CAPITOLO SEDICESIMO

La ricerca negli Archivi di Armida fu vana. C’erano documenti su ogni genere di feste che erano state tradizionali, in un’epoca o nell’altra, fra le Colline di Kilghard, ma l’unica festa della Fine dell’Anno che Damon riuscì a scoprire era un vecchissimo rito della fertilità, estinto molto tempo prima dell’incendio di Neskaya: e non aveva il minimo legame col problema di Callista. Adesso che la ricerca era in corso, comunque, lei era diventata paziente, e la sua salute continuava a migliorare.

Le mestruazioni erano riapparse due volte. Damon aveva insistito perché lei rimanesse a letto un giorno, per precauzione, e si era preparato a liberarle di nuovo i canali se fosse stato necessario: ma erano rimasti sgombri. Era un buon segno per la salute fisica di Callista, ma un triste presagio per il futuro sviluppo della loro normale selettività.

Ad Armida proseguivano i soliti lavori invernali: l’inverno era mite, e si avviava verso il disgelo primaverile. Come sempre, durante quella stagione, Armida era isolata, e di rado arrivavano notizie di ciò che accadeva nel resto del mondo. Le più piccole cose assumevano enorme importanza. Una fattrice, in uno dei pascoli bassi, partorì due puledre. Dom Esteban le regalò a Callista e a Ellemir, dicendo loro che così, dopo qualche anno, avrebbero potuto avere due cavalle uguali. Il vecchio menestrello Yashri, che aveva suonato al ballo del solstizio d’inverno, si fratturò due dita di una mano, cadendo ubriaco durante una festa di compleanno al villaggio; e suo nipote, che aveva nove anni, si presentò orgoglioso ad Armida, portando l’arpa del nonno, che era alta quasi quanto lui, per suonare ai balli delle lunghe sere. Una donna, quasi al confine della tenuta, mise al mondo quattro gemelli, e Callista andò al villaggio insieme a Ferrika, per portare doni e auguri. Una tempesta improvvisa la costrinse a passare due notti lontano da casa, e Andrew si spaventò e si preoccupò. Quando lei tornò e lui le chiese perché aveva dovuto proprio andare, Callista gli rispose dolcemente: — È necessario per la sicurezza dei neonati, marito mio. Nelle colline lontane, la gente è ignorante. Un parto del genere lo considera un presagio, buono o cattivo: e chi può sapere come l’interpreta? Ferrika può dire che è un’assurdità: ma è soltanto una di loro, e non l’ascoltano, anche se è una levatrice istruita ad Arilinn, una Libera Amazzone, e probabilmente molto più intelligente di me. Ma io sono una leronis e appartengo ai Comyn. Quando porto doni ai bambini, e auguri alla madre, la gente sa che li ho presi sotto la mia protezione, non li tratta più come presagi di qualche futura catastrofe.

— Com’erano i bambini? — chiese ansiosa Ellemir, e Callista fece una smorfia. — A me tutti i neonati sembrano conigli spellati e pronti per lo spiedo, Elli: enormemente brutti.

— Oh, Callie, come puoi dire una cosa simile! — la rimproverò la sorella. — Bene, dovrò andare a vederli personalmente. Quattro in una volta, che meraviglia!

— Comunque, per quella povera donna è tremendo. Sono riuscita a convincere due donne del villaggio ad aiutarla ad allattarli, ma prima ancora che vengano svezzati dovrò mandarle una mucca.

La notizia del parto quadrigemino si sparse tra le colline, e Ferrika disse che era contenta che fosse ancora inverno e che le strade fossero quasi intransitabili (sebbene fosse davvero un inverno mite), altrimenti quella povera donna sarebbe stata infastidita a morte dalla gente accorsa a vedere il prodigio. Andrew si sorprese a domandarsi cosa doveva essere un inverno rigido, se quello era mite. E pensò che prima o poi l’avrebbe scoperto.

Aveva perso la nozione del tempo, a parte il fatto che annotava con cura sui registri dell’allevamento le date previste per la nascita dei puledri e faceva lunghe e complesse discussioni con Dom Esteban e Rhodri a proposito dei parti delle fattrici migliori. I giorni si stavano allungando percettibilmente, quando il trascorrere del tempo venne imposto a forza alla sua attenzione.

Era ritornato a casa dopo una lunga giornata passata in sella, e stava salendo a cambiarsi per la cena. Callista, nella Grande Sala, era accanto al padre e gli insegnava a suonare la sua arpa. Ellemir andò incontro a Andrew sulla soglia dell’appartamento comune, e l’attirò nelle proprie stanze.

Non era una cosa insolita. Damon era preso dalle ricerche, e di tanto in tanto faceva lunghi viaggi nel sopramondo. Finora i suoi sforzi erano stati inutili: ma era la normale conseguenza del lavoro con la matrice, e Ellemir, con molta praticità, aveva accolto Andrew nel proprio letto, in quelle e in altre occasioni. All’inizio lui l’aveva accettato come aveva sempre fatto, cioè quale surrogato per l’impossibilità di Callista. Poi, una notte, mentre le dormiva accanto (lei aveva rifiutato l’intimità, dicendosi troppo stanca), aveva compreso che non era soltanto questo ciò che voleva da Ellemir.

L’amava. Non come surrogato di Callista, ma per lei stessa. Ciò era profondamente inquietante, poiché aveva sempre pensato che innamorarsi di una donna significasse disamorarsi di tutte le altre. Occultò prudentemente quel pensiero, sapendo che l’avrebbe afflitta; e solo quando fu lontano tra le colline, lontano da tutti, permise alla propria mente di approfondire quel dubbio: Dio mi aiuti, ho forse sposato la donna sbagliata? Ma quando rivide Callista comprese che non l’amava meno di prima, che l’avrebbe amata per sempre anche se non avesse potuto neppure sfiorarle un dito. Le amava entrambe. Cosa poteva fare? Adesso, mentre guardava Ellemir, minuta, sorridente, rossa in volto, non resistette all’impulso di prenderla tra le braccia e di baciarla ardentemente.

