— Che compartimento era? — gridò Nils, allungando la mano verso il disco del telefono. — Avete riconosciuto quell’uomo?
Gev gli afferrò il braccio, impedendogli di formare il numero. Il sergente alzò la pistola e la puntò sul dorso di Gev.
— Aspettate — disse il generale. — Riflettete prima. Sapete che sta accadendo qualcosa; è abbastanza per il momento. Mettete subito in allarme le vostre difese, se ne avete. Poi appurate qual è la zona minacciata. Ho visto porte a tenuta stagna in tutta la nave. Si possono chiudere da qui?
— Sì…
— E chiudetele, allora. Cercate di ostacolare in ogni modo ciò che sta succedendo.
Nils esitò un istante. — È una buona idea, signore — disse il sergente. Nils annuì.
— Chiudete tutte le porte interne — ordinò Nils. L’ufficiale addetto alla strumentazione sollevò un foglio di plastica protettivo e armeggiò con una fila di interruttori.
— Ma ci sono dei comandi, localmente, che permettono di aprirle — disse il sergente.
— Quelli possono essere bloccati, in caso di emergenza — rispose l’ufficiale addetto alla strumentazione.
— Questo è un caso di emergenza — dichiarò Nils. — Procedete.
Gev si avvicinò alla parete, per non impicciare. Il sergente abbassò la pistola.
— Non intendo interferire con la vostra autorità, capitano — disse Gev. — Ma ho una certa esperienza in cose del genere.
— Sono lieto che siate qui — rispose Nils. — Può darsi che dobbiamo valerci di questa esperienza. — Formò il numero della sala macchine, e un tecnico rispose subito alla chiamata.
— Qualcosa che non funziona, signore. Le porte di uscita sono bloccate e non riusciamo ad aprirle.
— Siamo in allarme. Succede qualcosa a bordo, e non sappiamo ancora con esattezza che cosa. State lontani dalle porte, e non lasciate entrare nessuno. Avvisatemi subito, se capita qualcosa.
— Credo di avere riconosciuto quell’uomo — disse il radiotelegrafista, esitante. — Era un cuoco… O perlomeno qualcuno che ha a che fare con la cucina.
— Bene. — Nils chiamò le cucine, ma nessuno rispose. — Ecco dove sono! Ma che diavolo possono volere laggiù?
— Armi, forse — suggerì Gev. — Coltelli, mannaie, devono essercene molte. O forse qualcos’altro… Posso vedere una pianta della nave?
Nils si rivolse ad Arnie e disse: — Rispondetemi in fretta! Quest’uomo è dalla nostra parte?
Arnie annuì lentamente. — Credo di sì, adesso.
— Va bene. Sergente, tornate al vostro posto. Neergaard, portatemi la mappa della nave.
La stesero sul tavolo e Gev puntò il dito. — Qui. Che cosa vuol dire køkken?
— Cucina.
— Capisco, allora. Guardate. La si può raggiungere dalla sala da pranzo, a differenza di qualsiasi altra parte della nave riservata ai servizi. E poi… ha una parete in comune con la sala macchine. Che, se non sbaglio, dev’essere questa.
Nils annuì.
— Allora non tenteranno di forzare le porte. Apriranno un passaggio nella parete. Avete modo di raggiungere rapidamente la sala macchine, per dare man forte ai tecnici che sono là dentro, nel caso…
Il telefono squillò e l’ufficiale tecnico comparve sullo schermo.
— Stanno forando una paratìa con un cannello ossidrico, signore. Che facciamo?
— Che cosa ha detto? — domandò Gev, sentendo il tono preoccupato dell’uomo. Non capiva il danese. Arnie glielo spiegò rapidamente, e il generale toccò il braccio di Nils. — Ditegli di trascinare un banco o un tavolo contro la parete, in quel punto, e di ammucchiarvi contro tutto quello che trovano di più pesante. Che cerchino di ostacolarli al massimo.
Nils diede ordini, poi rimase lì, teso. — Non possiamo impedire loro di entrare!
— Non si potrebbero inviare rinforzi?
Nils sorrise mestamente. — Abbiamo una sola pistola a bordo: quella del sergente.
— Mandate lui in sala macchine. A meno che non si possa contrattaccare dalla cucina. Colpite forte, è l’unico modo.
— Fate venire il sergente — disse Nils. — Devo chiedergli di offrirsi volontario. È quasi un suicidio.
Quando gli dissero che cosa stava accadendo, l’uomo acconsentì.
