CAPITOLO VENTITREESIMO

Era l’oscurità rarefatta che precede l’alba. Damon, ritto davanti alla finestra ancora buia, non ancora ingrigita dall’avvicinarsi della luce, si sentiva a disagio. L’esultanza non l’aveva abbandonato, ma c’era un’insicurezza che lo rodeva.

Aveva commesso un errore, dopotutto? Secondo tutte le leggi di Arilinn, questo avrebbe dovuto indebolirli, renderli inidonei al conflitto imminente. Aveva commesso il più tragico, il più irrevocabile degli errori? Amandoli tutti, li aveva condannati a morte, o a un destino ancora peggiore?

No. Aveva puntato tutte le loro vite sul buon diritto di ciò che stavano facendo. Se le vecchie leggi di Arilinn erano giuste, dopotutto, avevano meritato di morire, e lui avrebbe accettato la morte, se non con gioia, almeno riconoscendone la giustizia. Lavoravano in una tradizione nuova, meno crudele e invalidante di quella che lui aveva rifiutato, e la sua convinzione del loro buon diritto doveva trionfare.

Si era avvolto in una vestaglia calda, per proteggersi dal gelo del sopramondo. Anche Callista aveva fatto altrettanto, e aveva drappeggiato uno scialle vaporoso intorno alle spalle di Ellemir. Andrew, indossando il mantello di pelliccia, chiese: — Cos’accadrà, esattamente?

Esattamente? Questo non posso dirtelo — rispose Damon. — È l’antica prova per i Custodi. Costruiremo la nostra Torre nel sopramondo, e loro tenteranno di distruggere sia lei che noi. Se non riusciranno, dovranno riconoscere che è legittima e che ha il diritto di restare dov’è. Se la distruggono… bene, sai cosa accadrà. Perciò non dobbiamo lasciare che la distruggano.

Callista era pallida, spaventata. Damon le prese il volto fra le mani, gentilmente.

— Nel sopramondo, nulla può farti del male, a meno che tu sia convinta del contrario. — Poi comprese ciò che la turbava: per tutta la vita era stata condizionata a credere che il suo potere fosse fondato sulla verginità rituale.

— Prendi la tua matrice — le comandò dolcemente.

Callista ubbidì, esitante.

— Concentrati. Vedi? — le chiese Damon quando le luci si addensarono a poco a poco nella pietra. — Ora sai che i tuoi canali sono liberi.

Lo erano, infatti. E non era solo l’effetto del kireseth. Liberati dalle enormi tensioni e dall’immensa armatura dell’addestramento di Custode, i canali non erano più bloccati. Lei poteva disporre della loro selettività naturale. Ma perché non gliel’aveva rivelato l’istinto?

— Damon, come e perché hanno permesso che un simile segreto venisse dimenticato?

Significava che nessuno avrebbe mai dovuto compiere la crudele scelta che Leonie le aveva imposto da bambina e che altre Custodi del passato avevano accettato per altruistica devozione ai Comyn e alle Torri.

— Come hanno potuto abbandonare questo per quello? — Le parole di Callista esprimevano tutta la meraviglia per la scoperta della notte appena trascorsa.

— Non lo so — disse tristemente Damon. — E non so se l’accetteranno, adesso. Minaccia ciò che è stato loro insegnato, rende inutili i loro sacrifici e le loro sofferenze, ne fa un atto di follia.

E provò una dolorosa stretta al cuore, sapendo che in ciò che faceva, come in tutte le grandi scoperte, c’erano i semi di un atroce conflitto. Uomini e donne sarebbero morti per sostenere l’una o l’altra fazione in quella grande lotta; e sentì, con un guizzo d’angoscia, che una figlia sua, dal volto e dal nome di un fiore, una figlia nata da lui ma non da una delle due donne presenti nella stanza, sarebbe stata brutalmente assassinata per aver tentato di portare ad Arilinn quella rivelazione. Per fortuna la precognizione si offuscò: lui era nel presente, e non osava pensare al passato o al futuro.

