CAPITOLO NONO

Damon lavorò a lungo nella piccola distilleria dal pavimento di pietra, e alla fine desistette, irritato. Non aveva nessuna possibilità di preparare il kirian come lo facevano ad Arilinn. Non ne aveva l’abilità, e non aveva neppure l’attrezzatura adatta, pensò dopo aver ispezionato il materiale disponibile. Fissò senza entusiasmo la tintura rudimentale che era riuscito a produrre. Non credeva che avrebbe voluto provarla personalmente, ed era sicuro che neppure Callista sarebbe stata disposta a farlo. Tuttavia c’era una quantità considerevole di materia prima, e forse avrebbe potuto fare di meglio un altro giorno. Forse avrebbe dovuto cominciare estraendo l’etere. L’avrebbe chiesto a Callista. Mentre si lavava le mani e gettava via gli scarti, all’improvviso pensò a Andrew. Dov’era andato? Ma quando ritornò di sopra, dove Callista dormiva ancora, Ellemir rispose in tono sorpreso alle sue domande preoccupate.

— Andrew? No, credevo che fosse ancora con te. Vuoi che venga a…

— No, rimani con Callista. — Damon pensò che Andrew doveva essere sceso a parlare agli uomini, o forse aveva raggiunto le stalle attraverso il passaggio sotterraneo. Ma Dom Esteban, che stava consumando una cena frugale in compagnia di Eduin e Caradoc, aggrottò la fronte alla sua domanda.

— Andrew? L’ho visto bere nella sala bassa insieme a Dezi. A giudicare dal modo in cui tracannavano, immagino che si sia addormentato da qualche parte. — Il vecchio inarcò le grige sopracciglia in un’espressione sprezzante. — Bel modo di comportarsi, con la moglie malata: andare a prendersi una sbronza! Come sta Callista?

— Non lo so — rispose Damon, e poi pensò che il vecchio Dom sapeva. Cos’altro poteva esserci, se Callista era a letto malata e Andrew si ubriacava? Ma uno dei più forti tabù sessuali di Darkover era quello che separava le generazioni. Anche se Dom Esteban fosse stato il padre di Damon anziché di Ellemir, la tradizione gli avrebbe proibito di parlarne.

Damon cercò per tutta la casa, in tutti i posti possibili; poi, preso da un panico crescente, cercò anche in quelli più inverosimili. Alla fine convocò i servitori, e si sentì rispondere che nessuno aveva più visto Andrew dopo la metà del pomeriggio, quando si era fermato a bere con Dezi nella sala bassa.

Mandò a chiamare Dezi, temendo che Andrew, ubriaco e non ancora abituato al clima di Darkover, fosse uscito nella tormenta, sottovalutandone la violenza. Quando il ragazzo entrò, gli chiese: — Dov’è Andrew?

Dezi scrollò le spalle. — Chi lo sa? Non sono né il suo tutore né suo fratello adottivo!

Ma all’insopprimibile lampo di trionfo, un attimo prima che gli occhi di Dezi eludessero i suoi, Damon comprese. — Sta bene — disse, torvo. — Dov’è, Dezi? Tu sei stato l’ultimo a vederlo.

Il ragazzo scrollò le spalle, incupendosi. — È tornato da dove è venuto, credo, e buon viaggio!

— Con questo tempo? — Damon guardò costernato la tormenta che infuriava oltre le finestre. Poi si voltò di scatto verso Dezi, con una violenza che costrinse il ragazzo a indietreggiare tremando.

Tu c’entri per qualcosa! — disse, a voce bassa, furiosa. — Con te farò i conti dopo. Adesso non c’è tempo da perdere!

Corse via, chiamando a gran voce i servitori.


