CAPITOLO QUARTO

Era stato deciso che il matrimonio avrebbe avuto luogo da lì a quattro giorni: un matrimonio senza sfarzo, con Leonie unica ospite d’onore e i vicini delle tenute circostanti invitati a festeggiare insieme alla famiglia. Il breve intervallo lasciava appena il tempo di portare la notizia all’erede di Esteban, Domenic, a Thendara, e di far venire da Serrais — se lo desideravano — i fratelli di Damon.

La notte prima delle nozze, le due gemelle rimasero sveglie fino a tardi, nella stanza che avevano diviso da bambine prima che Callista andasse alla Torre di Arilinn. Alla fine Ellemir disse, con un po’ di tristezza: — Ho sempre pensato che il giorno del mio matrimonio ci sarebbero state grandi cerimonie, e abiti bellissimi, e tutti i nostri parenti a far festa insieme a noi; non immaginavo un matrimonio affrettato, alla presenza di pochi campagnoli! Con Damon per marito posso fare a meno del resto, però…

— Dispiace anche a me, Elli. So che è colpa mia — disse Callista. — Tu sposi un Comyn del dominio di Ridenow, quindi non c’è ragione perché non debba sposarti di catenas, con tutte le feste che desideri. Io e Andrew abbiamo rovinato tutto. — La figlia di un Comyn non poteva sposarsi di catenas, con l’antica cerimonia, senza l’autorizzazione del Consiglio dei Comyn, e Callista sapeva che non c’era speranza che il Consiglio la desse a uno straniero, a un nessuno… un terrestre! Perciò avevano scelto la forma più semplice, conosciuta come «matrimonio libero», che si poteva celebrare con una semplice dichiarazione di fronte a testimoni.

Ellemir sentì la tristezza nella voce della sorella e disse: — Come ama ripetere nostro padre, il mondo va come vuole e non come vorremmo tu e io. Damon ha promesso che alla prossima stagione del Consiglio andremo a Thendara e ci saranno feste per tutti.

— E per allora — aggiunse Callista, — il mio matrimonio con Andrew sarà consolidato da tanto tempo che niente potrà cambiarlo.

Ellemir rise. — Sarebbe davvero una sfortuna se a quell’epoca io fossi incinta e non potessi divertirmi! Anche se non lo giudicherei una sfortuna, avere subito un figlio da Damon.

Callista taceva, pensando agli anni nella Torre, dove lei aveva accantonato le cose che fanno sognare una ragazza, senza rimpiangerle perché non le conosceva. Sentendole nel tono di Ellemir domandò, esitando: — Vuoi subito un figlio?

Ellemir rise. — Oh, sì! Tu no?

— Non ci avevo pensato — disse Callista, lentamente. — Per tanti anni non ho mai riflettuto sul matrimonio, l’amore o i figli… Immagino che Andrew vorrà dei figli, prima o poi: ma a me sembra che un figlio debba essere desiderato per se stesso, e non solo perché è mio dovere verso il clan. Ho vissuto tanti anni nella Torre, pensando solo al dovere verso gli altri, che credo di dover avere, prima, un po’ di tempo da dedicare soltanto a me stessa. E… a Andrew.

Per Ellemir era incomprensibile. Come poteva, una donna, prendere marito senza pensare per prima cosa di dargli un figlio? Ma intuiva che per Callista era diverso. Comunque, rifletté con snobismo inconscio, Andrew non era un Comyn: non era poi così importante che Callista gli desse subito un erede.

— Ricorda, Elli, ho passato tanti anni pensando che non mi sarei mai sposata…

La sua voce era così triste e stranita che Ellemir non poté sopportarla. Disse: — Tu ami Andrew, e l’hai scelto liberamente. — Ma c’era una sfumatura interrogativa nelle sue parole. Callista aveva deciso di sposare il suo salvatore solo perché le sembrava la cosa più semplice?

