— Inutile prendere tutt’e due le auto — disse Martha al telefono. — D’accordo, discuteremo dopo su quale delle due scegliere… Sì, Ove… È pronta Ulla?… Bene. Sarò lì tra un’oretta, credo… Sì, così avremo tutto il tempo. I nostri posti sono riservati, e non dovrebbero esserci difficoltà. Vado, perché suonano alla porta. Tutto a posto?… Arrivederci, allora.
Riappese in fretta e andò a mettersi la vestaglia, mentre il campanello tornava a suonare: non poteva andare ad aprire in sottoveste.
— Ja, nu kommer jeg — gridò, mentre si precipitava in anticamera. Ma, socchiusa la porta, si fermò interdetta vedendo il carico di spazzole e piumini di un venditore ambulante.
— Nej tak, ingen pensler idag.
— Lasciatemi entrare — disse l’uomo. — Devo parlarvi.
Quell’improvvisa richiesta in inglese la sorprese, e Martha alzò lo sguardo dal vestito sciupato dell’uomo alla sua faccia, agli occhi acquosi e ammiccanti, con l’orlo delle palpebre infiammato.
— Signor Baxter! Non vi avevo riconosciuto… — Senza gli occhiali cerchiati di scuro, l’americano sembrava una persona completamente diversa.
— Mica posso starmene qui sull’uscio, così! — rispose Baxter, stizzito. — Fatemi entrare!
La urtò perché lo lasciasse passare; lei si tirò in disparte e richiuse la porta.
— Ho cercato molte volte di mettermi in contatto con voi — disse Baxter lottando per districarsi da! groviglio di scopini, piumini, spazzolini e lasciarli cadere per terra. — Avete ricevuto le lettere, i messaggi?
— Non voglio più vedervi! Ho fatto quello che volevate, e vi ho mandato la pellicola. Dunque smettetela di scocciarmi. — Si voltò e posò la mano sulla maniglia.
— No! — gridò Baxter, mandando l’ultima spazzola a sbattere contro il muro. Cercò affannosamente in una tasca interna e trovò gli occhiali. Quando se li fu infilati, si sentì più calmo. — Le negative non servono a niente.
— Volete dire che non sono riuscite? Sono sicura di avere fatto tutto come si deve.
— Dal punto di vista tecnico, sì. Ma non intendevo questo. Il taccuino… le equazioni… non avevano niente a che fare con l’effetto Daleth! Riguardano tutte il generatore a fusione del professor Rasmussen e non ciò che serve a noi.
Martha si trattenne dal sorridere, ma in fondo si rallegrò. Aveva fatto quello che le avevano detto di fare, e il colpo era andato a vuoto. Non era colpa sua.
— Non potreste rubare il generatore a fusione? Non è di valore anche quello?
— Non si tratta di valore commerciale — replicò Baxter freddamente, riprendendo il suo solito modo di fare. — Comunque, per il generatore stanno chiedendo il brevetto, e noi potremmo anche acquistarlo. Ciò che ci interessa… riguarda la sicurezza nazionale.
Le lanciò un’occhiata di fuoco e lei si strinse addosso la vestaglia.
— Non posso fare altro per voi. Ora è tutto sulla Luna, lo sapete. Anche Arnie se n’è andato…
— Ve lo dirò io che cosa potete fare… e non c’è tempo da perdere! Credete che me ne andrei in giro conciato così e con tutta questa mercanzia addosso, se le cose non fossero d’importanza vitale?
— Mi sembrate un po’ matto — disse lei, cercando di non scoppiare a ridere.
Baxter le lanciò uno sguardo carico d’odio, e gli ci volle un mo: mento perché riuscisse a dominarsi. — Adesso ascoltatemi — disse, infine. — Oggi andrete alla cerimonia, e girerete per tutta la nave. Noi abbiamo bisogno di conoscere alcuni particolari su di essa. Voglio che voi…
— Io non farò più niente. Andatevene.
Martha allungò la mano verso il pomo della porta, ma Baxter le afferrò il braccio, stringendolo con dita d’acciaio. Lei trattenne il respiro per il dolore, mentre l’uomo la strappava via dall’uscio e le si avvicinava sempre più. Ha il fiato che puzza d’alcol pensò Martha sul punto di mettersi a piangere, tanto il braccio le doleva.
— E adesso ascoltatemi — sibilò Baxter. — Voi farete quello che voglio io. E se avete bisogno di un motivo diverso dall’amor di patria, ricordatevi che io ho una pellicola che viene dalla vostra macchina fotografica, con le vostre impronte digitali sparse dappertutto e le istantanee del vostro pavimento. Ai danesi piacerebbe molto vedere tutto questo, no?
