CAPITOLO QUINDICESIMO

Dopo il solstizio d’inverno, sorprendentemente, il tempo migliorò e le riparazioni dei danni causati dalla grande nevicata procedettero in fretta. In dieci giorni vennero ultimati, e Andrew pensò di poter lasciare tutto, per un po’ di tempo, nelle mani del coridom.

Gli sembrava di non aver mai visto Damon così stanco e irritabile come quella mattina, dopo che suo cognato ebbe isolato l’appartamento con gli smorzatori telepatici ed ebbe avvertito i servitori di non avvicinarsi. Dal solstizio d’inverno Damon era sempre stato agitato e taciturno, ma adesso, mentre regolava gli smorzatori, aggirandosi nervosamente nell’appartamento, tutti potevano sentirlo. Callista, alla fine, lo interruppe: — Basta, Damon! Sdraiati e respira lentamente. Non puoi incominciare così, e lo sai come lo so io. Prima calmati. Vuoi un po’ di kirian?

— Non lo voglio — ribatté irritato Damon, — ma immagino che farò bene a prenderlo. E voglio una coperta o qualcosa del genere. Torno sempre mezzo congelato.

Callista indicò a Elìemir di avvolgerlo in una coperta e andò a prendere il kirian. — Assaggialo, prima. Il mio apparecchio per la distillazione non è efficiente come quello che avevo ad Arilinn, e potrebbero esserci residui, anche se l’ho filtrato due volte.

— Non puoi essere più inesperta di me, in queste cose — disse Damon; fiutò cautamente poi rise, ricordando che Callista aveva fatto lo stesso con la tintura preparata da lui. — Non importa, mia cara, non credo che ci avveleneremo a vicenda. — Lasciò che lei misurasse attentamente una dose, e aggiunse: — Non so quale sia il fattore di distorsione temporale, e tu dovrai restare in fase per controllarmi. Non sarebbe meglio se ne prendessi un po’ anche tu?

Callista scrollò il capo. — Ho una tolleranza bassissima, per questa roba. Se ne bevessi abbastanza da mettermi in fase, avrei gravi disturbi. Posso sintonizzarmi con te anche senza.

— Ti sentirai spaventosamente intorpidita e infreddolita — l’avvertì Damon; ma si rendeva conto che dopo tanti anni vissuti come Custode doveva conoscere con precisione il margine della propria tolleranza nei confronti della droga telepatica. Lei sorrise, misurandosi una dose di poche gocce. — Ho messo uno scialle molto pesante. Se devo controllare le funzioni vitali, quando vuoi che ti tiri fuori?

Damon non lo sapeva. Non aveva esperienza delle tensioni della Ricerca nel Tempo. Non sapeva cos’avrebbe dovuto sopportare, in fatto di effetti secondari. — Sarà meglio che non mi richiami, a meno che io vada in convulsioni.

— A questo punto? — Callista provò un’acuta fitta di rimorso. Era per lei che Damon correva quel terribile rischio e ritornava a un lavoro temuto e odiato. Erano già collegati strettamente. Lui le teneva la mano posata leggermente sul polso. — Non solo per te, tesoro. Per tutti noi. Per i bambini.

E per la Custode, quella che verrà. Callista non pronunciò queste parole: ma il tempo si era sfocato, come avveniva talvolta per un Alton, e lei vedeva se stessa da una grande distanza, lì, altrove, in un grande campo fiorito; guardava una delicata fanciulla che giaceva inconscia davanti a lei; stava in piedi nella cappella di Armida davanti alla statua di Cassilda, con una ghirlanda di fiori cremisi in mano. Depose i fiori sull’altare e poi fu di nuovo con loro, stordita, esaltata. Mormorò: — Damon, hai visto…

Anche Andrew aveva visto, tutti avevano visto, e lui ricordava l’espressione di pietà e di angoscia con cui Callista aveva tolto dalla cappella l’offerta dimenticata da Ellemir. Le nostre donne portano ancora fiori al suo sacrario… Damon disse, gentilmente: — Ho visto Callie. Ma è molto lontano, lo sai.

Lei si chiese se ad Andrew sarebbe importato molto; poi, con incrollabile disciplina, ritornò al proprio compito. — Lasciami controllare la tua respirazione. — Gli passò le dita sopra il corpo, leggermente. — Prendi il kirian, ora.

Damon l’inghiottì, con una smorfia. — Beh! Con cosa l’hai insaporito? Urina di cavallo?

— Niente. Avevi dimenticato il sapore, ecco tutto. Da quanti anni non lo prendevi più? Sdraiati, e smettila di contrarre le mani: riuscirai solo ad aggrovigliarti i muscoli e a farti venire i crampi.

Damon ubbidì e girò lo sguardo sui tre volti che gli stavano intorno: Callista, seria e autoritaria; Ellemir, un po’ spaventata; Andrew, forte e calmo ma un po’ sgomento. Poi i suoi occhi ritornarono all’espressione sicura e fiduciosa di Callista. Poteva contare in modo assoluto su di lei: era stata istruita ad Arilinn. La sua respirazione, le sue funzioni vitali, la sua stessa vita, erano nelle mani di lei, e Damon era lieto che fosse così.

Perché Callista doveva rinunciare a tutto questo se voleva vivere felice e mettere al mondo dei figli?

Callista stava portando nel cerchio Ellemir e Andrew. Damon li sentì inserirsi, fondersi. Lui era già alla deriva e fluttuava lontano. Guardò Ellemir come se lei fosse trasparente, pensando a quanto l’amava, a quanto era felice.

Callista disse, sommessamente: — Ti lascerò arrivare fino al primo stadio della crisi, non fino alle convulsioni. Non servirebbe a nulla, né per te né per noi.

Damon non protestò neppure. Lei era stata addestrata ad Arilinn: aveva il diritto di decidere. Poi si trovò nel sopramondo, e lo percepì quando la struttura si formò intorno a lui: una torre come Arilinn, meno solida, meno fulgida, non un faro ma un rifugio, remota e tuttavia concreta, una protezione, una casa. Per un attimo, mentre volgeva intorno lo sguardo sul mondo grigio e indugiava tra quelle mura, si sorprese a chiedersi, con assurda insolenza, cosa pensavano gli altri telepati che vagavano nel mondo grigio quando trovavano quella torre nuova. O forse gli altri non se ne sarebbero mai accorti, non sarebbero mai arrivati nel luogo remoto dove Damon e il suo gruppo stavano lavorando? Risolutamente plasmò i propri pensieri perché lo portassero in fretta ad Arilinn, e si trovò nel cortile davanti a Leonie. Vide, con sollievo, che aveva il volto velato; e la sua voce era distaccata e serena, come se il momento di passione non fosse mai esistito.

