— È una giornata splendida, proprio quello che ci vuole — disse Martha Hansen, schiacciando la sigaretta nel portacenere e intrecciando poi le dita, per nascondere la sua eccitazione.
— Ma certo, ma certo — disse Skou. E allargò le narici, annusando l’aria quasi per accertarsi che non ci fosse odore di guai. — Vi prego di scusarmi un momento.
E, prima che Martha potesse rispondere, sparì, con le sue due fedeli ombre alle calcagna. Lei prese un’altra sigaretta e l’accese; se andava avanti così, ne avrebbe fumato un intero pacchetto prima di mezzogiorno. Allungò le gambe sul divano, e si lisciò la gonna. Aveva scelto il vestito giusto? L’abito di maglia era quello che Nils preferiva. Quanto tempo era trascorso? Udì il rumore di un’auto e si girò di scatto… ma era soltanto il traffico che passava su Strandvejen. Il sole brillava sull’erba verde, sugli alberi alti e sulle azzurre acque del Sound. Le vele bianche si inclinavano per sfuggire al vento e una barca a motore ronzava come un calabrone, tracciando una pallida e lunga scia verso la Svezia. In una domenica di giugno sfavillante di sole… anche la Danimarca poteva trasformarsi in un paradiso, e Nils stava per tornare! Quanti mesi erano passati…
Tre grosse auto nere imboccarono il vialetto di accesso e si fermarono davanti alla casa. Un’auto della polizia e un’altra non meglio identificabile parcheggiarono davanti al marciapiede. Erano arrivati!
Martha si precipitò, precedendo Skou, e spalancò la porta.
— Martha! — gridò Nils, mollando la borsa e stringendo a sé la moglie. E la baciò con tanta foga da toglierle il respiro, proprio lì, sotto il portico. Quando lei riuscì a svincolarsi ridendo, si accorse che un piccolo circolo di uomini stava aspettando pazientemente la fine delle loro effusioni.
— Scusate! Entrate, prego — disse. Aveva i capelli in disordine e probabilmente delle sbavature di rossetto sul mento, ma se ne infischiava allegramente. — Arnie, che piacere vedervi! Entrate, per favore! — Si ritrovarono nel soggiorno, loro tre soltanto, mentre il rumore di passi pesanti risuonava per tutto il resto della casa.
— Mi spiace per la guardia d’onore — disse Nils. — Ma era l’unico modo di riportare Arnie sulla Terra per una vacanza. Avevamo bisogno tutti di un po’ di riposo, e lui più degli altri. Il mastino Skou si è lasciato commuovere solo a patto che Arnie venisse a stare da noi, e lui potesse prendere tutte le misure di sicurezza che riteneva opportune.
— Grazie per l’ospitalità — disse lo scienziato, abbandonandosi stancamente contro lo schienale di una poltroncina imbottita. Aveva l’aria tesa e aveva perso molti chili. — Mi spiace di imporvi…
— Non fate lo sciocco! Se dite un’altra parola vi caccio fuori e vi mando all’albergo della missione, dove, lo sapete, non si vendono alcolici. Ecco qui i bicchieri. Brindiamo. Che cosa preferite? — Si alzò e andò al bar.
— Ho le braccia pesanti come il piombo — disse Nils alzandole e abbassandole, scocciato. — Mi resta appena forza sufficiente per portare un bicchiere alla bocca. La gravità lunare, un sesto di quella terrestre, rovina i muscoli.
— Povero tesoro! Devo darti il poppatoio?
— Lo sai che cosa devi fare, per ridarmi energie!
— Mi sembri troppo stanco. Meglio bere qualcosa, prima. Ho preparato dei martini. Vanno bene?
— Benissimo. E ricordami che ho una bottiglia di gin di Bombay in valigia per te. Si possono acquistare senza sovrapprezzo, sulla Luna, perché è stato deciso di considerarla porto franco finché a qualcuno non verrà un’idea migliore. I doganieri, molto generosi, ci permettono di portarne un litro sulla Terra. Una gita di andata e ritorno di ottocentomila chiometri, per risparmiare venticinque kroner di dogana! Il mondo è impazzito. — Mandò giù una sorsata del liquido gelato e sospirò soddisfatto.
