16

Martha Hansen aveva dormito male. Non che le desse noia trovarsi sola nella casa vuota… Era sempre così quando Nils partiva. Ma forse da un po’ di tempo a quella parte si era abituata ad averlo con sé troppo spesso, e per questo il grande letto matrimoniale le sembrava deserto.

No, non si trattava neppure di questo. In realtà stava accadendo qualcosa di molto importante, forse di pericoloso, di cui Nils non le aveva potuto parlare. Ormai lo conosceva abbastanza bene da capire subito quando aveva un segreto. Dovrò rimanere fuori una notte, forse alcuni giorni, aveva detto. Poi si era voltato e aveva acceso il televisore. Si trattava di una cosa importante, ne era certa, e quel pensiero la teneva sveglia. Aveva sonnecchiato un po’, si era svegliata di soprassalto, e non era più riuscita a riaddormentarsi. Troppo stanca per leggere e troppo tesa per dormire, non aveva fatto che girare e rigirare il guanciale fino all’alba. Poi si era alzata, e dopo aver preparato la macchinetta per il caffè aveva fatto la doccia.

Mentre sorseggiava la bevanda bollente, aprì la radio per ascoltare le notizie, ma non c’era niente. Passò allora sulle onde corte e incappò in un incomprensibile discorso tenuto in una strana lingua gutturale; sorvolò sopra un programma arabo di musica leggera, e finalmente captò il giornale radio della trasmissione per stranieri mandato in onda dalla BBC. C era un servizio riguardante la stasi dei colloqui sul sud-est asiatico. Si versò altro caffè, ma per poco la tazzina non le sfuggì di mano quando sentì pronunciare la parola Copenaghen.

… rapporto incompleto, sebbene finora non sia stata fatta alcuna dichiarazione ufficiale. Tuttavia, testimoni oculari affermano che la città trabocca di soldati e che c’è molto movimento sulla banchina. Voci non ufficiali fanno il nome dell’Istituto Nils Bohr, e pare che siano in corso altri esperimenti sulla propulsione Daleth.

Martha alzò il volume al massimo per non perdere una parola mentre si vestiva. Che cosa stava accadendo? E soprattutto, c’era pericolo? Dal giorno in cui erano state uccise le spie e ferito Arnie, lei viveva nel terrore del peggio.

Ormai era completamente vestita, coi guanti e le chiavi dell’auto già in mano. Ma sulla soglia si fermò. Dove andava? E a fare che cosa? Tutta quella fretta di uscire la colpì come una manifestazione di isterismo estremamente sciocca. Non poteva aiutare Nils. Allora si lasciò cadere su una sedia dell’ingresso e lottò per non scoppiare in lacrime. La radio, intanto, continuava a trasmettere.

e un dispaccio arrivato in questo momento informa che la nave sperimentale, chiamata anche hovercraft, non è più nei cantieri di Elsinore. Si può forse trovare un nesso tra questa notizia e gli avvenimenti precedenti verificatisi a Copenaghen…

Martha uscì sbattendosi la porta alle spalle, e aprì il garage. Non poteva fare niente, questo lo sapeva, ma non era necessario che rimanesse in casa. E mentre si dirigeva a sud, sulla Strandvejen semideserta a quell’ora, sentiva di avere preso una decisione giusta.

Però non si sentì più tanto sicura quando arrivò a Copenaghen, un labirinto di strade bloccate, piene di soldati col fucile in mano. Erano tutti molto cortesi, ma non la lasciavano passare. Tuttavia lei non si arrese. Curiosò qua e là, nel traffico che andava facendosi sempre più intenso, e si accorse che era stato creato un grande anello intorno alla zona del Porto Franco. Allora fece un ampio giro, percorrendo vicoli secondari, e puntò di nuovo verso la banchina al di là del Kastellet, il castello a pianta pentagonale e cinto da un fossato, sul fianco meridionale del porto. Poco prima di giungere alla banchina, trovò un posto per l’auto. La gente le passava accanto a piedi, e c’erano altre persone più avanti, vicino all’acqua.

Il vento freddo che tirava dal Sound la sferzava e lei non aveva modo di difendersi. La folla aumentava e tutti scrutavano l’Øresund per scoprire qualche segno di attività insolita. Alcuni degli spettatori si erano portati la radio, ma nessun bollettino accennava ai misteriosi avvenimenti del Frihavn.

Passò un’ora, poi un’altra, e Martha cominciò a domandarsi che cosa stesse lì a fare. Era completamente gelata e le radioline trapassavano i timpani. All’improvviso, un coro di «Ssss!» si levò da un gruppo di persone in ascolto. Martha cercò di avvicinarsi, ma inutilmente. Riuscì però a captare le frasi centrali del notiziario danese.