Lei arricciò il naso. — Hai l’odore della sella.

— Scusami, stavo andando a fare il bagno…

— Non scusarti. Mi piace, l’odore dei cavalli, e d’inverno non posso mai uscire per una galoppata. Cos’eri andato a fare? — Quando Andrew glielo spiegò, Ellemir disse: — Credo che a questo possa provvedere il coridom.

— Oh, certo, ma se si abitueranno a vedermi risolvere i loro problemi si rivolgeranno a me invece di disturbare Dom Esteban. E lui, da un po’ di tempo, è così stanco e sciupato. Credo che l’inverno gli pesi.

— Pesa anche a me. Ma adesso ho qualcosa per cui vale la pena di attendere. Andrew, volevo dirlo a te per primo: sono incinta! Dev’essere accaduto poco prima del solstizio d’inverno…

— Dio onnipotente! — esclamò Andrew, sconvolto e agghiacciato. — Ellemir, mi dispiace, amore… avrei dovuto stare…

Fu come se l’avesse schiaffeggiata. Ellemir si ritrasse, lanciando fiamme d’ira dagli occhi. — Volevo ringraziarti per questo, e adesso vedo che mi hai concesso malvolentieri il dono più grande. Come puoi essere così crudele?

— Aspetta, aspetta… — Andrew era confuso. — Elli, amor mio…

— Come osi chiamarmi così dopo… dopo un simile insulto?

Lui le tese la mano. — Aspetta, Ellemir, ti prego. Anche questa volta non ho capito. Credevo… Vuoi dirmi che sei contenta di essere incinta?

Anche Ellemir era confusa. — E come potrei non esserlo? Che genere di donne hai conosciuto, tu? Stamattina ero così felice, così immensamente felice quando Ferrika mi ha detto che ormai era sicuro, che non mi lasciavo semplicemente suggestionare dai miei desideri. — Sembrava sul punto di piangere. — Volevo dividere con te la mia felicità e tu mi tratti come una prostituta, come se fossi indegna di partorire tuo figlio! — All’improvviso, scoppiò in singhiozzi. Andrew l’attirò a sé. Ellemir lo respinse, e poi gli si abbandonò contro la spalla, piangendo.

Andrew disse, disperato: — Oh, Ellemir, Ellemir, riuscirò mai a capirvi? Se questo ti rende felice, allora naturalmente ne sono felice anch’io. — Si accorse che lo pensava davvero.

Lei tirò su col naso e alzò la testa, radiosa come un giorno di primavera, tutta sole e acquazzoni. — Davvero, Andrew? Sei davvero felice?

— Certo, tesoro, se lo sei tu. — Qualunque complicazione possa comportare, aggiunse tra sé. Doveva essere figlio suo, altrimenti l’avrebbe detto prima a Damon.

Lei captò la sua confusione. — Ma cosa potrebbe pensare Damon? Condivide la mia felicità, naturalmente, ed è contento! — Ellemir rovesciò la testa all’indietro, lo guardò in faccia e disse: — Anche questo non andrebbe bene, per la tua gente? Allora sono lieta di non conoscerla.

La ripetizione di quei traumi aveva finito con l’attutire le reazioni di Andrew. — Damon è mio amico: il mio migliore amico. Tra la mia gente, sarebbe considerato un tradimento. La moglie del mio migliore amico sarebbe per me la più proibita tra tutte le donne.

Lei scosse la testa. — Non credo che la tua gente mi piacerebbe. Pensi che dividerei il mio letto con un uomo che mio marito non approvasse e amasse? Pensi che vorrei partorire il figlio di un estraneo o di un nemico, perché mio marito gli facesse da padre? — Dopo un momento aggiunse: — È vero, prima volevo dare un figlio a Damon: ma tu sai cos’è accaduto, e potrebbe accadere ancora. Siamo parenti troppo stretti, e perciò forse decideremo di non avere figli, perché lui non ha bisogno di un erede di sangue Ridenow e il figlio che ci hai dato tu sarà probabilmente più sano e più forte di quello che potrebbe darmi lui.

— Capisco. — Andrew dovette ammettere che quel ragionamento era abbastanza logico: ma indugiò per esaminare i propri sentimenti. Un figlio suo e di una donna che amava. Ma non della sua adorata moglie. Un bambino che avrebbe chiamato padre un altro uomo, e sul quale lui non avrebbe avuto nessun diritto. E cos’avrebbe pensato, Callista? Le sarebbe sembrato un altro segno della sua esclusione? Si sarebbe sentita tradita?

Ellemir disse dolcemente: — Sono sicura che anche lei sarà felice per me. Non pensare che io sia disposta ad aggiungere un altro peso alla sua angoscia, quando ha già tanto da sopportare.

Andrew era ancora incerto. — Lei lo sa?

— No, anche se forse lo sospetta, naturalmente. — Ellemir esitò. — Dimentico sempre che tu non sei uno di noi. Glielo dirò, se vuoi, anche se uno dei nostri preferirebbe dirglielo di persona.

Andrew non conosceva e non capiva il complesso galateo di quelle situazioni: ma all’improvviso provò l’impulso di fare ciò che era ritenuto giusto nel suo mondo d’adozione. Annunciò, con fermezza: — Glielo dirò io.

Ma avrebbe scelto il momento opportuno, quando Callista non avrebbe potuto dubitare del suo amore.

