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Il Canto degli Anelli, di Clancy-Daniel-Mitre. Una raccolta di poesie collaborative umano-simb antiche. Circa 240-300 O.E. Lettura aperta.

Fra tutte le cose ricevute attraverso la Linea Calda Ophiucus nessuna è più meravigliosa del simb. Nella prima parte del terzo secolo, i simb erano considerati la salvezza della razza umana. I futuristi immaginavano il giorno in cui ogni essere umano sarebbe stato associato a un partner simb e si sarebbe liberato per sempre della dipendenza dalle camere stagne, dalle coltivazioni idroponiche e dall’acqua riciclata. Ogni essere umano sarebbe stato un minuscolo modello della Terra perduta, libero di vagare a piacimento per il sistema solare.

È facile capire che cosa ispirasse questo ottimismo. La simmetria del concetto è stupefacente. Ogni coppia essere umano-simb è un sistema ecologico chiuso che ha bisogno solo della luce del sole e di una piccola quantità di materiale solido. Il simb vegetale raccoglie la luce del sole dallo spazio e se ne serve per trasformare i materiali di scarto umani e l’anidride carbonica in cibo e ossigeno. Nello stesso tempo protegge il fragile essere umano dal vuoto e dal calore e dal freddo eccessivi. Il corpo del simb si estende nei polmoni e attraverso il canale di alimentazione. Ogni singola parte nutre l’altra.

Quello di cui non tenemmo conto fu la mente del simb. Privo di cervello, un simb non è che un pezzo di materia organica artificiale finché non viene in contatto con un essere umano. Una volta permeato il sistema nervoso del suo ospite, nasce come essere pensante. Divide il cervello con l’uomo. I primi ricercatori scoprirono che, una volta innestato, il simb non poteva più essere rimosso. Da allora, relativamente poche persone hanno scelto di rinunciare alla propria intimità mentale in cambio dell’utopia degli Anelli.

Ma nella delusione abbiamo ricevuto un regalo prezioso. La società degli Anelli non è una società umana. Noi viviamo in stanze e corridoi; loro hanno tutto lo spazio. Durante la nostra vita abbiamo il diritto di generare un figlio; loro si riproducono come batteri. Noi siamo isole; loro sono menti accoppiate. È una relazione difficile da immaginare.

L’unione magica di due menti diverse crea in qualche modo una tensione. Scoccano scintille, scintille di sorprendente creatività. Tutti gli abitanti degli Anelli sono poeti. La poesia è un sottoprodotto della vita. Per quelli di noi che non hanno il coraggio di accoppiarsi, che aspettano i rari contatti degli abitanti degli Anelli con la società umana i loro canti non hanno prezzo.


Parameter stava fluttuando su un deserto che nessun orizzonte poteva contenere. Era rivolta verso il sole, che era un disco piccolo, ma molto luminoso, appena all’andasse di rotazione di Saturno. Saturno stesso era un foro nero nello spazio con accanto una luna crescente affilata nella quale il sole era incastonato come una pietra preziosa.

Lei non vedeva niente di tutto questo. Il sole lo percepiva come una pressione e un vento, Saturno come un pozzo freddo e profondo.

L’alba era stata deliziosa. Poteva ancora avvertirne i sapori che passavano attraverso la sottile apertura del suo corpo, formatasi per riceverla. Era un girasole.

Il ritmo dei girasoli era pigro, vegetale. Parameter aveva permesso a Solstizio, il suo simb, di staccare i centri visivi del cervello per poter assaporare i semplici piaceri dell’esistenza vegetale. Teneva le braccia allargate alla luce e i piedi piantati ben saldi nel suolo fertile che era il suo simb. Era un momento piacevole.

Vista dall’esterno, Parameter era il centro di un sottile parasole di cento metri, leggermente parabolico. Era un ragno seduto in mezzo a una bolla di sapone congelata, ma la bolla era solcata da vene, come la superficie interna di un bulbo oculare. Nelle vene scorrevano dei fluidi, alcuni simili al latte, altri di un rosso intenso, altri ancora di un marrone violaceo. Da un punto vicino all’ombelico di Parameter partiva uno stelo sottile con all’altra estremità un nodulo delle dimensioni di un pugno. Era in uno dei fuochi della parabola e riceveva la poca luce del sole che veniva riflessa dal girasole. Faceva caldo lì, un centro bollente intorno al quale Parameter ruotava. Nel nodulo e nei capillari del girasole si svolgevano reazioni chimiche.

La sua attività cerebrale era ridotta quasi a zero, salvo i ricorrenti massimi di Solstizio, che non si addormentava mai completamente.

«Parameter.» Non era una voce, neppure quando Parameter era più conscia di allora. Le parole le si formavano nella mente, come i pensieri, però non erano i suoi pensieri.

«(Identificazione; leggero rimprovero; ricettività.)»

«Andiamo. Svegliati.»

«Che c’è?»

«Sei pronta per la visione, adesso?»

«Certo. Perché no?»

Solstizio, come un centralino nel retro del cervello, chiuse i contatti che avrebbero permesso alla corteccia visiva di Parameter di comunicare con il proencefalo: vide.

«Che bel mattino.»

«Sì. Davvero bello. Aspetta di aver letto i giornali. Non sarai più così contenta.»

«Non si può aspettare? Perché rovinarlo?» Parameter non aveva nessuna fretta. Era almeno un secolo che non si sentiva spinta ad affrettarsi.

«Certo. Dimmelo, quando sei pronta.»