Arnie bevve qualche sorso. — Spero che mi perdonerete per la presenza di tutte queste guardie e per la confusione, ma mi trattano come un tesoro nazionale…
— E lo siete davvero! — esclamò Nils. — Ora che tutta l’attrezzatura Daleth è sulla Luna, valete un miliardo di kroner per qualsiasi paese che abbia tanto denaro da comprarvi. Vorrei non essere così patriota: vi venderei al miglior offerente, poi mi ritirerei a Bali per il resto della mia vita!
Arnie sorrise, più rilassato, e, rivolto a Martha, disse: — Hanno ordito una congiura. I dottori, Skou, vostro marito, tutti quanti. Hanno pensato che trasformando la vostra casa in un fortino armato io sarei potuto venire. Comunque, il tempo non poteva essere migliore.
— Tempo da vela — disse Nils, scolando il bicchiere. — Dov’è la barca?
— In acqua, come volevi tu, ormeggiata nel lato sud del porto.
— Che giornata, per una gita! Perché non ce ne andiamo tutti insieme laggiù… Ah, no, accidenti! Arnie deve restarsene in casa!
— Andate voi due. Io starò benissimo qui — insisté lo scienziato. — Prenderò il sole in giardino.
— Niente affatto! — replicò Martha. — Andrà Nils al porto e se ne tornerà indietro tutto accaldato e incatramato. Lui non esce mai con la barca, si limita a calafatare le fessure e a verniciare. Lasciamo che vada a distendersi i nervi, mentre noi ce ne stiamo qui a crogiolarci al sole.
— Be’… se non vi spiace… — Nils era già alla porta.
— Va’ pure — rise Martha. — Ma torna in tempo per la cena.
— Vado a cercare Skou per dirgli che cosa ho intenzione di fare. Non che quelli si preoccupino molto di me… Io della propulsione Daleth so soltanto premere i pulsanti.
Martha gli portò i pantaloni da lavoro, la camicia macchiata di vernice e i calzoncini da bagno. Appena pronto, Nils uscì sbattendo la porta. Arnie era andato in camera sua a cambiarsi e, alla vista di quel sole delizioso, anche Martha si mise in costume da bagno. Tutti i danesi si trasformano in adoratori del sole, in giornate simili.
Poi Arnie si allungò su una sdraio, nel patio, e Martha ne spostò un’altra accanto alla sua.
— Magnifico — disse lo scienziato. — Non mi rendevo conto di quanto ci mancassero i colori e l’aria aperta. — L’ombra di un gabbiano scivolò sull’erba e si arrampicò sullo steccato di legno. Tutto era tranquillo. Qualcuno rideva, lontano, e si udiva distintamente il toc toc di una palla da tennis.
— Come va il lavoro? Per lo meno quel tanto di cui potete parlarmi?
— L’unico segreto è la propulsione. Per il resto, è come dirigere una compagnia di navi a vapore e aprire le porte del West selvaggio. Avete letto della nostra visita a Marte?
— Sì. E vi ho invidiato. Quando comincerete a vendere biglietti per passeggeri?
— Prestissimo. E voi avrete il primo. Si stanno già facendo molti progetti in quel senso. Comunque, quelle vene superficiali di uranio su Marte hanno fatto alzare tremendamente le azioni della DFRS sui mercati mondiali. Tutti versano denaro a palate nel super transatlantico che gli svedesi stanno costruendo, principalmente per trasporto merci, ma anche con molte cabine passeggeri per i turisti che verranno poi. Lo rimorchieremo fino sulla Luna, e là inseriremo la propulsione. La base è diventata quasi una città, ormai, con officine e catene di montaggio. Quasi tutti i pezzi delle unità Daleth sono costruiti là, tranne gli elementi elettronici standard, che vengono dalla Terra. Procede tutto a meraviglia e nessuno trova da lamentarsi. — Si guardò intorno per toccare ferro, ma le sedie in plastica del giardino non ne avevano.