Andò nella propria camera, confuso, e mentre si preparava per la cena i suoi pensieri seguivano uno strano contrappunto dell’impegno pratico di lavarsi, di spuntare la barba che si era fatto crescere in sfida alla consuetudine, d’indossare gli abiti da casa.

Suo figlio. Lì, su un mondo estraneo… e non era neppure figlio di sua moglie. Ma a Ellemir non sembrava assurdo, e Damon evidentemente lo sapeva e approvava. Era un mondo strano, e lui ne faceva parte.

Prima che avesse finito di prepararsi udì un gruppo di cavalieri nel cortile, e quando scese trovò il fratello di Damon, Kieran, che tornava da una visita invernale a Thendara insieme al figlio maggiore — un ragazzo sui quattordici anni, dai capelli rossi e dagli occhi vivaci — e a cinque o sei fra Guardie, scudieri e accompagnatori. Andrew non aveva provato simpatia per Lorenz, il fratello maggiore di Damon, ma trovò simpatico Kieran, e fu lieto di avere notizie del resto del mondo, non meno di Dom Esteban.

— Dimmi come sta Domenic — chiese il vecchio, e Kieran sorrise, dicendo: — L’ho visto spesso. Kester — continuò, indicando il figlio, — deve entrare nel corpo dei Cadetti, quest’estate, quindi ho ritenuto opportuno rifiutare la sua offerta di prendere il posto di Danvan come maestro dei Cadetti: nessun uomo può essere maestro del proprio figlio. — Sorrise per togliere l’asprezza dalle parole che stava per pronunciare. — Non voglio essere duro con mio figlio come tu hai dovuto essere con i tuoi, nobile Alton.

— Domenic sta bene? Svolge con efficienza il suo compito?

— A quanto posso dire io, neppure tu sapresti fare meglio — rispose Kieran. — Dà molto ascolto a quelli che sono più esperti di lui. Chiede spesso consiglio a Kyrii Ardais e a Danvan, e perfino a Lorenz, anche se non credo — rivolse uno sguardo di sottecchi a Damon, ironicamente) — che stimi Lorenz più di quanto lo stimiamo noi. Tuttavia è molto prudente e diplomatico, si è fatto amicizie utili, e non ha favoriti. I sui bredin sono entrambi bravi ragazzi, il giovane Cathal Lindir e uno dei suoi fratelli nedestro… mi sembra che si chiami Dezirado.

— Deziderio — disse Dom Esteban, con un sorriso di sollievo. — Mi fa piacere sapere che anche Dezi si comporta bene.

— Oh, sì. Quei tre sono sempre insieme, ma non si mettono nei guai con risse e prostitute. Sono sobri come monaci, tutti e tre. Si direbbe che Domenic si sia reso conto, come un uomo fatto, che un comandante così giovane sarebbe stato tenuto d’occhio giorno e notte. Non che siano puritani immusoniti: il giovane Nic è sempre pronto a ridere e scherzare, ma è conscio della sua responsabilità. — Andrew, ricordando il ragazzo cordiale e scatenato che gli era stato al fianco al momento delle nozze, si rallegrò che Domenic se la cavasse bene. Quanto a Dezi, forse un lavoro impegnativo, e la certezza che Domenic riconosceva il suo posto nella famiglia come il vecchio non avrebbe mai fatto, avrebbero potuto aiutarlo a trovare se stesso. Se l’augurava. Sapeva cosa significava avere la sensazione di non appartenere a niente e a nessuno.

— Ci sono altre notizie, cognato? — chiese impaziente Ellemir, e Kieran sorrise. — Certo, sorella, avrei dovuto far caso ai pettegolezzi delle dame di Thendara. Lasciami pensare… Ci sono stati disordini nella strada dove sorge la Casa delle Corporazioni delle Amazzoni: un uomo, dicono, sosteneva che sua moglie era stata condotta lì contro la sua volontà…

— Non è vero! — l’interruppe indignata Ferrika. — Perdonami, Dom Kieran, ma una donna deve presentarsi spontaneamente e chiedere di esservi ammessa.

Kieran rise, bonariamente. — Non ne dubito, mestra, ma a Thendara si racconta che l’uomo è andato con un gruppo di armati per riprenderla, e che sua moglie si è battuta a fianco delle Amazzoni per difendere la casa, e l’ha ferito. La storia ingigantisce, passando di bocca in bocca. Un giorno, senza dubbio, racconteranno che la donna ha ucciso il marito e ha inchiodato la sua testa al muro. Ah, poi, al mercato c’era qualcuno che metteva in mostra il corpo di un puledro con due teste: ma il mio scudiero mi ha detto che era una truffa, e neppure molto abile. Da ragazzo è stato apprendista presso un sellaio, e conosce i loro trucchi. E ancora, lasciami riflettere un momento… oh, già. Mentre attraversavo le colline, ho sentito parlare di un prato di kireseth in fiore durante i giorni caldi: non un vero Vento Fantasma come in estate, ma una fioritura invernale.

Dom Esteban annuì sorridendo. — È raro, ma succede: un tempo lo si considerava un segno di buona fortuna.

Callista spiegò a bassa voce a Andrew: — Il kireseth è un fiore che sboccia molto di rado tra le colline. Noi ricaviamo il kirian dal polline e dai petali. Quando fiorisce in piena estate, col caldo, il polline viene portato giù dalle colline dal vento: il Vento Fantasma, lo chiamano. Gli uomini fanno cose strane, sotto la sua influenza, e quando spira un vero Vento Fantasma suoniamo l’allarme e ci barrichiamo nelle case, perché le bestie impazziscono, nelle foreste, e qualche volta i non umani scendono dalle colline e attaccano la gente. Li ho visti, una volta, da bambina — concluse, con un brivido.

