Callista si svegliò e rimase distesa, a occhi chiusi, col sole sulle palpebre. Durante la notte, nel sonno, aveva sentito la tempesta che si placava, e la neve che smetteva di cadere, e le nubi che scomparivano. Al mattino era spuntato il sole. Si stiracchiò, assaporando la beatitudine dell’assenza del dolore. Si sentiva ancora debole, esausta, sebbene adesso avesse l’impressione di aver dormito ininterrottamente per due o tre giorni, dopo quella prova terribile. Poi era rimasta a letto per qualche giorno, recuperando le forze, pur sentendosi del tutto bene. Sapeva di dover anzitutto ritrovare la salute, che prima era sempre stata eccellente: e per questo occorreva tempo.
E quando si fosse ripresa? Ma si trattenne. Se cominciava ad agitarsi, non avrebbe avuto pace.
Era sola nella stanza. E anche quella era una beatitudine. Aveva trascorso da sola così tanti anni che aveva finito col desiderare la solitudine con la stessa intensità con cui l’aveva temuta durante i difficili anni dell’addestramento. E durante la malattia non era mai stata sola per un istante. Ne conosceva la ragione (avrebbe ordinato senza esitare lo stesso trattamento per chiunque altro, nelle sue condizioni), e aveva gradito le loro cure e il loro affetto incessante. Adesso, però, era piacevole svegliarsi e scoprire che l’avevano lasciata sola.
Aprì gli occhi e si levò a sedere. Il letto di Andrew era vuoto. Ricordava vagamente di averlo sentito muoversi, mentre lei dormiva: muoversi, vestirsi e uscire. Adesso che la tempesta era passata, ci sarebbero state tante cose da sbrigare nella tenuta. E anche in casa. Ellemir aveva trascorso così tanto tempo al suo fianco, durante la malattia, che aveva trascurato di dirigere la casa.
Callista decise che quella mattina sarebbe scesa.
La notte prima, Andrew era stato ancora con Ellemir. Lei l’aveva percepito vagamente, e la vecchia disciplina l’aveva spinta a distoglierne il pensiero. Lui era entrato in punta di piedi, verso mezzanotte, cercando di non disturbarla, e lei aveva finto di dormire.
Sono una sciocca e un’ingrata, si disse. Volevo che accadesse questo, e ne sono lieta, sinceramente, eppure non ho potuto parlargliene e dirglielo. Ma neppure quel pensiero approdava a qualcosa. C’era una sola cosa che poteva fare, e doveva trovare la forza di farlo: vivere giorno per giorno, meglio che poteva, recuperando la salute e confidando nella promessa di Damon. Ma Andrew l’amava e la voleva, anche se lei — pensò con un distacco così clinico che non ne sentì neppure l’amarezza — non riusciva a immaginare perché fosse così. Comunque, perché ostinarsi a pensare all’unica cosa che non potevano ancora avere in comune? Risolutamente, si alzò dal letto e andò a fare il bagno.
Indossò una gonna di lana azzurra e una tunica bianca a maglia, con un lungo collo che si poteva avvolgere come uno scialle. Per la prima volta dopo tanto tempo aveva veramente fame. Al pianterreno, le ancelle avevano sparecchiato dopo il pasto del mattino. La sedia di suo padre era stata spinta accanto alla finestra, e lui stava guardando il cortile dove un gruppo di servitori imbacuccati stava sgomberando la neve. Andò a sfiorargli la fronte con un bacio doveroso.
— Adesso stai bene, figlia?
— Molto meglio, credo — disse lei, e Dom Esteban le indicò di sedersi accanto a lui, scrutandola attentamente in volto, a occhi socchiusi.
— Sei dimagrita. Per gli inferni di Zandru, ragazza mia, hai l’aria di essere stata spolpata dal lupo di Alar! Cos’avevi? Oppure non devo chiederlo?
Callista non immaginava cosa gli avessero detto Andrew e Damon, se pure gli avevano detto qualcosa. — Niente di serio. Disturbi femminili.
— Non ci credo — replicò bruscamente suo padre. — Non sei mai stata malaticcia. Sembra che il matrimonio non ti faccia bene, figliola.
Lei rabbrividì, e sul volto del padre lesse che aveva captato quella sua reazione. Dom Esteban si affrettò a cambiare discorso. — Bene, bene, piccola: lo sapevo da un pezzo, le Torri non lasciano facilmente andare coloro che hanno preso. Ricordo benissimo che per più di un anno Damon ha continuato ad aggirarsi come un’anima perduta negli inferni esterni. — Le batté la mano sul braccio, goffamente. — Non ti farò domande, chiya. Ma se tuo marito non è buono con te…
Callista gli tese la mano, prontamente. — No, no. Andrew non c’entra niente, padre.
Dom Esteban disse: — Quando una donna sposata da poche lune ha l’aspetto che hai tu, di solito c’entra il marito.