— Sono contento di correre questo rischio, capitano. Può darsi che la cosa funzioni, se quelli non sono armati fino ai denti. Ho un altro caricatore pieno di proiettili, ma non lo porterò con me: non potrò certo ricaricare l’arma. Manderò a segno questi. Entrerò dalla porta del magazzino di poppa. Se si aprirà, riuscirò a sorprenderli.
Poi, levatosi rispettosamente il berretto, si rivolse al generale Gev e si batté la fila di decorazioni sul petto. Non parlava più in danese, ora, ma in inglese.
— Ho visto che guardavate queste decorazioni, generale. È vero, sono stato in Palestina, con l’esercito britannico, a combattere i barbari. Ma quando gli inglesi hanno cominciato a impedire l’ingresso alle vostre navi di profughi, ho tagliato la corda. Ho disertato e sono tornato in Danimarca. Non era pane per i miei denti, quello.
— Vi credo, sergente. Grazie per avermelo detto.
Le porte furono aperte l’una dopo l’altra, per permettergli di passare.
— Dovrebbe essere arrivato, ormai — disse Nils dopo un po’. — Chiamate la sala macchine.
Il tecnico era molto agitato. — Capitano, abbiamo sentito degli spari! Al di là della parete. Moltissimi! E il cannello non fa più rumore.
— Bene — disse Gev quando gli riferirono che cosa era successo. — Forse non li avranno fermati, ma almeno ne hanno rallentato l’azione.
— Il sergente non è tornato — disse Nils.
— Non lo sperava neppure — osservò, impassibile, il generale: le emozioni, in battaglia, erano un lusso che non poteva permettersi. — Ora bisogna lanciare un secondo contrattacco. Ci vogliono altri uomini, possibilmente volontari. Armateli con qualsiasi cosa. Abbiamo un attimo di respiro e dobbiamo approfittarne. Li guiderò io, se permettete…
— Il telefono, capitano — disse il radiotelegrafista. — È un membro della delegazione americana.
— Non posso, ora.
— Dice che sa dell’aggressione e che vuole aiutare.
Nils afferrò il ricevitore e l’immagine di un uomo con gli occhiali dalla montatura pesante lo guardò con espressione compunta.
— Ho sentito che i rossi vi hanno assalito, capitano. Vogliamo darvi una mano. Veniamo subito sul ponte di comando.
— E chi siete, voi? Come fate a saperlo?
— Mi chiamo Baxter. Sono un funzionario dei servizi di sicurezza. Mi hanno mandato su questa nave proprio nel caso dovesse accadere qualcosa del genere. Ho con me alcuni uomini armati. Siamo subito da voi.
Il generale scosse la testa in senso di diniego, ma Nils non aveva bisogno del suo consiglio, per prendere una decisione.
— Avete detto uomini armati? Non era permesso portare armi a bordo.
— Volevamo difendere voi, capitano. E ora ne avete bisogno.
— Niente affatto. State dove siete. Manderò qualcuno a ritirarle.
— Siamo già sul piede di partenza. Non è la prima volta che il nostro paese interferisce in una guerra, ricordatelo. E la NATO…
— Al diavolo la NATO e al diavolo voi! Se fate un solo passo verso il ponte, non sarete considerati diversamente dagli altri.
— Siamo abituati a trattare coi traditori, capitano — disse Baxter, severo. — Il vostro governo saprà apprezzare ciò che noi facciamo, anche se voi non capite. — E interruppe il collegamente.
Gev stava già correndo verso l’uscita che dava nella sezione passeggeri. — È chiusa — gridò. — Non c’è modo di rinforzare questa porta?
Gli altri, guidati da Nils, lo raggiunsero subito. Ma restarono allibiti a fissare lo schermo televisivo. Una decina di uomini erano spuntati dalla svolta del corridoio che stava oltre la porta chiusa, e si precipitava contro questa. Baxter veniva in testa, e dietro a lui correvano uno dei delegati di Formosa, alcuni sudamericani e un vietnamita.
Qualcuno alzò la gamba spezzata di una sedia e la scagliò contro la telecamera. Lo schermo si spense.
— Le cose si complicano — disse Gev con calma, guardando la porta. — Ora dovremo combattere su due fronti, e non siamo attrezzati neppure per lottare su uno.
— Capitano — chiamò dal ponte il radiotelegrafista. — La sala macchine dice che hanno ricominciato a tagliare.
All’improvviso il boato di un’esplosione rimbombò con violenza assordante nello stretto corridoio, e la porta si contorse, mentre una gran nube di fumo entrava dalle fessure, ribollendo. Qualcuno cadde, altri rimasero lì, intontiti. Poi la porta tremò, si piegò ancor di più, e un uomo che impugnava una pistola fece l’atto di introdursi nella stretta breccia.