— Arilinn, come tutte le altre Torri, è prigioniera di una decisione presa dai nostri antenati. Forse erano guidati da ragioni che allora erano valide, ma che oggi non lo sono più. Non intendo costringere i cerchi delle Torri a rinunciare alla loro scelta, se è davvero la loro scelta e se, dopo averne conosciuto il prezzo e sapendo che ora c’è un’alternativa, vorranno mantenere le vecchie usanze. Ma voglio far loro sapere che c’è un’alternativa, e che se io, operando solo, da reietto, ho trovato un’alternativa, possono essercene altre, a decine, e che alcune possono apparire loro più accettabili di quella scoperta da me. Ma rivendico il diritto, per me stesso e per il mio cerchio, di operare a modo mio, secondo le leggi che ci sembrano giuste.

Sembrava così semplice, così razionale. Com’era possibile che gli altri li minacciassero di morte e di mutilazione, per quello? Eppure Callista sapeva che l’avevano fatto, e che avrebbero tradotto in atto la minaccia.

Andrew disse a Ellemir: — Non sono preoccupato per te: ma vorrei avere la certezza che questo non minacci il bambino.

Sapeva di aver centrato quello che era il timore di Ellemir. Ma lei disse con fermezza: — Ti fidi di Damon o no? Se pensasse che c’è pericolo, me l’avrebbe spiegato e mi avrebbe lasciata scegliere in piena conoscenza.

— Mi fido di lui. — Ma, si chiese Andrew, forse Damon pensava semplicemente che se perdevano l’imminente battaglia sarebbe stato inutile per tutti loro sopravvivere… compresi Ellemir e il nascituro? Con fermezza, scacciò quel pensiero. Damon era il loro Custode. L’unica responsabilità di Andrew consisteva nel decidere se Damon meritava fiducia, e poi seguire le sue direttive senza riserve mentali. Perciò chiese: — Cosa dobbiamo fare, per prima cosa?

— Costruiamo la Torre, e la rinsaldiamo con tutte le nostre forze. Esiste da molto tempo, ma è quello che noi immaginiamo che sia. — E Damon aggiunse, rivolgendosi a Ellemir: — Tu non sei mai stata nel sopramondo: ti sei limitata a vegliarmi, da qui. Collegati con me, ti ci condurrò io.

Con un energico slancio mentale giunse nel sopramondo: Ellemir era accanto a lui nel grigiore. Dapprima indistinte, poi sempre più chiare nella sopraluce, scorse le mura del loro edificio.

All’inizio era stato un rifugio rudimentale, come la capanna di un mandriano, visualizzato quasi accidentalmente. Ma a ogni uso successivo era cresciuto e si era rafforzato, e adesso intorno a loro sorgeva una Torre autentica, con i grandi muri azzurri e lucenti, reale al suo passo e al suo tocco come la stanza di Castel Comyn dove avevano consumato il loro quadruplice legame. In verità avevano portato con sé molto di quel mondo, perché, pensò Damon, il vincolo quadruplo e il suo completamento erano in un certo senso la cosa più importante che fosse mai accaduta a ognuno di loro.

Come sempre nel sopramondo, si sentì più alto, più forte, più sicuro: e questa era l’essenza di tutto. Ellemir, al suo fianco, non somigliava a Callista quanto le somigliava nel mondo concreto. Fisicamente, lei e la sua gemella erano molto simili; ma lì, dove era la mente a determinare l’aspetto fisico, erano molto diverse. Damon conosceva a sufficienza la genetica per chiedersi se erano gemelle identiche. Se non lo erano, questo poteva significare che Callista avrebbe potuto dargli un figlio con minori rischi di Ellemir. Ma quello era un pensiero per un altro momento, per un altro livello di coscienza.

