20

Era quasi mezzogiorno, cosicché all’equatore, a metà dell’estate, la temperatura aveva raggiunto i trenta gradi sotto lo zero. La collina, che in realtà era il fianco di un grande cratere circolare, si levava bruscamente sulla pianura marziana, e un sole rattrappito guardava giù sul paesaggio gelato, dal cielo nero, dove si potevano scorgere distintamente le stelle più lucenti. Solo all’orizzonte l’atmosfera era tanto densa da tracciare una sottile linea azzurra contro il cielo. L’aria era immobile in un silenzio senza tempo, e così rarefatta, ridotta ad anidride carbonica pura, da non essere quasi più aria del tutto. E molto, molto fredda.

I due uomini che salivano il ripido pendìo avanzavano faticosamente, nonostante la bassa gravità. Le loro tute, pesantemente isolate e scaldate elettricamente, li impacciavano nei movimenti; e gli accumulatori e i serbatoi dell’ossigeno li appesantivano molto. Quando ebbero raggiunto la cresta, si fermarono a riposare. Il loro viso era nascosto dalla maschera e dagli occhiali.

— È… una bella salita — disse Arnie, ansando.

La maschera impediva di scorgere l’espressione di Nils, ma la voce risuonò ansiosa. — Spero che non sia stata troppo faticosa — disse. — Forse non avrei dovuto condurvi!

— Ma no. Sono semplicemente senza fiato. E giù di forma. È molto tempo che non faccio niente del genere. Però ne valeva la pena: è una vista superba!

Poi il paesaggio silenzioso trascinò anche loro in un silenzio pesante. Freddo, buio, inospitale, quel pianeta non era mai morto solo perché non era mai nato. La piccola colonia, là sotto, brillava come una luce amica alla finestra, unico tocco di calore nel gelo eterno di Marte. Arnie si guardò intorno, poi si tirò bruscamente in disparte, chiamando a sé Nils con un gesto.

— Qualcosa che non va? — domandò il pilota.

— No, no affatto. È che facevamo ombra a quel Marshål. Comincia a chiudersi: crede che sia di nuovo sera.

Infatti le braccia solitamente allungate della pianta-animale, lunghe trenta centimetri e simili a quelle della stella marina, erano ripiegate a metà e mostravano la parte inferiore, ruvida e grigiastra. Quando erano completamente chiuse, formavano come una palla isolata dall’ambiente ostile, e tenevano stretta la minuscola quantità di calore ed energia che avevano immagazzinato in attesa di un nuovo ritorno del sole. All’alba, le braccia si aprivano completamente, esponendo le piastre interne, di un nero brillante, che catturavano e trattenevano le radiazioni provenienti dall’astro lontano.

Quella rozza escrescenza era l’unica forma di vita scoperta su Marte fino a quel momento; e, sebbene la denominazione di «cavolo di Marte» fosse ormai ufficialmente riconosciuta, la pianta-animale veniva considerata da tutti con rispetto, se non proprio con reverenza. Era l’unico abitante del pianeta! I due uomini si spostarono per lasciare che il sole la illuminasse.

— Mi ricorda alcune piante del deserto in Israele — disse Arnie.

— Sentite la mancanza di Israele, vero? — domandò Nils.

— Sì, certo. Inutile domandarmelo. — A causa dell’atmosfera rarefatta, la sua voce giungeva come un sussurro lontano.

— Lo credo bene. Conosco molti paesi, e parecchi mi sembrano assai più interessanti del mio, quando ci scendo con l’aereo. Eppure non vorrei vivere in nessuno di essi: sceglierei, potendo, ancora la Danimarca. Non la lascerei. A volte mi domando come abbiate fatto a prendere le valigie e ad abbandonare Israele solo per una questione di principio. Non credo che riuscirei a fare una cosa simile. Non ne avrei il coraggio. — Poi, cambiando discorso, disse: — Guardate, eccola là, proprio come vi avevo detto. Da quassù si vede l’intera zona. Ci sono gli edifici nuovi che stanno appunto sorgendo, il campo di atterraggio, dietro Galatea. Quando sarà necessario, si potranno costruire altri edifici lungo il lato orientale. Qui si formerà una colonia completa… una città, un giorno o l’altro. La strada ferrata si spingerà fino alle montagne, dove ci sono le miniere.

