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Con la lavagna alle spalle e di fronte un cerchio di ascoltatori intenti, Arnie si sentiva profondamente a suo agio. Gli sembrava di trovarsi ancora in un’aula dell’università, invece che nel quadrato della Vitus Bering. Con fatica, resisté all’impulso di voltarsi a scrivere il suo nome in caratteri cubitali sulla lavagna. ARNIE KLEIN. Scrisse invece EFFETTO DALETH, molto chiaramente, aggiungendoci la lettera daleth, scritta in grafia ebraica.

— Se avrete la pazienza di ascoltarmi, vi terrò una breve lezione di storia, prima di spiegarvi ciò a cui avete assistito stamattina. Ricorderete certo che alcuni anni fa Israele eseguì con i razzi una serie di esperimenti per lo studio dell’atmosfera. Tali esperimenti dovevano servire a parecchi scopi: per esempio, a dimostrare ai paesi arabi che noi… cioè Israele… possedevamo razzi fatti in casa e non dovevamo dipendere dal capriccio degli stranieri. Date le limitazioni materiali imposte dai paesi limitrofi e dalle dimensioni stesse di Israele, avevamo ben poche possibilità di scelta riguardo alle traiettorie: dovevamo limitarci a un lancio verticale con ritorno altrettanto verticale. Non si poteva fare altro, e per ottenere questo fu necessario approntare precise tecniche di controllo. Ma un razzo capace di alzarsi verticalmente e di rimanere altrettanto verticalmente sopra la rampa di lancio, si dimostrò un mezzo di ricerca di valore inestimabile, sotto moltissimi aspetti. Una nube di fumo strisciante dava modo ai meteorologi di stabilire la direzione e la velocità del vento a qualsiasi quota, mentre i dati rilevati dagli strumenti che stavano all’interno del razzo permettevano poi di coordinare queste con la pressione atmosferica e la temperatura. Una volta fuori dall’atmosfera, si effettuavano altri esperimenti, ma quello che ci interessa ora è il test che inavvertitamente rivelò quelle che si possono soltanto chiamare anomalie gravimetriche. — E cominciò a scrivere la definizione sulla lavagna; ma poi si trattenne.

— A quel punto mi interessavo alle quasar e alla possibile fonte delle loro incomprensibili energie: neppure l’annichilimento totale della materia può spiegare la quantità di energia generata nelle quasar. Ma la cosa accadde quasi incidentalmente perché, per puro caso, quel razzo-sonda si trovava fuori dall’atmosfera quando ebbe inizio un brillamento solare. Rimase lì era oltre cinquanta minuti. Altre sonde erano state lanciate in passato, non appena ci si era accorti di un brillamento, ma con un ritardo inevitabile di almeno un’ora dal momento dell’esplosione originale di energia. Perciò io fui il primo ad ottenere dati riguardanti l’evoluzione completa di un brillamento solare e a poterli studiare. Magnetometro, particelle di raggi cosmici… e qualcosa che allora sembrò del tutto trascurabile: i dati tecnici. Ciò attrasse la mia attenzione perché da alcuni anni stavo studiando certi aspetti della teoria einsteiniana dei quanti, riguardanti la gravità. Queste ricerche erano arrivate a un punto morto, ma le avevo ancora in mente. Così, quando gli altri scartarono alcuni dei dati perché credevano che la telemetria desse un’interpretazione errata a causa dei forti campi magnetici, io investigai più dettagliatamente. I dati erano in realtà esatti, tuttavia ciò dimostrava che una forza del tutto inspiegabile era in azione e riduceva il peso della sonda, ma non la sua massa. Vale a dire che la sua massa gravitazionale e la sua massa di inerzia erano temporaneamente ineguali. Assegnai il simbolo Daleth a questo fattore di differenza e quindi cercai di scoprire che cosa fosse. Tanto per cominciare, pensai subito alla massa di Schwarzchild, o piuttosto all’applicazione di questa al continuum quadridimensionale dell’universo di Minkowski…

L’espressione perplessa di tutti i presenti colpì Arnie, che si fermò. Tra gli altri, c’era un alto ufficiale che lo fissava con occhi che quasi schizzavano dalle orbite. Il professore tossì, portandosi la mano alla bocca per celare la sua confusione: quelli non erano studenti di fisica, dopo tutto…

Voltandosi verso la lavagna, aggiunse un’altra sottolineatura a Daleth.

