CAPITOLO SECONDO

Dal cortile esterno di Armida, Andrew Carr vide i cavalieri che si avvicinavano. Chiamò paggi e servitori perché prendessero i loro cavalli, poi andò nella grande sala ad annunciare l’arrivo.

— Dev’essere Damon che ritorna — disse emozionata Ellemir, e corse nel cortile. Andrew la seguì più lentamente, con Callista al fianco.

— Damon non è solo — osservò lei; e Andrew comprese, senza chiederlo, che si era servita della sensibilità psi per intuire l’identità dei cavalieri. Ormai si era abituato, e non gli sembrava più una cosa strana e spaventosa.

Callista gli sorrise, e ancora una volta Andrew si sentì colpito dalla sua bellezza. Tendeva sempre a dimenticarla, quando non la guardava. Prima di vederla, aveva imparato a conoscere la sua mente e il suo cuore, la sua dolcezza, il suo coraggio, la sua pronta comprensione. Aveva imparato a conoscere e ad apprezzare la sua gaiezza e il suo spirito, quando lei si era trovata sola, terrorizzata, prigioniera nelle tenebre di Corresanti.

Ma era anche bella, molto bella: una giovane donna snella, con i capelli color rame mollemente intrecciati sul dorso, e gli occhi grigi sotto le sopracciglia diritte. Disse, mentre gli camminava al fianco: — È Leonie, la leronis di Arilinn. È venuta come le avevo chiesto.

Andrew le prese la mano, leggermente, sebbene quello fosse sempre un rischio. Sapeva che Callista era stata istruita e disciplinata — con metodi che lui non poteva neppure immaginare — a evitare il minimo contatto. Ma questa volta, sebbene le sue dita tremassero, le abbandonò leggere tra quelle di lui; e sembrava che quel lieve tremito fosse una tempesta che la squassava interiormente, malgrado la calma acquisita. Andrew intravide di nuovo sulle mani e sui polsi, sottili gli uni e le altre, numerose cicatrici minuscole, come di tagli o di scottature. Una volta le aveva chiesto cos’erano. Lei aveva scrollato le spalle, e aveva detto soltanto: — Sono guarite da molto, molto tempo. Erano… aiuti alla memoria. — Non aveva voluto dire di più, ma Andrew poteva immaginare cosa intendeva; e adesso l’orrore lo sconvolse di nuovo. Sarebbe mai riuscito a conoscere veramente quella donna?

— Credevo che la Custode di Arilinn fossi tu — disse.

— Leonie era Custode già prima ancora che io nascessi. Mi aveva istruita perché prendessi il suo posto, un giorno. Avevo già cominciato a operare come Custode. Spetta a lei lasciarmi libera, se vuole. — Si ripeterono ancora il lieve brivido e lo sguardo fuggevole. Quale potere aveva su Callista quella vecchia terribile?

Andrew guardò Ellemir che correva verso la porta. Come somigliava a Callista! Alta e snella come lei, con gli stessi capelli d’oro ramato, gli stessi occhi grigi, le stesse ciglia scure e sopracciglia diritte… eppure così diversa dalla gemella! Con una tristezza così profonda che non poteva riconoscerla come invidia, Andrew guardò Ellemir correre incontro a Damon, vide l’uomo scendere dalla sella, sollevarla abbracciandola, e baciarla a lungo. Callista sarebbe mai stata abbastanza libera da correre incontro a lui allo stesso modo?

Callista lo condusse verso Leonie, che era stata aiutata a smontare da uno della scorta. Le sottili dita di Callista erano ancora posate sulle sue: un gesto di sfida, una voluta violazione del tabù. Andrew sapeva che lei voleva farsi vedere da Leonie. Damon stava presentando Ellemir alla Custode.

— Tu ci fai un grande onore, mia signora. Benvenuta ad Armida.

Andrew osservò attento quando Leonie abbassò il cappuccio. Si era preparato a scorgere un’orribile megera autoritaria, e restò colpito nel vedere solo una donna esile e fragile, anziana, con gli occhi magnifici, dalle ciglia scure, e i resti di una bellezza che doveva essere stata considerevole. Non aveva un aspetto severo e temibile, e sorrideva gentilmente a Ellemir.

— Somigli moltissimo a Callista, figliola. Tua sorella mi ha insegnato a volerti bene: sono lieta di conoscerti, finalmente. — La voce limpida e chiara, dolcissima. Poi lei si rivolse a Callista, tendendo le mani in un gesto di saluto.

— Adesso stai bene, chiya? — Era già una sorpresa che qualcuno chiamasse «piccola» la seria e posata Callista. La ragazza lasciò la mano di Andrew e sfiorò con le dita le dita di Leonie.