— Devo portarvi una pentola? — domandò Martha. Ed entrambi scoppiarono a ridere. — Forse preferite una bibita ghiacciata? Il cortile, così chiuso, ripara dalla brezza. Sentirete molto caldo, immagino.
— Grazie. Ma dovete farmi compagnia.
— Cercate di impedirmelo, se ce la fate. Gin e acqua tonica, dato che abbiamo cominciato col gin.
Martha si alzò e tornò con i bicchieri sopra un vassoio. Camminava senza far rumore, a piedi nudi, e Arnie trasalì quando la vide.
— Non volevo spaventarvi — disse lei, porgendogli un bicchiere.
— Voi non ne avete colpa: sono io lo sciocco. Ho avuto un periodo di grande lavoro e di tensione. E mi fa veramente bene starmene qui. Fa quasi caldo come in Israele.
— Ne sentite la mancanza, vero? — disse Martha. Poi soggiunse, in fretta: — Scusate, non sono fatti miei.
Il sorriso era sparito, la faccia di Arnie era inespressiva, ora. — Sì, sento la mancanza del mio paese e dei miei amici di là. Ma credo che mi comporterei ancora così, se mi si ripresentasse l’occasione.
— Non voglio ficcare il naso…
— No, Martha, è perfettamente vero. Ce l’ho quasi sempre in mente. Traditore o eroe? Preferirei morire che danneggiare Israele. Eppure ho ricevuto una lettera, in ebraico, senza firma. Che cos’avrebbe pensato Esther Bar-Giora? diceva.
— Vostra moglie?
— Sì. Vi assomiglia molto. Gli stessi capelli… — Lanciò un’occhiata alla figuretta di Martha, più carne che stoffa nel succinto costume da bagno, poi distolse lo sguardo e tossì. — La stessa corporatura. Ma lei era scura, sempre abbronzata dal sole. Una vera israeliana, nata e cresciuta in Israele. Era stata mia allieva; soleva dire che aveva sposato il professore. — Gli occhi di Arnie avevano ora un’espressione triste, lontana. — È stata uccisa durante un’incursione di terroristi. — Sorseggiò il suo gin. Nel silenzio che seguì, si udirono le allegre grida lontane dei bambini.
— Ma non lasciatemi cadere nella tristezza, Martha. È un pomeriggio troppo bello. Però vor rei sapere chi ha mandato quella lettera… Vorrei dire, a chiunque l’ha scritta, che Esther si sarebbe forse inquietata con me, ma certo poi avrebbe capito. E infine mi avrebbe dato ragione. Verrà il giorno in cui il bene del genere umano dovrà essere anteposto a quello della patria. Voi sapete che cosa intendo dire: siete americana per nascita e danese di adozione; una vera cittadina del mondo.
— No, non proprio. — Martha rise per mascherare la sua confusione. — Cioè sono sposata a un danese, ma sono ancora cittadina americana, con tanto di passaporto. — Perché gli aveva detto questo?