Dopo un istante, Callista e Andrew li raggiunsero nel sopramondo. Damon notò che Callista non si era abbigliata nella veste cremisi da Custode. Quando le pervenne quel pensiero, lei sorrise e disse: — Lascio quella carica a te.

Per un duello tra Custodi, forse Damon avrebbe dovuto abbigliarsi col cremisi rituale dei Custodi: ma arretrò davanti a quella bestemmia, e all’improvviso comprese il perché.

Non avrebbe combattuto quella battaglia secondo le leggi di Arilinn! Non era Custode secondo quelle leggi crudeli, che rinnegavano la vita: era tenerézu di una tradizione più antica, e difendeva il diritto di esserlo! Avrebbe portato i colori del suo dominio, e nient’altro.

Andrew si mise nella posizione di scudiero, due passi dietro di lui. Damon prese la mano di Ellemir, che era alla sua destra, e quella di Callista, che era alla sua sinistra: sentì leggermente il tocco delle loro dita, come avveniva sempre nel sopramondo. Disse, a voce bassa: — Il sole sorge sulla nostra Torre. Sentite la sua forza intorno a noi. L’abbiamo eretta qui, come un rifugio. Ora deve restare, non soltanto per noi ma come un simbolo per tutti i meccanici delle matrici che rifiutano la spietata costrizione delle Torri, come un rifugio e un faro per tutti coloro che verranno dopo di noi.

A Andrew, nonostante le lucenti mura azzurre della Torre che si ergevano intorno a lui, sembrò di vedere il sole del sopramondo attraverso quelle pareti. Una volta Callista gliel’aveva spiegato. Nel mondo della sopraluce, dove si trovavano ora, la tenebra non esisteva perché la luce non proveniva da un sole concreto. Veniva dalla rete d’energia del sole stesso, che risplendeva attraverso la rete d’energia del pianeta. Per Andrew il sole rosso era enorme, e un orlo pallido spuntava oltre la Torre e in un certo senso attraverso la Torre, spandendo una luce cremisi e facendo sgocciolare nubi color sangue.

Un lampo balenò intorno a loro, accecandoli, e per un momento parve che la Torre tremasse, ondeggiasse, che l’intera struttura del sopramondo vibrasse nel grigiore. Ecco, pensò Damon: l’attacco che attendevano era venuto. Fortemente collegati l’uno all’altro, sentivano le mura della Torre salde e protettrici intorno a loro, mentre Damon lanciava una spiegazione a Andrew e Ellemir, che erano meno esperti.

Tenteranno di distruggere la Torre; ma poiché è la nostra visualizzazione a mantenerla solida, non riusciranno a scuoterla a meno che vacilli la nostra percezione.

Uno dei giochi dei tecnici, durante l’addestramento, consisteva nel combattere duelli scherzosi nel sopramondo, dove la sostanza-pensiero era immensamente plastica e tutte le loro costruzioni potevano essere annientate con un pensiero, con la stessa rapidità con cui erano state create. Sebbene sapesse che era soltanto un’illusione, Damon provò tuttavia un fremito irrazionale di paura fisica quando, una dopo l’altra, le folgori si avventarono sulla Torre squassandola con tuoni assordanti. Poteva essere un gioco pericoloso, perché tutto ciò che accadeva al corpo del mondo astrale poteva capitare, per ripercussione, anche all’io fisico. Ma dietro le mura delle loro Torri erano al sicuro.

Non possono farci del male. E io non voglio far male a loro, voglio solo stare in pace con i miei amici… Ma sapeva che i nemici non avrebbero mai accettato questo. Prima o poi, l’incessante attacco dall’esterno avrebbe indebolito lui e gli altri. La sua unica difesa era l’attacco.