La Galatea… un varo ufficiale… cerimonia… castello Amalienborg nel pomeriggio… C’era dell’altro, ma bastava così. Stanca e intirizzita, si voltò per ritornare all’auto. Era certa che l’avrebbero invitata alla cerimonia. Probabilmente stavano cercando di telefonarle ora. Meglio fare un pisolino, poi chiamare Ulla Rasmussen per decidere che abito mettersi.

Un uomo le si parò davanti, sbarrandole la strada. Era Bob Baxter.

— Siete mattiniera, Martha — disse. — Questo dev’essere un gran giorno per voi. — Sorrideva, ma né le parole né il sorriso erano sinceri.

Lei si accorse che non poteva trattarsi di una coincidenza. — Mi avete seguita! — disse. — Avete sorvegliato la mia casa!

— La strada non è un posto adatto per discutere… e voi avete l’aria infreddolita. Perché non entriamo in quel bar? Prendiamo un caffè, qualcosa da mangiare.

— Me ne torno a casa — disse Martha, facendo l’atto di allontanarsi.

Lui la fermò con un braccio.

— Perché non siete venuta a quell’appuntamento? Quando si tratta di passaporti, i guai possono farsi seri. Volete che parliamo ora, alla buona, bevendoci una tazza di caffè? C’è forse qualcosa di male?

— No. — All’improvviso Martha si sentì molto stanca. Era inutile irritare quel tipo. Una tazza di caffè bollente le avrebbe fatto bene. Così gli permise di offrirle il braccio e di tenerle aperta la porta del bar.

Sedettero accanto alla finestra, davanti al panorama del Sound che si stendeva oltre i tetti delle auto parcheggiate. Il caldo rianimò Martha, che però non si tolse il cappotto. Baxter invece ripiegò il suo sullo schienale della sedia e ordinò due caffè a una cameriera che capiva l’inglese. Poi non parlò più fino a che la cameriera non portò i caffè e si allontanò.

— Avete pensato a quello che vi ho detto? — chiese Baxter, senza preamboli.

Martha guardò dentro la sua tazzina. — A dire il vero, no — rispose. — Non posso fare proprio niente per aiutarvi.

— Tocca a me giudicarlo. Ma voi sareste disposta a collaborare, vero. Martha?

— Sarei lieta, certo, ma…

— Ora diventate più ragionevole!

Lei si sentì intrappolata dalle sue stesse parole: un’ammissione generica veniva trasformata in una promessa.

— Non c’è «ma» che tenga — continuò Baxter — e non c’è niente di troppo difficile o strano da fare. Recentemente siete diventata amica della moglie del professor Rasmussen, Ulla. Coltivate questa amicizia.

— Ma insomma, voi mi spiate?

Baxter eluse la domanda, come se non fosse degna di risposta. — E conoscete anche Arnie Klein. È stato a casa vostra parecchie volte. Dovete approfondire la sua conoscenza, ora. È un uomo chiave, in tutta questa faccenda.

— Cosa volete, che vada a letto con lui? — sbottò Martha, in un’improvvisa esplosione di collera contro se stessa, quell’uomo e le cose che le stavano accadendo. Baxter non si turbò, ma il suo viso prese un’aria severa, piena di disapprovazione.

— C’è gente che ha fatto assai di più, per il proprio paese, che ha addirittura sacrificato la vita. Io ho dedicato la mia a questo lavoro, e ho visto molte persone morire. Così, vi prego, tenete per voi le vostre banali battute di spirito. Ve la sentite di scherzare sui ragazzi torturati e uccisi mentre combattevano contro i giapponesi, i coreani, i vietnamiti? Sono morti per rendere il mondo sicuro, perché voi poteste essere un’americana libera, vivere dove vi pare e fare ciò che più vi piace. Libera. Voi credete nell’America, vero?

Le aveva lanciato in faccia quella domanda con la solennità di una sfida.

— Certo — disse lei infine — ma…

— La fedeltà non ammette «ma». Come l’onore, è tutta d’un pezzo. Sapete che la vostra patria ha bisogno di voi e operate una libera scelta. Non è necessario ritirarvi il passaporto o servirsi d’altri mezzi di coercizione…

Ah, no? pensò lei, con cattiveria. E allora, perché li tira in ballo?

— … poiché voi siete una donna intelligente. Voi non farete niente di disonorevole, ve lo posso garantire. Contribuirete a riparare un torto.

La sua voce fu coperta dal rombo di uno stormo di aerei che sfrecciarono bassi sopra la città, e Baxter alzò la testa di scatto, per guardarli. Li indicò col dito, ed ebbe un sorriso contratto.

