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Primo contatto.

Lilo aveva considerato tutto (o pensava di averlo fatto): dagli esseri costituiti solo di energia ai mostri dei cattivi romanzi di avventure. Aveva vagliato la possibilità che gli Ophiuciti fossero simili agli esseri umani, bipedi, con una simmetria bilaterale. Per certi scopi erano una struttura efficiente. Si era resa conto che avrebbero potuto essere completamente al di là della sua comprensione, più simili agli Invasori che agli uomini.

Aveva trovato un corridoio che avrebbe potuto essere quello in cui aveva giocato da bambina. In fondo c’era una sala riunioni con un tappeto, un lungo tavolo di legno e una dozzina di sedie.

«Direste che è circa un gi?» chiese Javelin entrando nella stanza. Lilo fu stupita nel sentire la sua voce. La stanza assorbiva ogni eco.

«Sì, press’a poco.» Lanciò uno sguardo a Javelin. Non era mai sembrata così piccola come adesso, mentre camminava su due piedi in un campo gravitazionale. Arrivava appena alla vita di Lilo.

«Come pensi che facciano?» continuò Javelin. «Questo posto ruota a causa di una gravità artificiale, non credi? Però noi siamo nel centro, e non dovremmo pesare niente.»

«Ne deriva che riescono a controllare la gravità,» commentò Vaffa.

«Sì, ma allora perché hanno bisogno della rotazione? Se possono darci un gi qui, perché non lo danno anche a bordo?»

«Forse è costoso,» rispose Cathay. «Forse è un gesto di amicizia.»

«Non tiriamo troppe conclusioni,» disse Lilo. «Dobbiamo stare in guardia.»

Lilo sapeva che cercavano tutti e quattro di farsi coraggio. Si erano fermati in fondo alla stanza ed esitavano ad avanzare prima che qualcuno li invitasse a farlo. La voce, inviata sulla frequenza della Cavante, gli aveva detto da dove entrare e di andare in fondo al corridoio. Dopo non avevano sentito altro.

A questo punto la porta all’altra estremità della stanza si aprì e cominciarono a entrare delle persone. Sembravano uomini e donne del tutto normali, vestiti secondo una moda vecchia di due secoli. Avevano un bell’aspetto, simili alla gente che Lilo avrebbe potuto incontrare in un qualsiasi corridoio lunare.

«Prego, prego, sedetevi,» disse un uomo. «Mettetevi dove volete. Non ci formalizziamo da queste parti.»

A nessuno dei quattro venne in mente qualcosa da rispondere, così si sedettero. Quando anche tutti gli Ophiuciti si furono seduti, non rimase nessuna sedia libera. L’uomo che aveva parlato era a un’estremità del tavolo e si era alzato. Appoggiò entrambe le mani sul piano del tàvolo e li guardò. Aggrottò le sopracciglia.

«Ci rendevamo conto che vi sareste trovati a disagio,» disse. «Abbiamo cercato di rendervi l’ambiente familiare, ma forse vi ci vorrà un po’ prima di abituarvi.»

Li guardò uno dopo l’altro, sorridendo.

C’era qualcosa di strano in quel sorriso. Sembrava sincero, ma Lilo ebbe l’impressione che dietro non ci fosse niente. Voleva essere un’espressione d’amicizia, come le sopracciglia aggrottate di prima avevano tentato di mostrare preoccupazione. Guardò Cathay e Javelin per vedere se fosse stata la sola ad accorgersene.

«È una situazione insolita,» continuò l’uomo. «La vostra specie ha un’esperienza limitata di questo genere di situazioni. La mia l’ha già incontrata migliaia di volte. Sappiamo molte cose del vostro tipo e della vostra razza in particolare. Siete preoccupati per questo incontro, avete molti dubbi e vi sembra tutto molto strano.»

Fece un’altra pausa e osservò la doppia fila dei suoi compagni seduti al tavolo. Stavano annuendo tutti. Alcuni di essi mormorarono frasi di approvazione. Cercavano di incrociare lo sguardo degli esseri umani, una familiarità alla quale Lilo non si sentiva pronta. Era disorientata. Stando all’apparenza, quelle persone avrebbero potuto costituire il consiglio di amministrazione di una grande società nel corso di una riunione.

«Prima di tutto dovremmo presentarci. Io sono il portavoce della squadra di contatto e mi chiamo William.» A turno, si alzarono tutti e dissero il loro nome. Lilo non restò molto convinta. Erano tutti nomi arcaici, nomi comuni sulla Vecchia Terra. Allorché ebbero terminato, Javelin si alzò e si presentò e gli altri fecero la stessa cosa.

