24

Per Martha Hansen, gli avvenimenti avevano una certa parvenza di sogno che glieli rendeva sopportabili. Tutto era cominciato quando Ove l’aveva chiamata al telefono quella notte, alle quattro e diciassette. Il ricordo più preciso di quella telefonata era la posizione delle lancette fosforescenti nel buio, mentre la voce di Ove ronzava al suo orecchio.

Le 4,17. Quei numeri dovevano avere un significato importante, perché continuavano a tornarle a galla nella mente. A che ora aveva cessato di esistere il suo mondo? No, lei era ancora perfettamente viva. Ma Nils era lontano, per uno dei suoi viaggi. Era sempre tornato dai suoi voli, prima di questo…

Ma a quel punto i suoi pensieri scivolavano via per fissarsi su qualcos’altro. Le 4,17. La gente che le aveva telefonato, parlato. Anche il primo ministro in persona e la famiglia reale… Le 4.17. Aveva cercato di essere gentile con tutti. Certo che lo era stata. Aveva imparato ad essere educata andando a scuola, se non altro.

Ma avrebbe dovuto osservare di più, durante quel viaggio sulla Luna. Tuttavia, anche allora il torpore aveva prevalso. Avevano volato su una delle nuove navi lunari; «autobus spaziali», li chiamavano. Press’a poco come viaggiare su un jet, ma con molto più spazio intorno. Una lunga cabina, file di sedili, panini imbottiti e liquori. Perfino una hostess. Una ragazza alta e bionda, che le era stata molto vicina per la maggior parte del viaggio, che le aveva perfino rivolto qualche parola con il caratteristico accento svedese che gli uomini adoravano. Ma era anche lei triste, ora, come tutti. Da quanto tempo non vedeva sorridere?

La cerimonia del funerale le era sembrata squallida. C’era quel monumento, è vero, sul suolo senz’aria appena oltre le finestre, avvolto in bandiere. E una tromba aveva lanciato uno squillo doloroso che straziava il cuore. Ma lì non c’era seppellito nessuno. Nessuno ci sarebbe mai stato sepolto. Un’esplosione, le avevano detto. Morto istantaneamente, senza soffrire. E così lontano. Alcuni giorni dopo, Ove Rasmussen le aveva raccontato la vera storia che stava dietro a quell’esplosione. Sembrava una pazzia. No, la gente, in realtà, non poteva fare cose del genere agli altri… Eppure sì. E Nils era il tipo di uomo capace di fare ciò che aveva fatto. Non era un suicidio. Martha non riusciva a immaginarsi Nils che si suicidava. Era stata la vittoria di una causa che lui riteneva giusta. E se questa richiedeva il sacrificio della vita, Martha sapeva che lui l’avrebbe considerato un particolare secondario, e non ci avrebbe pensato su gran che. Morendo, le aveva insegnato cose che in lui vivo non avrebbe mai sospettato.

— Un goccetto di cherry? — domandò Ulla chinandosi su di lei con un bicchiere in mano. Erano in una sala d’aspetto: la cerimonia era terminata. Sarebbero tornate presto a Copenaghen.

— Sì, grazie.

Martha sorseggiò il liquore e cercò di osservare gli altri. Sapeva di non averlo fatto, ultimamente, e sapeva anche che gli altri glielo perdonavano. Ma a lei non andava. Quell’atteggiamento assomigliava troppo da vicino alla pietà. Sorseggiò ancora e si guardò intorno. Al loro tavolo c’era un alto ufficiale dell’esercito, e un funzionario del ministero dello spazio, di cui non ricordava il nome.

— Non capiterà mai più — disse Ove, rabbioso. — Abbiamo trattato le altre nazioni come se fossero paesi civili e non mostri di… di ingordigia nazionalistica. Questa è l’unica definizione. Armi introdotte di nascosto, assassini prezzolati, pirateria dello spazio… Incredibile. Non avranno occasione di ritentare. E noi non ci suicideremo mai più. Ammazzeremo loro, se proprio lo vogliono.

— Senti, senti! — disse l’ufficiale dell’esercito.

— Le nuove navi Daleth verranno costruite con una perfetta divisione interna. E lo diremo chiaramente. Equipaggio da una parte, passeggeri dall’altra, senza neppure una paratìa in mezzo. Se necessario, imbarcheremo una squadra di soldati armati di fucili, di gas…

— Non esageriamo, mio caro…

— Sì, certo. Ma sapete benissimo che cosa intendo dire. Non deve capitare mai più.

— Quelli non la smetteranno di tentare — disse, cupo, il funzionario del ministero. — Così è probabile che prima o poi riescano a carpirci il segreto della propulsione, se pure non ci arriveranno per conto proprio.

— Può darsi — disse Ove. — Però rimanderemo quel giorno il più possibile. Che altro possiamo fare?

L’unica risposta era il silenzio. Che altro c’era da fare?

— Scusate — disse Martha. E gli uomini si levarono in piedi, mentre lei se ne andava. Sapeva dove trovare il comandante della base, e questi fu molto comprensivo.