Callista seguì quel pensiero e disse: — No. L’amo più di quanto so esprimere. Eppure c’è un altro vecchio detto, e finora non sapevo quanto è vero: nessuna scelta è priva di rimpianti, e porterà comunque più gioia e più angoscia di quanto possiamo prevedere. La mia vita mi sembrava immutabile, già decisa e così semplice: avrei preso il posto di Leonie ad Arilinn e avrei fatto il mio dovere fino a quando la morte o la vecchiaia mi avessero liberata da quel peso. E mi sembrava una vita accettabile. L’amore, il matrimonio, i figli… non ci pensavo neppure.

Le tremava la voce. Ellemir si alzò, andò a sedersi sull’orlo del letto della sorella, e le prese la mano nel buio. Callista fu sul punto di ritirarla, in un gesto inconscio, automatico; poi disse malinconicamente, più a se stessa che a Ellemir: — Dovrò imparare a non farlo.

Ellemir replicò, gentilmente: — Non credo che Andrew ne sarà entusiasta.

Sentì Callista rabbrividire a quelle parole. — È… un riflesso istintivo. È difficile abbandonarlo, così com’è stato difficile impararlo.

Ellemir disse, d’impulso: — Dovevi sentirti molto sola!

Le parole di Callista parvero salire da un abisso soffocante. — Sola? Non sempre. Nella Torre siamo più vicini di quanto si possa immaginare. Siamo ognuno parte degli altri. Tuttavia, come Custode ero sempre separata dagli altri, divisa da… da una barriera che nessuno poteva mai varcare. Sarebbe stato più facile, credo, essere veramente sola. — Ellemir sentiva che la sorella non parlava a lei ma a remoti ricordi impossibili da condividere, e che cercava di tradurre in parole qualcosa di cui non aveva mai voluto parlare.

— Gli altri, nella Torre, potevano… potevano esprimere in qualche modo quella vicinanza. Potevano toccarsi. Potevano amare. Una Custode impara un duplice isolamento. Essere vicina, più vicina di chiunque altro, a ognuna delle menti del cerchio della matrice, eppure… non essere mai completamente reale per loro. Mai donna, mai neppure un essere umano vivente. Solo… solo parte degli schermi e dei relè. — Callista s’interruppe, perduta in quella strana vita claustrale e solitaria che era stata la sua per tanti anni. — Molte provano, e non ci riescono. Finiscono col lasciarsi coinvolgere, in un modo o nell’altro, nell’aspetto umano degli altri uomini e delle altre donne della Torre. Durante il primo anno ad Arilinn ho visto sei ragazze arrivare per essere addestrate come Custodi, e fallire. E io ero fiera, perché riuscivo a sopportare l’addestramento. Non… non è facile — disse, pur sapendo che quelle parole erano ridicolmente inadeguate. Non davano un’idea dei mesi di rigorosa disciplina fisica e mentale fino a quando la mente si abituava all’incredibile potere, fino a quando il suo corpo riusciva a sopportare quei flussi e quelle tensioni inumane. Infine mormorò, in tono amaro: — Adesso vorrei aver fallito anch’io! — E s’interruppe, inorridita, nell’udire le sue stesse parole.

Ellemir disse: — Vorrei che non fossimo cresciute così lontane, breda. — Quasi per la prima volta, pronunciò la parola che significava «sorella» nel modo intimo: poteva significare anche «tesoro». Callista reagì al tono, più che alla parola.

— Non è che non… non ti volessi bene, o non ti ricordassi. Ma mi veniva insegnato (oh, non puoi immaginare come!) a tenermi lontana da ogni contatto umano. E tu eri la mia gemella: a te ero stata più vicina che a chiunque altro. Durante il primo anno, di notte piangevo fino a quando mi addormentavo, perché sentivo tanto la tua mancanza. Ma poi… poi hai finito col sembrarmi come tutto il resto della mia vita prima della partenza per Arilinn: una che avevo conosciuto soltanto in un sogno. Perciò in seguito, quando sono stata autorizzata a vederti di tanto in tanto, a farti visita, ho cercato di tenerti lontana, come parte del sogno, per non essere straziata a ogni nuova separazione. Le nostre vite erano divise, e io sapevo che doveva essere così.

