CAPITOLO SETTIMO

Gli uomini che erano stati vittime del congelamento si stavano riprendendo; ma poiché per ora erano invalidi, un nuovo fardello di lavoro fisico toccò a Andrew; e perfino Damon dava una mano di tanto in tanto. Il tempo si era calmato, ma Dom Esteban diceva che era soltanto una tregua prima che le vere tempeste invernali scendessero dagli Heller coprendo le basse colline di neve destinata a durare per mesi.

Damon si era offerto di andare a Serrais con Andrew e di portare qualcuno degli uomini in soprannumero di quella tenuta, perché lavorassero lì fino alla fine dell’inverno e aiutassero a curare i campi all’inizio della primavera. Il viaggio sarebbe durato più di dieci giorni. Quel mattino stavano facendo i piani nella Grande Sala di Armida. I malesseri mattutini di Ellemir erano passati, e come al solito lei era nelle cucine a dirigere il lavoro delle donne. Callista era seduta accanto al padre, quando all’improvviso si raddrizzò sul sedile con aria inquieta. Disse: — Oh… Elli, Elli… oh, no! — Ma prima ancora che lei si alzasse in piedi, Damon aveva rovesciato la sedia per correre verso le cucine. In quel momento si levarono grida dalle altre stanze.

Dom Esteban borbottò: — Cos’hanno, quelle donne? — Ma nessuno l’ascoltava. Anche Callista si era precipitata verso la porta delle cucine. Dopo un attimo, Damon tornò di corsa e fece un cenno a Andrew.

— Ellemir è svenuta. Non voglio che nessun estraneo la tocchi. Puoi portarla tu?

Ellemir giaceva accasciata sul pavimento della cucina, circondata dalle donne sgomente. Damon fece loro segno di allontanarsi, e Andrew sollevò Ellemir tra le braccia. Era spaventosamente pallida: ma Andrew non sapeva nulla delle gravidanze, e quello svenimento, pensò, non doveva essere molto allarmante.

— Portala nella sua stanza, Andrew. Io vado a chiamare Ferrika.

Andrew aveva appena deposto Ellemir sul letto quando Damon arrivò insieme alla levatrice. Strinse le mani della moglie, entrando in rapporto telepatico con lei e cercando il fioco e informe contatto con la creaturina. Mentre sentiva ripercuotersi nel proprio corpo i tormentosi spasimi che straziavano Ellemir, comprese ciò che stava accadendo. Supplicò: — Non puoi fare qualcosa?

Ferrika rispose, gentilmente: — Farò tutto quello che posso, nobile Damon. — Ma al di sopra della sua testa china, l’uomo incontrò gli occhi di Callista: erano pieni di lacrime. Lei disse: — Ellemir non è in pericolo, Damon. Ma è già troppo tardi per la piccina.

Ellemir strinse convulsamente le mani del marito. — Non lasciarmi — implorò, e lui mormorò: — No, amore. Mai. Resterò con te. — Era la tradizione: nessun telepate Comyn dei Domimi lasciava sola la moglie quando partoriva la loro creatura, o rifiutava di condividere le sue sofferenze. E adesso lui doveva dare a Ellemir la forza per sopportare la loro perdita, non per prepararsi alla gioia. Represse l’angoscia e s’inginocchiò accanto a lei, tenendola fra le braccia, stringendola a sé.

Andrew era ritornato da Dom Esteban: poteva dirgli solo che Damon e Callista erano con Ellemir, e che avevano mandato a chiamare Ferrika. Per tutta la giornata si sentì oppresso dalla lugubre atmosfera che pesava sulla casa. Perfino le ancelle stavano riunite in gruppetti impauriti. Andrew avrebbe voluto entrare in contatto con Damon e cercare di dargli forza, di rassicurarlo: ma cosa poteva dire, cosa poteva fare? Una volta, alzando gli occhi verso le scale, vide Dezi che entrava nella sala esterna. Il ragazzo chiese: — Come sta Ellemir? — Il risentimento di Andrew traboccò.

— Te ne importa molto, a te?

— Io non voglio male, a Elli — rispose, stranamente mesto. — È l’unica, qui, che sia buona con me. — Voltò le spalle a Andrew e se ne andò, e il terrestre ebbe la strana sensazione che anche Dezi fosse sul punto di piangere.