Sotto quell’attenzione intensa, lei arrossì: ma la sua voce era ferma. — Ti do la mia parola, padre: non ci sono litigi, e Andrew non ne ha nessuna colpa. — Era la verità, ma non tutta la verità. Non c’era possibilità di dire tutta la verità a chi non apparteneva al suo cerchio chiuso, e non era sicura di conoscerla neppure lei stessa. Dom Esteban sentì che lei cercava di eluderlo, ma non si rassegnò alla barriera tra loro. — Bene, bene: il mondo va come vuole, figlia, non come vorremmo tu e io. Hai fatto colazione?
— No, ho aspettato per tenerti compagnia.
Callista lasciò che suo padre chiamasse i servitori e ordinasse di portarle da mangiare, molto più di quanto lei volesse: ma sapeva che era rimasto colpito dalla sua magrezza e dal suo pallore. Da bambina ubbidiente, si fece forza e mangiò un po’ più di quanto le andasse. Suo padre non le tolse gli occhi da dosso, mentre lei mangiava; e alla fine disse, più gentilmente di quanto fosse sua abitudine: — Qualche volta, piccola, penso che voi figlie dei Comyn che andate a chiudervi nelle Torri rischiate non meno dei nostri figli che entrano nelle Guardie e combattono ai confini… Ed è altrettanto inevitabile, credo, che qualcuna di voi resti ferita.
Cosa sapeva? Cos’aveva capito? Callista sapeva che lui aveva detto tutto ciò che poteva dire senza violare uno dei più forti tabù di una famiglia di telepati. Nonostante l’imbarazzo, si sentiva oscuramente consolata. Non doveva essere stato facile, per lui, spingersi fino a quel punto.
Dom Esteban le porse un barattolo di miele da spalmare sul pane. Callista lo rifiutò, ridendo. — Vuoi farmi ingrassare come un pollo per lo spiedo?
— Forse come un ago da ricamo — replicò lui, ironico. Fissandolo, Callista vide che anche lui era dimagrito, sciupato, con gli occhi profondamente incassati.
— Non c’è nessuno che ti tenga compagnia, padre?
— Oh, Ellemir va e viene dalle cucine. Damon è andato in paese, dalle famiglie degli uomini che sono stati colpiti da congelamento durante la grande tempesta, e Andrew è nella serra a vedere i danni causati dal gelo. Perché non vai a raggiungerlo, piccola? Sono sicuro che c’è abbastanza lavoro per due.
— E di certo non sarei d’aiuto a Ellemir nelle cucine — disse Callista, ridendo. — Più tardi, forse. Se c’è il sole faranno un gran bucato, e devo andare a dare un’occhiata alle stanze della biancheria.
Anche Dom Esteban rise. — Certo Ellemir ha sempre detto che preferirebbe spazzare le stalle, piuttosto che usare un ago! Ma più tardi, forse, potremmo fare ancora un po’ di musica. Ricordo che quand’ero più giovane suonavo il liuto. Forse le mie dita potrebbero ritrovare l’agilità. Ho così poco da fare, a starmene seduto qui tutto il giorno…
Le donne di casa, aiutate da alcuni degli uomini, avevano tirato fuori i grandi mastelli, e stavano lavando i panni nelle cucine sul retro della casa. Callista si accorse che la sua presenza era superflua e sgattaiolò nella piccola distilleria, dove aveva avuto l’abitudine di lavorare. Non c’era più niente che fosse come l’aveva lasciato. Ricordò che Damon aveva lavorato lì, durante la sua malattia: e vedendo il disordine che aveva lasciato, cominciò a rassettare tutto. Si accorse che doveva ricostituire le scorte di alcune medicine comuni, ma mentre era occupata con le più semplici misture di erbe, dividendole in dosi per il tè, ricordò che aveva un compito molto più importante: preparare un po’ di kirian.
Quando aveva lasciato la Torre, aveva pensato che non l’avrebbe fatto mai più: Valdir era troppo giovane per averne bisogno, e Domenic era ormai troppo grande. Eppure si rendeva conto che, qualunque cosa accadesse, in nessuna casa di telepati doveva mancare quella droga particolare. Era di gran lunga il preparato più difficile che lei conoscesse: andava distillato in tre operazioni distinte, ognuna delle quali serviva a eliminare una diversa frazione chimica della resina. Aveva sistemato tutto, e stava prendendo gli apparecchi per distillare quando Ferrika entrò e trasalì nel vederla.
— Perdona se ti disturbo, vai domna.
— No, vieni, Ferrika. Cosa posso fare, per te?
— Una delle ancelle si è scottata la mano nel fare il bucato. Sono venuta a prendere l’unguento per le ustioni.
— Eccolo — disse Callista, prendendo un barattolo dallo scaffale. — Posso fare qualcosa?
— No, mia signora, non è grave — rispose la donna, e se ne andò. Poco dopo tornò per riportare il barattolo.
— È una scottatura grave?