La sua voce era più triste che se avesse pianto. Impulsivamente, ansiosa di confortarla, Ellemir si sdraiò accanto a lei e la strinse fra le braccia. Callista s’irrigidì al contatto e poi, sospirando, restò immobile; ma Ellemir sentiva lo sforzo che sua sorella compiva per non scostarsi. Pensò, con un violento slancio di collera: Come hanno potuto farle questo? È una deformazione, come se l’avessero resa invalida o gobba.

L’abbracciò e disse: — Spero che sapremo ritrovarci.

Callista tollerò quel gesto, sebbene non lo ricambiasse. — Lo spero anch’io, Ellemir.

— Mi sembrava spaventoso, pensare che non sei mai stata innamorata.

Callista replicò, in tono leggero: — Oh, non è tanto terribile. Eravamo così vicini, nella Torre, che in un modo o nell’altro, credo, eravamo sempre innamorati. — Era troppo buio per vedere il volto di Callista, ma Ellemir ne intuì il sorriso quando lei aggiunse: — Se ti dicessi che Damon era ancora ad Arilinn quando io ci sono andata per la prima volta, e che per un po’ ho creduto di essere innamorata di lui? Sei molto gelosa?

Ellemir rise. — No, non molto.

— Lui era già un tecnico, e m’insegnava il controllo. Naturalmente, per lui non ero una donna: solo una delle ragazzine da istruire. Naturalmente, per lui le donne non esistevano, eccettuata Leonie… — Callista s’interruppe e si affrettò ad aggiungere: — È passato molto tempo.

Ellemir rise. — So che il cuore di Damon è tutto mio. Come potrei essere gelosa dell’amore che un uomo consacra a una Custode, legata da voti di verginità? — Poi udì le proprie parole e s’interruppe, costernata. — Oh, Callista, non intendevo…

— Io penso che intendessi proprio questo — disse gentilmente Callista. — Ma l’amore è amore, anche se non ha nulla di fisico. Se non l’avessi saputo prima, l’avrei scoperto nelle grotte di Corresanti, quando mi sono innamorata di Andrew. È amore, ed era vero, e se fossi in te non schernirei l’amore che Damon provava per Leonie, non lo giudicherei una fantasia di adolescente. — Pensò, ma non lo disse, che era bastato a turbare la serenità di Leonie, anche se nessuno, tranne lei, Callista, l’aveva mai intuito.

Ha fatto bene a mandare via Damon…

— Mi sembra strano, l’amore senza desiderio — osservò Ellemir. — E non del tutto reale, qualunque cosa tu dica.

— Diversi uomini mi hanno desiderata — replicò pacatamente Callista, — malgrado i tabù. Succede. Quasi sempre non destava nulla, in me: mi dava solo l’impressione che… che insetti immondi mi strisciassero sulla pelle. Ma altre volte, quasi mi auguravo di sapere come desiderarli a mia volta.

All’improvviso, la sua voce si spezzò. Ellemir vi percepì una nota tesa, quasi di terrore. — Oh, Ellemir, Elli, mi sottraggo perfino al tuo contatto… Se mi ritraggo dal contatto della mia gemella… cosa farò con Andrew? Oh, Avarra abbia misericordia di me, quanto male dovrò fargli ancora?

Breda, Andrew ti ama: senza dubbio comprenderà…

— Ma forse comprendere non basta! Oh, Elli, anche se fosse uno come Damon, che conosce la vita delle Torri e sa cos’è una Custode, io avrei paura! E Andrew non sa, o non capisce, e non esistono parole per dirglielo! E anche lui ha abbandonato l’unico mondo che conosceva: e cosa posso dargli, in cambio?