Dom Esteban proseguì: — Ma in una fioritura invernale, non può durare abbastanza a lungo da causare guai seri. Gli abitanti di un villaggio potranno dimenticare di arare e di seminare, trascureranno gli orti per un paio di giorni, mentre si comportano da sciocchi: ma poi viene la pioggia, e fa cadere al suolo il polline. Il peggio che sia capitato durante una fioritura invernale, a quanto ne so, è che una volta i lupi della foresta si sono fatti arditi (il polline influisce sulla mente degli uomini e delle bestie) e si sono avventurati nei campi, attaccando i bovini e i cavalli. Ma di solito le fioriture invernali non sono altro che vacanze impreviste.

Andrew rammentò che Damon, nella distilleria, l’aveva avvertito di non toccare e di non fiutare i fiori di kireseth.

— Ha un altro effetto secondario, in quel villaggio ci sarà molto lavoro per la levatrice. Molte donne che hanno deciso di non avere figli, e perfino vecchie matrone con figli già grandi, qualche volta si ritrovano incinte.

Dom Esteban shignazzò. — Ah, sì, quand’ero ragazzo ci scherzavano sopra, ai matrimoni, se le nozze erano state combinate dalle famiglie e la sposa era riluttante. Poi un’estate ha avuto luogo un matrimonio (oh, lontano, a nord, dalle parti di Edelveiss), e durante la festa ha spirato il Vento Fantasma. È stata una festa turbolenta: tutti mangiavano e bevevano e… Be’, una cosa proprio indecorosa, e è continuato per diversi giorni. Io ero troppo giovane per approfittarne, purtroppo, ma ricordo di aver visto molte cose che di solito si tengono nascoste agli occhi dei bambini. — Si asciugò dalle guance lacrime d’ilarità. — E poi, dopo più di mezzo anno, sono nati molti bambini la cui paternità era a dir poco dubbia. Adesso non pronunciano più quelle battute, in occasione dei matrimoni.

— Disgustoso! — esclamò Ferrika con una smorfia; ma Damon non seppe trattenersi dal ridere, pensando a quel matrimonio in cui gli scherzi volgari e le battute salaci erano stati trasformati in un’orgia dall’influenza del Vento Fantasma.

— Non credo che loro lo trovassero divertente — disse seria Ellemir, e Dom Esteban replicò: — No davvero, chiya. Come ti ho detto, adesso non pronunciano più quelle battute scherzose, in occasione di un matrimonio. Ma davvero, tra le colline si diceva che d’estate, quando spirava il Vento Fantasma, certa gente dei Dominii teneva grandi feste, il vecchio rito della fertilità. Erano tempi barbari, quelli: prima del Patto, forse addirittura prima delle epoche del caos. — E aggiunse: — Ma, naturalmente, una fioritura invernale non è una cosa grave.

— Ma non c’è neppure da ridere — disse Ferrika, — per le donne che si ritrovano con un figlio indesiderato!

Andrew vide Ellemir aggrottare la fronte, sconcertata. Seguì senza troppa difficoltà i suoi pensieri: com’era possibile che una donna non volesse un figlio? Callista disse: — Sarei contenta se ci fosse una fioritura invernale anche qui. Devo preparare altro kirian: quello che abbiamo è quasi finito, e dovremmo tenerne uh po’ in casa.

Uno dei maggiordomi, che mangiava a un tavolo laterale in modo da poter accorrere se ci fosse stato bisogno di lui, disse con voce stridula e diffidente: — Domna, se è questo che vuoi, ci sono piante di kireseth sulla collina, sopra il pascolo dove sono nate le puledre gemelle, dove c’è il vecchio ponte di pietra. Non so se siano ancora in fiore, ma mio fratello le ha viste passando da lì, tre giorni fa.

— Davvero? — replicò Callista. — Ti ringrazio, Rimak. Se il tempo si mantiene buono (ma temo che non duri), domani andrò là a rifornirmi.


Quella notte non piovve e non nevicò, e dopo colazione, quando Kieran Ridenov ebbe preso commiato (Dom Esteban aveva insistito perché si trattenesse qualche giorno, ma lui aveva preferito approfittare del bel tempo), Callista diede l’ordine di sellarle il cavallo. Dom Esteban aggrottò la fronte quando la vide con la gonna da equitazione.

— Non mi va, Callista. Chiya, quand’ero ragazzo dicevano sempre che una donna non doveva recarsi da sola tra le colline quando il kireseth era in fiore.

Callista rise. — Padre, non penserai davvero…?

— Tu sei una comynara, figlia, e nessuno dei nostri, pazzo o sano di mente, ti farebbe del male; ma potrebbero esserci stranieri o fuorilegge, tra le colline.

— Condurrò con me Ferrika — disse lei, allegramente. — È stata addestrata in una Casa della Corporazione delle Amazzoni, e sa difendersi benissimo da un uomo intenzionato a derubarla o a violentarla.

Ma Ferrika, quando venne convocata, un po’ sul serio e un po’ per scherzo, rifiutò di andare. — La moglie del lattaio potrebbe partorire oggi, domna — disse. — Sarebbe sconveniente dimenticare il mio dovere per una gita tra le colline. Tu hai un marito, mia signora: chiedi a lui di accompagnarti.

Andrew non aveva molto da fare, alla tenuta: le riparazioni dei danni causati dalla tempesta erano state ultimate, e l’allevamento era ancora immerso nel letargo invernale nonostante il bel tempo. Si fece sellare il cavallo.

Lontano da casa, pensò, quando fossero stati soli, forse avrebbe trovato il momento giusto per dirle di Ellemir. E del bambino.