Ferrika scosse il capo. — No, no. Ha infilato la mano per sbaglio nel mastello dell’acqua calda, ma credo che dovremmo tenere un unguento in cucina e nei lavatoi. Se qualcuno si scottasse in modo grave, si perderebbe tempo prezioso per venire fin qui a prenderlo.
Callista annuì. — Credo che tu abbia ragione. Riempi qualcuno dei barattoli più piccoli, allora — disse. Mentre Ferrika si metteva al lavoro, al tavolino, lei aggrottò la fronte e aprì un cassetto dopo l’altro, finché Ferrika si voltò e chiese: — Mia signora, posso aiutarti a cercare? Se io o il nobile Damon abbiamo messo qualcosa fuori posto…
— Sì, qui c’erano i fiori di kireseth…
— In parte li ha usati il nobile Damon, mia signora, mentre tu eri malata.
Callista annuì, ricordando la tintura che Damon aveva preparato. — Ne ho tenuto conto; ma, a meno che ne abbia sprecati parecchi, qui ce n’erano più di quanti lui avrebbe dovuto usarne, in un sacchetto dentro quell’armadio. — Continuò a frugare. — Tu ne hai presi un po’?
La donna scosse la testa. — Non li ho toccati. — Stava mettendo l’unguento in un barattolo con una spatolina d’osso. Mentre la guardava, Callista chiese: — Tu sai preparare il kirian?
— So come si prepara, mia signora. Quando studiavo nella Casa della Corporazione, ad Arilinn, ognuna di noi passava un po’ di tempo come apprendista di un farmacista, per imparare a preparare le medicine. Ma personalmente non l’ho mai preparato. Nella Casa della Corporazione non ne avevamo bisogno, anche se dovevamo imparare a riconoscerlo. Tu sai che i… che certa gente vende clandestinamente i sottoprodotti della distillazione del kirian?
— Ne avevo sentito parlare, anche alla Torre — rispose seccamente Callista. Il kireseth era una pianta che conteneva varie resine nelle foglie, negli steli e nei fiori. Tra le Colline di Kilghard, in certe stagioni, il polline creava problemi poiché aveva pericolose qualità psicoattive. Il kirian, la droga telepatica che abbassava le barriere della mente, utilizzava solo la frazione non pericolosa, e anche quella andava usata con grande prudenza. L’uso del kireseth grezzo o delle altre resine, era vietato per legge a Thendara e ad Arilinn, ed era considerato un reato in tutti i dominii. Perfino il kirian veniva trattato con estrema precauzione, e agli estranei incuteva una specie di paura superstiziosa.
Mentre contava e divideva i teli da filtro, Callista pensò, con strana nostalgia, alla lontana pianura di Arilinn. Era stata casa sua, per tanto tempo. Pensò che non l’avrebbe più rivista.
Poteva essere di nuovo la sua casa, aveva detto Leonie… Per scacciare quel pensiero, chiese: — Hai vissuto a lungo, ad Arilinn?
— Tre anni, domna.
— Ma tu sei nata nella tenuta, non è vero? Ricordo che io e te e Dorian e Ellemir giocavamo insieme, da bambine, e prendevamo insieme lezione di ballo.
— Sì, mia signora, ma quando Dorian si è sposata e tu sei andata alla Torre ho deciso che non volevo restare qui tutta la vita, come una pianta aggrappata al muro. Mia madre era stata levatrice qui, come ricorderai, e credevo di essere dotata per il suo lavoro. Nella tenuta di Syrtis c’era una levatrice che aveva studiato nella Casa della Corporazione ad Arilinn, dove addestrano guaritrici e ostetriche: e vedevo che grazie alle sue cure si salvavano tante donne che mia madre avrebbe affidato alla misericordia di Avarra… Si salvavano, e i loro bambini sopravvivevano. Mia madre diceva che quei sistemi nuovi erano pazzeschi, e probabilmente erano anche blasfemi; ma io sono andata alla Casa della Corporazione, a Neskaya, e ho pronunciato i voti. Mi hanno mandata ad Arilinn, a studiare. Poi ho chiesto alla mia «madre per giuramento» l’autorizzazione di venire qui a lavorare, e lei ha acconsentito.
— Non sapevo che ad Arilinn ci fosse qualcuno venuto dai miei villaggi.
— Oh, ti vedevo di tanto in tanto, mia signora, a cavallo con le altre vai leroni. E una volta, domna Lirielle è venuta alla Casa delle Corporazioni per aiutarci. C’era una donna con gli organi interni che venivano distrutti da una malattia terribile, e la nostra madre della Corporazione ha detto che non si poteva fare niente per lei se non castrarla.
— Credevo che fosse proibito — osservò Callista, con un brivido, e Ferrika replicò: — Infatti, domna, ma non quando si tratta di salvare una vita. Più che vietato è molto pericoloso, se lo si fa con i ferri chirurgici. Molte non si riprendono mai. Ma lo si può fare con la matrice… — S’interruppe con un sorriso malinconico e disse: — Ma c’è bisogno che sia io a spiegarlo a te, che eri Dama di Arilinn e che conosci tutte queste arti?