— Oh, sì, benissimo — disse ridendo. — Ma dormo ancora come una bambina, con una lampada accesa nella stanza, per non svegliarmi al buio credendomi di nuovo in quella maledetta caverna degli uomini-felini. Ti vergogni di me, parente?

Andrew s’inchinò con fare cerimonioso. Conosceva abbastanza gli usi di Darkover per non guardare direttamente in faccia la leronis, ma si sentiva addosso i grigi occhi di Leonie. Callista disse, con un lieve fremito di sfida nella voce: — Questo è Andrew, il mio promesso sposo.

— Calma, chiya, non hai ancora il diritto di chiamarlo così — la rimproverò Leonie. — Ne parleremo più tardi; ora devo salutare il mio anfitrione.

Richiamata ai suoi doveri, Ellemir lasciò la mano di Damon e condusse Leonie su per la scalinata. Andrew e Callista le seguirono; ma quando lui fece per riprendere la mano della ragazza, lei la ritrasse: non volutamente, ma per l’abitudine istintiva di tanti anni. Andrew sentì che adesso lei aveva addirittura dimenticato la sua presenza.

La Grande Sala di Armida era una stanza enorme, lastricata di pietra, arredata all’antica, con i sedili murati lungo le pareti, e antiche bandiere e armi appese sopra il grande camino di pietra. In fondo alla sala c’era una tavola fissa. Lì accanto Dom Esteban Lanart, nobile Alton, giaceva su un lettino a rotelle, abbandonato sui cuscini. Era un uomo enorme, pesante, con le spalle larghe e i folti capelli rossi e ricciuti spruzzati di grigio. Quando i visitatori si avvicinarono, disse in tono stizzito: — Dezi, ragazzo, sollevami in modo che possa ricevere gli ospiti. — Un giovane seduto su una delle panche si alzò di scatto, ammucchiò premurosamente i cuscini dietro la schiena del vecchio e lo sollevò a sedere. In un primo momento, Damon aveva pensato che il ragazzo fosse uno dei servitori di Esteban: poi notò una forte somiglianza tra il vecchio nobile Comyn e il giovane che lo stava aiutando.

Era solo un ragazzo, sottile come un giunco, con i capelli rossi e ricciuti e gli occhi più azzurri che grigi: ma i lineamenti erano quasi identici a quelli di Ellemir.

Sembra Coryn, pensò Damon. Coryn era stato il primo figlio maschio di Dom Esteban e della sua prima moglie, morta ormai da molto tempo. Maggiore di molti anni di Ellemir e Callista, era stato amico giurato di Damon quando erano entrambi adolescenti. Ma Coryn era ormai morto e sepolto. E non poteva aver avuto un figlio di quell’età: no di certo. Però il ragazzo è un Alton, pensò Damon. Ma chi è? Non l’ho mai visto!

Leonie, tuttavia, lo riconobbe immediatamente. — Dunque, Dezi, ti sei trovato una sistemazione?

Il ragazzo rispose, con un sorriso accattivante: — Il nobile Alton mi ha mandato a chiamare perché venissi qui a rendermi utile, mia signora.

Esteban Lanart disse: — Salute a te, parente: perdonami se non mi alzo per accoglierti nella mia casa. Tu mi fai un grande onore, Domna — Notò la direzione dello sguardo di Damon e aggiunse, con disinvoltura: — Avevo dimenticato: non conosci il nostro Dezi. Il suo nome è Deziderio Leynier. È un nedestro di uno dei miei cugini, anche se il povero Gwynn è morto prima di poterlo far legittimare. L’abbiamo fatto mettere alla prova per vedere se aveva il laran: è stato ad Arilinn per un paio di stagioni, ma quando ho avuto bisogno di aver vicino qualcuno che mi assistesse, Ellemir si è ricordata che era tornato a casa sua, e perciò l’ho mandato a chiamare. È un bravo ragazzo.

Damon si sentì sconvolto. Con quanta leggerezza, o addirittura brutalità, Dom Esteban aveva parlato della condizione di bastardo del ragazzo, della sua posizione di parente povero! Dezi aveva stretto le labbra ma era rimasto impassibile, e Damon provò simpatia per lui. Sebbene fosse così giovane, Dezi sapeva cosa significava trovare il calore e la solidarietà del cerchio di una Torre e poi venirne di nuovo escluso.

— Accidenti, Dezi, i cuscini bastano, smettila di agitarti — ordinò Esteban. — Ebbene, Leonie, questo non è il modo di accoglierti di nuovo sotto il mio tetto dopo tanti anni; ma dovrai accettare la buona volontà e ritenerti ricevuta con l’inchino di rito e tutte le cortesie dovute, come farei se fossi in grado di alzarmi da questo letto.

— Non ho bisogno di cortesie, cugino — disse Leonie, avvicinandosi. — Mi rincresce soltanto di trovarti così. Avevo sentito dire che eri stato ferito, ma non sapevo che fosse tanto grave.