Era ancora presto quando partirono. A oriente, il cielo era coperto di strati neri e purpurei di nuvole, screziati dalla luce cremisi del sole. Mentre calvacavano lungo i sentieri scoscesi, guardando nelle valli sottostanti, con le chiazze di neve sotto gli alberi, e i cavalli che brucavano i ciuffi d’erba tenera sulle pendici dei colli, Andrew si sentì alleggerire il cuore. Callista non gli era mai parsa più gaia e più bella. Cantava brani di vecchie ballate, e a un certo punto si fermò all’imboccatura di una lunga valle per lanciare un lungo e dolce «Aoooh!» come una bambina, giù per il pendio, ridendo allegramente quando l’eco ritornò, moltiplicando la sua voce, dagli alti declivi rocciosi. A poco a poco il sole salì nel cielo e la giornata divenne più calda. Callista slacciò il mantello azzurro-cupo e lo depose di traverso sul pomo della sella.

— Ignoravo che sapessi cavalcare così bene — disse Andrew.

— Oh, sì, anche ad Arilinn cavalcavo molto. Passavamo così tanto tempo al chiuso, fra gli schermi e i relè, che se non fossimo usciti a fare un po’ di moto saremmo diventati legnosi come le immagini di Hastur e di Cassilda, nella cappella. I giorni di festa prendevamo i nostri falchi e cavalcavamo nella campagna intorno ad Arilinn (non è una zona collinosa come questa, è pianura), e li lanciavamo contro gli uccelli e la selvaggina minuta. Io ero molto fiera perché avevo un falco verrin, grandissimo, così. — Callista allargò le mani a indicare la misura. — Non era un falco da signora, come quelli che avevano quasi tutte le donne. — Rise di nuovo, un suono argentino. — Povero Andrew! Sono stata prigioniera e malata e chiusa in casa per tanto tempo che tu devi credermi una delicata fanciulla da favola: ma sono una ragazza di campagna, e molto forte. Quand’ero piccola, cavalcavo bene quanto mio fratello Coryn. E adesso credo che la mia cavalla possa arrivare a quella staccionata laggiù prima del tuo castrone! — Schioccò la lingua, e la cavalla sfrecciò via come il vento. Andrew piantò i talloni nei fianchi del proprio cavallo e l’inseguì, col cuore in gola: lei non era più abituata a cavalcare, si sarebbe fatta disarcionare in un attimo… Ma la donna e la cavalla parevano fuse in un’unica entità. Quando Callista arrivò allo steccato, invece di tirare le redini lo saltò, con un gioioso grido di eccitazione. La giumenta grigia s’innalzò nell’aria come un uccello e atterrò leggera dall’altra parte. Quando Andrew la seguì, Callista mise la cavalla al passo: proseguirono più lentamente, fianco a fianco. Forse era questo ciò che significava essere innamorati, pensò Andrew. Quando vedeva Callista era come se fosse la prima volta: era tutto nuovo e sorprendente. Ma quel pensiero ridestò il rimorso che non si allontanava mai da lui. Dopo qualche miuto, Callista notò il suo silenzio, e si girò verso di lui, tendendo la manina inguantata. — Cosa c’è, marito mio?

— Avevo una cosa da dirti, Callista — rispose lui, bruscamente. — Sapevi che Ellemir è di nuovo incinta?

Il volto di lei s’illuminò di un sorriso. — Sono così contenta per Elli! È stata così coraggiosa, ma adesso non avrà più motivo per rattristarsi.

— Non hai capito — insistette Andrew. — Dice che il bambino è mio…

— Oh, certo — fece Callista. — Mi aveva detto che Damon non voleva lasciarla tentare di nuovo, troppo presto, per timore che… che lo perdesse. Ne sono felice, Andrew.

Sarebbe mai riuscito ad abituarsi alle loro usanze? Probabilmente per lui era una fortuna, ma… — Non ti dispiace, Callista?

Lei fece per rispondere (Andrew quasi udì le parole) «Perché dovrebbe dispiacermi?». Ma poi lui si accorse che le tratteneva. Nonostante tutto, sotto un certo aspetto era ancora uno straniero. Infine Callista disse: — No, Andrew, davvero, non mi dispiace. Non credo che tu capisca, ma cerca di vederla così. — Sorrise di nuovo gaiamente. — Ci sarà un bambino in casa nostra, tuo figlio: e anche se i bambini mi piacciono abbastanza, per ora non vorrei averne. Anzi… e questo è proprio buffo, Andrew — aggiunse ridendo. — Sebbene io e Ellemir siamo gemelle, non mi sento ancora abbastanza vecchia per avere un figlio! Non sai che le levatrici sostengono che una donna non dovrebbe aver figli se non tre anni dopo la pubertà? E per me non è ancora trascorso mezzo anno. Non è strano? Io e Elli siamo gemelle, e lei è incinta per la seconda volta, mentre io non sono abbastanza adulta per avere un bambino!

Andrew rabbrividì, a quella battuta. Lei riusciva a scherzare sulla forzata immaturità del proprio corpo… eppure, era proprio quella sua capacità di trovare motivo di allegria in una cosa simile che li aveva salvati tutti dalla disperazione.

Raggiunsero la valle del vecchio ponte di pietra, dov’erano nate le puledre gemelle. Salirono insieme il lungo pendio, legarono i cavalli a un albero e smontarono.

— Il kireseth è un fiore delle vette — disse Callista. — Non cresce nelle valli coltivate, e probabilmente è un bene. Qualche volta gli uomini lo strappano, quando spunta sui pendii più bassi, perché il polline causa guai: alla fioritura, perfino i cavalli e i bovini si comportano come se fossero imbizzarriti, fuggono, si aggrediscono a vicenda, si accoppiano fuori stagione. Ma è una pianta preziosa, perché ne ricaviamo il kirian. E guarda, è bellissimo — aggiunse, indicando il lungo pendio erboso coperto da una cascata di fiori azzurri con gli stami dorati che luccicavano. Alcuni erano ancora celesti, altri — per via del polline — sembravano campanule auree.