Callista disse, quasi tremando: — Non l’ho mai visto fare.
— Io ho avuto il privilegio di vedere all’opera la leronis; e ho pensato che sarebbe stato un grande aiuto, per le donne del nostro mondo, se quell’arte fosse stata conosciuta meglio.
Con un brivido di ripugnanza, Callista chiese: — L’arte di castrare?
— Non soltanto quella, domna, ma anche quella, sì, per salvare una vita. La donna è sopravvissuta. Sebbene la sua femminilità fosse stata distrutta, anche il male era bruciato e lei era salva. Ma ci sono tante altre cose che si potrebbero fare. Tu non hai visto ciò che ha fatto il nobile Damon con gli uomini colpiti da congelamento: ma io ho visto come si sono ripresi, dopo… e ho visto in che modo guariscono gli altri uomini, quando sono costretta ad amputare loro le dita delle mani e dei piedi per salvarli dalla cancrena. E ci sono donne per le quali è pericoloso mettere al mondo altri figli, e non esiste un modo per impedirlo. Da molto tempo sono convinta che la soluzione potrebbe essere di castrarle parzialmente, se lo si potesse fare senza i rischi di un intervento chirurgico. È un vero peccato, mia signora, che l’arte di fare queste cose con una matrice non sia conosciuta fuori dalle Torri.
Callista sbigottì a quel pensiero, e Ferrika si rese conto di essersi spinta troppo oltre. Tappò il barattolo dell’unguento contro le bruciature. — Hai trovato il kireseth che cercavi, dama Callista? Dovresti chiedere al nobile Damon se l’ha messo in qualche altro posto. — Ripose l’unguento, diede un’occhiata alle dosi di tè alle erbe che Callista aveva preparato, e poi osservò gli scaffali. — Quando questa sarà finita non avremo più radice di fruttonero?
Callista guardò i frammenti raggrinziti in fondo al barattolo. — Dobbiamo mandarne a prendere ai mercati di Neskaya, quando le strade saranno transitabili. Viene dalle Città Aride. Comunque non l’usiamo molto spesso, vero?
— La do a tuo padre, domna, per sostenergli il cuore. Per un po’ di tempo posso dargli la canna rossa: ma per l’uso quotidiano, questa è meglio.
— Allora mandala a prendere: ne hai l’autorità. Ma mio padre è sempre stato un uomo forte, robusto. Perché credi che abbia bisogno di stimolanti per il cuore?
— Succede spesso agli uomini che hanno avuto una vita molto attiva, domna: cavalieri, atleti, guide di montagna. Se una ferita li costringe a restare a lungo a letto, il cuore s’indebolisce. È come se il loro organismo avesse bisogno di attività: e quando viene meno all’improvviso, si ammalano e qualche volta muoiono. Non so perché sia così, mia signora: so soltanto che avviene spesso.
Anche questo era colpa sua, pensò Callista, con improvvisa disperazione. Era stato combattendo contro gli uomini-felini che suo padre aveva perso l’uso delle gambe. E al ricordo della tenerezza che lui le aveva dimostrato quella mattina, si sentì assalire dall’angoscia. Se lui moriva proprio ora che lei aveva appena incominciato a conoscerlo! Nella Torre, era stata isolata dalla sofferenza come dalla gioia. Adesso le sembrava che il mondo esterno fosse così pieno di sofferenze che lei non poteva sopportarlo. Come aveva avuto il coraggio di andarsene?
Ferrika la guardava con comprensione, ma Callista era troppo inesperta per accorgersene. Le era stato insegnato a contare interamente su se stessa, e adesso non era capace di chiedere ad altri consiglio o conforto. Dopo un po’ Ferrika, vedendo che Callista era perduta nei suoi pensieri, se ne andò in silenzio; lei cercò di riprendere il lavoro, ma ciò che aveva sentito l’aveva tanto sconvolta che le mani non le ubbidivano. Infine rimise a posto tutto, pulì gli apparecchi e uscì, chiudendo la porta.
Gli uomini e le ancelle avevano finito il bucato, e adesso erano fuori nei cortili, sotto il raro sole fulgido, ad appendere lenzuola e tovaglie, biancheria e indumenti alle corde stese un po’ dovunque. Ridevano allegramente e si scambiavano frasi scherzose, muovendosi nel fango e nella neve sciolta. Il cortile era pieno di biancheria sventolante, agitata dalle raffiche. Avevano l’aria indaffarata e gaia, ma Callista sapeva per esperienza che se si fosse unita a loro avrebbe smorzato quel buonumore. Erano abituati a Ellemir, ma per le donne della tenuta — e soprattutto per gli uomini — lei era ancora una straniera, temuta e riverita, una dama Comyn che era stata leronis ad Arilinn. Solo Ferrika, che l’aveva conosciuta bambina, riusciva a trattarla quasi da pari a pari. Era sola, pensò, guardando le donne e le ragazze che correvano avanti e indietro con bracciate di bucato umido da appendere e di lenzuola asciutte per il guardaroba e si scambiavano battute vivaci.