— Un progetto molto ottimista. Comunque non vedo perché non debba riuscire. — Ma Arnie pensava a ciò che aveva detto Nils. A Israele. Era qualcosa che lo tormentava come un mal di denti e che non riusciva a dimenticare, anche se raramente ne parlava con altri. — Che cosa intendevate dire esattamente, affermando che per fare quel che ho fatto io ci vuole del coraggio? Ho compiuto semplicemente il mio dovere. Credete che abbia sbagliato e che avessi degli obblighi verso Israele, prima che verso il genere umano?

— Diamine, no! — esclamò il gigantesco pilota. E la sua voce vibrò di un impeto pieno di ardore. — Io sono dalla vostra parte, non dimenticatelo. Voglio dire che ammiro quello che avete fatto e che non vi ritengo un venduto! Se ciò che temete è vero, restare sarebbe stato un grosso tradimento: lo stesso che hanno compiuto tutti gli scienziati, da quando è stata inventata la parola scienza. Bombe, gas velenosi e morte per amore della terra natale! Questo è tradimento diretto. Inventare la bomba atomica, lamentarsi per l’uso che ne viene fatto, senza però prendere alcuna iniziativa, è invece tradimento indiretto. E poi c’è il tradimento «con fette di salame sugli occhi»: compio ricerche sui gas che agiscono sul sistema nervoso, sulla guerra biologica, su bombe sempre più potenti, ma tutto questo non verrà mai usato… E infine il tradimento tipo «il mondo è troppo grande per me», quello che scelgono tutti. La Dow Chemical produce il napalm per arrostire la gente; ma io non posso smettere di comprare i prodotti della Dow: non servirebbe a niente. Il Sud Africa ha il migliore regime poliziesco del mondo e un paese pieno di schiavi negri legalmente riconosciuti; ma io compro ancora le sue arance. Che posso farci? È colpa vostra, se mi sento così, Arnie!

— Che diavolo intendete dire? — domandò il professore, pestando i piedi perché il freddo cominciava a filtrare attraverso le suole degli stivali.

— Dico che voi avete fatto quello che io non avrei avuto il coraggio di fare. Siete rimasto fedele alle vostre convinzioni, senza curarvi del prezzo che dovevate pagare personalmente. Il Sud Africa e la Dow sono stati boicottati in diversi modi, in Danimarca, ma io ho fatto orecchio da mercante. Oppure ci ho riso sopra. Che potevo farci, io? Volavo, me la passavo bene e mi divertivo. Ma voi siete riuscito a penetrare la mia pellaccia, mi avete mostrato qualcosa di diverso…

— Smettetela! — sbottò Arnie, scosso. — Non sapete che cosa state dicendo. Mi sono comportato spregevolmente, tradendo la mia patria e la sua fiducia in me, e privandola dei risultati delle ricerche che le appartenevano di diritto. Mi sono messo al di là della legge. Se si può dire che uno scienziato ha una parola, io ho certamente mancato alla mia.