— Dobbiamo raggiungere per prima cosa il livello in cui è possibile il moto attraverso il tempo. Hai preso adeguate precauzioni per farti controllare? — Damon sentì che Leonie guardava attraverso lui, verso il mondo dove giaceva il suo corpo, dove Callista vegliava silenziosa al suo fianco. Leonie assunse una strana espressione trionfante, ma si limitò a dire: — Forse rimarrai lontano per moltissimo tempo, e ti sembrerà più lungo di quanto sia in realtà. Io ti guiderò fino al livello della Ricerca nel Tempo, anche se non sono sicura di potervi restare. Ma dobbiamo spostarci attraverso i livelli un po’ per volta. Di solito cerco di vederlo come una scalinata — aggiunse, e Damon vide che intorno a loro il grigiore si era attenuato quanto bastava per rivelare una gradinata indistinta, che saliva incurvandosi e svaniva in un grigio più denso, lassù, come la nebbia che avvolge un fiume. Notò che la scala aveva una ringhiera dorata, e si chiese quale scalinata dell’infanzia di Leonie, forse di Castel Hastur, riviveva lì, nella sua immagine mentale.

Sapeva benissimo, mentre posava il piede sul primo gradino per seguire Leonie, che in realtà soltanto le loro menti si muovevano tra gli amorfi atomi dell’universo: ma la visualizzazione della scala era solida e rassicurante, e offriva loro un punto focale per passare da un livello all’altro. Leonie conosceva la strada, e lui si limitava a seguirla.

La scalinata non era ripida: ma via via che saliva, Damon aveva l’impressione di respirare più a fatica, come se scalasse un valico montano. I gradini erano ancora solidi, addirittura rivestiti da tappeti, anche se i piedi che li calpestavano — Damon lo sapeva — erano solo formulazioni mentali. Diventava sempre più difficile sentirli, alzarli da uno scalino all’altro. La gradinata diventava sempre più confusa e indistinta, e spariva nella densa nebbia grigia, poco più avanti di lui. La figura di Leonie era solo una larva avvolta in veli cremisi.

La nebbia s’infittì, si chiuse. Lui poteva scorgere poche spanne della scala, ma camminava in un grigiore che faceva scomparire il suo corpo. Poi il grigiore si oscurò in una tenebra attraversata da guizzanti luci azzurre.

Il livello delle reti di energia. Damon aveva lavorato su quel livello come tecnico psi, e con uno sforzo riuscì a solidificarlo mutandolo in una caverna buia, con stretti sentieri illuminati che portavano in alto, in un labirinto di cascate. Lì Leonie era vaga, indistinta, e le sue vesti erano incolori. Adesso non si esprimeva più a parole.

Procedi con prudenza. Siamo al livello delle matrici controllate. Ci sorveglieranno perché non mi accada nulla di male. Ma stammi vicino. Io so dove si svolgono le operazioni con le matrici, e non dobbiamo intrometterci.

In silenzio, Damon avanzava lungo i sentieri illuminati d’azzurro. A un certo momento ci fu un bagliore di luce azzurrina, ma il pensiero di Leonie lo raggiunse, incalzante:

Non guardarlo!

E Damon comprese che, chissà dove, era in atto un’operazione con una matrice, così delicata che persino un pensiero casuale, perfino uno «sguardo», poteva squilibrarla e mettere in pericolo i meccanici. Visualizzò se stesso che voltava fisicamente le spalle alla luce e chiudeva gli occhi per non vederla. Gli parve che trascorresse molto tempo prima che il contatto-pensiero di Leonie lo richiamasse:

Ora possiamo proseguire.

La scalinata si riformò sotto i suoi piedi, sebbene lui non potesse vederla. Ricominciò a salire. Solo una concentrazione ostinata, adesso, poteva dare l’illusione di un corpo fisico che saliva, e i gradini erano come nebbia sotto i suoi piedi. Le pulsazioni del sangue divennero più rapide via via che ascendeva faticosamente, e il respiro si appesantì. Era come scalare un passo montano, come la ripida scala intagliata nella roccia che portava al monastero di Nevarsin. Nella densa tenebra cercò a tentoni la ringhiera incrostata di ghiaccio, e si sentì scottare le dita. Eppure anche quella sensazione fu un sollievo: l’aiutava a solidificare la terribile e caotica assenza di forma in quel livello. Non sapeva come facesse Leonie — che non era abituata alle scalate — a procedere, ma la sentiva accanto a sé, nell’oscurità, e sapeva che doveva possedere una tecnica mentale per affrontare quei livelli. Adesso l’aria era rarefatta, e Damon si sentiva battere il cuore con uno sforzo acuto che lo stordiva. Sentiva la vertigine di un terribile baratro sotto di lui. Non ce la fece più a proseguire. Si aggrappò alla ringhiera, e sentì le mani intorpidirsi per il freddo.

Non posso continuare. Non posso. Morirò qui.

A poco a poco il suo respiro divenne meno convulso, il cuore affaticato si calmò. Damon comprese, con lontano distacco, che Callista era entrata in fase con lui e gli regolava il cuore e la respirazione. Adesso poteva riprendere l’ascesa, anche se i gradini erano spariti. Via via che la sensazione di salire diventava più intensa, cominciò, disperatamente, a formulare il ricordo delle scalate, delle tecniche che aveva imparato a Nevarsin da ragazzo, come se si arrampicasse aggrappandosi con le mani e i piedi agli appigli, fissando corde e chiodi immaginari per aiutarsi a issare il corpo riluttante. Poi perse di nuovo la sensazione del corpo fisico, e dei livelli e dello sforzo, e si mosse con rabbiosa concentrazione passando da una tenebra all’altra. In una c’erano strane masse informi di nubi, e a lui pareva di avanzare a guado nella fanghiglia gelida. In un’altra c’erano presenze, dovunque, che l’attorniavano, l’ossessionavano con la loro intangibilità amorfa… Il concetto stesso di forma era perduto. Damon non ricordava più cosa fosse un corpo, che sensazione desse l’averlo. Lui era informe, onnipresente e assente come loro, qualunque cosa fossero. Si sentiva nauseato, violentato, ma continuava ad avanzare, faticosamente: e dopo un’eternità anche quella sensazione svanì.

Infine giunsero a una bizzarra oscurità rarefatta, e Leonie, vicinissima a lui in quel nulla, disse senza parole:

Questo è il livello dove possiamo svincolarci dal tempo lineare. Pensa di risalire un fiume. Sarà più facile se troviamo un luogo fisso e procediamo a ritroso. Aiutami a cercare Arilinn.