Il suo sorriso ricordò a Martha la smorfia di un individuo che muore tra sofferenze atroci. Si svincolò dalla stretta e fece un passo indietro. Sarebbe stata una perdita di tempo dire a quell’uomo che cosa pensava di lui.
— Che cosa volete che faccia? — domandò infine, fissando il pavimento.
— Così va meglio. Voi siete un’esperta fotografa, dunque prendete questa spilla. Appuntatela sulla borsa prima di uscire.
Lei la tenne nel palmo della mano. Non era brutta e non avrebbe stonato con la borsetta di coccodrillo nera. Era formata da una grossa pietra centrale, circondata da un cerchio di schegge di diamante e di altre pietre che avevano l’aria di piccoli rubini. E il bordo era in oro sbalzato, ornato di volute complicate.
— Appuntatela con quella sulla borsetta — ripeté Baxter, indicando la voluta più lunga. — È a obiettivo grandangolare, e l’apertura è prestabilita. Lavora quasi con qualsiasi luce. Ci sono più di cento scatti: dunque non fate economia. Voglio foto del ponte e della sala macchine, se ci andate; e i primi piani dei comandi, istantanee dei corridoi, scale, compartimenti, camere stagne. Tutto. Poi io vi mostrerò le foto stampate e dovrete dirmi di che si tratta; perciò fate molta attenzione a tutto, anche all’ordine in cui si svolge la visita attraverso la nave.
— Non sono pratica di questo lavoro. Non potete incaricare qualcun altro? Vi prego. Ci saranno centinaia di persone là…
— Se avessimo qualcun altro, credete che verremmo a cercare proprio voi? — L’ultima parola, pronunciata con freddo disprezzo, gliela gettò in faccia mentre si chinava a raccogliere le spazzole. Poi Baxter, agitando minacciosamente una spugnetta lavapiatti, aggiunse: — E che non succedano incidenti… come la macchina che cade e si rompe, oppure la pellicola esposta alla luce per dare poi la colpa a noi! Conosco tutti i trucchi. Non avete scelta. Scatterete le foto come vi ho ordinato. Ecco, questo è per voi. — E le porse uno scopino, ridendo freddamente, sicuro di sé. Poi aprì la porta e scomparve.
Martha guardò l’oggetto che teneva in mano e lo gettò lontano. Ecco che cosa pensava di lei… Uno scopino da gabinetto! E, tremando di rabbia, se ne andò in camera sua per terminare di vestirsi.
— Guardate che folla! — disse Ove, sterzando bruscamente per evitare un torpedone carico di studenti che applaudivano e agitavano bandierine dai finestrini.
— Naturale — disse Ulla, seduta in fondo all’auto con Martha. — È una giornata eccezionale.
— Anche il tempo è splendido. — Ove guardò il cielo. — Molte nubi, ma niente pioggia. Il sole non c’è… ma non si può avere tutto.
Martha rimase in silenzio, le dita contratte sulla borsetta con la grossa spilla d’oro che sporgeva dal risvolto. Ulla l’aveva subito notata e lei aveva dovuto inventare in fretta una bugia.
Sarebbe stato impossibile avvicinarsi alla banchina, senza invito ufficiale. Così passarono attraverso le barriere e si diressero al castello Amalienborg, il cui immenso cortile era stato adibito a parcheggio alle macchine. Di là dal bordo dell’acqua, c’era solo una breve camminata attraverso Larsens Plads. C’era aria di vacanza anche lì, e una banda suonava allegramente, mentre le bandiere sventolavano sui palchi eretti lungo la banchina e gli invitati prendevano posto, chiacchierando.
— Dieci minuti — disse Ove, lanciando un’occhiata al suo orologio. — Meglio affrettarsi. A meno che Martha pensi che suo marito sarà in ritardo…
— Nils!
Ove e sua moglie scoppiarono a ridere a quell’idea, e Martha con loro. Per alcuni secondi si sentì a suo agio in quel posto, a pochi passi dal Re e dalla famiglia reale e in allegra compagnia. Poi il ricordo di Baxter le si riaffacciò alla mente, causandole una stretta al cuore, e lei afferrò con le dita contratte la borsetta, sicura che tutti stessero guardandola. La banda attaccò Re Cristian, l’inno nazionale, e si sentì un immenso scalpiccio mentre tutti si alzavano in piedi. Dopo l’inno nazionale venne C’è un paese delizioso, che terminò con gran rullare di tamburi. Quando le ultime note si spensero, tutti sedettero e, quasi nel medesimo istante, si udì una specie di fischio lontano. La gente guardò in su, riparandosi gli occhi con la mano, per cercare di vedere. Il suono si fece più profondo, si trasformò in un rombo, e un punto scuro uscì dallo strato di nubi che si stendeva alto nel cielo.
— Puntualissimo, al secondo! — esclamò Ove, eccitato.