Era sola: non apparteneva a nulla, lo sentiva. Il suo posto non era alla Torre e non era lì.
Dopo un po’, andò alle serre. Nell’interno venivano sempre tenute accese le stufe, ma lei vide che alcune piante accanto alle finestre erano gelate, e in uno degli edifici il peso della neve aveva rotto diversi vetri. Sebbene le falle fossero state chiuse in fretta con assi di legno, alcuni arbusti da frutto erano morti. Vide Andrew, in fondo all’edificio: mostrava ai giardinieri come dovevano tagliare le viti danneggiate, fino a scoprire il legno vivo.
Di rado lei guardava Andrew: era abituata a esserne conscia in altri modi. Adesso si chiese se Ellemir lo giudicava bello o brutto. Quel pensiero l’infastidì, esageratamente. Sapeva che Andrew la considerava bella. Poiché non era vanitosa e — a causa del tabù che l’aveva circondata durante la sua vita di adulta — non era abituata alle attenzioni maschili, questo la sorprendeva un po’. Ma adesso pensò che siccome Ellemir era così incantevole, mentre lei era tanto magra e pallida, certamente Andrew doveva ritenere Ellemir più bella di lei.
Andrew alzò la testa, sorrise e la chiamò con la mano. Callista lo raggiunse, rivolgendo un cenno di saluto al giardiniere. — I cespugli sono tutti morti?
Lui scosse la testa. — Non credo. Morti fino alla radice, forse, ma ricresceranno questa primavera. — Poi aggiunse, rivolgendosi all’uomo: — Sta’ attento a ricordare dove li hai tagliati, e a non piantare niente che possa disturbare le radici.
Callista guardò i cespugli tagliati. — Bisogna raccogliere e dividere le foglie: quelle che non sono rovinate dal gelo vanno seccate, se no fino a primavera non avremo condimenti per l’arrosto.
Andrew trasmise l’ordine. — È una fortuna che ci sia tu. Sarò un buon giardiniere, forse, ma non m’intendevo di cucina neppure nel mio mondo.
Lei rise. — Neppure io m’intendo di cucina, sul mio mondo. Conosco un po’ le erbe, ecco tutto.
Il giardiniere si chinò a raccogliere i rami tagliati, e dietro le sue spalle Andrew si piegò a baciare la fronte di Callista. Lei dovette farsi forza per non scostarsi, come le suggerivano una lunga abitudine e i riflessi profondamente radicati. Andrew si accorse di quell’accenno di movimento e la guardò con stupore doloroso; poi, ricordando, sospirò e sorrise.
— Mi fa piacere vederti in salute, amor mio.
Lei disse, sospirando, senza sentire nulla in quel bacio: — Mi sembra di essere quell’arbusto, ucciso alle radici. Speriamo che anch’io possa rifiorire in primavera.
— Non avresti dovuto uscire. Damon ha detto che dovevi riposare ancora per oggi.
— Ecco, Damon ha la pessima abitudine di aver ragione, ma io mi sento come un fungo in una cantina buia — replicò Callista. — È da tanto che non vedevo il sole! — Si fermò in una chiazza di luce, assaporandone il tepore sul volto, mentre Andrew procedeva, controllando i filari delle verdure e delle erbe aromatiche. — Credo che qui tutto sia ancora in ordine, ma non conosco queste piante. Cosa ne pensi, Callista?
Lei andò a inginocchiarsi accanto ai bassi cespuglietti, controllando le radici. — L’avevo detto a mio padre, anni fa, che non doveva piantare i meloni tanto vicino al muro. È vero che qui c’è più luce, ma nel caso di una tempesta non c’è un isolamento adeguato. Questo morirà prima che i frutti siano maturi, e anche se quello là sopravviverà — continuò, indicando, — il freddo ha ucciso i frutti. Le bucce potranno servire per i sottaceti, ma non matureranno e bisognerà toglierli prima che marciscano. — Richiamò il giardiniere per dare gli ordini.
— Dovremo chiedere altri semi da una delle fattorie più a valle. Forse Syrtis è stata risparmiata dalla tormenta. Là hanno buoni alberi da frutto, e potremo chiedere qualche melone e qualche talea delle loro viti. E questa roba va portata nelle cucine. Qualcosa si può cuocere, prima che marcisca: il resto va salato e conservato.
Quando gli uomini si allontanarono per eseguire gli ordini, Andrew prese sottobraccio Callista. Lei si tese, s’irrigidì, poi avvampò.
— Scusami. È solo un… un riflesso, un’abitudine.
Tutto da capo. Tutti i riflessi fisici, cancellati con tanta meticolosa lentezza durante i mesi del matrimonio, si erano riaffermati con piena forza. Andrew si sentì impotente, sconfitto. Sapeva che ciò era stato necessario per salvarle la vita: ma vedere di nuovo in azione quei riflessi era un altro trauma, e gravissimo.