— Non lo sapevo neppure io. Era una piccola ferita (ne ho ricevute di più profonde e dolorose dagli ami da pesca); ma, piccola o grande, la spina dorsale è stata lesa e dicono che non potrò camminare mai più.

— Avviene spesso, con le lesioni spinali; sei fortunato a poter usare le mani.

— Oh, sì. Credo di sì. Posso starmene seduto su una sedia; e Damon ha ideato un sostegno per la schiena, tanto che posso star seduto senza ciondolare come un bambinetto troppo piccolo per il seggiolone. E Andrew mi aiuta a badare alla tenuta e al bestiame, mentre Dezi è qui per sbrigarmi le commissioni. Posso ancora dirigere tutto dalla mia sedia: quindi posso ritenermi fortunato, come dici tu. Ma ero un soldato, e adesso… — Esteban s’interruppe, scrollando le spalle. — Damon, ragazzo mio, com’è andata la tua campagna?

— C’è poco da dire, suocero — rispose Damon. — Gli uomini-felini che non sono morti sono fuggiti nelle loro foreste. Alcuni hanno tentato una resistenza disperata, ma sono morti. A parte questo, non c’è altro da aggiungere.

Esteban ridacchiò ironicamente. — È facile capire che non sei un vero soldato, anche se so bene che sei capace di combattere quando è necessario! Un giorno, Leonie, dappertutto si racconterà di quando Damon ha portato la mia spada a Corresanti, contro gli uomini-felini, collegato mentalmente attraverso la matrice… Ma ne parleremo un’altra volta! Perché adesso, immagino, se vorrò conoscere i particolari della campagna e delle battaglie dovrò chiederli a Eduin: lui sa quello che voglio sentire! Quanto a te, Leonie, sei venuta a far ragionare la mia sciocca figliola e a ricondurla ad Arilinn, dov’è il suo giusto posto?

— Padre! — protestò Callista. Leonie sorrise debolmente.

— Non è così facile, cugino, e sono sicura che lo sai.

— Perdonami, parente. — Esteban sembrava intimidito. — La mia ospitalità è scandalosa. Ellemir ti accompagnerà nelle tue stanze… Diamine, e adesso dov’è andata, quella ragazza? — Alzò la voce, gridando: — Ellemir!

Ellemir rientrò in fretta dalla porta di fondo, asciugandosi sul lungo grembiule le mani sporche di farina. — Le ancelle mi hanno chiamata ad aiutarle per i dolci, padre: sono giovani e inesperte. Perdonami, parente. — Abbassò gli occhi, nascondendo le mani infarinate. Leonie disse gentilmente: — Non devi scusarti di essere una buona massaia, ragazza mia.

Ellemir si sforzò di ricomporsi e disse: — Ti ho fatto preparare una camera, mia signora, e un’altra per la tua dama di compagnia. Dezi provvederà ad alloggiare la tua scorta; vero, cugino? — Damon notò che Ellemir parlava a Dezi nel tono che denotava l’intimità familiare; e aveva notato anche che Callista non lo faceva. — Provvederemo noi, Ellemir — disse, e uscì con Dezi.

Ellemir condusse Leonie e la sua dama di compagnia (senza la quale sarebbe stato scandaloso, per una donna di sangue Comyn, compiere un così lungo viaggio) su per la scala, attraverso i grandi corridoi dell’antica casa. Leonie chiese: — Dirigi da sola questa grande residenza, figliola?

— Soltanto nella stagione del Consiglio, quando resto qui sola — rispose Ellemir. — E il nostro coridom è vecchio e esperto.

— Ma non hai una donna responsabile, una parente, una dama di compagnia? Sei troppo giovane per addossarti un simile peso da sola!

— Mio padre non si è ancora lamentato — disse Ellemir. — Dirigo la sua casa da quando si è sposata mia sorella maggiore: e allora avevo quindici anni. — Parlava con orgoglio, e Leonie sorrise.

— Non ti stavo accusando d’inefficienza, cuginetta. Volevo solo dire che ti sentirai molto sola. Se Callista non resterà con te, credo che dovrai far venire una parente o un’amica a vivere qui per qualche tempo. Sei già sovraccarica di lavoro; e adesso che tuo padre ha bisogno di tante cure, come faresti se ti ritrovassi incinta di Damon?

Ellemir arrossì leggermente e disse: — A questo non avevo pensato…

— Be’, prima o poi una sposa ci deve pensare. Forse una delle sorelle di Damon potrebbe venire a farti compagnia… Piccola, è questa la mia camera? Non sono abituata a tanto lusso!