— Naturalmente, signora Hansen — disse. — Non c’è nessuna ragione di rifiutare una richiesta simile. Avremo cura di rimandarvi gli effetti personali del capitano. Ma se c’è qualcosa che desiderate prendere ora…

— No, non è per questo, Vorrei soltanto sapere dove viveva quando era qui. L’ho visto così di rado, quest’ultimo anno!

— Comprensibilissimo. Se permettete, vi accompagnerò io stesso.

Era una piccola stanza, senza lusso, in una delle sezioni costruite per prime. Martha fu lasciata sola. Le pareti, sotto la crosta della vernice che le ricopriva, mostravano ancora le venature dello stampo di legno dove era stato versato il cemento. Il letto era di metallo e molto duro, l’armadio e i cassetti incorporati erano funzionali. L’unica nota di ricercatezza veniva da una finestra che dava sulla pianura lunare. Era stata ottenuta con mezzi di fortuna: due comuni oblò per navi saldati insieme, che formavano un vetro di spessore doppio. Martha guardò le distese e le colline prive d’aria, nitidamente stagliate oltre il vetro, e si immaginò lui in piedi, al suo posto. Le uniformi di ricambio erano appese con ordine nell’armadio, e lei sentì disperatamente la sua mancanza. Le restava ancora qualche lacrima, non molte, e si asciugò gli occhi col fazzoletto. Aveva sbagliato, a venire lì; ormai lui era morto e non sarebbe più tornato. Era ora di partire. Mentre si voltava per andarsene, vide la propria foto incorniciata sulla scrivania. Piccola, a colori, in costume da bagno, sorridente in un attimo di felicità. Chissà perché, non si fermò a guardarla. Nils l’aveva amata, lo sapeva. Avrebbe dovuto saperlo sempre. Malgrado tutto.

Martha fece l’atto di infilare la foto nella borsetta, poi aprì invece il primo cassetto e la ficcò sotto il pigiama. La sua mano sfiorò qualcosa di duro, e tirò fuori un libretto rilegato in cartone. Elementaer Vedligeholdelse og Drift af Daleth Maskinkomponenter af Model LV stava scritto in copertina. Mentre traduceva mentalmente i complessi termini danesi, sfogliò in fretta il libretto. Diagrammi, disegni ed equazioni le passarono rapidamente sotto gli occhi, mentre il senso del titolo le si imprimeva nel cervello.

Nozioni fondamentali per la Manutenzione e il Funzionamento delle Unità di Propulsione Daleth Mark LV.

Evidentemente Nils stava studiandolo; voleva sempre conoscere nei minimi particolari gli aerei che pilotava. Le nuove navi non facevano eccezione. Aveva nascosto e dimenticato lì quel libriccino.

Erano morti in molti per impadronirsi di ciò che lei teneva in mano in quel momento… Altri erano morti per impedirglielo…

Allungò una mano per rimettere l’opuscolo nel cassetto, poi esitò e lo guardò di nuovo.

Anche Baxter era saltato in aria, gliel’avevano detto, col resto della nave. All’ambasciata c’era ora un nuovo funzionario che aveva cercato di mettersi in contatto con lei. Ormai avevano il suo nome scritto da qualche parte.

Se gli avesse dato quel libretto, l’avrebbero lasciata in pace. Tutto sarebbe stato sistemato per sempre.

Martha lo lasciò cadere nella borsetta e la chiuse di scatto. Poi richiuse il cassetto della scrivania, lanciò un’ultima occhiata alla stanza e uscì.

Quando raggiunse gli altri, vide che molti erano già pronti a partire. Si guardò attorno nella sala, cercando un viso noto. Lo trovò. La persona era addossata alla parete, e guardava fuori della finestra.

— Skou — chiamò.

Lui si girò. — Ah, signora Hansen! Vi avevo visto, ma non ho avuto occasione di parlarvi. Tutto, tutto…

Pareva perseguitato dai ricordi, e Martha si domandò se non si rimproverasse quello che era successo.

— Ecco — disse lei, aprendo la borsetta e porgendogli l’opuscolo. — L’ho trovato tra le cose di mio marito. Non credo che a voi faccia piacere sapere che questo è in giro.

— Santo cielo, no! — esclamò Skou, leggendo il titolo. — Grazie, siete stata molto gentile, molto utile. La gente, di solito, non ci pensa, e questo non aiuta il mio lavoro, vi assicuro. Copie numerate. Credevamo che fosse rimasta a bordo della Holger Danske… Non me n’ero accorto. — Si eresse, poi fece un breve, cerimonioso inchino.

— Grazie, signora. Non sapete quanto il vostro gesto sia stato prezioso.

Lei sorrise. — Ma lo so benissimo, Skou. Mio marito e molti altri sono morti per tenere segreto ciò che sta scritto in quel libro. Era il minimo che potessi fare. Ed è vero il contrario: fino ad ora non mi ero resa conto di quanto mi siete stati d’aiuto tutti voi!

Era ormai ora di partire per la Terra.

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