Ellemir disse, gentilmente: — Ma sei stata sciolta dal giuramento delle Custodi. — L’abitudine di molti anni, lo sapeva, non si poteva spezzare in un giorno; ma quando Callista si fosse liberata dalle sue paure, senza dubbio sarebbe andato tutto per il meglio. Tenne abbracciata Callista e disse, con sommessa tenerezza: — Non c’è da temere l’amore, breda, anche se ti sembra strano o spaventoso…

— Sapevo che non avresti compreso — replicò Callista, sospirando. — C’erano altre donne, nella Torre, donne che non vivevano secondo le leggi delle Custodi, che erano libere di condividere quella partecipazione. C’era tanto… tanto amore, tra noi, e io sapevo quanto le rendeva felici amare, o anche soltanto soddisfare il desiderio, quando non c’era amore ma soltanto… bisogno, e generosità. — Sospirò di nuovo. — Non sono ignorante, Ellemir — disse, con una strana dignità desolata. — Inesperta sì, a causa di ciò che sono, ma non ignorante. Ho imparato i modi per… per non accorgermene troppo. Così era più facile, ma io sapevo: oh, sì, sapevo. Come sapevo, per esempio, che tu hai avuto altri amanti prima di Damon.

Ellemir rise. — Non ne ho mai fatto mistero. Se non te ne parlavo, era perché conoscevo le leggi secondo le quali vivevi… o almeno conoscevo quello che ne può sapere un’estranea. E mi sembrava che fosse una barriera tra noi.

— Ma sicuramente dovevi sapere che t’invidiavo — disse Callista, e Ellemir si levò a sedere sul letto guardando la gemella con sorpresa scandalizzata. Potevano vedersi solo vagamente: una piccola luna verde, una falce sottilissima, stava librata nel cielo davanti alla finestra. Infine Ellemir disse, esitante: — Invidiavi… me? Io avevo pensato… ero convinta… che una Custode, vincolata dal giuramento, mi avrebbe disprezzata o avrebbe giudicato vergognoso che io… che una comynara non fosse diversa da una contadina, o da una femmina animale in calore.

— Disprezzarti? No. Se noi non ne parliamo molto, è per timore di non riuscire a sopportare la differenza. Anche le altre donne delle Torri, che non vivono nel nostro isolamento, ci vedono come estranee, quasi inumane… L’isolamento, l’orgoglio, diventano la nostra unica difesa, come per nascondere una ferita, per mascherare la nostra… la nostra incompletezza.

La voce di Callista era scossa, ma Ellemir pensò che il suo volto, nel fievole chiaro di luna, era disumanamente impassibile, come scolpito nella pietra. Le pareva che Callista fosse dolorosamente distante, che cercassero di parlarsi attraverso il grande abisso che le divideva.

Per tutta la vita, Ellemir aveva imparato a pensare che una Custode era qualcosa di remoto, molto superiore a lei, da riverire e quasi da venerare. Perfino sua sorella gemella era come una dea irraggiungibile. Ora, per un momento, provò una sensazione quasi vertiginosa di rovesciamento che squassava le sue certezze: adesso era Callista a guardarla con invidia, a essere inspiegabilmente più giovane di lei e molto più vulnerabile, non più ammantata nella remota maestà di Arilinn, una donna come lei, fragile, insicura… Disse, sussurrando: — Avrei voluto saperlo prima, Callie.

— Anch’io avrei voluto saperlo — replicò Callista, con un mesto sorriso. — Non venivamo incoraggiate a pensare a queste cose, né ad altro che non fosse il nostro lavoro. Solo adesso sto cominciando a scoprire me stessa come donna e… non so come cominciare. — A Ellemir sembrò una confessione incredibilmente triste. Dopo un attimo, Callista mormorò nell’oscurità: — Ellemir, della mia vita ti ho detto tutto quello che posso. Ora dimmi qualcosa della tua. Non voglio essere curiosa, ma tu hai avuto diversi amanti. Parlamene.