Andrew rinvenne lentamente, e sentì un dolore bruciante nei piedi e nelle mani. Era avvolto in bende e coperte. Ferrika stava china su di lui e gli porgeva qualcosa di caldo. Sorreggendogli la testa, lo costrìnse a inghiottire. Dalla nebbia apparvero gli occhi di Damon, e nel suo stordimento Andrew comprese che Damon era davvero preoccupato per lui. Non era vero, quello che aveva pensato.

Damon disse gentilmente: — Ti abbiamo trovato appena in tempo, credo. Ancora un’ora e non avremmo potuto salvarti i piedi e le mani: due ore, e saresti morto. Cosa ricordi?

Andrew si sforzò di rammentare. — Non molto. Ero ubriaco — disse. — Mi dispiace, Damon. Devo essere impazzito, per un po’. Continuavo a pensare: Vattene, Callista non ti vuole. Era come una voce nella mia mente. E così ho cercato di andarmene… Mi dispiace di aver causato tutti questi guai, Damon.

— Non sei tu che devi scusarti — disse cupamente Damon, e la sua rabbia era come un rosso alone rovente. Andrew, sensibilizzato, lo vedeva come una rete di energie elettriche, non più come il Damon che conosceva. Irradiava furore. — Non sei stato tu a causare il guaio. Ti hanno giocato uno sporco tiro, che per poco non ti ha ucciso. — Poi ridiventò il solito Damon, un uomo snello e un po’ curvo, che gli posava gentilmente la mano sulla spalla.

— Dormi e non preoccuparti. Sei qui con noi, e ci prenderemo cura di te.

Lasciò Andrew addormentato, e andò in cerca di Dom Esteban. Il furore gli turbinava nella mente. Dezi aveva il dono degli Alton, il contatto forzato, la capacità d’imporre il collegamento mentale a chiunque, perfino a un non telepate. Andrew, ubriaco, era la vittima ideale; e poiché conosceva il terrestre, Damon sospettava che non si fosse ubriacato spontaneamente.

Dezi era geloso di Andrew. Questo era il dato evidente fin dall’inizio. Ma perché? Pensava forse che, tolto di mezzo Andrew, Dom Esteban l’avrebbe riconosciuto per il figlio di cui adesso aveva un disperato bisogno? Oppure aveva deciso di chiedere in moglie Callista, sperando di poter forzare la mano al vecchio e di costringerlo ad ammettere che erano fratello e sorella? Era un enigma che Damon non riusciva a risolvere.

Forse avrebbe potuto perdonare un comune telepate, se avesse ceduto a una simile tentazione. Ma Dezi era stato istruito ad Arilinn, aveva pronunciato il giuramento delle Torri, impegnandosi a non violare mai l’integrità di una mente e non forzare mai le difese di un altro o la sua coscienza. E gli era stata affidata una matrice, con tutto il potere tremendo che comportava.

E l’aveva tradito.

Non aveva commesso un omicidio. La fortuna, e l’acuta vista di Caradoc, avevano permesso di trovare Andrew su un mucchio di neve, già parzialmente coperto. Ancora un’ora e sarebbe stato coperto del tutto, e forse il suo cadavere sarebbe stato ritrovato in primavera, al disgelo. E Callista, se avesse creduto che Andrew l’aveva abbandonata? Damon rabbrividì, pensando che probabilmente Callista non sarebbe sopravvissuta neppure un giorno. Ringraziando tutti gli dèi, in quel momento lei era immersa nel sonno. Bisognava dirle la verità (era impossibile mantenere un segreto, in una famiglia di telepati); ma non adesso…

Dom Esteban ascoltò sgomento. — Sapevo che c’era sangue cattivo, nel ragazzo — disse. — L’avrei riconosciuto come figlio mio, anni fa, ma sentivo di non potermi fidare completamente di lui. Ho fatto tutto quello che potevo, l’ho tenuto qui per non perderlo d’occhio: ma mi sembrava che avesse qualcosa che non andava.