Dopo che le formalità furono tutte espletate, William si sedette e tutti gli Ophiuciti si rilassarono visibilmente. Ci fu un borbottio di conversazione. Ma quando Lilo cercò di capire cosa stessero dicendo, si accorse che non stavano veramente parlando. Era un borbottio di sillabe senza senso, artificiale come le risa registrate. Uno spettacolo che veniva messo in scena per loro.

«Potrete considerarvi nostri ospiti per tutto il tempo che vorrete. Volete mangiare qualcosa? No? Bene, ma non esitate a chiederlo perché dovremo parlare a lungo. Ci siamo accorti che procedendo a botta e risposta non verremo mai a capo di nulla. E sono sicuro che non avete voglia di ascoltare un’arida conferenza. Perciò abbiamo girato questo breve film che dovrebbe rivelarvi cosa ha portato a questo contatto storico. Alicia, vuoi spegnere le luci, per favore?»

Qualcuno stava armeggiando intorno a quello che sembrava un proiettore cinematografico. Uno schermo scese dal soffitto e mentre le luci si abbassavano, il proiettore cominciò a funzionare. Sullo schermo apparvero dei titoli, accompagnati da una musica di sottofondo in crescendo:


GERARCHIE
PRODOTTO DALLA COMMISSIONE
DI PRIMO CONTATTO DELLA LINEA CALDA

Il film iniziò con un’immagine di stelle e galassie. La voce del commentatore era stata scelta in modo perfetto, pensò Lilo. Era Voce Meccanica Standard, la VMS che tutti gli esseri umani udivano ogni giorno della loro vita. I toni controllati e suadenti ebbero un buon effetto su tutti quanti. Per la prima volta riuscirono a rilassarsi un po’.

«Saluti al popolo del sistema del Sole, un tempo Razza della Terra, dai vostri vicini più prossimi fra tutte le genti della galassia. Da molte centinaia d’anni le nostre due razze sono in contatto attraverso il sistema di comunicazitìne che voi chiamate Linea Calda Ophiucus. È ormai prossimo il momento in cui andranno prese grandi decisioni, e vi saranno dette cose che finora avete solo immaginato.

«L’universo è un posto più strano di quanto abbiate finora pensato. Ciò non costituirà una sorpresa per chi abbia cercato di rispondere agli interrogativi filosofici che la vostra razza si è posta da quando è scesa dagli alberi. Non crediate che stiamo per rispondere a quelle domande. Sotto molti aspetti siamo simili e sembra che anche per noi, come per voi, molti fatti siano destinati a restare avvolti nel mistero. Ma ci sono cose che abbiamo appreso e che voi dovreste sapere, ora che state per arrivare a una svolta decisiva per la vostra sopravvivenza o la vostra scomparsa come razza.

«Abbiamo chiamato questa trasmissione Gerarchie. Come vi è già stato dimostrato nel modo più convincente, la vostra razza non è destinata a diventare una di quelle che dominano sulla galassia. Il vostro pianeta vi è stato preso da esseri più potenti di voi. Non hanno incontrato nessuna difficoltà: è stato inevitabile come la legge di gravità. Adesso vivete in luoghi privi d’aria, nei deserti torridi o gelati del vostro sistema planetario. Alcuni di voi sperano nella liberazione. Altri tentano di fare qualcosa per ottenerla.

«Non sarete liberati. Vi restituiremmo il vostro pianeta, se potessimo, ma è al di là delle nostre capacità. I vostri sforzi per impadronirvi di nuovo della Terra saranno vani.

«Detto questo, dobbiamo adesso spiegarvi perché le cose stanno così. Un buon punto di partenza sarà raccontarvi qualcosa di noi.»


Il film durò circa un’ora. Lilo lasciò che le si chiudessero gli occhi, si allungò sulla comoda sedia, e si lasciò investire dalle informazioni. Il film era girato molto bene, in modo assai simile a un documentario pubblicitario, con rapidi tagli e meticolosa cura nei particolari.

Sentirono parlare degli Ophiuciti in forma riassuntiva, con sequenze che non mostravano mai un essere vivente. Il fatto non sorprese Javelin (come in seguito disse a Lilo) poiché nei quattrocento anni di trasmissioni della Linea non era mai stata data la minima informazione su chi fosse a trasmettere.

Secondo quanto dicevano, erano una razza senza un pianeta natale. Non erano nativi di 70 Ophiucus né di nessun altro sistema.

Javelin si chinò e sussurrò all’orecchio di Lilo: «Ne dubito. Penso che non vogliano dircelo.»

«È possibile.»

Sostenevano di esistere da moltissimo tempo: la loro origine precisa, come affermarono nel film, «si perdeva nei meandri della storia». Avevano reperti storici risalenti a sette milioni di anni prima, e anche a quel tempo la loro società era identica alla attuale.