Rapidi come il pensiero, si ritrovarono sul più alto bastione della loro Torre. Andrew ebbe la sensazione di sentirla tremare sotto i piedi. Come sempre nel sopramondo, era vestito della stoffa grigio-argentea di un’uniforme dell’impero terrestre: e quando se ne accorse, la sentì cambiare. No, adesso non sono più terrestre. Infatti subito dopo notò che indossava i calzoni di pelle sciupati dalla sella, e la giubba foderata di pelliccia che portava per lavorare nella tenuta. Bene, adesso quella era la sua vera personalità: adesso apparteneva ad Armida.

Dall’alto della Torre potevano scorgere Arilinn, come un faro fiammeggiante. Come mai era così vicina?, si chiese Damon. Poi comprese che era la visualizzazione di Leonie e del suo cerchio: Leonie aveva detto che la Torre proibita era stata eretta davanti alla loro soglia. A Damon era parsa lontana, distante mondi e mondi. Ma adesso erano vicini, così vicini che lui poteva vedere Leonie, come una statua velata di cremisi, che afferrava manciate di sostanza-pensiero e scagliava una folgore. Damon la colpì a mezz’aria col proprio fulmine: la vide esplodere e scrosciare sopra il cerchio raccolto sul pinnacolo di Arilinn, vide una crepa aprirsi nella fortezza di Leonie.

Ci percepiscono come una minaccia per loro. Perché?

Solo un momento, e il tuono scrosciò di nuovo intorno a loro, in un ardente duello di fulmini scagliati e intercettati, e Damon captò un pensiero fuggevole (doveva essere di Andrew): Mi sento come Giove che lancia i tuoni; e si chiese, con un frammento infinitesimale di coscienza, chi fosse o cosa fosse quel «giove».

Posso abbattere la Torre di Arilinn, perché per qualche ragione incomprensibile loro hanno paura di noi. Ma bruscamente Leonie cambiò tattica. Le folgori cessarono, e all’improvviso i quattro si sentirono soffocare in una pioggia di limo nauseante che precipitava su di loro facendoli vomitare per lo schifo. Come letame, liquido seminale, sterco di cavallo, le tracce lasciate dalle lumache che invadevano le serre nella stagione delle piogge… Stavano annegando nella sozzura. È così che vedono ciò che abbiamo fatto? Damon lottò per liberarsi la mente dalla nausea, pulendosi la faccia dal… No, questo significava riconoscerne la realtà. Prontamente, collegandosi col suo cerchio, addensò il viscidume, lo mutò nella ricchezza del suolo fecondato, lo fece cadere dai loro corpi fino a quando spuntarono fiori e foglie che coprirono il tetto della Torre con la lussureggiante vegetazione di una fioritura primaverile. Trionfanti, stettero nel prato fiorito, riaffermando la vita rinata dalla bruttura.

Ho combattuto il Grande Felino all’esterno della Torre, e ho trionfato. Quasi per riaffermare l’atto che gli aveva portato la consapevolezza dei suoi poteri psi, non sminuiti dagli anni trascorsi fuori dalla Torre, Damon evocò il Grande Felino, riversando in quell’immagine le loro menti collegate e inviandola ad aleggiare sopra le guglie di Arilinn. Mentre il Grande Felino devastava le Colline di Kilghard e scatenava la tenebra e il terrore e la fame tra la nostra gente, voi stavate al sicuro in Arilinn e non facevate nulla per aiutarci!

Le due Torri, adesso, erano così vicine che lui poteva scorgere attraverso il velo il volto di Leonie, acceso di collera e di disperazione. Nel sopramondo, pensò con distacco, era ancora bella come un tempo. Ma poté vederla solo per un momento, poiché il suo volto svanì in un’oscurità turbinante che cancellò la visione del suo cerchio. Là dove prima stava Leonie si ergeva un drago che ruggiva ed eruttava fiamme. Con le squame e gli artigli d’oro, torreggiava nel cielo al di sopra di Arilinn, e il suo fuoco pioveva sulla Torre proibita. Damon sentì il calore bruciante, ebbe la sensazione che il suo corpo si raggrinzisse nelle fiamme, udì Callista gridare di dolore, sentì il terrore di Ellemir, e per un istante si chiese se Leonie sarebbe riuscita a scacciarli dal sopramondo, costringendoli a rientrare nei loro corpi fisici…