Damon sospirò: sapeva che quello sfogo del vecchio era ispirato soprattutto da un senso di colpa. Se fosse stato sicuro, riconosciuto, allevato come un figlio Comyn, Dezi non sarebbe stato costretto a puntellare le proprie insicurezze con l’invidia e il dispetto e la gelosia, che l’avevano spinto a tentare di uccidere. Molto più probabilmente, sebbene Damon nascondesse per delicatezza quel pensiero al vecchio, suo suocero non aveva voluto saperne di perpetuare un sordido episodio di ubriachezza o di assumerne la responsabilità. Essere bastardo non era un disonore. Per una donna, mettere al mondo un figlio Comyn era un onore, per lei e per la creatura: eppure l’epiteto più obbrobrioso nella lingua casta significava «figlio di sei padri».

E anche quello si sarebbe potuto evitare, come Damon sapeva, se la ragazza, quando si era scoperta incinta, fosse stata controllata per stabilire chi era stato a fecondarla. Damon pensò, sull’orlo della disperazione, che c’era qualcosa di sbagliato nel modo in cui si servivano dei telepati su Darkover.

Ma ormai era troppo tardi per rimediare. Per ciò che aveva fatto Dezi c’era una sola punizione. Damon lo sapeva, Dom Esteban lo sapeva, e lo sapeva anche Dezi: Damon poteva vederlo chiaramente. Più tardi, quella notte, lo condussero da Damon, legato mani e piedi e mezzo morto di spavento. L’avevano trovato nelle scuderie, mentre stava sellando un cavallo per partire in mezzo alla tormenta. Erano occorse tre delle guardie di Dom Esteban, per sopraffarlo.

Damon pensò che sarebbe stato meglio se Dezi se ne fosse andato. Nella tormenta avrebbe trovato la stessa giustizia, la stessa morte che aveva cercato d’infliggere a Andrew, e sarebbe morto senza mutilazioni. Ma Damon era vincolato dallo stesso giuramento che il ragazzo aveva violato.

Andrew pensava che anche lui avrebbe preferito sfidare la morte nella tempesta di neve piuttosto dell’ira ardente che sentiva avvampare in Damon. Eppure, paradossalmente, provò compassione per Dezi, quando il ragazzo venne fatto entrare, magro e atterrito. Sembrava ancora più giovane, quasi un bambino, e le corde che lo legavano parevano un’ingiustizia e una tortura mostruose.

Perché Damon non lasciava fare a lui?, si chiese Andrew. Avrebbe dato una lezione al ragazzo, e per uno di quell’età sarebbe stato sufficiente. L’aveva detto a Damon, e quello non si era neppure degnato di rispondere. Ma lui aveva compreso.

Non sarebbe mai più stato al sicuro, altrimenti: una coltellata nella schiena, un pensiero omicida… Dezi era un Alton, e un suo pensiero poteva uccidere. Per poco non c’era già riuscito. Dezi non era un bambino. Secondo la legge dei dominii, poteva battersi a duello, riconoscere un figlio, essere ritenuto responsabile di un reato.

Andrew guardò Dezi che tremava, e Damon, e provò un senso di paura. Come tutti gli uomini dalla collera pronta ma passeggera, non aveva esperienza dei lunghi rancori e neppure della rabbia che si rinchiude in se stessa divorando l’uomo infuriato non meno che la vittima della sua ira. Ed era questo che percepiva in Damon, adesso, come il cupo bagliore rosso di una fornace, vagamente visibile intorno a lui. Il nobile Comyn era impassibile, e i suoi occhi apparivano vacui.

— Bene, Dezi, non posso sperare che faciliterai le cose a me o a te stesso, ma ti lascio la possibilità di scelta, anche se è più di quanto meriti. Sei disposto a sintonizzare le risonanze con me e a lasciarmi prendere la tua matrice senza opporti?