Damon si chiese: Arilinn è anche qui? Poi pensò che era una domanda assurda. Ogni luogo che esisteva fisicamente doveva proiettarsi attraverso tutti i livelli dell’universo. Intangibilmente, una mano strinse la sua: e Damon sentì la propria materializzarsi, dove sarebbe stata se anche lì l’avesse avuta. Concentrò la mente su Arilinn, vide un’ombra vaga, e si trovò nella camera di Leonie.

Una volta, durante l’ultimo anno del suo soggiorno alla Torre, Leonie era svenuta tra i relè. Lui l’aveva portata nella sua stanza e l’aveva adagiata sul letto. Allora non aveva notato consciamente neppure un particolare di quella stanza: eppure adesso la vedeva, semiprofilata nella sua mente, nel suo ricordo…

No, Damon! Avarra abbia pietà, no!

Non si era accorto di rievocare quel giorno dimenticato, ma non voleva ricordare: per gli inferni di Zandru, no! Il ricordo apparteneva a Leonie, e lui lo sapeva: ma ne accettò la responsabilità e ne cercò uno più anodino. Nella camera delle matrici, ad Arilinn, vide Callista a tredici anni, con i capelli ancora sciolti sulle spalle. Guidò delicatamente le dita di lei, sfiorando i nodi dove i nervi affioravano alla superficie della pelle. Vide le farfalle ricamate sui polsini della sua veste: allora non le aveva notate. Vagamente, ma con un senso di realtà snervante (erano i pensieri riesumati di quegli anni lontani oppure era il ricordo della Callista attuale?), vide che lei era docile ma aveva paura di quell’uomo austero, che era stato l’amico giurato di suo fratello ma che adesso appariva impassibile, vecchio, alienato, lontano. Un estraneo, non il parente che conosceva bene.

Ero così duro con lei, così distante? Avevi paura di me, Callista? Per gli inferni di Zandru, perché siamo così crudeli con quei bambini?

Le mani di Leonie lo sfiorarono attraverso le mani di Callista. Com’era austera già allora, com’era divenuto severo e segnato il suo volto in pochi anni! Ma il tempo scorreva a ritroso, e Callista non c’era più, non c’era mai stata. Lui stava davanti a Leonie per la prima volta: un giovane controllore psi che per la prima volta vedeva la faccia della Custode di Arilinn. Evanda! Com’era bella! Tutte le donne Hastur erano belle, ma lei aveva la bellezza leggendaria di Cassilda. Damon provò di nuovo i tormenti del primo amore, la disperazione di saperlo vano, ma il tempo continuava a scorrere a ritroso con misericordiosa rapidità. Damon perse la consapevolezza del proprio corpo: non era mai esistito, e lui era un sogno indistinto nell’oscurità, e scorgeva i volti di Custodi che non aveva mai conosciuto. (Sicuramente, quella donna bionda era una Ridenow del suo clan). Vide erigere un monumento nel cortile per onorare Marelie Hastur, e comprese, con un fremito di terrore, che stava assistendo a un evento accaduto tre secoli prima della sua nascita. Continuò a risalire la corrente, sentì Leonie staccarsi da lui, lottò per cercare di raggiungerla…

Non posso andare oltre, Damon. Gli dèi ti assistano, parente.

Damon la cercò, in preda al panico, ma lei non c’era più: sarebbe nata solo dopo secoli e secoli. Lui era solo, stordito, stanco, in un’immensa e scintillante oscurità nebbiosa, e dietro di lui c’era solo l’ombra di Arilinn. Dove posso andare? Potrei vagare in eterno nelle epoche del caos senza scoprire nulla.

Neskaya. Sapeva che Neskaya era il centro del segreto. Lasciò che Arilinn si dissolvesse, e si sentì sfrecciare rapido come il pensiero verso la Torre di Neskaya, profilata contro le Colline di Kilghard. Era come guadare un freddo torrente di montagna contro una corrente che cercava di trascinarlo a valle, verso il suo tempo. In quella lotta aveva quasi perso di vista il suo obiettivo. Adesso, disperatamente, lo riformulò: trovare una Custode di Neskaya prima che la Torre venisse distrutta durante le epoche del caos e poi ricostruita. Proseguì a ritroso, lottando, e vide la Torre di Neskaya in rovina, distrutta dall’ultima delle grandi guerre di quell’epoca, ridotta in cenere: la Custode e tutti quelli del suo cerchio erano stati massacrati.

E poi riapparve: non era la solida e tozza struttura di sassi che lui aveva visto ergersi dietro le mura di Città Neskaya, ma una torre alta, luminosa, splendente di pietra celeste. Neskaya! Neskaya nell’epoca del suo splendore, prima che i Comyn decadessero. Damon rabbrividì. Vedeva ciò che nessuno dei viventi del suo tempo aveva mai visto: la Torre di Neskaya nei giorni della gloria dei Comyn.

Una luce incominciò a brillare nel cortile, e in quello scintillio Damon vide un giovane: e ricordò, con lieto stupore, che l’aveva già visto. Decise d’interpretarlo come un presagio. Il giovane portava i colori verde e oro, e aveva al dito un grande anello risplendente: un anello o una matrice? Senza dubbio quel volto delicato e gli abiti verde e oro di foggia antica indicavano che era un Ridenow. Sì, Damon l’aveva già visto, fuggevolmente. Sentì se stesso prendere forma, con un bizzarro senso di sollievo. Sapeva che il suo corpo, in quel complesso livello astrale, era solo un’immagine, l’ombra di un’ombra. Per un attimo fu conscio del suo corpo vero, freddo e comatoso e intorpidito, che ansimava in una lontananza inimmaginabile. Ma il corpo che indossava in quel livello superiore era libero, sereno. Dopo l’eternità amorfa, anche l’ombra di una forma alleviava la tensione, gli dava quasi un’esplosione di piacere. Un peso solido, il sangue che gli pulsava nelle vene, occhi che vedevano… L’immagine del giovane ondeggiò, si consolidò. Sì, era un Ridenow, e somigliava al fratello di Damon, Kieran, l’unico fratello che Damon amasse anziché tollerarlo per cortesia in nome del sangue comune.

Damon provò uno slancio di affetto per lo sconosciuto, che doveva essere uno dei suoi lontani antenati. Indossava una lunga veste sciolta d’oro, con una cintura verde, e scrutava Damon con calma gentilezza. Disse: — A giudicare dal tuo volto e dalle tue vesti, sicuramente appartieni al mio clan. Stai vagando in un sogno, parente, oppure mi cerchi da un’altra Torre?