Gev balzò in avanti, afferrò il polso dell’uomo e lo torse, cosicché la canna della pistola si rivolse verso il soffitto. L’arma sparò una volta, ma le orecchie assordate dei presenti quasi non avvertirono il rumore dello sparo. Allora Gev col taglio della mano colpì al collo l’uomo, che cadde senza vita. Poi il generale armeggiò un istante con l’insolito meccanismo della pistola, infilò l’arma nell’apertura, sopra il corpo del morto, e sparò fino a che il caricatore fu vuoto.
Gli aggressori si fermarono un attimo, ma subito la breccia fu allargata, e due altri uomini vi passarono attraverso, scavalcando il cadavere. Nils ne colpì uno in pieno viso, con un pugno, e lo fece ricadere all’indietro.
Ma gli avversari, superiori per numero e in possesso di diverse armi, ebbero la meglio. Comunque, i difensori si batterono come leoni. Il generale cedette solo dopo essere stato colpito da almeno tre proiettili. Nils non rimase ferito, ma gli aggressori gli si aggrapparono addosso immobilizzandogli le braccia, mentre uno gli dava una mazzata in testa. Arnie non sapeva certo combattere, e fece solo qualche timido tentativo di difendersi, con ben poco successo. Poi tutti vennero trascinati sul ponte. Il radiotelegrafista, l’unico rimasto lassù, parlava alla radio.
— Zitto! — urlò Baxter. — Con chi parlate?
L’operatore, bianco come un panno lavato, tenne stretto il microfono. — Con la nostra base lunare. Hanno inoltrato la nostra chiamata a Copenaghen. Quei diavoli hanno fatto irruzione nella sala macchine, l’hanno occupata.
Baxter rifletté un istante, poi abbassò la pistola e sorrise.
— Avete fatto bene. Continuate il rapporto. Dite che avete trovato aiuto. I comunisti non se la caveranno. E adesso… come posso mettermi in contatto con la sala macchine?
Il radiotelegrafista indicò, in silenzio, lo schermo del telefono, da dove fissava una faccia impassibile. Baxter si avvicinò all’apparecchio con altrettanta freddezza.
— Siete un traditore, Schmidt — disse. — L’ho capito subito, quando ho visto che facevate parte della delegazione della Germania orientale. Non vi siete comportato con saggezza. — Baxter si rivolse a Nils, che, abbandonato su una sedia, stava tornando in sé lentamente. — Conosco quest’uomo, capitano. È un informatore prezzolato. Siete fortunato ad avere qui me.
Il generale Gev se ne stava semidisteso sul pavimento, appoggiato alla parete, e ascoltava in silenzio, senza preoccuparsi della gamba che gli sanguinava abbondantemente. Anche il braccio destro era ferito, e lui teneva la mano infilata nella camicia aperta. Arnie aveva perso gli occhiali, che erano andati in mille pezzi, e si guardava intorno socchiudendo gli occhi miopi, cercando di capire che cosa stesse accadendo.
Baxter guardò con disgusto l’immagine di Schmidt. — Non mi va di trattare con i traditori…
— Tutti dobbiamo fare dei piccoli sacrifici. — Le parole di Schmidt erano piene d’ironia.
Baxter avvampò d’ira, ma continuò, ignorandole.
— Mi sembra che siamo giunti a un punto morto. Noi presidiamo il ponte e abbiamo il quadro dei romandi.
— Mentre io e i miei uomini ci occupiamo della sala macchine e dell’unità della propulsione. Le mie forze non sono come dovrebbero essere, ma siamo bene armati. Credo che vi sarà impossibile sconfiggerci. Di qui non usciremo. Che cosa intendete fare, dunque, signor Baxter?
— Il dottor Nikitin è con voi?
— Naturalmente! E perché mai saremmo qui, altrimenti?
Baxter interruppe il collegamento e si rivolse a Nils: — Una gran brutta faccenda, capitano.
— Che dite? — fece Nils, che cominciava a riprendersi. — Chi è questo Nikitin?
— Uno dei loro migliori fisici — disse Arnie. — Con l’aiuto dei diagrammi e dei collegamenti elettrici, ormai dovrebbe avere già appreso i principii fondamentali della propulsione Daleth.
— Esatto — disse Baxter, riponendo la sua pistola. — Però se presidiano la sala macchine non possono impossessarsi del ponte; dunque, non è tutto perduto. Riferitelo ai vostri superiori — ordinò al radiotelegrafista. — Siamo giunti a un punto morto, per il momento. Ma se noi non fossimo arrivati fin qui, quelli si sarebbero impossessati dell’intera nave. Vedete, capitano, che vi siete sbagliato sul nostro conto?