Callista si legò un pezzo di stoffa leggera sulla parte inferiore del volto, come una maschera. — Io ho imparato a maneggiarlo senza reagire — disse. — Comunque, preferisco non respirare troppo polline.

Andrew rimase a guardarla, mentre faceva i preparativi per cogliere i fiori; ma lei l’avvertì: — Non avvicinarti troppo. Non hai esperienza. Tutti quelli che vivono tra le Colline di Kilghard si sono trovati nel Vento Fantasma, e sanno come reagiranno: ma fa effetti molto strani. Resta sotto gli alberi con i cavalli.

Andrew esitò, ma lei ripeté con fermezza l’ingiunzione. — Credi che abbia bisogno d’aiuto per cogliere qualche fiore? Ti ho condotto con me perché mi tenessi compagnia durante la cavalcata, e per tranquillizzare mio padre che teme la presenza di banditi e predoni in agguato fra le colline per derubarmi dei gioielli che non porto, o per cercare di violentarmi, anche se questo — concluse con una risata amara, — sarebbe molto peggio per loro che per me.

Andrew girò la testa. Era lieto che Callista trovasse divertente l’idea, ma quella battuta gli sembrava di gusto discutibile.

— Non impiegherò molto a raccogliere la quantità che mi serve: i fiori sono già sbocciati e carichi di resina. Aspettami qui, amor mio.

Lui ubbidì, e la seguì con lo sguardo quando si allontanò tra i fiori. Callista si chinò e prese a tagliare le corolle e a riporle nel sacco che aveva portato. Andrew si sdraiò sull’erba accanto ai cavalli e la guardò procedere leggera nel prato dai fiori azzurri e aurei, con i capelli d’oro rosso che le ricadevano sul dorso in una grossa treccia. Il sole era caldo, più caldo di quanto lui lo ricordasse su Darkover. Le api e gli insetti ronzavano sommessamente, e alcuni uccelli scendevano e risalivano volteggiando. Intorno a sé, con i sensi acuiti, percepiva l’odore dei cavalli e del cuoio delle selle, il pesante profumo degli alberi resinosi, e un aroma dolce e intenso che, pensò, doveva essere quello dei fiori di kireseth. Sembrava che gli saturasse la testa. Ricordando che Damon l’aveva avvertito di non toccare e di non fiutare neppure i fiori secchi, spostò coscienziosamente i cavalli un po’ più lontano. Era una giornata senza vento: non spirava neppure una lieve brezza. Si tolse la giacca, la piegò e se la mise sotto la testa. Il sole gli fece venir sonno. Com’era graziosa Callista, mentre si chinava sui fiori cogliendo una corolla qui, una là, e riponendole nel sacco! Chiuse gli occhi, ma anche attraverso le palpebre abbassate vedeva il sole frantumarsi nei fulgidi colori dell’arcobaleno. Sapeva che doveva aver aspirato un po’ di resina: Damon aveva detto che era allucinogena. Ma si sentiva rilassato, contento, e non provava minimamente l’impulso di fare una delle cose pericolose che — come gli avevano detto — uomini e animali facevano sotto l’effetto del kireseth. Era felice di starsene lì, sdraiato sull’erba calda, vagamente conscio dei cangianti colori dell’arcobaleno attraverso le palpebre abbassate. Quando le riaprì, la luce del sole gli parve più viva, più calda.

Poi Callista venne verso di lui. La maschera le era caduta dal volto, i capelli erano sciolti. Sembrava che avanzasse a guado, fino alla cintola, nelle frementi onde dorate delle corolle a forma di stella: una delicata donna-bambina nella nuvola della chioma color rame. Per un istante la sua figura tremolò come se lei non fosse presente, come se fosse l’immagine spettrale che Andrew aveva visto mentre il corpo di Callista era imprigionato nelle grotte di Corresanti e poteva raggiungerlo solo come una forma immateriale del sopramondo. Ma era reale. Si sedette accanto a lui sull’erba, chinandosi con un sorriso così tenero che Andrew non seppe resistere all’impulso di attirarla a sé e di baciarle le labbra. Callista restituì il bacio con un’intensità che lo stupì vagamente… eppure, semiaddormentato, con i sensi un po’ acuiti e un po’ smussati dal polline, non riusciva a ricordare perché la cosa dovesse sorprenderlo.

La strinse, l’attirò accanto a sé sull’erba. La tenne fra le braccia, baciandola appassionatamente, e lei ricambiò i baci senza esitazione e senza riserve.

Un pensiero fuggevole gli attraversò la mente, come un colpo di vento che agitasse i fiori risplendenti: Ho mai sognato d’aver sposato la donna sbagliata? Quella Callista nuova, tenera e ardente tra le sue braccia, faceva apparire assurdo un simile pensiero. Comprese che lei l’aveva captato — non cercava più di nasconderglielo, non cercava più di nasconderle nulla — e che lo trovava divertente. Sentiva le lievi e scintillanti increspature d’ilarità attraverso le onde di desiderio che li travolgevano entrambi.

Sapeva con certezza che adesso avrebbe potuto fare ciò che voleva, senza che lei protestasse: ma il ritegno gli impediva di spingersi oltre quei baci, che lei ricambiava con tanta intensità. Le emozioni potevano essere pericolose, per Callista. Quella notte… anche allora lei l’aveva voluto. Ed era finita con una catastrofe, quasi una tragedia. Non avrebbe più corso quel rischio se non quando fosse stato sicuro: più per lei che per se stesso.