Damon disse: — Sono Damon Ridenow. — Stava per dire che adesso non era un operatore di una Torre, ma ricordò che su quel livello il tempo non aveva significato. Se tutto il tempo coesisteva, come appunto doveva essere, allora il periodo in cui era stato un tecnico psi era reale e presente quanto il momento in cui lui giaceva ad Armida, impegnato nella Ricerca. — Damon Ridenow, Terzo nella Torre di Arilinn, tecnico, agli ordini della Custode Leonie di Arilinn, dama Hastur.

Il giovane disse, gentilmente: — Senza dubbio tu stai sognando, o sei pazzo o sperduto nel tempo. Io conosco tutti i Custodi da Nevarsin a Hali, e tra loro non c’è nessuna Leonie e nessuna Hastur. — Sorrise, cortese. — Devo rimandarti al tuo luogo e al tuo tempo? Questi livelli sono pericolosi, e un tecnico non può percorrerli senza rischi. Potrai ritornare qui quando avrai raggiunto la forza di Custode, cugino, e il fatto che sia venuto ora mi dimostra che quella forza l’hai già. Ma io posso inviarti a un livello sicuro, e mi auguro che tu abbia non meno prudenza che coraggio.

— Non sono pazzo e non sto sognando — replicò Damon. — E non mi sono smarrito nel tempo, sebbene in verità sia lontanissimo dai miei giorni. È stata la mia Custode a mandarmi qui, e forse sei tu colui che cerco. Chi sei?

— Io sono Varzil. Varzil di Neskaya, Custode della Torre.

Custode. Damon sapeva che anticamente anche gli uomini potevano diventare Custodi. Però il giovane aveva usato la parola in una forma che lui non aveva mai udito: tenerézu. Quando Leonie gli aveva parlato dei Custodi maschi aveva usato la forma comune del termine, che era invariabilmente femminile. Pronunciata da Varzil, quella parola fu un trauma. Varzil! Il leggendario Varzil il Buono, che aveva bonificato Hali dopo il cataclisma che aveva distrutto il lago. — Ai miei tempi tu sei una leggenda, Varzil di Neskaya: sei ricordato come Signore di Hali.

Varzil sorrise. Aveva il volto sereno e intelligente ma animato di curiosità, senza l’espressione chiusa e remota di tutte le Custodi che Damon aveva conosciuto. — Una leggenda, cugino? Bene, immagino che le leggende mentano nel tuo tempo come nel mio, e forse sarebbe meglio per me non sapere nulla di ciò che sta nel futuro, per non cedere alla paura o all’arroganza. Non dirmi nulla. Però, una cosa l’hai già detta. Se nei tuoi tempi una donna è Custode, allora la mia opera è riuscita, e coloro che credevano una donna troppo debole per diventare Custode sono stati ridotti al silenzio. Ora so che la mia opera non è inutile. E poiché mi hai fatto un dono, un dono di fiducia, cosa posso darti in cambio? Certo non hai intrapreso un viaggio così lungo senza una grave necessità.

— La necessità non è mia, ma di una mia parente. È stata addestrata per diventare Custode di Arilinn, ma è stata sciolta dal voto per sposarsi.

— E per questo è necessario che venga sciolta dal voto? — chiese Varzil. — Ma cosa posso fare, per te? Già nel mio tempo un Custode non viene più mutilato chirurgicamente: oppure mi credi un eunuco? — Rise con una gaiezza che a Damon, inspiegabilmente, ricordò Ellemir.

— No: ma è rimasta in uno stato a mezza strada fra quello di Custode e quello di donna normale. I suoi canali sono stati fissati sul modello di Custode quando era troppo giovane, prima della pubertà, e lei non può ricondizionarli all’uso normale.

Varzil sembrava assorto. Disse: — Sì, questo può accadere. Dimmi: quanti anni aveva, quando ha iniziato l’addestramento?

— Fra i tredici e i quattordici, credo.

Varzil annuì. — L’immaginavo. La mente si imprime profondamente sul corpo, e i canali non possono riadattarsi se nella sua mente c’è l’impronta di molti anni vissuti come Custode. Tu devi ricondurre la sua mente ai tempi in cui il suo corpo era libero, prima che i canali venissero alterati e bloccati, prima che gli anni vissuti come Custode incidessero lo schema nei nervi. Quando la sua mente sarà libera, il corpo si libererà. Poi, quando la condurrai attraverso il sacramento… Ma aspetta: sei sicuro che i canali non siano stati modificati chirurgicamente, che i nervi non siano stati recisi?

— No: sembra che sia stato fatto mediante l’addestramento con la matrice…

Varzil scrollò le spalle. — È superfluo, ma non è grave. Ci sono sempre alcune donne che bloccano così i loro canali, ma la liberazione viene con la festa della Fine dell’Anno. Alcuni dei nostri primi Custodi erano chieri, né uomini né donne, emmasca: e anche loro si ritrovavano bloccati in quello schema. Naturalmente, è per questo che abbiamo istituito il vecchio rito sacramentale della Fine dell’Anno. Quanto devi amarla, cugino, per essere venuto così lontano! Ti auguro che ti dia figli che facciano onore al tuo clan non meno del loro coraggioso padre.

— Non è mia moglie — replicò Damon. — È sposata al mio fratello giurato… — Appena lo disse si sentì confuso, perché sembrava che quelle parole non avessero significato per Varzil, il quale scosse il capo.

— Sei il suo Custode: tu ne sei responsabile.

— No, la Custode è lei — protestò Damon, con un’irritabilità improvvisa e spaventosa, e Varzil lo fissò con uno sguardo penetrante. Il sopramondo vibrò, tremò, e per un momento Damon non vide più Varzil: perfino lo scintillio dell’anello si era affievolito in un fioco e lontano punto azzurro. Era una matrice? Si sentiva soffocare, sprofondare nella tenebra. Udì Varzil chiamarlo da lontano; e poi, con sollievo, sentì la mano chiudersi leggera sull’immagine della sua mano. Il suo corpo si rimise a fuoco; ma si sentiva debole e nauseato. Intravedeva appena Varzil, e dietro di lui un cerchio di volti, uno scintillante anello di pietre, volti di Comyn che dovevano essere i suoi avi dimenticati. Varzil parlò in tono di profonda preoccupazione.