— Carte — disse lui, alzando la mano in un gesto di disprezzo — tutte cose senza senso. Noi siamo ciò che pensiamo di essere. Le nostre azioni riflettono la nostra moralità. Non mi esprimo bene, perché in filosofia non valgo niente… Io non sono mai riuscito in niente, tranne in fisica e in matematica. Una volta sono stato perfino bocciato in chimica: avevo dimenticato una storta sul. fornello, facendola così esplodere. E non mi sono mai preoccupato d’altro che del mio lavoro. E di Esther, naturalmente, dopo sposato. La gente mi definiva «orso» e aveva ragione. Non giocavo mai a carte, a cose del genere. Ma sapevo osservare e pensare. E vedevo i tentativi fatti per distruggere Israele. E quando l’idea della propulsione Daleth si fece sempre più prossima alla realizzazione, ho pensato con intensità sempre maggiore all’uso che dovevo farne. Ricordai Nobel e i suoi premi assegnati a individui dalla coscienza sporca. Ripensai agli scienziati atomici impazziti o che si erano suicidati. «Perché» mi ripetevo di continuo «perché non fare qualcosa prima di rivelare la scoperta? Non potrei destinarla al bene dell’umanità, invece che alla sua distruzione?» Quel pensiero mi perseguitava e non riuscivo a liberarmene. Infine dovetti decidermi ad agire di conseguenza. Sapevo che non sarebbe stato facile, ma non pensavo che fosse così arduo…
Arnie si interruppe e bevve qualche sorso. — Perdonatemi. Parlo troppo. È che sono stato molto tempo tra uomini. Basta una donna, un orecchio pietoso, e vedete che cosa succede?… Un bello scherzo. — E la sua faccia si contrasse in un sorriso doloroso.
— No! — Martha si protese d’impulso e gli afferrò una mano. — Una donna impazzirebbe se non potesse raccontare i suoi guai a nessuno. Credo che sia questo il guaio di voi uomini: vi tenete tutto dentro finché non esplodete e ammazzate qualcuno.
— Sì, certo. Grazie. Grazie infinite. — Le batté sulla mano, goffamente, poi si sdraiò, ad occhi chiusi. Un grosso calabrone ronzava affaccendato intorno all’altea rosata che si arrampicava sul muro della casa. Era l’unico rumore in quel pomeriggio tranquillo.
Den er fin med kompasset,
Slå rommen i glasset…
Nils cantarellava allegramente raschiando le bolle di vernice sul tetto dell’abitacolo. Il porto era deserto: in un pomeriggio di domenica come quello, tutte le barche erano fuori, sul Sound. Ci sarebbe andato anche lui, appena finito, ma non voleva vedere imperfezioni sulla sua Måge e così finì per passare quasi tutto il tempo a verniciare e lucidare, invece che a navigare. Be’, era divertente anche quello. Aveva buoni muscoli e gli piaceva usarli; anche se l’indomani sarebbero stati indolenziti, dopo tanti mesi di gravità lunare. Era lì a piedi nudi, in calzoncini da bagno, tutto sudato, e si divertiva straordinariamente. Cantava tanto forte che non udì neppure i passi sul ponte alle sue spalle.
— Accidenti, che baccano! — disse la voce.
— Inger! — Si sollevò a sedere e si asciugò le mani nello straccio. — Hai proprio preso l’abitudine di sorprendermi all’improvviso? E che diavolo fai qui?
— Un caso, se così si può dire. Sono qui con amici del Malmö Yacht Club, solo fino a stasera. — Indicò un grosso cruiser dall’altra parte del porto. — L’abbiamo ormeggiato là per pranzare e bere qualcosa, naturalmente. Lo sai che noi svedesi abbiamo sempre sete. Sono andati tutti nel kro. Devo raggiungerli.
— Non prima che t’abbia offerto qualcosa da bere! Ho qualche bottiglia di birra in un secchiello di ghiaccio. Santo cielo, come sei bella!
Era vero. Inger Ahlqvist: un metro e ottanta di bionda abbronzata, con un bikini così ridotto da vedersi appena.
— Non dovresti andartene intorno così — disse Nils, sentendosi contrarre involontariamente i muscoli. — Sei perfida a torturare un poveraccio che gioca all’Uomo sulla Luna da tanto tempo che si è dimenticato di com’è fatta una ragazza!
— Esattamente come me — replicò lei, ridendo. — Va bene, dammi quella birra, così poi me ne vado a mangiare. La vela mette appetito. Com’è la Luna?
— Indescrivibile. Ma ci andrai presto. La DFRS ha bisogno di hostess, e io ti strapperò alla SAS col miraggio di uno stipendio più alto. — Saltò dentro l’abitacolo, atterrando più pesantemente di quanto si aspettasse perché non si era ancora riabituato al cambiamento di gravità. E aprì la porta della cabina. — Ne prendo una anche per me. Che tempo splendido! Che cosa hai fatto, ultimamente?