— Era l’appartamento di mia madre. C’è un’altra stanza dove potrà dormire la tua dama di compagnia; ma spero che tu abbia condotto con te la tua ancella, perché io e Callista non possiamo prestartene una. La vecchia Bethiah, che era stata la nostra balia, è rimasta uccisa durante la scorreria nella quale è stata rapita Callista, e finora non ce la siamo sentita di mettere un’altra a! suo posto. Adesso, nella nostra tenuta ci sono soltanto le donne della cucina e le sguattere.

— Io non ho ancelle — disse Leonie. — Nella Torre, l’ultima cosa che desideriamo è la presenza di estranei: sono sicura che Darnon te l’ha detto.

— No, non parla mai del suo soggiorno nella Torre — replicò Ellemir, e Leonie proseguì: — Be’, è vero: non abbiamo servitori umani, anche se così dobbiamo provvedere a noi stessi. Quindi so cavarmela benissimo, figliola. — Sfiorò lievemente la guancia della ragazza per congedarla, e Ellemir scese le scale pensando sorpresa: È gentile: mi è simpatica! Ma molte delle cose che Leonie aveva detto la turbavano. Cominciava a comprendere che c’erano molti particolari che non conosceva, sul conto di Damon. Aveva accettato come una cosa normale il fatto che Callista non volesse intorno servitori, e aveva assecondato la gemella; ma adesso capiva che gli anni trascorsi da Damon nella Torre, gli anni di cui non parlava mai (aveva scoperto che si rattristava, quando lo interrogava sull’argomento), sarebbero stati per sempre una barriera tra loro due.

E Leonie aveva detto: «Se Callista non resterà con te». Era una domanda? Era possibile che Callista venisse rimandata ad Arilinn, convinta — contro la sua volontà — che quello era il suo dovere? Oppure (Ellemir rabbrividì) era possibile che Leonie rifiutasse di liberare Callista, che Callista fosse costretta a mettere in atto la sua minaccia, ad abbandonare Armida e perfino Darkover, e fuggire insieme a Andrew nei mondi dei terrestri?

Si augurò di avere un barlume della precognizione che di tanto in tanto si presentava in quelli del sangue di Alton; ma il futuro le era inaccessibile. Per quanto si sforzasse d’inviare la mente nel futuro, non riusciva a vedere altro che un’inquietante immagine di Andrew, con la faccia nascosta tra le mani, curvo e piangente, squassato da un’angoscia insopportabile. Lentamente, preoccupata, si avviò verso la cucina, cercando l’oblio tra i pasticcini.


Pochi minuti dopo, la dama di compagnia — una donna scialba e incolore che si chiamava Lauria — venne ad annunciare, in tono deferente, che la signora di Arilinn desiderava parlare da sola con Domna Callista. Riluttante, Callista si alzò, tendendo le dita a Andrew. Aveva un’espressione di paura negli occhi, e lui disse, con una sfumatura cupa nella voce: — Non devi affrontarla da sola, se non vuoi. Non permetterò a quella vecchia di spaventarti! Vuoi che venga anch’io a dirle ciò che penso?

Callista si avviò verso la scala. Quando fu nel corridoio, fuori dalla sala, si voltò verso di lui e disse: — No, Andrew, devo affrontarla da sola. Non puoi aiutarmi. — Andrew avrebbe voluto prenderla tra le braccia per consolarla. Gli sembrava così piccola e fragile, sperduta e spaventata. Ma aveva imparato, dolorosamente, a prezzo di frustrazioni, che non poteva confortarla così, che non poteva neppure toccarla senza scatenare un complesso di reazioni che non comprendeva ancora ma che avevano l’aria di atterrire Callista. Perciò le disse, dolcemente: — Sia come vuoi tu, amore. Ma non lasciarti spaventare da lei. Ricorda, io ti amo. E se non lasceranno che ci sposiamo qui, fuori Armida c’è tutto un mondo. E nella galassia ce ne sono tanti altri, nel caso che l’avessi dimenticato.

Lei alzò il volto verso Andrew e sorrise. Talvolta pensava che se l’avesse visto per la prima volta in quel modo normale anziché — com’era avvenuto — conoscendolo attraverso l’unione mentale tramite la matrice, non le sarebbe mai sembrato bello. Avrebbe potuto addirittura giudicarlo brutto. Era un uomo alto e forte, con i capelli biondi come un abitante delle Città Aride, disordinato, impacciato; eppure, quanto le era divenuto caro, quanto si sentiva sicura in sua presenza! Desiderava, con un autentico senso di sofferenza, potersi gettare tra le sue braccia, stringersi a lui come faceva Ellemir con Damon: ma la vecchia paura la teneva immobile. Tuttavia gli posò la punta delle dita sulle labbra. Andrew le baciò e sorrise. Lei disse, a bassa voce: — Anch’io ti amo, Andrew. Nel caso che tu abbia dimenticato questo. — E salì la scala, verso la stanza dove l’attendeva Leonie.

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