— Non devi più rimanere qui, cugino: questo livello è mortale per coloro che non sono addestrati. Ritorna, se devi, quando avrai conquistato la tua forza piena come tenerézu. Non temere per la donna che ti è cara. Spetta a te, come suo Custode, condurla all’antico sacramento della Fine dell’Anno, come se fosse per metà chieri ed emmasca. Temo che dovrai attendere quella festa, se lei dovrà lavorare nel frattempo come Custode: ma dopo, tutto andrà bene. E né fra trecento anni, né tra mille, un figlio delle Torri dimenticherà la festa. — Damon barcollò, stordito, e Varzil lo sorresse di nuovo, dicendo con gentile premura: — Guarda nel mio anello. Ti rimanderò a un livello sicuro. Non temere, l’anello non comporta i pericoli delle normali matrici. Addio, parente, porta il mio saluto affettuoso a colei che ti è cara.

Damon disse, mentre si sentiva la coscienza svanire brancolando: — Non… non capisco. — Non c’era più nulla di nitido, ormai, tranne l’anello di Varzil, che splendeva corrusco disperdendo la tenebra. Io l’ho già visto, come un faro.

Non aveva più voce. Non poteva più formulare le parole. Ma Varzil era vicino a lui nell’oscurità. Sì, ora andrò e porrò un faro per guidarti qui: questo anello.

Damon pensò, confusamente: Io l’ho già visto.

Non lottare con le definizioni del tempo, cugino. Quando sarai Custode, comprenderai.

Nel mio tempo, gli uomini non diventano Custodi.

Eppure tu sei un Custode, altrimenti non avresti potuto venire qui senza morire. Ora non posso più attendere per rimandarti indietro sano e salvo, cugino, fratello…

Lo splendore dell’anello pervase la coscienza di Damon. La vista svanì, la luce l’abbandonò, il suo corpo divenne informe. Fluttuava, sforzandosi di conservare l’equilibrio su un abisso di nulla. Cercò di aggrapparsi a qualcosa, si sentì trascinare via, precipitare. Tutti i livelli che ho scalato con tanta fatica… devo attraversarli in una caduta…?

Precipitò: e seppe che avrebbe continuato a precipitare, a precipitare per centinaia di anni.


Tenebra. Sofferenza. Sfinimento. Poi la voce di Callista: — Credo che stia riprendendo i sensi. Andrew, sollevagli la testa, ti prego. Elli, se non smetti di piangere ti mando via: e dico sul serio! — Lui sentì il bruciore del firi sulla lingua, poi il volto di Callista apparve nel suo campo visivo. Mormorò (e sentì che batteva i denti): — Freddo… Ho tanto freddo…

— No, amore — disse dolcemente Callista. — Sei avvolto in tutte le coperte che abbiamo, e hai i mattoni caldi sotto i piedi. Il freddo è dentro di te: credi che non lo sappia? No, basta firi. Fra un momento ti daremo un brodo caldo.

Ora la vista era ritornata: e ogni dettaglio del suo viaggio, del dialogo con Varzil, gli riaffluì nella mente. Aveva incontrato davvero un antenato morto da così tanto tempo che ormai anche le sue ossa erano polvere? Oppure aveva sognato, trasformando in immagini una conoscenza profondamente sepolta nel suo inconscio? Oppure la sua mente si era addentrata nel tempo per leggere ciò che stava scritto nella trama del passato? Qual era la realtà?

Ma a quale festa si era riferito Varzil? Aveva detto che neppure dopo trecento o mille anni i Comyn avrebbero dimenticato la festa del sacramento: ma non aveva tenuto conto delle epoche del caos, della distruzione della Torre di Neskaya.

Eppure, la soluzione c’era. Era oscura, ma lui poteva già vedere a cosa portava. La mente s’imprime profondamente nel corpo. Perciò doveva riportare la mente di Callista al tempo in cui il suo corpo era libero dalle crudeli costrizioni degli anni vissuti come Custode. Spetta a te, come suo Custode, condurla all’antico sacramento della Fine dell’Anno, come se fosse per metà chieri ed emmasca.

Quale che fosse stata l’antica festa, si poteva ricostruire, in un modo o nell’altro… Un rituale per liberare la mente dalle costrizioni? Se ogni altra cosa fosse stata inutile… cos’aveva detto, Varzil? Ritorna qui quando avrai conquistato la tua piena forza come Custode.

Damon rabbrividì. Dunque doveva continuare quel lavoro spaventoso, al di fuori della protezione di una Torre, per diventare veramente un Custode, realizzando il potenziale che Leonie aveva intravisto in lui? Bene: si era impegnato, e forse per Callista non c’era altra via d’uscita.

Forse non sarebbe stato tanto orribile, pensò, con un filo di speranza. Nelle altre Torri dovevano esserci documenti relativi alla festa della Fine dell’Anno; o forse a Hali, nel rhu fead, il luogo sacro dei Comyn.

Ellemir lo guardava, da sopra la spalla di Callista. Aveva gli occhi rossi di pianto. Damon si levò a sedere, stringendosi addosso le coperte. — Ti ho fatto paura, amore?

Lei represse un grido. — Eri così freddo e irrigidito… Sembrava che non respirassi neppure. E poi hai cominciato ad ansimare, a gemere… Credevo che stessi morendo, che fossi morto… Oh, Damon! — Gli strinse le mani. — Non farlo mai più! Promettimelo!

Quaranta giorni prima, sarebbe stato felice di prometterlo… — Tesoro, questo è il lavoro per il quale sono stato addestrato, e devo essere libero di compierlo quando è necessario. — Varzil l’aveva salutato come Custode. Era quello, il suo destino?

Ma non in una Torre, mai più. Avevano imparato a deformare le vite degli operatori. Cercando di liberare Callista, avrebbe liberato tutti i suoi discendenti?

Callista alzò il capo, a un lieve suono. — Devono aver portato il vassoio che avevo chiesto. Va’ a prenderlo, Andrew: non vogliamo estranei, qui dentro. — Quando Andrew tornò, lei versò il brodo caldo in un boccale. — Bevilo più in fretta che puoi, Damon. Sei debole come un uccellino appena uscito dall’uovo.

Con una smorfia, lui disse: — La prossima volta credo che resterò nel guscio. — Cominciò a bere a sorsi esitanti: all’inizio non era sicuro che sarebbe riuscito a inghiottire. Le sue mani non reggevano il boccale, e Andrew l’aiutò.

— Per quanto tempo sono stato lontano?