Dezi non rispose. I suoi occhi sfolgoravano di sfida rabbiosa, carica di odio. Che spreco, pensò Damon. Era così forte. Rabbrividì, ritraendosi dall’intimità che gli veniva imposta, la meno gradita di tutte, quella fra torturato e aguzzino. Non voglio ucciderlo, e probabilmente dovrò farlo. Misericordia di Avarra, non voglio neppure fargli del male.

Eppure, pensando a ciò che doveva fare, non poteva trattenersi dal tremare. Serrò le dita, in una stretta spasmodica, intorno alla matrice chiusa nell’involucro isolante di seta e di cuoio.

Là, sopra la pulsazione, sopra il fulgido centro del canale nervoso principale. Da quando gli era stata consegnata, a quindici anni, e le luci nell’interno della pietra si erano destate al contatto della sua mente, non era mai stata lontana dal rassicurante tocco delle sue dita. Nessun altro essere umano, eccettuata la sua Custode, Leonie, o per breve tempo, durante gli anni alla Torre, la giovane sotto-Custode Hilary Castamir, l’aveva mai toccata. Il solo pensiero che gli venisse sottratta per sempre lo riempiva di un freddo e nero terrore, peggiore della prospettiva di morire. Sapeva, con ogni fibra del dono dei Ridenow, il laran dell’empatia, ciò che Dezi stava provando in quel momento.

Era l’accecamento. Era l’invalidità. Era la mutilazione…

Era la punizione contenuta nel giuramento di Arilinn per l’uso illegale di una matrice. Ed era ciò che lui doveva fare, secondo la legge.

Dezi si aggrappò a un ultimo brandello di sfida. — Se non è presente una Custode, quello che stai per compiere è un omicidio. L’omicidio è la punizione per il tentato omicidio, dunque?

Damon, sebbene sentisse nelle viscere il terrore di Dezi, mantenne un tono spassionato. — Qualunque tecnico delle matrici appena competente (e io sono un tecnico) può compiere questa parte della missione di una Custode, Dezi. Posso sintonizzare le risonanze con te e toglierti la matrice senza pericolo. Non ti ucciderò. Se non cercherai di opporti, ti sarà più facile.

— No, maledetto! — sibilò Dezi, e Damon si preparò alla tremenda prova che l’attendeva. Poteva ammirare il ragazzo che tentava di fingere un po’ di coraggio e di dignità. Dovette rammentare a se stesso, con uno sforzo, che quel coraggio era una finzione, in un vigliacco che aveva abusato del laran contro un uomo ubriaco e indifeso, che l’aveva fatto ubriacare apposta. Ammirare Dezi adesso, solo perché non crollava e non invocava misericordia (come lui stesso avrebbe fatto, e lo sapeva benissimo), non aveva senso.

Captava ancora le emozioni di Dezi (un empate addestrato, col laran affinato ad Arilinn, non poteva bloccarle), ma si sforzò d’ignorarle, concentrandosi. Il primo passo consisteva nell’orientarsi sulla propria matrice, regolarizzare la respirazione, lasciare che la coscienza si espandesse nel campo magnetico del corpo. Lasciò che le emozioni filtrassero e l’abbandonassero, come doveva fare una Custode, accettandole senza penetrarvi.

Una volta Leonie gli aveva detto che, se fosse stato una donna, avrebbe potuto diventare Custode, ma che, essendo un uomo, era troppo sensibile, e quel lavoro l’avrebbe distrutto. Perché la sensibilità poteva annientare un uomo, se era preziosa per una donna e poteva renderla capace del compito più difficile, quello di Custode? Allora, quelle parole per poco non l’avevano annientato: le aveva interpretate come un attacco alla sua virilità. Adesso riconfermavano in lui la certezza di poter compiere quella parte della missione di una Custode.