Sapeva che lei non aveva paura ma accettava questo come aveva accettato i baci e le carezze. Stranamente, non c’erano né l’impulso di andare oltre né la sofferenza della frustrazione. Anche lui era scosso da un’ilarità che sembrava esaltare l’estasi del momento, del sole, del calore, dei fiori, degli insetti che cantavano nell’erba intorno a lui: un’ilarità che squassava anche Callista, frammischiandosi al desiderio.

Lui e sua moglie erano felici di giacere sull’erba, vestiti, senza fare altro che baciarsi, come se fossero ragazzini… Era assurdamente delizioso.

Il termine darkovano più educato per indicare il sesso era accandir, e significava semplicemente giacere insieme, ed era così poco compromettente che si poteva usare anche in presenza dei bambini. Bene, pensò Andrew, scosso nuovamente dalle ondate d’ilarità: era appunto ciò che stavano facendo. Non seppe mai per quanto tempo rimasero stesi fianco a fianco sull’erba, baciandosi e scambiandosi carezze dolcissime, mentre lui giocava con i capelli di Callista o guardava guizzare sul suo volto radioso i riflessi di colore dei prismi dietro i suoi occhi.

Dovevano essere trascorse parecchie ore — il sole aveva incominciato a declinare — quando una nube oscurò il cielo e si alzò un vento che agitò i capelli di Callista. Andrew sbatté le palpebre e si sollevò a sedere, fissandola. Lei stava puntellata su un gomito, con la sottotunica aperta alla gola, fili d’erba e petali di fiori impigliati nella chioma. Venne freddo, all’improvviso, e Callista guardò il cielo con aria di rammarico. — Dobbiamo andare, purtroppo, se no la pioggia ci sorprenderà. Guarda le nubi. — Con dita riluttanti annodò i lacci della tunica, si tolse le foglie dai capelli e li intrecciò. — Quanto basta per salvare le apparenze — disse, ridendo. — Non voglio aver l’aria di aver giaciuto sui prati, sia pure con mio marito!

Andrew rise, e raccolse il sacco di fiori annodandolo al pomo della sella di lei. Cos’era accaduto?, si chiese. Il sole, il polline, cosa? Stava per issarla in sella quando lei esitò e gli gettò le braccia al collo.

— Andrew, oh, ti prego… — disse, e guardò il bordo del campo, il riparo degli alberi. Lui comprese i suoi pensieri: non era necessario tradurli in parole.

— Voglio… voglio essere completamente tua.

Lui le strinse le mani intorno alla vita, ma non si mosse. Disse, dolcemente: — Tesoro, no. Niente rischi.

Gli sembrava che sarebbe andato tutto bene: ma non ne era sicuro. Se i canali si fossero sovraccaricati di nuovo… Non sopportava l’idea di vederla soffrire ancora in quel modo.

Callista fece un lungo e profondo sospiro di delusione, ma Andrew comprese che si era rassegnata. Quando alzò gli occhi verso di lui, Andrew vide che erano colmi di lacrime: ma lei sorrideva. Non getterò ombre su questa giornata meravigliosa chiedendo di più, come una bambina avida.

Andrew le mise sulle spalle il mantello, perché dalle vette scendeva un vento tagliente, gelido. Quando la issò in sella vide che adesso il prato fiorito era tutto di un azzurro freddo, senza il luccichio dorato di prima. Il cielo si oscurava, e incominciava a piovigginare. Andrew mise in sella Callista, e quando montò vide che sul pendio opposto i cavalli si stavano radunando, irrequieti, per cercare un riparo.

Il ritorno fu silenzioso: Andrew si sentiva depresso, avvilito. Aveva l’impressione di essersi comportato da sciocco. Avrebbe dovuto approfittare del cedimento di Callista, dell’improvvisa scomparsa della paura e dell’esitazione. Che stupida compunzione l’aveva indotto a esitare?

Dopotutto, se era la reazione di Callista a sovraccaricare i canali, era intensa come se lui l’avesse presa. Proprio come lei desiderava! Che sciocco era stato, che sciocco!

Anche Callista taceva, e di tanto in tanto lo guardava con un’indicibile espressione di rimorso e di timore. Andrew captò quella paura, venuta a cancellare ogni gioia.

Sono lieta di aver scoperto ancora una volta cosa significa desiderarlo, ricambiare il suo amore… ma ho paura. E Andrew percepì il terrore paralizzante, il ricordo della sofferenza quando, l’altra volta, si era permessa di reagire a lui. Non potrei più sopportarlo. Neppure col kirian. E sarebbe spaventoso anche per Damon. Avarra misericordiosa, cos’ho fatto?

Pioveva forte, quando arrivarono ad Armida; Andrew sollevò Callista dalla sella e sentì, con sgomento, che s’irrigidiva al contatto. Ancora? Le baciò il volto bagnato sotto il cappuccio fradicio. Lei non si ritrasse, ma non ricambiò il bacio. Sconcertato, ma sforzandosi di essere comprensivo (aveva paura, povera ragazza: e chi poteva biasimarla, dopo quello che aveva passato?), Andrew la portò su per la scalinata e la posò.

— Va’ ad asciugarti, cara, non aspettarmi. Devo assicurarmi che sistemino a dovere i cavalli.

Callista salì lentamente le scale. La gaiezza era svanita, lasciandola stanca e piena d’apprensione. Uno dei tabù più forti, ad Arilinn, era quello che faceva della pianta del kireseth grezza una cosa assolutamente proibita. Sebbene non fosse più vincolata da quelle leggi, si vergognava ed era piena di rimorsi. Anche quando aveva capito di essere sotto l’influenza dei fiori, era rimasta per assaporarne gli effetti, senza allontanarsi. E nel rimorso si insinuava la paura. Non si sentiva come si era sentita col sovraccarico ai canali: anzi, non si era mai sentita meglio; ma poiché si conosceva, era spaventata a morte.