Damon e Ellemir erano stati così felici per il loro bambino, e adesso… questo! Andrew si chiese, assurdamente, se per caso la sua sfortuna era contagiosa, se i tormenti del suo matrimonio si erano comunicati all’altra coppia. Poi, rendendosi conto che quella era una pazzia, scese nella serra e cercò di distrarsi dando ordini ai giardinieri.

Molte ore dopo, Damon uscì dalla stanza dove giaceva Ellemir, addormentata, dimentica del dolore e dell’angoscia, vinta da una delle pozioni soporifere di Ferrika. La levatrice, soffermandosi per un momento accanto a lui, disse gentilmente: — Nobile Damon, meglio che sia accaduto ora piuttosto che veder nascere deforme quella povera creatura. La misericordia di Avarra assume talvolta strani aspetti.

— So che hai fatto tutto quello che potevi, Ferrika. — Ma Damon le voltò le spalle, depresso: non voleva che lo vedesse piangere. Lei comprese e scese le scale in silenzio, mentre Damon procedeva come un cieco. D’istinto si diresse alla serra, e vi trovò Andrew: il terrestre gli andò incontro, chiedendo a bassa voce: — Come sta Ellemir? È fuori pericolo?

— Sarei qui, se non lo fosse? — ribatté Damon; poi, ricordando, si lasciò cadere su una cassa, si coprì la faccia con le mani e si abbandonò al dolore. Andrew gli rimase accanto, tenendogli una mano sulla spalla e tentando senza parlare di dargli un sostegno, di comunicargli la consapevolezza della sua pietà.

— Il peggio è — disse infine Damon, alzando la faccia stravolta, — che Elli pensa di avermi deluso per non aver potuto dare alla luce nostra figlia. Ma se qualcuno ne ha colpa, sono io, che le ho permesso di occuparsi da sola di questa casa tanto grande. Ho colpa io comunque! Siamo parenti troppo stretti, due volte cugini, e spesso in tale parentela c’è un’eredità di morte. Non avrei mai dovuto sposarla! Non avrei mai dovuto sposarla! Io l’amo, l’amo, ma sapevo che desiderava un figlio, e avrei dovuto capire che era pericoloso, che eravamo parenti troppo stretti… Non so se avrò il coraggio di lasciare che tenti di nuovo. — Alla fine si calmò un poco e si alzò, dicendo con voce stanca: — Dovrei tornare da lei. Quando si sveglierà, mi vorrà accanto. — Per la prima volta da quando Andrew lo conosceva, dimostrava tutti i suoi anni.

E lui aveva invidiato a Damon la sua felicità! Ellemir era giovane, avrebbe potuto avere altri figli. Ma col peso di quel senso di colpa?

Più tardi Andrew trovò Callista nella piccola distilleria, con un fazzoletto sbiadito avvolto intorno ai capelli per proteggerli dall’odore delle erbe. Lei alzò il volto, e Andrew scorse i segni del pianto. Aveva condiviso quel tormento con la sorella? Ma la sua voce aveva la calma distaccata che lui ormai si attendeva in Callista: e ora, inspiegabilmente, gli dava fastidio.

— Sto preparando qualcosa per ridurre l’emorragia: dev’essere appena fatto, per essere efficace, e lei deve berlo ogni ora. — Callista stava pestando grosse foglie grigiastre in un piccolo mortaio. Gettò la poltiglia in un bicchiere a cono e la mise a filtrare attraverso strati di tessuto finissimi, poi misurò con cura un liquido incolore e lo versò.

— Ecco. Deve filtrare, prima che io possa proseguire. — Si girò verso di lui, alzando gli occhi. Andrew chiese: — Ma Elli… si riprenderà? E potrà avere altri figli, in futuro?

— Oh, sì, credo di sì.

Andrew avrebbe voluto prenderla tra le braccia, consolarla della sofferenza che lei aveva diviso con la gemella. Ma non osò neppure sfiorarle la mano. Tormentato dalla frustrazione, le voltò le spalle.

Mia moglie. E non l’ho mai neppure baciata. Damon e Ellemir hanno in comune il dolore; ma io, cos’ho in comune con Callista?

Gentilmente, pensando al tormento negli occhi di lei, chiese: — Amore, è davvero una tragedia così grande? Non è come se avesse perso davvero un bambino. Un bambino pronto per nascere, sì, capirei; ma un feto, a questo stadio? Come può essere tanto terribile?