Il filmato ricapitolò e confermò in gran parte le ipotesi degli uomini sugli Invasori.

«Gli esseri da voi chiamati Invasori appartengono a quello che può essere definito uno strato di intelligenza. Nella galassia ci sono molte razze simili alla loro, compresa una razza nativa del pianeta solare Giove. Queste specie si sviluppano solo su pianeti gassosi giganteschi. Non si servono di strumenti nel senso che intendiamo noi, ma sono piuttosto in grado di manipolare il mondo che li circonda con mezzi che sfuggono alla nostra comprensione. Può essere utile considerarli telecinetici; non lo sono, tuttavia molte delle loro azioni sono simili a quello che potremmo fare noi.

«Per gli Invasori il tempo è una dimensione di una sostanza. Possiamo solo ipotizzare che ciò influenzi la loro percezione della vita, ma non ci serve a molto. Ma questo li pone al di là della nostra portata nello stesso modo in cui noi saremmo al di sopra di un ipotetico mondo bidimensionale.»

Il seguito del filmato confermò quanto Lilo aveva appreso sui delfini molti anni prima, e cioè che rappresentavano un secondo livello di intelligenza. Vaffa sbuffò e Lilo la guardò, chiedendosi che effetto le facessero tutte quelle nozioni. I Terrestri Liberi credevano che i mammiferi acquatici fossero semplici animali e che la versione degli Invasori (secondo la quale erano venuti sulla Terra per liberarli) fosse pura leggenda.

«Le specie in grado di usare strumenti appartengono al terzo livello di intelligenza. Noi apparteniamo allo stesso livello, ma bisogna osservare che possono esserci vari gradi all’interno di un livello. Noi non siamo uguali a voi, e non lo saremo mai. Possiamo parlarvi di alcune cose, ma ce ne sono altre che voi non siete pronti a capire e altre ancora che noi non siamo pronti a rivelarvi. Adesso siamo arrivati al punto di questo messaggio, alla spiegazione di ciò che facciamo qui e del perché siamo stati in comunicazione con voi per tutti questi anni.»

Per la prima volta una faccia comparve sullo schermo. Era una faccia comune, gradevole ma senza caratteristiche particolari, e a Lilo ci volle un secondo prima di rendersi conto che quello era «William». Fece un altro sorriso, non convincente come quelli che Lilo gli aveva visto fare di persona.

«Come abbiamo detto prima, siamo una razza che ha perso contatto con le proprie radici. Per voi sarà forse difficile capire com’è successo. Possiamo solo fare delle ipotesi.»

Sullo schermo, sopra le spalle di William, apparve un pianeta simile alla Terra. «Dobbiamo esserci evoluti su un pianeta molto simile al vostro. Secondo il corso naturale degli eventi, ne venimmo cacciati, com’è successo a voi. Abbiamo osservato questo processo migliaia di volte, e varia pochissimo da razza a razza.» Sullo schermo, migliaia di navi fuggivano dal pianeta e andavano sulle diverse lune e sugli asteroidi del sistema.

«Dopo un po’ le razze come la vostra e la nostra cominciano a domandarsi se non possano riconquistare il proprio pianeta natale. Cominciano a compiere passi in quella direzione. Ma in breve gli esseri dei pianeti gassosi giganteschi mettono fine a questi esperimenti. Come prima, non incontrano nessuna difficoltà.» Lilo osservò forme indefinite levarsi dal pianeta azzurro e sciamare sugli altri. Quello che stava succedendo era chiaro, senza che ci fosse bisogno di commento. «Così è accaduto a noi. Già cacciati dal nostro mondo natale, venimmo attaccati nei luoghi nei quali c’eravamo rifugiati. Come nell’invasione originale, solo pochi di noi sopravvissero fuggendo sulle stelle più vicine. È’ il destino che aspetta voi fra poco. Siete tutti a conoscenza della sempre crescente importanza del gruppo denominato Partito per una Terra Libera. Sono ormai molti secoli che la vostra razza ha accettato l’esilio senza protestare. È venuto il tempo che si levino voci di dissenso. È improbabile che vengano soffocate. Possiamo dirvi — e lo facciamo in modo ufficiale in questo momento — che il capo dei Terrestri Liberi, Tweed, ha intrapreso su Giove e su un’orbita vicina alla Terra esperimenti che hanno certamente attratto l’attenzione degli Invasori per gli esseri umani viventi sugli Otto Mondi. Sono esperimenti dannosi, ma Tweed non è un mostro. Comprendiamo il suo desiderio di ristabilire il dominio umano sul pianeta natale». Notiamo soltanto che i suoi tentativi sono inefficaci.