— Nostri — disse. — Lo sapete quanto costa un reattore? Li abbiamo dati noi alla Danimarca. E cannoni, carri armati, navi e tutto il resto. Lo sapete che il nostro paese ha pagato ben il cinquanta per cento delle spese di riarmo della Danimarca, dopo la guerra? Proprio così, anche se ora i danesi l’hanno dimenticato. Non che ci aspettassimo gratitudine, ma un briciolo di lealtà non avrebbe fatto male. Temo, invece, che per noi ci sia in serbo solo una buona dose di egoismo. Che cosa può fare la piccola Danimarca nel mondo moderno? — Strascicò le parole con notevole disprezzo. — Un paese ingordo, che non tiene conto delle proprie responsabilità e dimentica che niente può rimanere segreto a lungo, in questi tempi. Ricordate le spie rosse e la bomba atomica? I comunisti sono al lavoro anche qui, adesso. Si impadroniranno della propulsione Daleth. E poi… sarà la fine del mondo. Moriremo o saremo ridotti in catene…

— Non accadrà necessariamente tutto questo!

— No, perché voi collaborerete. L’America è già stata altre volte l’unico bastione difensivo del mondo libero, e ora le spetta lo stesso ruolo. Noi possiamo garantire la pace.

Come in Vietnam, nel Laos, in Guatemala pensò lei, ma non ebbe il coraggio di dirlo forte.

I reattori passarono di nuovo, compiendo poi un’ampia virata lontano, sul Sound. Baxter sorseggiò il suo caffè e lanciò un’occhiata al suo orologio.

— Suppongo che ora vorrete tornare a casa e prepararvi. Sarete certo invitata alla grande cerimonia del pomeriggio in onore della Galatea. Vostro marito deve avere a che fare con questo progetto. Che compito ha?

Quella era una domanda a cui poteva rispondere, e lui doveva averlo capito dall’espressione della sua faccia. Il silenzio si prolungò.

— Andiamo, Martha — disse — non sarete mica dalla parte di questa gente!

Aveva parlato in tono divertito, più che sprezzante, come se quel pensiero fosse addirittura assurdo: tenere dalla parte del demonio invece che da quella di Dio!

— È il comandante della nave — disse lei, quasi senza pensare, scegliendo la soluzione migliore. Solo in seguito si disse che presto l’avrebbero saputo tutti, ma per il momento era ancora un segreto. E lei ormai aveva assunto un atteggiamento ben definito.

Baxter non ne approfittò; si limitò ad annuire col capo, come se ciò che gli aveva confidato fosse giusto e naturale. Poi guardò fuori della finestra e Martha lo vide trasalire. Era il primo segno di emozione genuina che avesse mai mostrato. Si voltò per seguire il suo sguardo e all’improvviso si sentì gelare.

— Quella è la Galatea — disse Baxter, indicando la forma tozza apparsa sul Sound. Lei annuì. — Bene, non è più necessario che mentiate, ora. Anche noi sappiamo qualcosa. Abbiamo foto di quella nave singolare scattate da un aereo ad alta quota. Ieri sera era a Elsinore. È venuta qui per qualche motivo, probabilmente per la propulsione Daleth, e ora va ad ormeggiarsi vicino al castello. La vedrete più da vicino tra un po’. Probabilmente salirete a bordo. — Girò la testa e guardò Martha diritto negli occhi, come per dire: Sapete come dovete comportarvi, se andrà così! Fu lei a distogliere lo sguardo. Ormai si era compromessa e lo capiva; aveva il suo tallone d’Achille.

Non sapeva con certezza come fosse accaduto.

I reattori passarono di nuovo a bassa quota. Si vedevano anche le motosiluranti che scortavano la Galatea, mentre questa avanzava, pesante, sulle onde basse. Goffamente.

— Si ferma — disse Baxter. — Chissà perché! Qualche guasto… — Poi sgranò gli occhi e si alzò a metà sulla sedia. — No! Impossibile!

E invece sì. Le motosiluranti si allontanarono, i reattori rombarono lontano.

E, leggera come un palloncino, la Galatea si sollevò dall’acqua. Per un attimo rimase sospesa così, staccata dal mare, poi si alzò sempre più in alto, sempre più in fretta, accelerando; una macchia confusa che scomparve quasi istantaneamente tra le nubi.

Martha tirò fuori il fazzoletto, incerta se ridere o piangere, e lo appallottolò con le mani convulse.

— Lo vedete! — disse Baxter con voce piena di disprezzo. — Mentono perfino a voi… L’intera faccenda del Re è una menzogna. Quelli fuggono, provano dei trucchi.

Lei si alzò di scatto e se ne andò, decisa a non ascoltare altro.

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