Il punto si ingrandì, velocissimo, assunse proporzioni gigantesche e sembrò scendere direttamente sulla folla, che trattenne il respiro lasciandosi sfuggire qualche grido soffocato.
Poi la velocità cominciò a diminuire, e la grande forma scese dolcemente come una foglia che cade dall’albero, abbassandosi verso le acque tranquille dell’Yderhavn. Molti trattennero il respiro, mentre il veicolo si mostrava ora nelle sue reali dimensioni. Lo scafo bianco e nero era grande come quello delle navi oceaniche; migliaia di tonnellate di metallo. Era un immenso disco con la base e la sommità appiattite e la protuberanza sporgente del ponte di comando, tutta a vetri. E se ne stava lì, assurdamente sospesa, senza mezzi di propulsione visibili: non si udivano altri rumori, tranne il fruscìo dell’aria contro i fianchi.
Un silenzio assoluto calò sugli astanti: un gabbiano gridò. La grande nave si fermò completamente, a pochi metri dalla superficie dell’acqua. Poi, con infinita precisione, scese ancora, posandosi con tale delicatezza che solo una piccola onda andò a frangersi contro la banchina. Poi, mentre la nave si avvicinava, si aprirono i boccaporti sui ponti superiori, e gli uomini uscirono con le gomene per l’ormeggio.
Un applauso spontaneo esplose dalla folla, e tutti i presenti balzarono in piedi, gridando con quanto fiato avevano in gola, battendo le mani, soffocando il fracasso gioioso della banda con il loro rumoroso entusiasmo. Anche Martha appaludiva con gli altri, dimenticando tutto nell’esaltazione sfrenata di quel momento.
Sullo scafo si leggeva un nome, scritto in lettere nere su fondo bianco. Holger Danske. Il nome più fiero della Danimarca.
Prima ancora che le gomene fossero assicurate, una rampa fu spinta fuori dal portello aperto. Un gruppetto di funzionari si avvicinò per dare il benvenuto agli ufficiali che scendevano dalla scaletta. Anche da quella distanza la gigantesca figura di Nils spiccava distintamente tra le altre. Gli ufficiali salutarono, ricambiarono la stretta di mano e si diressero verso il palco reale. Nils passò poco lontano da Martha e le sorrise quando lei agitò una mano.
Poi ci furono onori, ricompense, un breve discorso del Re, alcuni discorsi più lunghi tenuti da uomini politici. Fu il primo ministro a tenere il discorso ufficiale. Rimase eretto per un istante, col vento che gli scompigliava i capelli, a guardare la nave che gli stava davanti. Quando parlò, c’era una commozione sincera nella sua voce.
— Secondo l’antica leggenda, Holger Danske giace addormentato, pronto a svegliarsi e a correre in aiuto della Danimarca, quando questa si trovi in difficoltà. Durante la guerra, il movimento partigiano di resistenza scelse per sé appunto il nome di Holger Danske, e lo portò con onore. Ora abbiamo una nave che si chiama allo stesso modo, la prima di molte altre che seguiranno, ed essa sarà di aiuto alla nostra patria in modo impensato. Stiamo per aprire le porte del sistema solare all’umanità. È un’impresa tanto grande da sorpassare i limiti dell’immaginazione… Le distese dello spazio mi sembrano un immenso oceano che aspetti di essere attraversato da noi, come nel diciannovesimo secolo fu attraversato l’Atlantico dai navigatori danesi in cerca di terre nuove e fantastiche sull’altra sponda. La scienza trarrà vantaggio dall’osservazione e dai laboratori che si stanno costruendo sulla Luna; 1’ industria trarrà vantaggio dalle nuove fonti di materie prime che attendono lassù; l’umanità pure sarà avvantaggiata, perché questa è un’impresa collettiva di tutte le nazioni del mondo. Noi speriamo con tutto il cuore che la causa della pace ne risulterà rafforzata, perché lassù, nello spazio, il nostro mondo appare piccolo, velato, lontano. La Danimarca è un paese troppo piccolo anche solo per tentare di sfruttare un intero sistema solare… se pur desiderassimo farlo. Ma non è questo che vogliamo. Noi cerchiamo con tutte le forze la collaborazione mondiale. Fra due giorni la Holger Danske partirà per il suo primo viaggio su Marte, con a bordo rappresentanti di molte nazioni. Là si stanno costruendo laboratori per ricerche scientifiche, e scienziati di moltissimi paesi resteranno sul pianeta rosso per iniziare i loro lavori. I rappresentanti politici, invece, torneranno per raccontare ai rispettivi concittadini che cosa riserva loro l’avvenire. Un futuro certamente lieto. E noi, come danesi, siamo orgogliosi di poterne causare l’avvento.
Sedette tra il fragore degli applausi, e la banda riattaccò. Le telecamere ripresero la scena, mentre veniva annunciato che gli invitati potevano ora visitare la nave.