«Se non l’avesse fatto Tweed, l’avrebbe fatto qualcun altro, se riuscirete a fermare Tweed ci saranno altri che ne prenderanno il posto. Sappiamo per esperienza che, quando è arrivato il momento che un’idea si affermi, non serve a niente cercare di sopprimerla. Alcuni di voi non ascolteranno i nostri avvertimenti, così continuerete per la stessa strada. Continuerete a misurarvi con gli Invasori. A un certo punto sarete pronti a tentarla voi un’invasione. Fallirà, e quelli di voi che resteranno negli Otto Mondi saranno sterminati.

«Qualcuno riuscirà a fuggire. I viaggi interstellari sono già alla vostra portata. Non c’è mai stata una sufficiente pressione economica che vi costringesse a ottenerli. Alcuni di voi, comunque, daranno ascolto, e se ne andranno in tempo. Vorrei potervi dire che a questo punto la storia è a lieto fine.» Una pausa. «La galassia è un luogo affollato,» continuò William. «La nostra razza non tardò a scoprirlo. La ricerca di un posto su cui vivere è lunga e difficile. Alcune specie non riescono mai a trovarlo. Si estinguono. Altre si frazionano e non sono in grado di mantenere contatti fra i loro frammenti sperduti. E a poco a poco mutano. Nuove razze nascono nello spazio interstellare. Fra le stelle si svolge un processo di evoluzione più severo di quello che ha fatto nascere la vostra razza sul vostro mondo. Dove c’è conflitto di interessi, la lotta è senza quartiere. Guerra è un termine troppo semplice per descriverla. Le specie possono cambiare, associarsi, assorbirsi l’una con l’altra.

«Noi chiamiamo noi stessi i Mercanti. In un certo senso non abbiamo un singolo pianeta natale, anche se dev’essere esistita una razza originale che per prima mise a punto la nostra forma di vita. Allo stadio attuale, siamo un amalgama di molte razze che hanno raggiunto un equilibrio tale da sopravvivere.»

Apparve la stazione della Linea Calda. Ruotava lentamente. Ne emerse un faggio di luce rossa che passò vicino a una stella gialla.

«I Mercanti sono un’organizzazione avente lo scopo di fornire alle razze cacciate dai rispettivi pianeti le nozioni necessarie per sopravvivere. Trasmettiamo informazioni, come abbiamo fatto con voi. Attraverso i secoli vi abbiamo insegnato a manipolare la vostra struttura genetica. Per motivi vostri avete deciso di non modificarvi. Avete ignorato la maggior parte delle informazioni che vi abbiamo inviato, e che avevano per lo più a che fare con le alternative a cui vi sareste trovati di fronte alterando il DNA umano. È una situazione insolita; abbiamo incontrato poche razze che esitassero a modificarsi. Per qualche ragione la vostra razza ha assunto un atteggiamento così carico di pregiudizi nei confronti di un cambiamento che non siete nemmeno in grado di comprendere le informazioni che vi abbiamo inviato su voi stessi.

«Non potete più permettervelo. Dovete smettere di definire la vostra specie con qualcosa di cosi arbitrario come un codice genetico e compiere il grande salto verso una consapevolezza razziale capace di tenervi uniti nonostante le differenze fisiche che introdurrete fra voi. E dovete definire la vostra razza meglio di quanto non abbiate fatto finora. Oggi non sapreste neanche dirci cos’è che rende umano un essere.

«Quello che vedete davanti a voi,» William allargò le braccia e si guardò il corpo, «secondo i vostri standard sarebbe considerato un essere umano. Questo corpo è infatti geneticamente umano. Però io sono solo un suo occupante temporaneo, nello stesso modo in cui molti individui fra voi adesso vivono in corpi clonati e vivranno in altri corpi durante la vostra vita.»

L’immagine cambiò di nuovo. Lilo vide il Gran Concorso a King City, sulla Luna, un luogo che aveva visitato molte volte. Le persone camminavano davanti alle macchine da presa pensando ai fatti loro.

«Adesso viene la botta,» sussurrò Javelin. «Tieni stretta la carta di credito e le otturazioni d’oro.» Aveva le narici dilatate e gli occhi lucidi. Fiutava una proposta d’affari, e bastava a renderla felice.

«Noi chiamiamo noi stessi i Mercanti. Sapete cos’è che diamo. Sono secoli che ne ricevete. Nessuno ha mai pensato di chiederci se volessimo qualcosa in cambio. Vogliamo qualcosa, qualcosa di molto semplice e molto difficile da spiegare.

«Vogliamo la vostra cultura.»

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