Andò a cercare Damon, e lui intuì immediatamente ciò che era accaduto. — Hai subito l’effetto del kireseth? Dimmi.

Esitando, impaurita e vergognosa, lei riuscì a spiegargli, in parte, quanto era accaduto. Damon, ascoltando quelle parole balbettanti, pensò, con angosciosa empatia, che lei si vergognava come una prostituta pentita, non come una donna sposata che aveva trascorso la giornata insieme al marito, in perfetta innocenza. Ma era turbato. Dopo quanto era accaduto all’inizio dell’inverno, Andrew non si sarebbe mai accostato a Callista così, senza un invito esplicito. Il kireseth, in effetti, aveva fama di annullare le inibizioni. Ma qualunque fosse la causa, lei poteva aver sovraccaricato i canali con due serie contrastanti di reazioni. — Bene, vediamo i danni.

Ma, dopo averla controllata rapidamente, si sentì confuso. — Sei sicura, Callista? I tuoi sono i canali di una Custode, assolutamente inalterati. Che scherzo è?

— Uno scherzo? Damon, cosa vuoi dire? È andata come ti ho detto.

— Ma è impossibile — ribatté Damon. — Non potevi reagire così. Se l’avessi fatto, i canali si sarebbero sovraccaricati e tu staresti malissimo. Cosa senti, adesso?

— Niente — disse Callista, stancamente, sconfitta. — Non sento niente, niente, niente! — Per un attimo Damon pensò che stesse per scoppiare in lacrime. Lei riprese a parlare, con voce tesa. — È finito come un sogno, e ho infranto le leggi della Torre. Mi sono messa fuori casta, e per niente.

Damon non sapeva cosa pensare. Un sogno che compensava le privazioni della vita? Il kireseth, dopotutto, era una droga allucinogena. Le tese le mani. Lo scatto automatico con cui lei si ritrasse confermò la sua intuizione: Callista e Andrew avevano semplicemente condiviso un’illusione.

Più tardi interrogò Andrew, e poté farlo in modo più approfondito, discutendo le reazioni fisiche. Andrew era angosciato, sulla difensiva, sebbene fosse disposto ad ammettere che sarebbe stato responsabile lui se fosse accaduto qualcosa a Callista. Per gli inferni di Zandru, pensò Damon, che groviglio! Andrew provava già tanti rimorsi perché aveva desiderato Callista quando non poteva reagire a lui, e adesso doveva essere privato perfino dell’illusione. Damon gli posò la mano sulla spalla e disse: — È tutto a posto, Andrew. Non le hai fatto nessun male. È tutto a posto, ti dico: i canali sono ancora completamente liberi.

Andrew replicò, ostinato: — Non credo che sia stato un sogno o un’illusione, o qualcosa del genere. Maledizione, le foglie nei capelli non me le sono inventate io!

Pieno di pietà, Damon ribatté: — Non dubito che fossi sdraiato sull’erba. Il kireseth contiene una frazione che stimola il laran. Evidentemente tu e Callista eravate in contatto telepatico, molto più del solito, e le tue… le tue frustrazioni hanno creato un sogno. Che poteva accadere senza… senza mettere in pericolo né lei né te.

Andrew si nascose la faccia tra le mani. Era già abbastanza atroce sentirsi sciocco perché aveva passato tutta la giornata a baciare e ad accarezzare sua moglie senza arrivare a nulla di più intimo: ma sentirsi dire che era stato semplicemente un sogno drogato… era ancora peggio. Alzò gli occhi verso Damon. — Non credo che sia stato un sogno — disse. — Se lo era, perché non ho sognato quello che volevo veramente? Perché non l’ha sognato lei? I sogni dovrebbero alleviare le frustrazioni, e non crearne di nuove: no?

Era una domanda intelligente, ammise Damon: ma cosa ne sapeva delle paure e delle frustrazioni che potevano inibire anche i sogni? Una notte, in gioventù, aveva sognato di toccare Leonie come una Custode non poteva essere toccata neppure col pensiero, e poi aveva passato tre notti insonni per timore di ricadere in quella colpa.

Nella propria stanza, mentre si cambiava per la cena, Andrew guardò gli indumenti sgualciti e macchiati. Era così sciocco da fare sogni erotici su sua moglie? Non lo credeva. Damon non era stato presente; lui sì. E lui sapeva cos’era accaduto, anche se non riusciva a spiegarlo. Era immensamente lieto che Callista non ne avesse sofferto, sebbene lui non riuscisse a comprendere neppure questo.


La stessa sera, a cena, Dom Esteban disse, in tono preoccupato: — Mi domando… Pensate che Domenic stia bene? Io sento che qualcosa lo minaccia, qualcosa di terribile…

— Assurdo, padre — replicò dolcemente Ellemir. — Proprio questa mattina Dom Kieran ci ha detto che sta bene, è circondato da amici fedeli, si comporta nel modo migliore e si dimostra all’altezza delle sue responsabilità. Non essere sciocco!

— Forse hai ragione tu — disse il vecchio; ma aveva l’aria turbata. — Vorrei che fosse qui, a casa.

Damon e Ellemir si scambiarono un’occhiata. Come tutti gli Alton, talvolta Dom Esteban aveva qualche barlume di precognizione. Dio volesse che la sua fosse soltanto una preoccupazione, pensò Damon, e non una visione del futuro. Il vecchio era invalido, sofferente. Probabilmente era una preoccupazione infondata.

Ma anche Damon aveva incominciato a preoccuparsi, e quella notte non dormì.

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