Ellemir esitò; ma sentiva che dietro quella domanda c’era qualcosa di più della semplice curiosità sessuale. C’era anche quella: e, considerando il modo in cui Callista era stata costretta a soffocare la sua sensibilità durante gli anni vissuti come Custode, era un buon segno e prometteva bene per l’imminente matrimonio. Ma c’era anche qualcosa di più, il desiderio di condividere qualcosa della vita di Ellemir durante gli anni della separazione. Reagendo impulsivamente, disse: — È stato l’anno in cui si è sposata Dorian. Tu hai conosciuto Mikhail?

— L’ho visto al matrimonio. — La loro sorella maggiore, Dorian, aveva sposato un cugino nedestro del nobile Ardais. — Sembrava un giovane gentile, cortese, ma non ho scambiato con lui che poche parole. Avevo visto raramente Dorian, dopo la mia infanzia.

— È stato quell’inverno — disse Ellemir. — Dorian mi aveva pregata di andare a passarlo con lei: si sentiva sola, ed era già incinta, e si era fatta poche amiche tra le donne delle montagne. Nostro padre mi aveva permesso di andare. E più avanti, quella primavera, quando Dorian era diventata troppo pesante e non provava più piacere a dividere il letto di Mikhail, io e lui eravamo così amici che ho preso il posto di nostra sorella. — Rise sommessamente al ricordo.

Callista esclamò, sbalordita: — Ma non avevi più di quindici anni!

Ellemir replicò, ridendo: — Per sposarsi bastano. Dorian non ne aveva di più quando si è sposata. E l’avrei fatto anch’io, se nostro padre non avesse voluto che restassi a mandargli avanti la casa!

Ancora una volta, Callista provò quell’invidia crudele, quel senso di alienazione disperata. Com’era stato semplice e giusto, per Ellemir! E com’era diverso, per lei! — Ce ne sono stati altri?

Ellemir sorrise nel buio. — Non molti. Quella volta ho scoperto che giacere con un uomo mi piaceva, ma non volevo essere oggetto di pettegolezzi come Sybil-Mhari (avrai sentito dire che sì prende amanti tra le Guardie e perfino tra i paggi) e non volevo mettere al mondo un figlio che non mi sarebbe stato permesso di allevare, anche se Dorian giurava che se avessi avuto un figlio da Mikhail l’avrebbe adottato lei. E non volevo trovarmi sposata in fretta e furia a uno che non mi piaceva, perché sapevo che nostro padre l’avrebbe preteso se ci fosse stato uno scandalo. Perciò non ci sono più di due o tre uomini che potrebbero dire, se volessero, di aver avuto da me più della mano da baciare, alla festa del solstizio d’estate. Perfino Damon. Ha atteso con pazienza…

Proruppe in una strana risatina eccitata. Callista le accarezzò i morbidi capelli.

— Ormai l’attesa è quasi finita, tesoro.

Ellemir si rannicchiò vicino alla sorella. Sentiva le paure di Callista, la sua ambivalenza, ma le fraintendeva ancora.

Ha fatto voto di verginità, pensò, è vissuta lontana dagli uomini, e non è sorprendente che abbia paura. Ma quando avrà compreso di essere libera, Andrew sarà dolce con lei, e paziente, e lei raggiungerà finalmente la felicità… una felicità come quella mia… e di Damon.

Erano in lieve contatto telepatico, e Callista seguiva i pensieri di Ellemir: ma non voleva turbare la sorella dicendole che non era tanto semplice.

— Dobbiamo dormire, breda: domani è il giorno del nostro matrimonio, e domani notte — aggiunse, maliziosamente, — Damon non ti lascerà dormire molto.

Ridendo, Ellemir chiuse gli occhi. Callista rimase a guardare in silenzio nell’oscurità, con la testa di Ellemir sulla spalla. Dopo molto tempo, quando il filo del collegamento tra loro si assottigliò e Ellemir si smarrì nei sogni, Callista sentì che la sorella dormiva. Adagio, scese dal letto e andò alla finestra, a guardare il paesaggio inondato dalla luna. Rimase lì, ritta, fino a quando si sentì indolenzita e intirizzita, fino a quando le lune tramontarono e una pioggia fittissima cominciò a velare il vetro della finestra. Grazie alla dura disciplina di tanti anni, non pianse.