— Per non entrare troppo nei particolari, tenterò di usare parole semplici. Tuttavia dovete capire che si tratta di una spiegazione molto approssimativa. Mi trovavo di fronte a qualcosa che non sapevo spiegare, anche se quel qualcosa era lì, senza possibilità di dubbio. Era come prendere una dozzina di uova di gallina, farle schiudere, e vederne saltar fuori un’aquila. L’aquila era lì, questo è certo, ma il come e il perché, chi lo sapeva? — Un mormorio di sollievo percorse la stanza, e si notarono perfino alcuni sorrisi, quando i presenti si accorsero finalmente di capire quello che stava dicendo. Incoraggiato, Arnie, continuò.

— Incominciai a lavorare sull’anomalia, prima ricorrendo a formule matematiche per determinarne la natura, poi facendo qualche piccolo esperimento. In fisica, come in tutto, sapere che cosa si sta cercando può essere di grande aiuto. Per esempio, è assai più facile trovare un criminale in una città se si è in possesso di una descrizione e di un nome. Una volta scoperto l’elio nello spettro solare, si scoprì la sua presenza anche qui sulla Terra. L’elio c’era sempre stato, ma era passato inosservato fino a che non si era saputo che cosa cercare. Lo stesso può dirsi dell’effetto Daleth. Sapevo che cosa cercare e trovai la risposta al mio interrogativo. Immaginai che forse sarebbe stato possibile dominare questa… — cercò affannosamente una parola adatta. — Non è il termine esatto, e non dovrei servirmene, ma per il momento chiamiamola «energia», pur tenendo sempre presente che non lo è affatto. Allestii un esperimento per dominarla, ed ottenni risultati spettacolari. Era possibile controllarla. Una volta intercettata, l’energia Daleth poteva venire modulata: questa era poco più che un’applicazione di normale tecnologia. Avete visto i risultati stamane, quando il Blaeksprutten si è alzato nell’aria. Ma questa è una dimostrazione molto modesta: non c’è motivo perché il sottomarino non possa viaggiare anche fuori dall’atmosfera, alla velocità da noi fissata.

Una mano si alzò, decisa, e Arnie annuì in quella direzione. Perlomeno qualcuno lo stava ascoltando attentamente e sentiva il bisogno di fare domande. Era un ufficiale delle forze aeree, molto giovane, per il suo grado.

— Perdonate l’interruzione, professore — disse — ma mi hanno insegnato che questo è impossibile. Voi state negando le leggi newtoniane del moto. I motori del sottomarino non hanno una potenza sufficiente per sollevare la sua massa e tenerla sospesa in aria. Avete accennato alla relatività, che è basata sulla conservazione della quantità di moto della massa-energia e della carica elettrica. Quello che è avvenuto qui deve mettere in dubbio almeno due o tre dei principi di conservazione.

— Verissimo — convenne Arnie. — Ma noi non ignoriamo questa limitazione: stiamo semplicemente usando un diverso sistema di riferimento, nel quale non sono valide. Per trovare un’analogia, vi prego di considerare l’atto di chi gira una valvola. Un piccolo peso, basta per aprire una valvola che permette al gas compresso di lasciare il serbatoio, di espandersi in un involucro e far sollevare un pallone. Un paragone anche migliore si ha immaginando voi stesso penzolante da una corda appesa a quell’involucro, alto sopra il suolo. Una pressione di un’oncia e poco più sopra una lama affilata taglia la corda, riportandovi a terra con effetti altamente drammatici.

— Ma tagliando la corda si libera l’energia cinetica immagazzinata durante la salita a quell’altezza! — sbottò l’ufficiale. — È la gravità della Terra che mi porta giù.

— Esattamente. Ed è stata la gravità della Terra liberata, che ha permesso al Blaeksprutten di volare.

— Ma è impossibile!

— Impossibile o no, è accaduto — dichiarò un ufficiale di grado superiore. — Fareste molto meglio a credere ai vostri occhi, Preben, altrimenti vi farò degradare!

Preben sedette, imbronciato, tra risate generali che si calmarono soltanto quando l’ammiraglio Sander-Lange cominciò a parlare.

— Io credo a tutto ciò che affermate circa la teoria della vostra macchina, professore — disse — e vi ringrazio di aver cercato di spiegarcela. Ma spero che non vi offenderete se dichiaro che, per me almeno, la comprensione di essa non ha grande importanza. Da molti anni ho smesso di tentare di comprendere i dispositivi complicati e le diavolerie che si sistemano sulle mie navi, e mi sono imposto di capire semplicemente a che cosa servono e come vanno usati. Potete spiegarmi le possibilità insite nel vostro effetto Daleth, cioè che cosa si potrebbe ottenere applicandolo?

