— Sei uno sciocco, Damon — disse Lorenz, signore di Serrais, con profondo disgusto. — Sei sempre stato uno sciocco e lo sarai sempre! Avresti potuto essere reggente di Alton e comandare le Guardie abbastanza a lungo per spezzare il predominio degli Alton su quella carica e darla al dominio di Serrais.
Damon rise, bonariamente. — Ma io non voglio essere comandante delle Guardie — replicò. — E ormai non è necessario. Dom Esteban, probabilmente, vivrà quanto basta per vedere Valdir diventare uomo, e forse anche di più.
Lorenz lo guardò, sospettoso e diffidente. — Come hai fatto? Avevamo sentito dire che aveva un piede nella fossa!
— Un’esagerazione — ribatté Damon, scrollando le spalle: sapeva che quello sarebbe stato il compito della sua vita, studiare i modi di guarire con l’aiuto della matrice e di un controllore.
Una volta affermato il principio, non era stato difficile penetrare nel cuore lesionato, asportarne i blocchi e restituirlo alle sue funzioni. Esteban Lanart, nobile Alton, sarebbe rimasto paralizzato per il resto della sua vita, ma un uomo poteva comandare le Guardie anche da una sedia a rotelle. Quando fosse stato necessario scendere in campo, il giovane Danvan Hastur o Kieran Ridenow avrebbero potuto prendere il suo posto. Adesso Damon era reggente del dominio solo di nome, come garanzia nell’eventualità di una disgrazia. La precognizione non era il dono principale degli Alton e dei Ridenow: ma lui ne aveva un barlume, in quel momento. Sapeva che Valdir avrebbe assunto il potere di Alton da uomo fatto e sarebbe stato uno degli Alton più innovatori che mai avessero governato quel dominio.
Lorenz disse, irritato: — Non hai nessuna ambizione, Damon?
— Più di quante tu immagini. Ma sono diverse dalle tue. E adesso, purtroppo, dobbiamo separarci, perché ci attende un lungo viaggio. Ritorniamo ad Armida. Il figlio di Ellemir è l’erede prossimo di Alton, e deve nascere là.
Lorenz gli si inchinò di malagrazia. Ignorò Andrew, che stava subito dietro Damon, ma salutò Ellemir cerimoniosamente, e Callista con autentico rispetto. Damon si girò ad abbracciare suo fratello Kieran.
— Verrai a farci visita ad Armida in autunno, quando ritornerai a Serrais?
— Certamente — rispose Kieran, — e spero di vedere il figlio di Ellemir. Chissà, forse un giorno comanderà le Guardie. — Poi si tirò indietro, per lasciar passare le Guardie che dovevano accompagnare Damon e i suoi nel viaggio verso casa. Damon stava per dare il segnale di partenza quando vide una donna snella, ammantellata e incappucciata come si conveniva a una comynara in presenza di un pubblico numeroso, che scendeva la scalinata del cortile di Castel Comyn. L’istinto gli disse chi era: o forse nulla poteva nascondere alla sua vista Leonie di Arilinn?
Non montò in sella, accennò al paggio di tener pronto il cavallo, e si avviò verso di lei. L’incontrò ai piedi della scala.
— Leonie — disse, inchinandosi sulla mano di lei.
— Sono venuta a salutarvi, e a portare a Callista la mia benedizione — mormorò Leonie.
Andrew s’inchinò profondamente quando Damon la condusse verso Callista, che si teneva pronta a montare sulla cavalla grigia. Leonie alzò la testa, e a Andrew parve che gli occhi della vecchia ardessero nelle occhiaie di un teschio, fissandolo con risentimento; tuttavia lei chinò la testa, cerimoniosamente, dicendo: — La buona fortuna ti accompagni. — Poi tese le mani, e Callista le sfiorò la punta delle dita nel lievissimo contatto fra telepate e telepate.
Leonie disse, quietamente: — Abbi la mia benedizione, figliola. Tu sai che è sincera, e sai che ti auguro buona fortuna.
— Lo so — mormorò Callista. Il risentimento era svanito. Ciò che Leonie aveva fatto era stato difficile da sopportare, ma aveva reso possibile quella conquista più profonda e l’aveva portata a quella che, adesso lo sapeva, era la realizzazione più completa. Lei e Andrew avrebbero potuto unirsi senza sofferenza, e vivere felici insieme, ma lei avrebbe rinunciato per sempre al suo laran, come si era sempre creduto che dovesse fare una Custode. Ora sapeva che avrebbe vissuto il resto della sua esistenza viva soltanto per metà. Si portò alle labbra le dita di Leonie e le baciò, con reverenza e profondo amore.