— Come avete portato a bordo le pistole? — domandò Nils. — E quell’esplosivo?
— Che importa? Canne di pistola che avevano l’aria di stilografiche, munizioni ingerite, esplosivo al plastico in tubetti di dentifricio. La solita storia. Non è importante.
— Per me, sì — disse Nils, con maggiore vivacità. — E cosa proponete di fare, ora, signor Baxter?
— Difficile dirlo. Prima di tutto medicherò i vostri uomini. E poi cercherò di avviare un negoziato con quel doppio agente. Escogiteremo qualcosa. Dobbiamo tornarcene indietro, penso, e impedire altre uccisioni. Ormai sanno tutto sulla propulsione, il segreto è svelato. Niente più reticenza tra alleati, eh? I vostri, a Copenaghen, capiranno. Immagino che l’America sistemerà la cosa attraverso la NATO, ma questo non è il mio settore. Sono un uomo d’azione, io. Ma potete essere certo di una cosa… — Si eresse orgogliosamente. — I russi non potranno mai valersi di ciò che hanno scoperto questi loro sicari.
Nils si alzò lentamente, penosamente, e si trascinò incespicando fino alla sua poltroncina, davanti al quadro dei comandi. — Con chi parlate? — domandò al radiotelegrafista.
— Sono in collegamento con Copenaghen, con uno degli aiutanti del ministro. Là sono in piena notte, e gli altri dormivano quando ho chiamato. Il Re e il primo ministro stanno arrivando.
— Temo che non potremo aspettarli — disse Nils in inglese, perché anche Baxter capisse; poi rivolgendosi all’americano aggiunse: — Vorrei spiegare che cosa è accaduto.
— Ma certo, è indispensabile.
Sempre in inglese, con lentezza e precisione, Nils espose gli avvenimenti recenti. Dopo un lungo intervallo, mentre il segnale inviato alla Terra e la risposta tornavano indietro, l’uomo all’altro capo del filo disse qualcosa in danese, e Nils rispose nella medesima lingua. Quando ebbe finito, ci fu un silenzio teso sul ponte.
— Be’ — fece Baxter. — Che cosa hanno detto?
— Sono d’accordo con me — rispose Nils. — La situazione è disperata.
— Giusto.
— Ci siamo trovati d’accordo anche sui provvedimenti da prendere. Ci ha ringraziato.
— Di che diavolo state parlando?
All’improvviso, Nils si strappò la maschera fatta di pazienza e cortesia. E sputò le parole con una rabbia trattenuta che finalmente si era fatta strada dentro di lui.
— Della decisione di fermare voi, omiciattolo! Violenza, morte, uccisioni… non conoscete altro. Non vedo la minima differenza tra voi, i vostri sicari pagati che sono qui con voi, e quel porco che si è impadronito ora della sala macchine! In nome del bene, voi fate il male. Per un insano patriottismo distruggereste il genere umano. Quando vi deciderete a riconoscere che tutti gli uomini sono fratelli… e a smetterla di accoppare i vostri fratelli? Il vostro paese possiede un numero di bombe atomiche sufficiente a far saltare in aria il mondo quattro volte! Dunque, perché aggiungere a tutto questo l’ulteriore forza distruttiva dell’effetto Daleth?
— I russi…
— Sono proprio come voi. Dal punto in cui mi trovo, qui, nello spazio, vicino a morire, non ci vedo nessuna differenza.
— Vicino a… morire? — Baxter alzò di nuovo la pistola, spaventato.
— Sì. Credevate che vi avremmo semplicemente consegnato la nostra propulsione Daleth? Avevamo tentato di tenervi lontani da essa senza uccidere, ma voi ci avete obbligati a farlo. Ci sono almeno cinque tonnellate di esplosivo distribuite lungo lo scafo della nave. E le faranno esplodere a mezzo di un radio-segnale lanciato dalla Terra…
Una serie di rapide note musicali risuonò dall’altoparlante e Baxter si voltò di scatto, con un urlo selvaggio. Sparò contro i comandi, colpì il radiotelegrafista e vuotò il caricatore sui pannelli degli strumenti.
— Un radiosegnale che non può venire interrotto da qui!
Nils si volse verso Arnie, che se ne stava immobile. Gli prese una mano e cominciò a dire qualcosa. Il generale Gev rideva, divertendosi sinceramente a quella beffa cosmica. La giustezza di quella decisione lo esaltava. Baxter gridò ancora.
In una sola, immensa esplosione fiammeggiante, tutto finì.