Ma con la fiamma, sentì anche la consapevolezza di una leggenda nella mente di Andrew: Bruciateci, e noi risorgeremo come una fenice dalle ceneri… Protendendosi con le sue ultime forze attraverso il fuoco ardente che minacciava di scacciarli tutti dal sopramondo, Damon li collegò ancor più strettamente. Insieme riversarono tutta la loro forza psichica nella mutevole sostanza del sopramondo, plasmando un uccello gigantesco dalle piume sfolgoranti, ardendo in un’unione estatica che li consumava, che consumava le loro quattro menti unite. Nella mente di Andrew, Damon sentiva loro quattro raggomitolati insieme, nudi, entro una tenebra, entro un uovo non ancora schiuso, mentre le fiamme li consumavano interamente, li riducevano in cenere. Poi, in un’estasi crescente, il guscio che li racchiudeva si spezzò e loro eruppero verso l’alto, dalle ceneri, spiegando le poderose ali in uno slancio di fiammeggiante energia, volteggiando in trionfo sopra Arilinn… Dal becco della fenice uscivano tuoni e folgori, che squassavano la Torre. Damon vide, laggiù, le minuscole figure di Leonie e dei membri del suo cerchio, che assistevano impauriti e disperati.

Leonie! Non potete distruggerci! Chiedo l’armistizio.

Non desiderava distruggere Arilinn, e lo sapeva. Era stata la sua casa. Vi aveva sofferto indicibilmente, come vi aveva sofferto Callista: eppure là era stato addestrato e disciplinato, aveva imparato a usare al massimo le proprie forze. L’addestramento ad Arilinn era la base di ciò che lui era adesso, di ciò che poteva diventare. Arilinn doveva continuare per sempre a esistere, sia nel sopramondo che nel mondo reale: una casa per i telepati, un simbolo di ciò che l’addestramento nelle Torri era stato e un giorno poteva essere di nuovo. La forza e il potere dei Domimi.

Ma la voce di Leonie era scossa, appena udibile.

— No, Damon, abbattici. Annientaci completamente, come hai annientato tutto ciò che rappresentiamo.

— No, Leonie. — E adesso, all’improvviso, si trovarono uno di fronte all’altra nella grigia pianura del sopramondo. E Damon seppe — e sentì che Leonie condivideva quel pensiero — che non avrebbe mai potuto farle del male. L’amava, l’aveva sempre amata, l’avrebbe amata sempre.

— E anch’io ti amo — le disse teneramente Callista, che gli stava al fianco. Tese le mani: e poi, come non aveva mai fatto nel mondo reale, prese Leonie tra le braccia, stringendola in un abbraccio tenero, affettuoso. — Leonie, mia amata madre adottiva, non riesci a comprendere ciò che ha fatto Damon?

Leonie disse, tremando: — Ha distrutto le Torri. E tu ci hai traditi tutti! — Si ritrasse dalla giovane fissandola inorridita. Damon, che adesso era collegato con lei, comprese che Leonie poteva vedere quanto era accaduto a Callista; vedere che era una donna, innamorata, amata, al culmine della femminilità: non era una Custode nel vecchio senso della parola, e tuttavia conservava il completo potere del suo addestramento e della sua forza. — Callista, Callista, cos’hai fatto?

Fu Damon a rispondere, gentilmente ma con fermezza: — Abbiamo riscoperto l’antico modo di operare, nel quale una Custode non è costretta a sacrificare la vita e la gioia di vivere.

Allora la mia vita è stata inutile, e vano il mio sacrificio. E poi, con una disperazione che Damon non poteva misurare né sopportare: Ora lasciatemi morire.