— Non fare così — lo supplicò Callista. — È solo per poco tempo!
Andrew sospirò. — Lo so. Leonie mi aveva avvertito. — Fece una smorfia, e Callista chiese, nervosamente: — La odii davvero, eh?
— Non la odio. Ma odio quello che ha fatto a te. Non posso perdonarglielo, e non glielo perdonerò mai.
Callista provò uno strano brivido interiore, un tremito che non riuscì a dominare. Con uno sforzo, mantenne un tono normale. — Sii giusto, Andrew. Leonie non mi aveva costretta a diventare Custode. Avevo scelto liberamente. Lei si è limitata a darmi la possibilità di percorrere la strada più difficile. Ed è stato ugualmente di mia volontà che ho scelto di sopportare la… la sofferenza di andarmene. Per te — aggiunse, guardandolo negli occhi.
Andrew sentì che erano pericolosamente vicini a un litigio. Con una parte del proprio essere lo desiderava: un tuono che avrebbe schiarito l’aria. Involontariamente, pensò che con Ellemir sarebbe stato così: un breve litigio brusco, poi una riconciliazione che li avrebbe avvicinati ancora di più.
Ma con Callista non poteva. Lei aveva imparato, a prezzo di sofferenze inimmaginabili, a custodire gelosamente le proprie emozioni, nascoste dietro una barriera impenetrabile. E lui aveva aperto una breccia in quel muro, a proprio rischio e pericolo. Di tanto in tanto, poteva indurla ad abbassare la guardia per qualche attimo: ma la barriera sarebbe stata sempre presente, e lui non poteva tentare di distruggerla senza annientare anche Callista. Sebbene lei apparisse dura e inespugnabile, in superficie, Andrew sentiva che dietro quel muro era più vulnerabile di quanto lui potesse immaginare.
— Non do la colpa a lei, tesoro. Ma vorrei che fosse stata più esplicita con tutt’e due.
Questo era giusto, pensò Callista, ricordando — come un brutto sogno, come un incubo — i rimproveri che lei aveva rivolto a Leonie nel sopramondo. Tuttavia si sentì in dovere di dire: — Leonie non sapeva.
Andrew avrebbe voluto gridare: Ma perché diavolo non lo sapeva? Era affar suo, no? Ma non osava criticare Leonie di fronte a Callista. Gli tremava la voce. — Cosa dobbiamo fare? Continuare così, quando tu non vuoi neppure sfiorarmi una mano?
— Non è che io non voglia — disse lei, a fatica: un groppo le stringeva la gola. — Non posso. Credevo che Damon te l’avesse spiegato.
— E Damon non ha potuto far altro che peggiorare le cose!
— Non le ha peggiorate — ribatté Callista, con uno sfolgorio negli occhi. — Mi ha salvato la vita. Sii giusto, Andrew!
Andrew mormorò, abbassando gli occhi: — Sono stanco di essere giusto!
— Quando parli così, sento che mi odii.
— No, Callie — disse lui, calmandosi. — Ma mi sento così disperato. Cosa dovremmo fare?
Callista chinò lo sguardo, distogliendolo da lui. — Non posso credere che per te sia tanto doloroso. Ellemir… — Ma s’interruppe; e Andrew, sopraffatto dalla tenerezza, cercò un contatto mentale più profondo, per convincere se stesso e lei che esisteva ancora e che poteva perdurare nonostante la separazione. Pensò che, a causa delle radicate differenze culturali, neppure la telepatia costituiva una garanzia contro gli equivoci. Ma la vicinanza c’era.
Dovevano cominciare da lì. La comprensione sarebbe venuta poi.
Disse, gentilmente: — Hai l’aria stanca, Callie. Non devi affaticarti troppo, il primo giorno che ti alzi. Lascia che ti riaccompagni di sopra. — E quando furono soli nella loro camera, le chiese dolcemente: — Mi rimproveri per Ellemir? Credevo che fosse proprio ciò che volevi.
— Sì — disse lei, balbettando. — Ma… ma… dovrebbe renderti più facile l’attesa. È necessario che ne parliamo?
Lui rispose, serenamente: — Credo di sì. Quella notte… — E anche stavolta lei capì a quale notte si riferiva. Per tutti e quattro, e per molto tempo ancora, «quella notte» avrebbe avuto un unico significato. — Damon mi ha detto una cosa che mi è rimasta impressa. Siamo tutti e quattro telepati, ha detto, e nessuno di noi ha avuto il buonsenso di assicurarsi che ci comprendessimo. Ellemir e io ne abbiamo parlato — aggiunse, con l’ombra di un sorriso, — anche se lei ha dovuto ubriacarmi o quasi, prima che io riuscissi a crollare e a parlarle sinceramente.
Callista disse, senza guardarlo: — E questo te l’ha reso più facile, non è così?
A bassa voce, Andrew rispose: — In un certo senso. Ma non ne valeva la pena, se adesso tu ti vergogni di guardarmi.