Era troppo tardi per Leonie, Callista lo sapeva: ma ormai non le serbava rancore per la sua felicità.
Leonie si rivolse a Ellemir con un gesto di benedizione. Ellemir chinò la testa, accettando senza ricambiare il saluto, e Leonie si girò verso Damon. Ancora una volta, in silenzio, lui s’inchinò sulla sua mano, senza guardarla negli occhi. Tutto era stato già detto: non c’era più nulla che potessero dire o fare. Damon sapeva che non si sarebbero più incontrati. Distanze enormi dividevano Arilinn e la Torre proibita, ed era giusto che fosse così. Dall’opera di Damon sarebbe nata una nuova scienza per i meccanici delle matrici, per eliminare il terribile fardello delle Torri. Leonie ripeté il gesto benedicente, e si allontanò.
Damon montò in silenzio sul cavallo. Varcarono le porte. Andrew procedeva al fianco di Callista alla testa del corteo, e poi venivano servitori, membri del seguito, portastendardi. In coda c’erano Damon e Ellemir. Lui aveva la sensazione che il cuore stesse per spezzarglisi. Aveva la sua felicità, una felicità che non aveva mai creduto possibile. Ma quella felicità era costruita sulle vite di Leonie e di altre come lei, che avevano mantenuto viva la conoscenza. Cassilda, Madre dei Dominii, pregò, fa’ che mai dimentichiamo o giudichiamo con leggerezza il loro sacrificio…
Cavalcò a testa china, addolorato, finché scorse i mesti occhi di Ellemir fissi su di lui, e comprese che non doveva continuare ad angosciarsi così.
Per tutto il resto della sua vita avrebbe ricordato e rimpianto: ma doveva essere un rammarico personale, quasi un privilegio segreto. Ora doveva rivolgere con fermezza lo sguardo verso il futuro.
C’era molto da fare. Un lavoro forse troppo banale per le Torri, ma importante: come la reintegrazione del cuore di Dom Esteban, come ciò che aveva fatto per salvare le mani e i piedi degli uomini colpiti da congelamento. E soprattutto doveva valutare i limiti di coloro che potevano essere addestrati all’uso delle matrici. Callista, come aveva promesso, aveva già insegnato il controllo a Ferrika. Era una buona allieva, e avrebbe imparato ben di più. E negli anni futuri ne sarebbero venuti altri.
Ellemir si spostò in sella e Damon disse ansioso: — Non devi stancarti, amor mio. È necessario che tu viaggi a cavallo?
Ellemir rise allegramente. — Ferrika non vede l’ora di ordinarmi di salire in lettiga: ma per adesso cavalcherò, con questo bel sole.
Avanzarono insieme, superando i servitori e gli animali da soma, per raggiungere Callista e Andrew che cavalcavano fianco a fianco.
Quando raggiunsero il valico, Andrew si voltò a lanciare un ultimo sguardo fuggevole all’astroporto terrestre. Forse non l’avrebbe rivisto mai più, senza dubbio i terrestri sarebbero rimasti lì per il resto della sua vita. Forse Valdir avrebbe cambiato atteggiamento nei loro confronti, adesso che conosceva bene Andrew: non come uno strano alieno ma come un uomo, come il marito di sua sorella.
Ma tutto questo apparteneva al futuro. Distolse gli occhi dall’astroporto, e non si voltò indietro. Adesso, il suo mondo era altrove.
Scesero dal valico, e l’astroporto scomparve alle loro spalle. Callista udì il rombo di una delle grandi navi, e tremò un poco. Le ricordava troppo i mutamenti che si erano compiuti su Darkover, tutti i cambiamenti che sarebbero venuti. Ma pensò che se aveva potuto sopportare tutti i cambiamenti di quell’ultimo anno, senza dubbio avrebbe saputo affrontare ciò che sarebbe venuto poi. Anche lei aveva un lavoro che l’attendeva: doveva partecipare all’attività di Damon, e doveva anche pensare a sua figlia.
Anche lei è indesiderata in un mondo che non desidera, com’ero io.
Ma sarebbe spettato ai suoi figli, affrontare il mondo futuro. Lei non poteva far altro che prepararli, e cercare di migliorare il mondo in cui sarebbero vissuti. Aveva già incominciato. Prese la mano di Andrew, godendo la semplice consapevolezza di poterla stringere senza provare l’impulso di ritrarsi. Quando Damon e Ellemir li raggiunsero, sorrise. Qualunque cambiamento li attendesse, l’avrebbero affrontato insieme.