Andò in fondo al locale, dove teneva le bottigliette verdi in un secchio d’acqua con pezzetti di ghiaccio. Lei lo seguì nell’abitacolo.
— La solita vita. Sempre divertente, ma non credere che non ti abbia invidiato per i viaggi sulla Luna e su Marte. Dicevi davvero, per la faccenda delle hostess?
— Certo. — Nils fece saltare i tappi con un aggeggio fissato alla parete. — Non posso ancora dirti i particolari, per via del segreto, eccetera, eccetera, ma esistono piani precisi per un servizio passeggeri, in futuro. Deve essere così. Ti rendi conto che possiamo raggiungere la base lunare impiegando meno tempo di quanto ci impiega un aereo di linea a volare da Kastrup a New York? Ecco qui.
Le allungò la bottiglia e lei fece un passo avanti per afferrarla.
— Skal.
La ragazza bevve avidamente, poi staccò la bottiglia dalle labbra umide, con un sorriso soddisfatto. Era a pochi centimetri da lui, ora.
Nils lasciò cadere la sua bottiglia, che rotolò sul ponte rovesciando un pallido ruscello di schiuma. Afferrò la ragazza alla vita e sentì sotto le mani il calore della pelle… Il corpo di Inger fu contro il suo.
Anche la bottiglia della ragazza cadde a terra e rotolò, fermandosi rumorosamente contro le altre.
Ma loro non se ne accorsero.
Arnie riposava con la bocca aperta e la testa ripiegata di lato; il respiro era profondo e regolare. Martha si alzò piano per non disturbarlo. Se fosse rimasta lì ancora, nel calore pesante del giardino, si sarebbe addormentata anche lei, e non voleva. Entrò in casa, si infilò una leggera giacca da spiaggia e bussò alla porta di Skou.
Lui venne ad aprire con un paio di auricolari in testa e le fece cenno di entrare. Aveva trasformato la camera da letto in un posto di comando, e c’era un tavolo pieno di dispositivi per comunicare con i suoi uomini. Impartì degli ordini, poi tolse il collegamento.
— Faccio una corsa fino al porto — disse Martha. — Il professor Klein dorme in giardino, dietro la casa, e non voglio disturbarlo.
— Ci pensiamo noi a sorvegliarlo. Gli dirò dove siete andata, se si sveglia.
Era una passeggiata di soli cinque minuti. Martha camminò lungo la spiaggia, tenendo in mano i sandali. La sabbia calda le accarezzava piacevolmente i piedi. Si tenne lontana dall’acqua che, lo sapeva, era sempre troppo fredda per poterci nuotare. L’aria era immobile, e non si udiva nulla tranne il pulsare di un elicottero, in alto. Probabilmente apparteneva al servizio di sorveglianza per Arnie. Nei dintorni erano parcheggiate parecchie auto e molti autocarri che venivano da fuori, e lei sapeva che alcuni vicini avevano ospiti inattesi. Quel povero ometto stanco veniva sorvegliato come un tesoro nazionale! Be’, probabilmente lo era. Salutò con la mano un gruppo di amici che pigliavano il sole sulla spiaggia, e salì i gradini di pietra fino sulla sommità dei frangiflutti. Nel porto c’erano pochissime imbarcazioni e scorse subito la Måge. Ma Nils non si vedeva.
Era forse andato al kro, oltre la strada, a bere qualcosa? No, di solito si fermava durante l’andata per comprare la birra. Dove diavolo poteva essere finito? Sotto coperta, probabilmente.
Stava per chiamarlo, quando vide la bottiglietta sul pavimento dell’abitacolo. Poco distante, sulla soglia dell’uscio semiaperto, notò una striscia di stoffa azzurra: la parte superiore di un bikini.