— Non capisco…

— Lo credo bene! Il vostro punto di vista è unilaterale, irriflessivo, ancora più prevenuto del mio. Io, almeno, ammetto la mia colpa. Invece voi, con la massima disinvoltura, incolpate tutti gli scienziati di tutti i delitti del mondo! Parlate di bombe atomiche; ma… tacete sulle centrali per l’energia atomica e sulle medicine radioattive! Rinfacciate agli scienziati di aver inventato gli esplosivi, ma non accennate alle materie plastiche, che derivano dagli stessi principi chimici fondamentali… Tirate in ballo la guerra biologica, ma non pensate alle medicine che uccidono i virus e che sono state scoperte grazie alle medesime ricerche… Tentate pure di accusare la scienza e gli scienziati di tutti i mali del mondo: non ci riuscirete. Noi fisici abbiamo forse inventato la bomba atomica, ma è stato il governo a finanziarne la costruzione e ad eleggere gli uomini politici che hanno deciso di lanciarla. E la gente, in genere, sembrava approvare quella decisione. Non sono gli scienziati a fare la guerra, ma la gente! Quando incolpate i fisici della situazione mondiale, voi cercate semplicemente di usarli come capri espiatori. È molto più facile accusare un altro, che ammettere la propria colpa. Devono esserci un buon numero di africani soddisfatti di poter possedere legalmente schiavi, altrimenti il loro governo cadrebbe: Machiavelli ha detto che un principe non può governare a dispetto dell’opposizione attiva del popolo. Non sono stati i nazisti a sterminare gli ebrei, ma il popolo tedesco. La gente ha la responsabilità delle proprie azioni, ma non le piace il peso di questa responsabilità. Allora preferisce dare la colpa agli altri. Dicono che gli scienziati, che inventarono bombe, aerei e cannoni, sono i responsabili dello stato di cose attuale. Dunque, gli elettori che scelgono gli uomini politici che fanno le guerre sono senza macchia. La pensate così anche voi?

Nils era rimasto scosso da quell’esplosione d’ira improvvisa.

— Non intendevo questo. Ho detto solo che ammiravo…

— Non ammirate un uomo che ha tradito la fiducia che il suo paese riponeva in lui! Anche se la mia decisione si dimostrerà giusta, avrò sempre commesso un delitto imperdonabile.

— Ma se la pensavate così, perché avete abbandonato Israele e siete venuto in Danimarca? So che siete nato e cresciuto da noi. È forse per questo?

Il silenzio di Marte pesò per parecchi secondi, prima che Arnie parlasse di nuovo.

— Forse. O forse per un atto di fede… o di speranza. O forse perché sono ebreo. In Israele, ero un israeliano, ma in qualsiasi altro posto del mondo sono un ebreo. Tranne che in Danimarca. Non esistono ebrei, in Danimarca; esistono solo molti danesi di varie confessioni religiose. Voi avevate tre o quattro anni, quando i nazisti marciarono sull’Europa, e quindi per voi si tratta soltanto di storia; di un capitolo di un libro già assai voluminoso. Quelli erano mostri, demoni, perché riuscivano a scatenare il male nel cuore degli altri, oltre che nel proprio. Gli abitanti dei paesi da loro conquistati li «aiutavano» ad alimentare i forni crematori. La polizia francese andò in giro ad arrestare gli ebrei per conto loro e gli ucraini costruivano allegramente le fornaci. I polacchi si precipitavano a veder arrostire i loro vicini ebrei, e per ricompensa venivano uccisi. Tutti i paesi che subirono l’invasione aiutarono i tedeschi. Tutti, eccetto uno. In Danimarca la polizia rimase scossa dalla notizia dell’epurazione che si andava avvicinando, e ne fece parola ad altri, che rimasero ugualmente inorriditi. Gli autisti dei tassì percorsero le strade, elenchi telefonici alla mano, in cerca di persone con nomi ebrei. I Giovani Esploratori fecero circolare l’allarme. Tutti gli ospedali aprirono le porte agli israeliti e li nascosero. In pochi giorni, tutti gli ebrei che poterono essere raggiunti furono fatti uscire dal paese di nascosto e messi in salvo. Sapete perché i danesi si comportarono così?

— Certo! — Nils strinse i grossi pugni. — Anche quelli erano esseri umani, danesi come gli altri. Cose del genere non si fanno e basta!

— Vedere… vi siete risposto da solo. Potevo scegliere, e ho scelto. E spero di avere scelto giustamente.

Arnie cominciò a scendere dall’altura, poi si fermò un momento.

— Io ero tra le persone fatte fuggire segretamente in Svezia. Così, forse, sto pagando un debito.

Poi scesero, uno accanto all’altro, verso la luce e il calore della base.

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