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Come posso riassumere la nostra vita su Poseidone?

I notiziari che riuscimmo a ricevere i primi giorni ci chiamavano «la Luna fuggitiva». Da Mercurio a Plutone, c’era una grande costernazione. La partenza di Poseidone veniva considerata foriera di eventi disastrosi da parte degli Invasori. Tu proposto di chiamare alle armi tutti gli esseri umani del sistema solare per prepararsi alla guerra imminente.

Naturalmente la guerra non ci fu, e a poco a poco l’agitazione si spense. Molto tempo dopo sentimmo qualcuno osservare che forse Poseidone era stato spostato per mezzo di tecniche conosciute anche agli uomini, e che potevano essere stati dei fuorilegge umani a farlo. L’idea non parve riscuotere molto successo, e del resto eravamo già troppo lontani e ci muovevamo troppo rapidamente perché potessero farci qualcosa.

Lavorammo freneticamente per un anno. L’impatto della Vendetta aveva provocato molti danni alle gallerie e alle stanze. Un sovraccarico di energia aveva fatto saltare il sistema di riscaldamento che teneva in vita le coltivazioni idroponiche. Tutte le piante morirono. Per un certo tempo vivemmo col cibo di emergenza, al buio. Non c’era aria sufficiente per pressurizzare i corridoi molti dei quali avrebbero avuto delle grosse perdite se l’avessimo fatto — così continuammo a vivere dentro le nostre tute imponendoci uno stretto razionamento dell’ossigeno.

Cathay e io non avevamo avuto modo di sapere se l’impatto della Vendetta avesse provocato danni irreparabili a qualche impianto vitale. Vejay era certo, diceva Cathay, che sul planetoide ci fosse già tutto il necessario per renderlo autosufficiente. Alla fine dovemmo rischiare con le vite di tutti coloro che erano su Poseidone.

Nel primo momento di entusiasmo dopo la vittoria, tutti furono contenti di ciò che avevamo fatto. Cathay fu senz’altro nominato primo presidente. Anch’io venivo ammirata. Ma non durò a lungo. Dopo sei mesi Cathay non ricopriva più quella carica ed evitavamo tutti e due di guardare in faccia le persone che incontravamo nei corridoi bui e privi d’aria.

Ma andò bene. Per molti anni Tweed aveva inviato attrezzature per rendere la base meno legata ai rifornimenti inviati con l’astronave. L’aspetto più rischioso della sua operazione era sempre stato mandare le astronavi su Giove, e meno ne mandava più era contento. Una a una, le necessità di Poseidone erano state soddisfatte da piccoli macchinari, per lo più azionati a mano. L’energia c’era, più di quanta le macchine potessero mai utilizzarne. Le materie prime potevano essere estratte o trasformate grazie a quell’illimitata fonte di energia. C’erano macchine per fabbricare lampadine, circuiti integrati e pompe. C’erano sempre i macchinari già utilizzati per costruire la base e che potevano essere impiegati per sgombrare i detriti o scavare nuove gallerie. C’erano le attrezzature per ricostruire i pezzi che si consumavano.

Dopo tre anni eravamo diventati un sistema ecologico stabile, anche se non eravamo un gran che come comunità. I giorni del razionamento dell’ossigeno erano ormai un ricordo e la base abitata era più grande di quanto lo fosse mai stata negli ultimi quindici anni. La popolazione era aumentata di venti bambini e ce n’erano altri quattro in arrivo. Potevo camminare a testa alta ed essere un membro rispettato della società, adesso che ero Primo Idroponico e Gran Maestro dei Cibi Mutagenici. Ogni volta che mettevo a punto una nuova pianta migliore di ciò che avevamo mangiato per tre anni, il mio prestigio si incrementava.

Dopo cinque anni la situazione si era stabilizzata. Avevamo una scuola all’antica, con gli studenti più numerosi degli insegnanti. Non era male, dopo lutto.

Eravamo tutti sorpresi di quanto tempo e quanti sforzi ci volessero per mandare avanti le cose. Il nostro mondo non ci avrebbe permesso di sopravvivere se non lo avessimo accudito costantemente. Dopo l’Invasione era vero di tutte le società umane, ma di solito le operazioni necessarie avvengono dietro le quinte. Solo il tre per cento della popolazione della Luna, per esempio, lavorava direttamente per un’industria ambientale. Su Poseidone lo eravamo tutti e spesso avevamo due o tre lavori. Quasi tutti eravamo agricoltori, oltre a svolgere gli altri compiti. Lavoravamo dieci ore al giorno.

Il problema era che, pur essendo una società tecnologica, ci mancavano molte delle cose essenziali su cui una società del genere è basata. Ci servivamo di computer per calcolare le mutazioni genetiche delle piante che modificavamo perché crescessero nel nuovo ambiente, quindi le coltivavamo con vanghe e zappe. Gli apparecchi cibernetici e discrezionali automatici così comuni nella civiltà lunare — quelli che in pratica effettuano gran parte del lavoro fisico — non erano abbastanza. Non avevamo un’industria sofisticata al punto di costruire quei congegni o di sostituire le componenti dei nostri migliori computer in caso di avaria. Eravamo ridotti ai circuiti integrati, alle lampadine col filamento incandescente, ai superconduttori raffreddati a elio e alle altre tecniche più semplici e più antiche. Non eravamo proprio nell’età neolitica, ma talvolta avevamo l’impressione di esserci.

E dopo nove anni viaggiavamo a metà della velocità della luce.

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