— Tutto il giorno e gran parte della notte — rispose Callista. — E naturalmente neppure io ho potuto muovermi per tutto quel tempo, perciò sono irrigidita come il coperchio di una bara. — Stancamente, si stirò le membra intorpidite; e Andrew, lasciando a Ellemir il compito di reggere il boccale di Damon, s’inginocchiò davanti a lei, le sfilò le pantofole di velluto e le massaggiò i piedi. — Come sono freddi! — esclamò sgomento.

— L’unico vantaggio dei livelli superiori, rispetto all’inverno di Nevarsin, è che non ci si può congelare — disse Callista, e Damon sorrise ironicamente. — Non ci si congela neppure negli inferni, ma non ho mai sentito dire che sia una buona ragione per non starne alla larga. — Andrew lo guardò sconcertato, e Damon chiese: — Oppure la tua gente ha un inferno caldissimo, come gli abitanti delle Città Aride?

Andrew annuì. Damon finì di bere il brodo, poi tese il boccale per chiederne ancora. Spiegò: — Si dice che Zandru regni su nove inferni, uno più gelido dell’altro. Quando ero a Nevarsin, dicevano che il dormitorio degli studenti veniva mantenuto alla temperatura del quarto inferno, per insegnarci quello che potevamo aspettarci se avessimo violato i regolamenti. — Guardò la tenebra oltre la finestra. — Nevica?

Andrew ribatté: — Quando mai non nevica, di notte?

Damon strinse le dita intorno al boccale di pietra. — Oh, qualche volta, d’estate, abbiamo otto o dieci notti senza neve.

— E immagino — disse Andrew, impassibile, — che la gente muoia d’insolazione o per il troppo caldo.

— Oh, no, non ho mai saputo che… — cominciò Callista: poi, vedendo lo scintillio negli occhi di Andrew, s’interruppe e rise. Damon li guardava, sfinito, stanco, sereno. Agitò le dita dei piedi. — Non mi sorprenderei se scoprissi di essere congelato, dopotutto. In un livello mi sono arrampicato sul ghiaccio… o almeno, ho creduto di farlo — aggiunse, rabbrividendo al ricordo.

— Sfilagli le pantofole e guarda, Ellemir.

— Su, Callie, stavo scherzando.

— Ma io no. Una volta Hilary è rimasta bloccata su un livello dove sembrava che ci fosse il fuoco, ed è tornata con scottature e vesciche sulle piante dei piedi. Non ha potuto camminare per parecchi giorni. Leonie diceva sempre: La mente si imprime profondamente nel corpo. Damon, cosa c’è? — Callista si chinò a scrutargli i piedi nudi, e sorrise. — No, sembra che non ci siano lesioni fisiche, ma sono sicura che ti senti semicongelato. Quando avrai finito il brodo, forse dovresti fare un bagno caldo. Così la circolazione riprenderà.

Sentì lo sguardo interrogativo di Andrew e proseguì: — Davvero, non so se è il freddo dei livelli che si riflette sul suo corpo, o se è qualcosa nella sua mente, o se il kirian facilita il riflesso della mente nel corpo, o se rallenta la circolazione e favorisce la visualizzazione del freddo. Ma in ogni caso l’esperienza soggettiva nel sopramondo è il freddo, un gelo che arriva alle ossa: e senza stare a discuterne le cause, l’ho provato abbastanza spesso per sapere che bisogna tenere pronti brodo bollente, mattoni caldi, un bagno caldo e molte coperte, per chi ritorna da un simile viaggio.

Damon non se la sentiva di restare solo, neppure in bagno. Finché stava sdraiato, andava tutto bene: ma quando cercò di sollevarsi a sedere e di camminare, gli parve che il suo corpo diventasse rarefatto, immateriale, e che i suoi piedi non toccassero il pavimento: camminava incorporeo, dissolvendosi nello spazio vuoto. Udì, con un fremito di vergogna, il proprio gemito sommesso di protesta.

Sentì il saldo braccio di Andrew passare sotto il suo, sostenerlo, renderlo di nuovo concreto e reale. Disse, quasi scusandosi: — Mi dispiace. Ho la sensazione di scomparire.

— Non ti lascerò cadere. — Alla fine, Andrew dovette portarlo in bagno quasi di peso. L’acqua calda restituì a Damon la sensazione della realtà fisica. Andrew, che Callista aveva avvertito di quella reazione, sospirò di sollievo quando lo vide riprendersi. Si sedette su uno sgabello accanto alla vasca e disse: — Sono qui, se hai bisogno di me.

Damon si sentì invadere da un caldo e traboccante senso di gratitudine. Com’erano tutti buoni, con lui, e premurosi, e affettuosi! Come li amava tutti! Restò immerso nel bagno, euforico, pieno di un’esaltazione immensa quanto l’infelicità di prima, finché l’acqua cominciò a raffreddarsi. Andrew, senza badare alla sua richiesta di mandargli il valletto, lo issò fuori dalla vasca, l’asciugò, e l’avvolse in un accappatoio. Quando tornarono dalle donne, Damon navigava ancora nell’euforia. Callista aveva ordinato un pasto: Damon mangiò lentamente, assaporando ogni boccone, pensando che il cibo non gli era mai parso così buono, così gradito.

In fondo alla mente sapeva che quell’euforia faceva parte della reazione e prima o poi avrebbe ceduto il posto a un’enorme depressione: ma vi stava aggrappato, godendone, cercando di assaporarne ogni momento. Quando ebbe mangiato tutto quello che poteva (anche Callista aveva mangiato come un cavallante, dopo lo sfinimento del lungo controllo), implorò: — Non voglio rimanere solo. Non possiamo stare tutti insieme, come al solstizio?

Callista esitò; poi disse, lanciando un’occhiata a Andrew: — Certamente. Nessuno di noi ti lascerà, quando hai bisogno di averci vicini.

Sapendo che la presenza dei servitori non telepati sarebbe stata intensamente dolorosa per Damon e Callista nello stato attuale, Andrew andò a portar fuori i piatti e gli avanzi. Quando tornò erano tutti a letto: Callista era già addormentata, vicina alla parete; Damon teneva Ellemir fra le braccia, a occhi chiusi. Ellemir alzò la testa, assonnata, e gli fece posto al proprio fianco; Andrew s’infilò nel letto, senza esitare. Gli sembrava giusto e naturale: una risposta necessaria all’esigenza di Damon.

Damon, che teneva stretta a sé Ellemir, sentì Andrew e poi Ellemir addormentarsi: ma restò sveglio. Non voleva lasciarli neppure nel sonno. Non provava neanche l’ombra del desiderio (sapeva che in quelle condizioni non l’avrebbe provato per diversi giorni), ma era contento di sentire Ellemir tra le braccia, con i capelli contro la sua guancia, e di ritrovare la certezza che lui, proprio lui, era reale. Sentiva Andrew vicino: un saldo baluardo che lo proteggeva dalla paura. Sono qui con i miei cari, non sono solo. Sono al sicuro.

