo desiderio di darci il miglior propulsore possibile, Vejay,» intervenne Cathay. «Ma ci hai appena detto che quello che hai messo a punto funzionerà, no?»

«Però posso garantirlo solo per un paio di mesi.»

«Se solo mi ascoltassi…»

«Stavo parlando io, no?»

Lilo sprofondò ancora di più nella sedia. Le riunioni l’annoiavano. Perché Cathay non gli diceva semplicemente di farla finita e fissava il momento dell’accensione? D’altronde, ammise, proprio per questo lui è un presidente migliore di lei. Se ne rendeva conto: appena era stato proposto il suo nome, lei aveva immediatamente rifiutato. E Cathay era stato abile. Finora era riuscito a fare esattamente quello che i consiglieri avevano detto che andava fatto, e si era comportato in modo da far apparire che convenisse a tutti. Se non era quella la definizione di un buon capo, Lilo non sapeva quale altra potesse essere.

Ma non si era mai aspettata che mettere d’accordo un gruppo di ottanta persone su qualcosa fosse più difficile che sconfiggere Tweed.

Il propulsore era pronto, checché dicesse Vejay. Era un cultore dei meccanismi perfetti e l’affare che aveva messo insieme sull’altra faccia di Poseidone offendeva il suo senso estetico. Ma avrebbe funzionato. Avrebbe funzionato abbastanza da metterli al riparo da qualsiasi possibile inseguimento. Ed era ciò che contava, come Cathay metteva in risalto ancora una volta.

«Tweed deve aver capito che se gli avessimo concesso un mese, poi gliene avremmo concessi due, e che anzi non avremmo mai detto niente. Non ci guadagniamo niente ad accusarlo. So che una minoranza vorrebbe farlo, ma vi ricordo che non siamo ancora al sicuro. Voi che lo odiate tanto dovreste sapere meglio di chiunque altro che se ha modo di arrivare a noi con l’inganno, lo farà solo per crudeltà. È per questa ragione che fin dall’inizio abbiamo deciso di partire entro dieci giorni. So che è stato difficile…» la frase fu accolta da un coro di consensi, «…ma ce l’abbiamo quasi fatta. Fra poche ore saremo in grado di metterci in cammino, e dopo le nostre possibilità aumenteranno notevolmente.»

Lilo si distrasse di nuovo. Continuava a esaminare il gruppo. Non aveva avuto il tempo di conoscere molti dei presenti, anche se parecchi avevano l’irritante abitudine di considerarsi suoi amici per il fatto che erano stati amici del suo clone morto. Sorrise vedendo Cass a sessanta gradi di distanza. Finora era stato uno dei pochi a non contare sulla precedente amicizia col suo clone. Sembrava disposto a ricominciare da capo. In quel caso approvava la valutazione di sua sorella.

Seduti davanti a lei, in un gruppo compatto, c’erano i Vaffa. Erano otto. Meno di quanti si era temuto, ma abbastanza da mettere tutti a disagio. Erano stati nove. La morte di uno di essi in seguito a quello che doveva essere considerato un linciaggio era stata la prima crisi alla quale la comunità si era trovata di fronte. Gli altri Vaffa, già timorosi, si erano rifugiati in una stanza e avevano giurato di combattere fino all’ultimo. C’era voluta tutta l’abilità di Cathay per farli uscire. Da parte loro avevano mantenuto i patti e non avevano sollevato un dito su nessuno. Restava da vedere come si sarebbero comportati a lungo andare. C’erano molti risentimenti di antica data che dovevano essere superati.

«Adesso ascolteremo le osservazioni della commissione ecologica,» disse Cathay. «Krista, vuoi fare il tuo rapporto?»

Krista era una delle poche persone che Lilo conoscesse bene. Era una grande lavoratrice, uno degli scienziati che Tweed aveva rapito quando non era riuscito a trovare ciò che voleva nelle prigioni. A Lilo piaceva, a parte quella tendenza a voler sapere cosa aveva fatto Lilo per finire in prigione.

«Vorrei poter offrire delle garanzie più solide,» disse Krista. «C’è scarsità di alcuni elementi che vengono perduti nei riciclatori secondari. Lilo e io stiamo lavorando a un sistema terziario per recuperare quello che abbiamo. Ma se non riusciamo a trovare qualcosa scavando fra le rocce, fra pochi anni saremo in difficoltà.»

«Ma quali sono le prospettive per il nuovo sistema?» chiese Cathay.

«Ecco, non vorrei sbilanciarmi troppo, ma…»

«Possiamo farcela!» gridò Lilo. «Dobbiamo farcela, quindi ce la faremo. Mettiti a sedere, Krista!»

Gli altri rapporti riferirono più o meno le stesse cose. C’erano diverse zone in cui i danni non erano stati completamente riparati e i lavori erano in corso. Tutti volevano più tempo, ma finalmente fu raggiunto l’accordo: non c’era nulla che impedisse di partire rapidamente.

Cathay li ascoltò tutti fino in fondo, poi batté il suo martelletto sul tavolo.

«Siete stati voi a eleggermi. Mi avete dato il potere di decidere quando iniziare il viaggio. Ora eserciterò questo potere. Partiremo fra diciotto ore.»

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