— Vedrete — disse Ove. — La prima unità costruita appositamente per questo… e senza risparmio di spese. È fondamentalmente una nave mercantile, ma la cosa è stata abilmente mascherata. L’intera sezione interna è costituita di stive per le merci, e i compartimenti riservati ai servizi sono soltanto nella parte anteriore. Resta dunque tutta la fascia esterna per le cabine, ciascuna col suo oblò. Lussuose, vi assicuro. Venite, prima che arrivino troppi giornalisti.
Per salire sulla nave bisognava attraversare la sala della dogana che serviva per gli arrivi del traghetto di Oslo, che attraccava normalmente a quel pontile. E i funzionari della dogana se ne stavano lì, svolgendo il solito lavoro. Non era permesso salire a bordo portando pacchi; cartelle e borse venivano accuratamente ispezionate. Con estrema cortesia veniva chiesto agli uomini di rovesciare le tasche, alle donne di aprire la borsetta. In caso di rimostranze, c’erano lì pronti funzionari di polizia e alti ufficiali dell’esercito, che avrebbero sistemato la faccenda con calma. In una stanzetta laterale c’erano perfino un ammiraglio e un generale, che chiacchieravano con un ministro e un ambasciatore. Evidentemente si voleva aver sottomano persone di grado uguale o superiore a quello degli invitati, per risolvere ogni eventuale controversia.
Ma non ce ne furono. Qualche paio di sopracciglia inarcate e qualche sguardo freddo, da principio… Poi il primo ministro diede l’esempio, vuotando le tasche e mostrando che cosa conteneva il portafoglio. Certamente era una messinscena, ma aveva la sua ragione d’essere. Non bisognava compromettere la sicurezza della Holger Danske.
Mentre la fila avanzava lentamente, Martha Hansen si sentiva paralizzare dalla paura. Sarebbe stata scoperta e svergognata… Se avesse potuto scappare via, lontano, chissà dove, l’avrebbe subito fatto. Ma poteva solo seguire gli altri, inciampando. Ulla le disse qualcosa e lei si limitò ad annuire, senza capire. Quando arrivò davanti al banco, si trovò di fronte un funzionario della dogana dall’ aria severa, che lentamente allungò una mano.
— Un gran giorno per vostro marito, signora Hansen — disse. — Permettete? — E indicò la borsetta.
Lei gliela porse.
— Vi dispiace aprirla? — disse l’uomo.
Martha l’accontentò, e lui vi frugò dentro.
— Il portacipria, prego.
Martha glielo diede. L’altro lo aprì, lo richiuse e glielo restituì.
L’occhio luccicante della spilla-macchina-fotografica era puntato direttamente su di lui. Per un istante il funzionario lo guardò sorridendo.
— Basta così, grazie — dichiarò poi. E si voltò verso un altro invitato.
I Rasmussen aspettavano, e Nils salutava con la mano dal ponte soprastante. Martha rispose al saluto. Poi tutti salirono a bordo.
Martha teneva stretta la borsetta, un dito sulla spilla, domandandosi che cosa avrebbe detto a Nils, se l’avesse notata. Normalmente lui era il più calmo degli uomini, in servizio, ma quel giorno non era così. Le mani che teneva dietro la schiena apparivano contratte, e gli occhi brillavano di eccitazione.
— Martha, questo è il gran giorno! — esclamò, abbracciandola, e sollevandola completamente da terra per un attimo, mentre la baciava appassionatamente. Quando la mise giù, lei aveva le vertigini.
— Santo cielo… — disse.
— Vedi? Non è un sogno? Mai visto niente di simile, dall’inizio del mondo. Potremmo portarci dietro il povero piccolo Blaeksprutten come scialuppa, te lo garantisco io! E la cosa più splendida è che non si tratta di un veicolo adattato alla bell’e meglio, ma di una nave appositamente progettata per essere usata con la propulsione Daleth. Il ponte di comando è sistemato in modo da favorire gli spostamenti laterali, come in un aereo, ma permette piena visibilità anche sopra e sotto, per l’accelerazione e la decelerazione. Vieni, che ti mostro tutto. Tutto, tranne la sala macchine, che è chiusa a chiave mentre i visitatori sono a bordo. E se ne avremo il tempo, vorrei mostrarti la mia camera da letto e la mia cabina. — La cinse con un braccio, mentre camminavano. — Martha, dopo aver pilotato questa meraviglia, tutto è cambiato. Adesso mi sembra che guidare il più grande degli aerei sarebbe… non so, come pedalare su un’auto da bambini. Vieni!
Mentre attraversavano la camera stagna aperta, Martha sfiorò col dito la voluta dorata della spilla. Sentendola cedere leggermente, detestò se stessa.