Posso accettarlo e sopportarlo, come ho sopportato tante cose. Ma Andrew? Posso sopportare quello che farà a lui, quello che potrà fare al suo amore? Restò immota, per ore, indolenzita, gelata, ma senza più accorgersene, con la mente rifugiata in uno dei regni al di là del pensiero dove le era stato insegnato a entrare per sfuggire alle idee tormentose, lasciandosi indietro il corpo freddo e dolorante che aveva imparato a disprezzare.

Nelle ore dell’alba la pioggia aveva lasciato il posto a un fine nevischio che batteva sui vetri. Ellemir si mosse, cercò a tentoni la sorella, poi si levò a sedere, costernata, vedendola immobile davanti alla finestra. Si alzò e la raggiunse, chiamandola per nome, ma Callista non l’udì e non si mosse.

Allarmata, Ellemir gridò. Callista, cogliendo la paura nella mente della sorella più che la voce, tornò a poco a poco in sé. — Tutto a posto, Elli — disse gentilmente, guardando il volto spaventato che la fissava.

— Sei così fredda, tesoro, così rigida e fredda. Torna a letto, lascia che ti scaldi — insistette Ellemir, e Callista lasciò che la riconducesse a letto, l’avvolgesse nelle coperte e la tenesse stretta a sé. Dopo molto tempo disse, quasi in un bisbiglio: — Ho sbagliato, Elli.

— Hai sbaglio? In cosa, breda?

— Avrei dovuto andare a letto con Andrew, quando mi ha portata via dalle caverne. Dopo tanto tempo trascorso da sola al buio, e dopo tanta paura, le mie difese erano cadute. — Con doloroso rimpianto, Callista ricordò come lui l’aveva portata via da Corresanti, e come lei si era abbandonata tra le sue braccia, riscaldata, senza paura. Ricordò che, per brevi istanti, le era sembrato possibile. — Ma c’era tanta confusione, qui: nostro padre era diventato un invalido, e la casa era piena di feriti. Tuttavia, allora sarebbe stato più facile.

Ellemir seguiva il suo ragionamento, e tendeva a darle ragione. Eppure Callista non era una donna capace di fare una cosa simile sfidando la collera del padre e violando il suo giuramento di Custode. E il nobile Alton sarebbe venuto a saperlo, come se Callista l’avesse gridato dai tetti.

— Anche tu eri sofferente, tesoro. Andrew ha capito, senza dubbio.

Ma Callista ne dubitava: la lunga malattia che l’aveva colpita dopo il salvataggio non era stata forse una specie di reazione a quell’incapacità? Forse, pensò, aveva perso un’occasione che magari non si sarebbe più ripresentata, l’occasione di unirsi a Andrew quando entrambi erano accesi dalla passione e non c’era posto per i dubbi e le paure. Perfino Leonie riteneva verosimile che l’avesse fatto.

Perché non l’ho fatto? E adesso, adesso è troppo tardi…

Ellemir sbadigliò, con un sorrìso di felicità.

— È il giorno delle nostre nozze, Callista!

Callista chiuse gli occhi. Il giorno delle mie nozze. E non posso condividere la sua gioia. Io amo come ama lei, eppure non sono lieta… Provò il folle impulso di graffiarsi con le unghie, di percuotersi con i pugni, di punire la bellezza che era una vuota promessa, il corpo così simile a quello di una donna desiderabile… un guscio, un guscio vuoto. Ma Ellemir la guardava con aria turbata e interrogativa, e allora si costrinse a sorridere gaiamente.

— Il giorno delle nostre nozze — ripeté, e baciò la sorella. — Sei felice, tesoro?

E per un po’, nella gioia di Ellemir, riuscì a dimenticare le proprie paure.

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