Andrew, che stava osservando in un leggero collegamento con Damon, lo rivide come l’aveva visto per un momento la notte prima, mentre vegliava Callista addormentata: un campo turbinante di correnti interconnesse, con centri pulsanti di colori fiochi. Lentamente, incominciò a vedere anche Dezi nello stesso modo, a percepire quello che Damon stava facendo: portava il ritmo della proprie vibrazioni sempre più vicino a quelle di Dezi, modificando i flussi in modo che i loro corpi — e le loro matrici — vibrassero in risonanza perfetta. Questo, lo sapeva, avrebbe permesso a Damon di toccare la matrice di Dezi senza dolore, senza infliggere traumi fisici e nervosi così forti da uccidere.

In chi non era sintonizzato sulla risonanza precisa, toccare la matrice di un altro causava traumi, convulsioni, perfino la morte.

Vide le risonanze abbinarsi e poi pulsare insieme, come se, per un momento, i due campi magnetici si fondessero. Damon si alzò dalla sedia — e Andrew lo vide come una nube di campi d’energia collegati e in movimento — e si avvicinò al ragazzo. All’improvviso Dezi strappò a Damon il dominio delle risonanze, infrangendo il contatto. Fu una sconvolgente esplosione di forze. Damon si lasciò sfuggire un’esclamazione d’angoscia, al contraccolpo, e Andrew sentì la devastante sofferenza divampare nei nervi e nel cervello dell’amico. Automaticamente, Damon si scostò vacillando dal campo e si scosse per sintonizzare le risonanze col nuovo campo creato da Dezi. Pensò, quasi con un senso di pietà, che Dezi aveva ceduto al panico, e che quando fosse venuto il momento non avrebbe potuto sopportarlo.

Di nuovo le risonanze si abbinarono e i campi d’energia incominciarono a vibrare in sintonia; di nuovo ci fu il tentativo di afferrare Dezi, di sottrarre fisicamente la matrice al campo magnetico del suo corpo. E di nuovo lo strattone devastante quando Dezi spezzò le risonanze, separandole con un’espressione di sofferenza che invase entrambi.

Damon disse, pietosamente: — Dezi, so che è terribile. — E intanto pensava che anche quel ragazzo avrebbe potuto essere un Custode. Alla sua età, lui stesso non era stato capace di sintonizzare le risonanze in quel modo! Ma non era mai stato tanto disperato, tanto tormentato. Manifestamente la frattura delle risonanze era dolorosa per Dezi quanto lo era per lui stesso. — Questa volta non tentare di resistere, ragazzo mio. Non voglio farti del male.

E poi — adesso erano aperti l’uno all’altro — sentì il disprezzo di Dezi per la sua pietà, e comprese che quella non era una reazione di panico. Dezi stava opponendo una resistenza furibonda! Forse credeva di essere in grado di sopraffarlo, di sfinirlo. Damon lasciò la stanza e ritornò con uno smorzatore telepatico, un ordigno bizzarro che trasmetteva una vibrazione capace di spegnere le emanazioni telepatiche entro un’ampia gamma di frequenze. Cupamente, pensò alla battuta di Domenic, la sera in cui aveva sposato Ellemir. Quegli oggetti venivano usati, talvolta, per evitare le radiazioni telepatiche involontarie, quando c’era intorno qualcuno, per proteggere l’intimità, per permettere di conversare in segreto e impedire che qualcuno ascoltasse telepaticamente, di proposito o no. Venivano adoperati talora al Consiglio dei Comyn, oppure per proteggere altri quando c’era un adolescente in fase di violenta evoluzione psichica che non aveva ancora imparato a controllare e concentrare i poteri. Vide l’espressione di Dezi cambiare, e tradire un panico autentico, nonostante l’atteggiamento di sfida.

Con voce atona, avvertì Andrew: — Allontanati, se vuoi. Potrebbe farti male. Dovrò servirmene per spegnere le sequenze che lui potrebbe cercare di scatenare.

Andrew scosse la testa. — Resterò. — Damon captò il suo pensiero: Non ti lascerò solo con lui. Grato della lealtà dell’amico, s’inginocchiò e cominciò a regolare lo smorzatore.