Parameter comunicò un divertimento contorto al suo simb. (Immagine di lui con una spada e un pugnale, che indossava un elmo di ottone e prendeva uno scudo sbalzato.) Solstizio rispose. (Immagine di Parameter che saliva una scala, guardando le stelle, e non si accorgeva che cercava di salire su un gradino che non c’era.)

Parameter si stirò, facendo ondeggiare lentamente il tenue parasole. Strinse i pugni di tutte e quattro le mani — non aveva piedi, se li era fatti sostituire con delle grosse mani quando si era accoppiata — poi aprì le venti dita. Una mano attirò la sua attenzione. Era pallida, ma si faceva più rosa mentre la guardava. Parameter aveva il colorito di un’albina; la pelle sotto le unghie era ambrata e diventava rapidamente arancione. Solstizio stava facendo le valigie e pompava fluidi da tutte le parti: si preparava a muoversi.

Niente di ciò che vedeva era reale. I suoi occhi erano protetti dalla sostanza opaca di Solstizio; erano anni che la luce non colpiva le sue retine. Se avesse guardato il sole con i suoi occhi, come sembrava che facesse, le cellule sarebbero state distrutte. Quello che vedeva era il risultato degli impulsi nervosi che i ricettori sensori di Solstizio le inviavano nelle diverse zone del cervello. Le sembrava di fluttuare nuda nello spazio e di sentire i raggi di sole sul corpo. L’illusione era perfetta.

«Bene. Che c’è?»

«Ecco che c’è. Due minuti fa ho captato questa trasmissione. Veniva dalla stazione di Janus, canale diciannove. Dove la vuoi?»

«Non importa. Dovunque.»

Fra Parameter e il semicerchio scuro di Saturno apparve un’immagine tridimensionale. Sembrava reale quanto tutto il resto. Si vedeva all’interno di una stanza. Avrebbe potuto trattarsi di qualsiasi stanza, ma dentro c’era una donna che Parameter conosceva. Il commentatore spiegava che Lilo, la Nemica dell’Umanità, era stata giustiziata. Disse a che ora, in che posto, e fece un breve riassunto dei suoi crimini. Quando il commento diventò una conferenza sui mali della sperimentazione genetica, Solstizio interruppe il programma senza che Parameter dovesse chiederlo.

«Sapevamo che sarebbe successo,» osservò Parameter, meravigliandosi che la notizia non la turbasse maggiormente.

«Così è stato.»

«Bene. E adesso dov’è?»

Il suo sguardo si spostò. Sembrò che Saturno ruotasse sotto di lei, finché non vide gli Anelli dall’alto. Ebbe l’impressione di essere sospesa sopra il circolo polare artico.

In fondo all’Anello, vicino al punto in cui l’ombra di Saturno lo intersecava, una piccola freccia verde si accendeva a intermittenza.

«Quelli siamo noi,» disse Solstizio. Procedendo lungo l’Anello, a circa sessanta gradi in senso rotatorio, apparve una freccia rosso scura. Il colore rivelava la natura della roccia. Era sul bordo dell’Anello Alfa, quello più esterno, dove per cinque anni non ci sarebbero state grosse perturbazioni.

Solstizio mostrò l’immagine più da vicino. Era la capsula vitale di Lilo come Parameter l’aveva vista l’ultima volta e che Solstizio aveva estratto dalle zone del loro cervello comune alle quali Parameter non poteva accedere senza ipnosi.

Era una roccia. Un po’ più grande della media, ma nell’insieme una roccia del tutto normale. Dentro c’erano un generatore nucleare, un elaboratore, un piccolo razzo, un sistema di sostenimento e Lilo. O qualcuno che sarebbe potuto diventare Lilo; un clone che, quando gli fossero stati immessi i ricordi registrati di Lilo, sarebbe diventato la Lilo di cinque anni prima.

«Sono davvero passati cinque anni?»

«E sessanta giorni e tre ore. Ora Corretta della Vecchia Terra.»

«Non sembra così tanto.» Esaminò di nuovo le due frecce. Erano molto distanti.

«Centoquarantunmilaottocentonovantacinque chilometri, metro più metro meno,» disse Solstizio.

«Be’, abbiamo fatto una promessa, no?»

«Aspettavo che tu lo dicessi.»

L’avevano incontrata la prima volta sei anni prima. Lilo aveva costruito la propria stazione di ricerca su Janus, sperando che il fatto che il satellite costituisse il confine fra società umana e società accoppiata implicasse una sorveglianza minore, un’applicazione meno rigorosa degli statuti genetici. Parameter/Solstizio l’avevano incontrata lì durante una delle loro rare visite e gli era immediatamente piaciuta. Era un fatto raro. Gli umani e le coppie di solito non fraternizzavano.

Su Janus erano rimasti vicino al suo piccolo laboratorio, e allorché erano stati pronti per partire, le avevano suggerito di spostare tutta la sua attività sugli Anelli. Lilo non aveva voluto andare così lontano, ma gli aveva chiesto di mettere una sua stazione automatica al limite degli Anelli. Aveva paura di essere presa. Loro avevano accettato di occuparsi del risveglio del clone, se mai ce ne fosse stato bisogno.

Adesso li aspettava un lungo viaggio. Era impossibile fare in fretta. Sebbene potessero procedere a cinquanta chilometri all’ora, dovevano fermarsi tutti i giorni a mangiare. Avrebbero impiegato quasi un anno per arrivare da Lilo.

«Be’, tutti i viaggi iniziano con il primo passo,» disse Solstizio. «Andiamo.»

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