Gentilmente, senza desiderio, accarezzò Ellemir, sfiorandole con le dita i morbidi capelli, il collo nudo, il seno. La sua consapevolezza era tale che gli permetteva di sentire, attraverso il sonno, la percezione che aveva Ellemir di quel contatto. Come gli era stato insegnato tanto tempo prima, lasciò che quella percezione penetrasse attraverso il corpo di lei, captando senza sorpresa i mutamenti nei seni e nel grembo. Era stato così attento, dopo che lei aveva perso il bambino: doveva essere stata opera di Andrew. Ma andava bene anche così, pensò. Lui e lei erano parenti troppo stretti. Le baciò la nuca, così riscaldato e pieno d’amore che aveva l’impressione di scoppiarne. Per istinto aveva protetto Ellemir dal pericolo di un figlio dopo tante generazioni di unioni tra consanguinei, e adesso lei avrebbe potuto avere il bambino che desiderava, senza paura. Sapeva, con una profonda certezza interiore, che quel bambino non sarebbe stato perso troppo presto per poter vivere, e si rallegrò per Ellemir, per tutti loro. Tese la mano, al di sopra del corpo di lei, per sfiorare il polso di Andrew nel buio. Andrew non si svegliò, ma strinse le dita di Damon nel sonno. Amico mio. Fratello mio. Non sai ancora della nostra fortuna? Mentre stringeva a sé Ellemir, pensò con un brivido che avrebbe potuto morire là, sui livelli superiori del sopramondo, avrebbe potuto non rivedere più coloro che amava tanto: ma quel pensiero non lo turbava.

Andrew si sarebbe preso cura di loro, per tutta la loro vita. Ma era bello, essere ancora con loro, condividere quel calore, pensare ai bambini che avrebbero avuto, alla vita che li attendeva. Non sarebbe stato più solo. Si addormentò, pensando: Non sono mai stato tanto felice in vita mia.

Quando si svegliò, molte ore dopo, gli ultimi residui del calore e dell’euforia erano svaniti. Si sentiva infreddolito e solo: il suo corpo era indistinto, sul punto di svanire. Non riusciva a sentire le proprie membra, e si strinse a Ellemir in uno scatto di panico. Quel tocco la svegliò subito, e lei reagì al suo disperato bisogno di contatto stringendosi a lui, calda, sensuale, viva contro il suo freddo di morte. Damon sapeva, razionalmente, che non poteva far nulla con lei, dal punto di vista sessuale: e tuttavia la teneva avvinta, tentando disperatamente di accendere in se stesso un guizzo, un riflesso dell’amore che provava per lei. Era il tormento del bisogno, e Ellemir, angosciata, sapeva che in realtà non era un bisogno sessuale. Lo tenne stretto e lo calmò, e fece tutto ciò che poteva: ma nel profondo sfinimento Damon non poteva alimentare neppure i fuggevoli guizzi di eccitazione che andavano e venivano. Ellemir temeva che lui si esaurisse ancora di più in quel tentativo senza speranza, ma non le veniva in mente nulla che non potesse ferirlo ulteriormente. Si sentiva spezzare il cuore, in quella tenerezza frenetica. Infine, come lei sapeva che avrebbe dovuto fare, Damon sospirò e la lasciò. Avrebbe voluto dirgli che non importava, che lei comprendeva: ma per Damon era importante, e lei lo sapeva, e non ci sarebbe mai stata una possibilità di cambiarlo. Lo baciò, semplicemente, accettando il fallimento e la disperazione di lui, e sospirò.

Ma adesso Damon percepì che gli altri erano svegli. Protese la mente, con delicatezza, annodando intorno a sé il quadruplice legame, più rassicurante del disperato tentativo sessuale. Intenso, consapevole, più intimo del contatto fisico, al di là delle parole, al di là del sesso… Si sentirono fondersi in un unico essere. Andrew, percependo in sé il bisogno di Damon, si girò verso Ellemir, che si gettò impaziente fra le sue braccia. L’eccitazione crebbe, diffondendo fremiti ondeggianti in tutti loro, avviluppando perfino Callista, dissolvendoli in un’unica entità di contatto e di slancio e di reazioni. Di chi erano le calde labbra, di chi erano le cosce, di chi le braccia strette in un amplesso ardente? L’eccitazione traboccava, si diffondeva come un’ondata, una marea di fuoco, un’esplosione rovente e fremente di piacere e di esaudimento. Quando si placò, o meglio si stabilizzò a un livello meno intenso, Ellemir scivolò via dalle braccia di Andrew e si strinse a Callista, abbracciandola, aprendo la propria mente alla sorella. Callista si aggrappò assetata al contatto mentale, tentando di trattenere qualcosa di quella vicinanza, dell’intimità cui poteva partecipare solo a quel modo, di riflesso. Per un momento, cinta dall’ininterrotta catena dell’emozione, dimenticò il proprio corpo incapace di reagire.

Andrew, quando la mente di Callista si aprì del tutto, così che in un certo senso era stata lei tra le sue braccia, provò un’esaltazione vertiginosa. Gli sembrava di essere straripato, d’invadere tutto lo spazio della stanza, di stringerli tutti e tre fra le braccia; e Damon e Callista captarono il suo pensiero impulsivo: Vorrei poter essere dovunque! Vorrei far l’amore con tutti voi, contemporaneamente! Damon si accostò a Andrew, stringendolo nel confuso desiderio di partecipare in qualche modo a quel piacere e a quell’intimità così profondi, al lento ripetersi dell’eccitazione risorta, alle carezze dolci e intense…

Poi lo sbigottimento, il trauma (cosa diavolo succede?), quando Andrew comprese di chi erano le mani che l’accarezzavano. La fragile ragnatela del contatto s’infranse come vetro, si spezzò con un brusco urto fisico. Callista lanciò un grido tremulo come un singulto, e Ellemir urlò col pensiero: Oh, Andrew, come hai potuto!

Andrew giacque immobile, costringendosi a non scostarsi fisicamente da Damon. È mio amico. Non è una cosa così importante. Ma il momento era passato. Damon si voltò, nascondendo la faccia nel cuscino, e disse con voce rauca:

— Per gli inferni di Zandru, Andrew, per quanto tempo io e te dovremo aver paura uno dell’altro?