Rapidamente, lo sintonizzò in modo da attutire l’assalto di Dezi contro la sua coscienza. Poi sarebbe bastato sintonizzare le proprie risonanze col campo delle vibrazioni fisiche di Dezi. Questa volta, quando entrò nei campi bloccati, lo smorzatore impedì all’affondo mentale di Dezi di alterare le frequenze e di respingerlo. Era faticoso e difficile muoversi nell’ambito dello smorzatore: solo una Custode, pensò, avrebbe potuto riuscirci. Fisicamente provava la sensazione di muoversi in un denso liquido viscoso che gli ostacolava le membra e la mente. Dezi cominciò a dibattersi come una belva inferocita, quando lui gli si avvicinò. Ma era inutile, e lo sapeva. Poteva sfinirsi nello sforzo di cambiare frequenze, ma adesso non poteva alterare quella di Damon: e più riusciva a modificare le proprie, più terribile sarebbe stato il trauma finale.

Delicatamente, Damon posò la mano sul sacchetto isolante di seta appeso al collo di Dezi. Mosse le dita per slacciare il cinghione. Dezi aveva ripreso a gemere e a dibattersi, e i suoi movimenti da coniglio in trappola suscitavano la pietà di Damon, sebbene il terrore del ragazzo, adesso, fosse mascherato dallo smorzatore. Riuscì ad aprire il sacchetto. La pietra azzurra, pulsante, ardente dell’orrore di Dezi, gli cadde tra le dita. Quando le strinse, sentì dentro di sé una convulsione che gli squassava le ossa, e vide Dezi accasciarsi, come abbattuto da una mazzata. Spinse la matrice nel campo dello smorzatore: la vide offuscarsi in una pulsazione fievole, un ritmo riposante. Dezi era svenuto, con la testa piegata su una spalla e la bava alla bocca. Damon dovette costringersi a rammentare Andrew esanime in un sonno di morte sotto la neve, a pensare alla sofferenza di Callista se al risveglio avesse scoperto di essere stata abbandonata o resa vedova dal tradimento: solo allora trovò la forza di dire «È fatta».

Tenne per qualche minuto la matrice sotto lo smorzatore. La vide affievolirsi, ridursi alla più debole delle luci pulsanti. Era ancora viva, ma la sua forza era stata sminuita al punto che non poteva più essere usata per il laran.

Gettò un’occhiata di commiserazione a Dezi, conscio di averlo accecato. Dezi, adesso, era ridotto peggio di quanto lo fosse stato lui stesso quando l’avevano allontanato da Arilinn. Nonostante il delitto che Dezi aveva commesso, Damon non poteva fare a meno di provare angoscia per lui, così dotato, così forte come telepate, potenzialmente superiore a molti di coloro che lavoravano tra gli schermi e i relè. Per gli inferni di Zandru, pensò, che spreco. Ed era stato lui a mutilarlo.

Disse, stancamente: — Facciamola finita, Andrew. Passami quello scrigno, ti prego.

L’aveva avuto da Dom Esteban, dopo che quest’ultimo ne aveva tolto alcuni gioielli. Quando vi mise dentro la matrice e chiuse il coperchio, pensò all’antica favola: il gigante che teneva il proprio cuore all’esterno del corpo, nel luogo più segreto che avesse saputo trovare, e nessuno poteva ucciderlo a meno che rinvenisse quel cuore nascosto. Lo spiegò laconicamente a Andrew, mentre azionava la piccola serratura a matrice dello scrigno premendovi contro la propria. — Non possiamo distruggere la pietra: Dezi morirebbe. Ma è chiusa qui dentro, con una serratura a matrice, in modo che niente (a eccezione della mia stessa matrice, che adesso è sintonizzata) possa aprire lo scrigno. — Poi andò a riporre il cofanetto in una cassaforte; ritornò, si chinò su Dezi e ne controllò il respiro e il furioso battito del cuore.