Nel medesimo istante, con chiarezza agghiacciante, capì che cosa avrebbe visto nella cabina. Era come se avesse già vissuto quell’istante prima, chissà quando, e ne avesse poi sepolto il ricordo che ora riaffiorava. Con calma, pur essendo sconvolta, si avvicinò all’estremità del pontile e si sporse, tenendosi aggrappata al palo d’ormeggio. Attraverso l’uscio socchiuso vedeva ora la cuccetta di tribordo, l’ampio dorso di Nils, le due mani che accarezzavano quel dorso e le gambe abbronzate…
Si rizzò, soffocando un singhiozzo, mentre un’ondata d’ira la travolgeva. Lì, nella loro barca, dopo essere stato via tanto tempo, e non ancora definitivamente a casa!
Stava per balzare dentro l’imbarcazione, per ferire, mordere, lacerare… Non aveva nessuna intenzione di dominarsi. Ma in quel momento esplosero delle grida.
— La vela è bloccata! — urlò qualcuno, in danese, dal panfilo a un solo albero che puntava veloce verso il pontile, dove stava lei.
Intravide un uomo che lottava con il sartiame aggrovigliato, una donna che spingeva la barra del timone e gridava qualcosa al compagno, e dei bambini che cercavano di afferrarsi alle gomene e cadevano uno sopra l’altro. In un altro momento, sarebbe stata una scena buffa. Il panfilo avanzava, ancora troppo veloce, ma la donna riuscì a manovrare il timone.
Invece di finire contro il timone con la prua, l’imbarcazione virò, investendo di striscio i pali di sostegno e rimbalzando lontano. Uno dei bambini cadde dal tetto della cabina e finì sul ponte, strillando per lo spavento. La vela scese, tutta aggrovigliata, e l’uomo si diede da fare con quella.
Poi il panfilo perse velocità e finì per fermarsi. La tragedia era scongiurata. Qualcuno cominciò a ridere. Tutto era avvenuto in pochi secondi. Martha fece di nuovo un passo avanti… poi esitò. In quei brevi istanti tutto era cambiato. Quei due, certo, si erano messi a sedere e stavano vestendosi, ridendo magari. Si sentì imbarazzata a quel pensiero e indugiò. Era ancora furente, anche se l’ira era come soffocata ora, dentro di lei. Il piccolo panfilo si era ormeggiato qualche metro più in là. E lei poteva adesso, a mente fredda, entrare nella cabina della Måge e fare una scenata, mentre quella gente era lì a sentire? Un ragazzo le passò accanto urtandola e si scusò mentre assicurava una delle gomene.
Con un singulto carico di odio e di dolore, si voltò di scatto e scappò via, di corsa. La rabbia, una rabbia terribile la bruciava. Come aveva potuto Nils comportarsi così? Sospirò di nuovo.
Solo quando si ritrovò davanti all’ingresso principale della sua casa si accorse che aveva ancora i sandali in mano e che le piante dei piedi le dolevano per la corsa sul marciapiede di cemento. Se li infilò, tremante, e ricordò che non aveva la chiave. Allora alzò il pugno per bussare, ma Skou la precedette aprendole la porta.
— Vigilanza è la nostra parola d’ordine — disse, facendola entrare e richiudendo a chiave l’uscio dietro di lei.
Martha annuì e se ne andò, senza badare a nulla. Vigilanza!… Avrebbe dovuto essere anche la sua parola d’ordine. Non voleva parlargli, né vedere nessuno. Attraversò rapidamente la casa e si chiuse in bagno. L’ira la consumava, prendendola alla gola; la rabbia impotente di non poter far niente. Non avrebbe dovuto fuggire! Ma che altro avrebbe potuto fare? Con un singhiozzo, aprì il rubinetto dell’acqua fredda e tuffò le braccia nel getto, spruzzandosi la faccia che scottava. Non riusciva neppure a piangere, tanto la rabbia era terribile. Nils! Come aveva potuto!