Sbattendo le palpebre, Andrew affiorò lentamente dalla confusione. Si rendeva conto solo vagamente di ciò che era accaduto. Si voltò e posò una mano sulla spalla tremante di Damon, dicendo in tono impacciato: — Mi dispiace, fratello. Mi hai colto di sorpresa, ecco tutto.

Damon aveva recuperato l’autodominio: ma era stato sorpreso nel momento della vulnerabilità più profonda, quando era interamente aperto a tutti, e quella ripulsa l’aveva ferito indicibilmente. Tuttavia era un Ridenow, e aveva il dono dell’empatia, e si afflisse dell’angoscia e del rimorso di Andrew. — Un altro dei tuoi tabù culturali?

Andrew annuì, sconvolto. Non aveva mai pensato di poter fare qualcosa che ferisse Damon così atrocemente. — Mi… Damon, mi dispiace. È stato un… una specie di riflesso, ecco tutto. — Goffamente, ancora impaurito dall’immensità di ciò che aveva fatto a Damon, si chinò e l’abbracciò con delicatezza. Damon rise, ricambiò l’abbraccio e si sollevò a sedere. Si sentiva esausto, dolorante: ma il disorientamento era passato.

Terapia d’urto, pensò. Nei casi d’isterismo, erano efficaci i modi suadenti. Ed era efficace anche uno schiaffo. Quando si alzò per lavarsi e vestirsi, si sentì solido, di nuovo reale. Pensò, sobriamente, che non era poi così terribile, dopotutto. Questa volta, quando Andrew aveva ricevuto un trauma per uno dei suoi tabù radicati, non era fuggito, non aveva cercato di svincolarsi. Sapeva di aver ferito Damon, e accettava il fatto.

Indugiarono un attimo nell’anticamera dell’appartamento, quando le donne si furono vestite e se ne andarono. Andrew guardava Damon timidamente, chiedendosi se era ancora in collera con lui.

— Non sono in collera — disse Damon. — Avrei dovuto aspettarmelo. Hai sempre avuto paura della sessualità maschile, no? Quella prima notte, quando tu e Callista siete entrati in contatto telepatico con me e Ellemir, l’ho sentito subito. Ci sono state tante cose di cui preoccuparci, quella notte, che poi me ne sono dimenticato: ma quando ci siamo toccati per caso, nel collegamento, tu hai ceduto al panico. — Sentiva ancora la reazione incerta di Andrew, il suo turbamento. — È culturalmente indispensabile considerare alla stregua di minaccia ogni sessualità maschile eccettuata la propria?

— Non ho paura — disse Andrew, con un guizzo di collera. — Solo che mi ripugna quando è diretta verso di me.

Damon scrollò le spalle. — Gli umani non sono animali di branco che considerano ogni altro maschio un rivale e una minaccia. A te è impossibile trovare piacere nella sessualità maschile?

Andrew rispose, disgustato: — Sì, diavolo. Perché, tu ci trovi piacere?

— Certo — disse Damon, sbalordito. — Godo la… la consapevolezza della tua virilità come godo la femminilità delle donne. È così difficile da capire? Mi rende più conscio della mia… della mia virilità. — S’interruppe, con una risata inquieta. — Come abbiamo potuto metterci in un simile groviglio? Neppure la telepatia serve a qualcosa: non ci sono immagini mentali che possano accompagnarsi alle parole. — Aggiunse, più gentilmente: — Non sono uno che va con gli uomini, Andrew. Ma mi è difficile capire questa specie di… paura.

Andrew mormorò, senza guardarlo: — Credo che non abbia molta importanza. Non qui.

Damon era sbigottito al pensiero che una cosa per lui così semplice suscitasse tanti dubbi e tante paure autentiche nel suo amico. Disse, turbato: — No. Ma vedi, siamo sposati a due gemelle. Probabilmente trascorreremo insieme gran parte delle nostre vite. Dovrò sempre temere che un momento di… di affetto ti alieni, ti sconvolga al punto di ferire tutti noi, anche le donne? Avrai sempre timore che io… che io varchi un confine invisibile, che cerchi d’importi qualcosa… qualcosa che ti ripugna tanto? Per quanto tempo… — La sua voce si spezzò. — Per quanto tempo continuerai a stare in guardia contro di me?

Andrew era in preda a un profondo disagio. Avrebbe voluto essere lontano mille miglia, per non restare così, esposto all’intensità e alla vicinanza di Damon. Non aveva mai compreso cosa significava essere un telepate, parte di un gruppo come quello, in cui era impossibile nascondersi. Ogni volta che cercavano di celarsi l’uno all’altro, il risultato era l’angoscia. Dovevano affrontare la realtà. Alzò la testa di scatto e guardò Damon negli occhi. Disse, a voce bassa: — Ascolta: tu sei mio amico. Tutto quello che vuoi… per me va sempre bene. Cercherò di non… di non sentirmi troppo sconvolto. E… — Neppure le loro mani si toccavano, ma aveva la sensazione che lui e Damon fossero vicinissimi, abbracciati come fratelli. — Mi dispiace di averti offeso. Non vorrei farti male per nulla al mondo, Damon: e se non lo sai, devi saperlo.

Damon lo fissò, profondamente commosso, intuendo l’enorme coraggio cui Andrew aveva dovuto fare appello per dire quelle parole. Uno straniero, venuto da tanto lontano. Sapendo che Andrew aveva colmato per più della metà l’abisso da lui aperto, gli sfiorò delicatamente il polso, nel tocco lievissimo che i telepati usavano tra loro per intensificare la comunicazione. Disse, gentilmente: — E io cercherò di ricordare che tutto questo ti è ancora estraneo. Sei uno di noi, ormai, e io dimentico di tener conto delle tue differenze culturali. E adesso basta. C’è un lavoro da compiere. Devo frugare negli archivi di Armida per vedere se esiste qualche documentazione della vecchia festa della Fine dell’Anno, anteriore alle epoche del caos e all’incendio di Neskaya. Altrimenti dovrò cercare negli archivi delle altre Torri, e almeno in parte sarà necessario farlo per collegamento telepatico. Non posso andare ad Arilinn e a Neskaya e a Dalereuth: ma adesso sono convinto che un giorno troveremo la soluzione.

Cominciò a spiegarlo a Andrew. Si sentiva ancora esausto e depresso: la stanchezza del lungo viaggio nel sopramondo l’opprimeva con l’inevitabile reazione. Si disse che non doveva dare a Andrew la colpa del proprio stato d’animo. Sarebbe stato più facile quando fossero tornati tutti alla normalità.

Ma almeno, pensò, adesso c’era una speranza.

Загрузка...