Sarebbe sopravvissuto.

Mutilato… accecato… ma sarebbe sopravvissuto. Damon sapeva che al suo posto avrebbe preferito morire.

Si rialzò, ascoltando il suono della tempesta che si andava acquietando. Sguainò il pugnale e tagliò le funi che legavano il ragazzo, pensando che forse sarebbe stato più generoso tagliargli la gola. Non doveva avere più voglia di vivere. Forse la sua terribile resistenza era stata solo un tentativo di suicidio?

Sospirò, deponendo accanto al ragazzo una borsa contenente alcune monete. Poi disse stancamente a Andrew: — Dom Esteban mi ha dato questa per lui. Probabilmente andrà a Thendara, dove Domenic gli ha promesso un grado nei Cadetti. Là non potrà causare molto danno, nelle Guardie della Città, e potrà fare carriera. Domenic si occuperà di lui: c’è sempre la lealtà familiare, dopotutto. Dezi non dovrà neppure confessare quello che è accaduto. Se la caverà.

Più tardi lo ripeté, riferendo a Ellemir ciò che aveva fatto, mentre Andrew vegliava Callista ancora addormentata.

— Io non avrei voluto vivere, al suo posto. Quando mi sono avvicinato col pugnale per tagliare le funi, mi sono chiesto se non sarebbe stato più generoso ucciderlo. Ma io sono riuscito a sopravvivere dopo essere stato allontanato da Arilinn. Anche Dezi deve avere la stessa possibilità. — Sospirò, ricordando il giorno in cui aveva lasciato la Torre, accecato dalla sofferenza, stordito dalla lacerazione dei legami del cerchio, i più stretti per chi possedeva il laran, più stretti della parentela e dell’amore, più stretti del vincolo tra marito e moglie…

— Io ho vinto il desiderio di morire — disse. — Ma è dovuto passare molto tempo prima che ritrovassi la voglia di vivere. — Stringendo a sé Ellemir, pensò: Solo quando ho trovato te.

Gli occhi di Ellemir si addolcirono di tenerezza; poi, stringendo le labbra, lei disse: — Avresti dovuto ucciderlo.

Damon, pensando a Callista che senza saperlo era giunta tanto vicina alla morte, lo ritenne soltanto uno sfogo di risentimento. Andrew era il marito di sua sorella, e Ellemir si era collegata con lui attraverso la matrice durante la lunga ricerca di Callista, e si erano uniti tutti in quel breve e spontaneo momento di comunione prima che lo spaventoso riflesso di Callista li separasse. Come Ellemir, anche Damon si era collegato con Andrew, aveva sentito la sua forza e la sua delicatezza, la sua tenerezza e la sua passione… e quello era l’uomo che Dezi, per dispetto, aveva tentato di uccidere. Dezi, che era stato collegato a sua volta con Andrew quando avevano guarito gli uomini colpiti dal congelamento, lo conosceva altrettanto bene, conosceva le sue qualità, la sua bontà.

Ellemir ripeté, implacabile: — Avresti dovuto ucciderlo.

Soltanto dopo molti mesi, Damon avrebbe scoperto che non si era trattato di risentimento ma di precognizione.

Il mattino dopo, la tormenta si era placata e Dezi — portando con sé il denaro che Damon gli aveva posato accanto, i propri abiti e il proprio cavallo — aveva lasciato Armida. Quasi con un senso di rimorso, Damon si augurò che riuscisse a sopravvivere e a raggiungere Thendara, dove sarebbe stato sotto la protezione di Domenic. Dopotutto Domenic, erede di Alton, era fratellastro di Dezi. Ormai, Damon ne era sicuro: nessuno che non fosse un Comyn purosangue sarebbe stato in grado di opporre una simile resistenza.

Domenic si sarebbe preso cura di lui, pensò. Ma sentiva un peso sul cuore, un peso che non si disperdeva.

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