— Non è vergogna. — Lei riuscì ad alzare gli occhi. — Non è vergogna, no, è solo che… mi è stato insegnato a rivolgere il mio pensiero altrove, per non essere… vulnerabile. Se vuoi parlarne… — (Evanda e Avarra non volessero che lei fosse meno sincera di Ellemir!) — … allora tenterò. Ma non sono… abituata a questi discorsi e a questi pensieri, e non so… non so trovare facilmente le parole. Se… se accetti… allora tenterò.
Andrew vide che lei si mordeva le labbra, sforzandosi di estrarre le parole attraverso la barriera, e provò una pietà profonda. Pensò di risparmiarle quella prova; ma sapeva che una barriera di silenzio sarebbe stata l’unica che non avrebbero mai potuto varcare. A qualunque costo — e guardando le guance arrossate di lei, le sue labbra tremanti, comprese che il costo sarebbe stato alto — dovevano riuscire a mantenere un filo di comunicazione.
— Damon diceva che non dovevi mai sentirti sola, altrimenti ti saresti creduta abbandonata. Mi chiedo… Questo ti fa soffrire? O ti fa sentire… abbandonata?
Callista si torse le dita sulle ginocchia. — Solo se tu mi avessi… mi avessi abbandonata davvero. Se non t’importasse più di me. Se non mi amassi più.
Andrew pensò che era una cosa talmente intima da avvicinarlo di più a Ellemir, accrescendo la distanza tra lui e Callista.
Aveva abbassato la barriera: Callista, seguendo quel pensiero, scattò, indignata: — Mi vuoi solo perché pensi che a letto potrei darti più piacere di mia sorella.
Andrew avvampò. Bene, era stato lui a pretendere quella franchezza: e adesso l’aveva ottenuta. — Dio non voglia! Non ho mai pensato così. Solo… se credi che io ti desideri meno, preferisco lasciar perdere tutto. Pensi davvero che perché vado a letto con Ellemir abbia smesso di volere te?
— Non più di quanto io abbia smesso di volere te. Ma… ma adesso siamo pari.
— Non capisco.
— Adesso il tuo bisogno di me è pari al mio bisogno di te. — Gli occhi di Callista erano sereni, senza lacrime, ma Andrew sentiva che lei piangeva, dentro. — Una… una cosa che riguarda la mente e il cuore, un’angoscia come la mia, ma non un… un tormento fisico. Volevo che tu fossi soddisfatto perché… — Si umettò le labbra, lottando contro le inibizioni instaurate da anni. — Era così terribile, per me, sentire il tuo bisogno, il tuo appetito, la tua solitudine. Perciò ho tentato di… di condividerlo, e… e per poco non ti ho ucciso. — Le lacrime sgorgarono ma lei le terse, irosamente. — Capisci? Per me è più facile, quando non sento quello, in te, perché quando lo sento farei qualunque cosa, correrei qualunque rischio per placarlo…
La desolazione di lei gli mise addosso la voglia di piangere. Avrebbe voluto prenderla tra le braccia e consolarla, sebbene sapesse che non doveva rischiare più di un tocco lievissimo. Delicatamente, quasi rispettosamente, si portò alle labbra la mano di Callista, sfiorandola con un bacio leggero come un respiro. — Sei così generosa da farmi vergognare di me stesso, Callista. Ma non c’è donna al mondo che possa darmi quello che voglio da te. Sono disposto a… a dividere la tua sofferenza, tesoro.
Era un concetto così strano, quello, che lei s’interruppe e lo fissò stupita. Diceva sul serio, pensò, con uno strano brivido d’eccitazione. I costumi del suo mondo erano diversi, e lei lo sapeva: ma stava cercando veramente di mostrarsi altruista. Per la prima volta, si rese conto della totale alienità di Andrew: e fu un trauma profondo, sconvolgente. Lei aveva sempre visto soltanto le loro similarità; adesso si trovava di fronte alle differenze.
Andrew stava cercando di dire — lei se ne rese conto — che, amandola, era disposto a subire la sofferenza della privazione… Forse non sapeva neppure fino a che punto il proprio bisogno l’aveva tormentata «quella notte» e poteva tormentarla ancora.
Gli strinse la mano, ricordando con disperazione che per qualche istante aveva saputo cosa significava desiderarlo: ma adesso non riusciva neppure a rammentare cos’aveva provato. — Andrew, marito mio, amor mio, se mi vedessi portare un fardello opprimente m’imporresti anche il peso del tuo fardello? Non allevierebbe la mia sofferenza, dover sopportare anche la tua.
Di nuovo il trauma, lo sbalordimento: e Andrew comprese, in una rivelazione improvvisa, che in una cultura telepatica condividere la sofferenza aveva un significato diverso.
Lei proseguì, con un sorriso fuggevole: — E non ti rendi conto che anche Damon e Ellemir partecipano a tutto questo, e che sarebbero infelici anche loro se dovessero condividere la tua infelicità?