Damon poteva vedere attraverso Leonie, con la nuova vista di Custode: e scorse, con orrore, ciò che aveva fatto a se stessa. Perché non l’aveva mai intuito? L’aveva allontanato dalla Torre per eliminare per sempre la possibilità che lui perdesse l’autodominio e rivelasse di desiderarla. Ma per eliminare la propria tentazione? Le leggi vietavano la castrazione delle donne Comyn, e Leonie, con Callista, si era fermata appena in tempo.

Ma con se stessa?

Damon disse, con angosciata pietà: — Non è stato vano, Leonie. Tu e tutti coloro che hanno mantenuto viva la tradizione avete tenuto in vita su Darkover le scienze delle matrici, perché un giorno fosse possibile questa riscoperta. Il vostro eroismo ha fatto sì che i nostri figli e i nostri nipoti possano usare le antiche scienze senza sofferenze e tragedie. Non voglio distruggere le Torri: voglio solo alleggerire il vostro fardello, rendere possibile l’addestramento di altri fuori dalle Torri, in modo che voi non dobbiate rinunciare alle vostre vite e che il prezzo da pagare non sia così atrocemente elevato. Voi, e tutti quelli di noi che sono venuti da Arilinn e dalle altre Torri, avete mantenuto accesa la fiamma, sebbene l’abbiate alimentata col vostro sangue e la vostra carne. — Stava disarmato davanti a tutti gli avversari, pur sapendo che ora avrebbero potuto abbatterlo: ma sapeva anche, con una profonda certezza interiore, che l’ascoltavano.

— Ora la fiamma viva può essere riaccesa, e non dovrà più nutrirsi delle vostre vite. Leonie… — Si girò di nuovo verso di lei, tendendo le mani in un gesto di supplica. — Se tu potevi cedere sotto il peso della tensione, tu, un’Hastur, la Dama di Arilinn, allora sicuramente è un fardello troppo opprimente per qualunque mortale, uomo o donna. Nessuno al mondo avrebbe potuto portarlo senza schiantarsi. Lasciaci operare, Leonie, lasciaci continuare come abbiamo incominciato, in modo che un giorno gli uomini e le donne delle Torri possano trovare gioia nel loro lavoro, e non sacrifici interminabili e una morte vivente.

Leonie chinò adagio la testa e disse: — Ti riconosco Custode, Damon. Non possiamo farti nessun male e non possiamo vendicarci di te. Meritiamo qualunque punizione vorrai imporci.

Col cuore straziato, Damon replicò: — Non posso infliggerti una punizione più grande di quella che ti sei inflitta da sola, Leonie: la condanna scelta da te stessa, che dovrai continuare a scontare fino a quando un’altra generazione sarà abbastanza forte per sopportarla. Che Avarra, nella sua misericordia, voglia che tu sia l’ultima Custode di Arilinn ad affrontare questa morte vivente: ma devi rimanere Custode di Arilinn, fino a quando Janine potrà portare da sola quel peso.

E la tua sola punizione sarà di sapere che per te è troppo tardi. Straziato dalla sofferenza di Leonie, comprese che per lei era sempre stato troppo tardi. Era già troppo tardi quando, a quindici anni, era andata alla Torre di Dalereuth a pronunciare i voti di Custode. La vide indietreggiare, sempre più lontana, come una stella che si affievolisse nella luce del mattino. Vide anche la Torre di Arilinn allontanarsi sul fluido orizzonte del sopramondo, finché rimpicciolì, rifulse di un fioco bagliore azzurro, e svanì. Damon e Andrew e Ellemir e Callista erano soli nella Torre proibita; e poi, con uno scossone violento, anche il sopramondo sparì, e si ritrovarono nel loro appartamento a Castel Comyn. Le vette, oltre la finestra, erano inondate dalla luce, ma il grande sole rosso si era appena staccato dall’orizzonte.

Il levar del sole. E la sorte di loro quattro, e forse la sorte di tutti i telepati di Darkover, era stata decisa in una battaglia astrale durata meno di un quarto d’ora.

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