— Sì, certo. Ma spero vi rendiate conto che ci sono ancora annessi molti «se». Se l’effetto potrà essere applicato, come spero e come chiarirà il prossimo esperimento con il Blaeksprutten, e se il fabbisogno di energia necessaria ad ottenere i risultati desiderati è ragionevole, avremo ciò che potrebbe essere chiamata una vera e propria propulsione spaziale.

— Che cosa volete dire, esattamente? — domandò Sander-Lange.

— Prima di tutto considerate la propulsione spaziale che usiamo attualmente: razzi a reazione, come quelli di cui è dotata la capsula sovietica che sta dirigendosi verso la Luna. I razzi si muovono applicando il principio di azione-reazione. Espellete qualcosa in una direzione e vi muoverete in quella opposta. Migliaia di tonnellate di combustibile, cioè la massa di reazione, devono essere sollevate per ogni chilo che arriva a destinazione. Un processo costoso, complesso e di uso limitato. Una vera propulsione spaziale indipendente da questo rapporto massa-carico, sarebbe funzionalmente pratico come un’automobile o una nave. E servirebbe a creare una vera e propria astronave. I pianeti diventerebbero accessibili come lo sono adesso i vari continenti del nostro mondo. Non si dovrebbe più tener conto della massa di reazione; una vera propulsione spaziale potrebbe essere tenuta costantemente in funzione, continuando ad accelerare fino al punto medio del volo, e poi invertendo la direzione e decelerando fino all’atterraggio. Questo abbrevierebbe incredibilmente il tempo necessario per raggiungere la Luna o altri corpi celesti.

— Quanto ci si impiegherebbe? — domandò qualcuno. — Potreste darci delle cifre precise?

Arnie esitò, ma si alzò Ove Rasmussen per rispondere. — Credo di potervi aiutare io. Ci ho pensato mentre stavate parlando — disse. Prese il regolo calcolatore ed eseguì rapidamente altri calcoli. — Se abbiamo un’accelerazione e una decelerazione ininterrotta di un «G», gli occupanti del veicolo non proveranno alcuna sensazione di caduta libera o di peso eccessivo. Questa sarà un’accelerazione di… novecentootto, anzi, diciamo mille, per semplicità, centimetri al secondo. La Luna dista; in media, quattrocentomila chilometri. Il risultato perciò sarebbe…

Tutti rimasero in silenzio mentre Rasmussen calcolava ancora. Controllò i risultati, aggrottò la fronte, controllò di nuovo. Dovevano essere esatti, perché alzò gli occhi e sorrise.

— Se l’effetto Daleth fornirà una vera propulsione spaziale, c’è qualcosa di nuovo sotto il sole, signori. Saremo in grado di andare da qui alla Luna in poco più di quattro ore!

Nel silenzio attonito che seguì, eseguì un ultimo calcolo.

— Il viaggio su Marte richiederà un tempo un po’ più lungo. Dopotutto, il pianeta rosso dista ottanta milioni di chilometri, quando si trova nella sua congiunzione più favorevole. Ma anche quella distanza verrà percorsa in circa trentanove ore. Un giorno e tre quarti. Non è certo molto.


Tutti erano allibiti. Ma mentre meditavano sulle prospettive aperte dall’effetto Daleth, si levò un mormorio così insistente, che Arnie dovette battere col gesso sulla lavagna per zittirli. Dopo di che gli astanti ascoltarono con attenzione estrema.

— Come vedete, le possibilità di sfruttamento della propulsione Daleth sono pressoché incalcolabili. Dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento nei riguardi delle dimensioni del sistema solare. Ma prima di poter partire per la Luna, per trascorrervi un week-end dedicato all’esplorazione, dobbiamo essere certi di avere una fonte di potenza motrice adeguata. Funzionerà la propulsione lontano dalla superficie terrestre? E la si potrà controllare con esattezza? Potremo cioè effettuare le delicate correzioni di rotta necessarie per raggiungere un oggetto a distanze astronomiche? Possediamo una fonte di potenza sufficiente a fornirci il fabbisogno di energia indispensabile al viaggio? Ci si può fidare costantemente della propulsione? Il prossimo volo del Blaeksprutten dovrebbe rispondere a tutti questi interrogativi. Il veicolo tenterà di sollevarsi molto in alto nell’atmosfera terrestre. E poiché io sono la persona più qualificata per tutto ciò che riguarda le attrezzature relative alla propulsione, eseguirò personalmente le prove. — Si guardò intorno, aspettandosi forse che qualcuno cercasse di dissuaderlo. Ma ci fu solo silenzio. Quella era la sua grande giornata.

— Grazie. Propongo che il secondo esperimento abbia inizio immediatamente.

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