Lui si stava facendo strada lentamente fra quei pensieri, come in un labirinto. Non era facile. Aveva creduto di essersi liberato di gran parte dei suoi pregiudizi culturali. Ma era come sbucciare una cipolla: togliere uno strato portava soltanto alla scoperta di uno strato più profondo, inespugnabile.
Ricordò quando si era svegliato nel letto di Ellemir e aveva visto Damon ritto accanto a lui, e s’era aspettato i suoi rimproveri, quasi li aveva desiderati. Forse voleva che Damon s’infuriasse perché un uomo del suo mondo si sarebbe infuriato, e lui voleva incontrare qualcosa che gli fosse familiare. Perfino il rimorso sarebbe stato un sollievo…
— Ma Ellemir? Tu ti aspettavi questo da lei, semplicemente. Nessuno l’ha consultata, le ha chiesto se era disposta.
— Ellemir si è lamentata? — chiese Callista, sorridendo.
No, diavolo, pensò Andrew. Sembrava che le piacesse. E anche questo lo turbava. Se lei e Damon erano così felici del loro matrimonio, com’era possibile che lei trovasse tanto piacere venendo a letto con lui? Provò un senso di rabbia e di colpa: ed era anche peggio, perché sapeva che Callista non capiva neppure questo.
Lei disse: — Ma certo: quando io e Elli ci siamo sposate e abbiamo deciso di vivere sotto lo stesso tetto, l’abbiamo tacitamente accettato. Certo tu sai che se uno di noi avesse sposato un uomo che l’altra non… non poteva gradire, avremmo…
Andrew si sentì squillare nella mente un campanello d’allarme. Non voleva pensare alle ovvie conseguenze di quelle parole.
Callista continuò: — Fino a qualche secolo fa, il matrimonio com’è adesso non esisteva, semplicemente. E non era considerato che una donna avesse più di un figlio o due dallo stesso uomo. Le parole patrimonio genetico comune significano qualcosa, per te? C’è stato un periodo, nella nostra storia, in cui certe facoltà preziose, certi caratteri ereditari, sono andati quasi perduti. Si riteneva giusto che i figli avessero il maggior numero possibile di combinazioni genetiche, per evitare la perdita accidentale dei geni importanti. Perciò allora non c’era il matrimonio, nel senso in cui lo intendiamo oggi. Contrariamente agli abitanti delle Città Aride, qui le mogli non sono costrette a ospitare le concubine: ma ci sono sempre altre donne. Cosa fate voi terrestri quando vostra moglie è incinta, se è in stato di gravidanza avanzata, troppo pesante, o stanca, o sofferente? Pretendete che una donna sforzi i propri istinti per accontentarvi?
Se fosse stata Ellemir a rivolgergli quella domanda, Andrew avrebbe avuto la sensazione di segnare un punto a proprio vantaggio: ma Callista non l’aveva detto in tono di sfida. — I pregiudizi culturali non sono razionali. Il nostro ci vieta di dormire con altre donne. Il vostro proibisce i rapporti sessuali durante la gravidanza: e per me non ha senso, a meno che la donna stia male.
Callista scrollò le spalle. — Biologicamente, una femmina gravida non desidera rapporti sessuali: molte non li sopportano. Se le vostre donne sono state condizionate culturalmente ad accettarlo, come prezzo per conservare l’interesse sessuale del marito, posso dire soltanto che mi dispiace per loro! Tu me lo chiederesti, quando io non vi trovassi più nessun piacere?
All’improvviso, Andrew rise. — Amor mio, tra tutte le nostre preoccupazioni, questa possiamo accantonarla fino a quando verrà il momento. Anche qui da voi c’è il nostro detto «attraverseremo quel ponte quando ci arriveremo»?
Anche Callista rise. — Noi diciamo: cavalcheremo quel puledro quando sarà abbastanza cresciuto per portare la sella. Ma davvero, Andrew, voi uomini terrestri…
Lui disse: — Dio mi aiuti, amore, non so cosa facciano gli altri uomini. Non credo che potrei chiederti di fare qualcosa che tu non volessi. Probabilmente… probabilmente accetterei il lato positivo e quello negativo. Credo che certi uomini, in questi casi, vadano a caccia altrove ma facendo in modo che la moglie non lo sappia. È un altro vecchio detto: occhio non vede, cuore non duole.
— Ma in una famiglia di telepati non è possibile un inganno simile — disse Callista. — E io preferirei sapere mio marito felice tra le braccia di una che lo facesse per affetto verso di noi, una sorella o un’amica, piuttosto che andasse a cercare un’avventura con una sconosciuta. — Ma adesso era più calma, e Andrew intuì che portare il discorso su un problema più remoto l’aveva rasserenata. Lei disse: — Io preferirei la morte, piuttosto che farti soffrire.
Come lui aveva fatto prima, Callista si portò alle labbra le sue dita e le baciò lievemente. Disse con un sorriso: — Ah, marito mio, la tua morte mi farebbe soffrire molto più di qualunque altra cosa che tu potessi fare.