Si passò le dita nei capelli, senza avere il coraggio di guardarsi allo specchio. Se lui non si vergognava, lei sì. Si spazzolò i capelli con violenza. Molti uomini sposati facevano cose del genere, in Danimarca. Ma Nils, no. E perché no? Adesso sapeva. L’aveva già fatto altre volte? Come doveva comportarsi, ora? Come poteva punirlo?
Le sembrò improvvisamente di vederlo tornare, lì, nella loro casa, e cercare di abbracciarla come se niente fosse accaduto. Già… ma come si sarebbe comportata lei? Poteva rinfacciargli le sue colpe? Ma sentiva poi il bisogno di lui? Sì. No! Voleva solo vendicarsi. Ciò che aveva fatto era imperdonabile.
Aveva un nodo alla gola, stava per scoppiare in lacrime. Ma no, non doveva! Perché piangere? C era di che infuriarsi, invece, questo sì.
Si rizzò di scatto, per non vedere più la propria immagine riflessa. Così facendo, notò un piccolo taccuino sopra il contenitore della biancheria sporca e lo raccolse perché quello non era il suo posto. Lo aprì distrattamente, domandandosi che cosa potesse farne, e vide che i fogli erano coperti da file di calcoli e da simboli strani piuttosto che da numeri. Allora lo chiuse di scatto, corse in camera sua e si appoggiò alla porta, tenendo il taccuino stretto al petto.
Se si può dire che a volte l’emozione si sostituisce ai processi logici del raziocinio, quella fu certo una di tali occasioni. Baxter l’aveva seccata raramente, negli ultimi tempi, ma lei non pensava affatto a lui. E neanche all’America o alla Danimarca, alla lealtà o al patriottismo… Pensava a Nils e a ciò che aveva visto sulla barca e, forse inconsciamente, decise di ferirlo come aveva fatto lui.
Fu estremamente facile. Chiusa a chiave la porta della camera, andò alla scrivania e prese la macchina fotografica dal cassetto. Ci aveva messo una pellicola il giorno avanti, in previsione del ritorno di Nils: una pellicola a colori per immortalare quella vacanza tanto attesa! Sul tappeto, accanto al letto, c’era una chiazza di sole che entrava dalla finestra aperta. Posò il taccuino proprio al centro e lo aprì alla prima pagina. Poi sedette sul bordo del letto e guardò nel mirino della macchina: giusto. Proprio un metro di distanza, la più breve da cui potesse fotografare senza che i contorni risultassero confusi. La scrittura risaltava chiaramente, e la macchina regolò automaticamente l’esposizione.
Clic.
Martha girò il rullino di uno scatto, si chinò a voltare la pagina, poi puntò di nuovo i gomiti sulle ginocchia.
Restavano ancora dieci scatti quando ebbe voltato l’ultimo foglio. Fotografò anche la copertina davanti e dietro, perché non voleva sprecare la pellicola. Ma, rendendosi conto che si stava comportando scioccamente, rimise la macchina nell’astuccio e la ripose nel cassetto. Poi prese il taccuino e uscì. Incontrò Arnie che saliva le scale.
— Martha — disse questi, aguzzando gli occhi nella penombra, abituato com’era alla luce di fuori. — Mi sono svegliato di soprassalto e mi sono accorto di avere lasciato il mio taccuino non so dove.
Lei trasalì leggermente, e la sua mano strinse più forte il blocchetto.
— Eccolo qui! — disse, porgendoglielo.
Lui sorrise. — Grazie!
— Stavo portandolo in camera vostra — disse lei con voce stranamente acuta. Ma Arnie non sembrò farci caso.
— Avete fatto bene a darmelo — continuò. — Se Skou l’avesse trovato in giro, probabilmente mi avrebbe rimandato subito sulla Luna. Grazie. Lo chiudo in valigia perché non càpiti più una cosa simile. Perdonate se mi sono addormentato così… Ma ora mi sento molto meglio. È stata una giornata meravigliosa.
Lei annuì, mentre lui entrava in camera sua.