Non era preparato all’orrore e alla rabbia con cui Callista si girò verso di lui. Era pallidissima, e gli occhi le bruciavano come la fiamma sotto la storta. — Come puoi dire una cosa simile? — mormorò. — Come osi? Non sai che per due volte in dieci giorni Damon e Ellemir sono stati in contatto con… con la sua mente? Avevano imparato a conoscerla come una presenza reale, la loro figlia. — Andrew rabbrividì di fronte alla sua collera. Non aveva mai pensato che in una famiglia di telepati un bambino non ancora nato potesse essere una presenza. Così presto? E che specie di pensieri poteva avere un feto, a un terzo della gravidanza… Ma Callista captò il disprezzo in quel pensiero. Esclamò, tremando: — Vorresti dire che non sarebbe una tragedia se nostro figlio o nostra figlia morisse prima di essere abbastanza forte da vivere fuori dal mio corpo? — La sua voce vibrava. — Quello che non puoi vedere non è reale, terrestre?

Andrew alzò la testa per ribattere incollerito: A quanto sembra, non lo sapremo mai: non è probabile che tu mi dia un figlio, finché le cose stanno così. Ma tacque, scorgendo il volto sbiancato e sofferente di lei. Non poteva ribattere, provocazione per provocazione. Quel «terrestre» l’aveva ferito; ma le aveva promesso che non avrebbe mai tentato di farle fretta, di esercitare la minima pressione su di lei. Ringoiò quelle parole di collera, e poi vide, nello sgomento che passava sul volto di Callista, che lei le aveva udite comunque.

Certo. È una telepate. Per lei la risposta che non ho pronunciato è reale come se l’avessi gridata.

— Callista — mormorò. — Tesoro. Ti chiedo scusa. Perdonami. Non intendevo…

— Lo so. — Vacillando, lei si accostò e l’abbracciò, appoggiandogli la testa contro il petto. Rimase, tremante, nel cerchio delle sue braccia. — Oh, Andrew, Andrew, vorrei che avessimo almeno questo… — mormorò, singhiozzando.

Lui la tenne stretta a sé, senza osare muoversi. Callista era tesa, leggera come una piuma, come un uccellino che fosse volato a lui e che sarebbe fuggito di nuovo a una parola, a un gesto incauto. Dopo un momento i suoi singhiozzi si acquietarono, e alzò verso di lui il volto con la solita espressione rassegnata. Poi si scostò, così delicatamente che Andrew non si sentì abbandonato.

— Guarda, il liquido è filtrato. Devo finire la medicina per mia sorella. — Gli sfiorò le labbra con le dita, nel gesto consueto: lui le baciò, e comprese che, stranamente, quel litigio li aveva avvicinati di più.

Per quanto tempo ancora? In nome di tutti gli dèi, per quanto tempo possiamo andare avanti così? E mentre quel pensiero gli sfrecciava nella mente, non riuscì a comprendere se era suo o di Callista.


Tre giorni dopo, com’era stato deciso, Andrew e Damon partirono per Serrais. Ellemir era fuori pericolo, e Damon non poteva fare più nulla per lei. Nulla avrebbe potuto aiutarla se non il tempo, e Damon lo sapeva.

Andrew si sentiva stranamente sollevato all’idea di andarsene, anche se si sarebbe vergognato di ammetterlo. Non si era accorto che la tensione tra lui e Callista e l’atmosfera di silenziosa angoscia l’avessero oppresso tanto ad Armida.

I grandi altopiani, le montagne in lontananza… Avrebbe potuto essere l’allevamento di cavalli della sua infanzia. Eppure doveva solo aprire gli occhi per vedere il grande sole rosso (che brillava come un occhio iniettato di sangue attraverso le nebbie del mattino), per ricordare che quella non era la Terra. Era metà mattina, ma due piccole lune indistinte — una viola-pallida e l’altra verde-tiglio — passavano basse oltre la cresta delle colline: una era quasi piena, l’altra una falce calante. Perfino l’odore dell’aria era strano: eppure adesso quella era la sua patria, la sua patria per tutto il resto della sua vita. E Callista l’aspettava. Conservava nella mente il ricordo del suo volto, pallido e sorridente in cima alla scalinata mentre lui si allontanava. Conservava quel sorriso nella memoria: nonostante tutta la pena che le aveva portato il matrimonio, era riuscita a sorridergli, a porgergli le dita da baciare, ad augurargli di andare con gli dèi, nel morbido linguaggio che lui incominciava finalmente a comprendere: — Adelandeyo.

Anche Damon si rianimava a vista d’occhio, via via che i chilometri scorrevano sotto gli zoccoli dei cavalli. Gli ultimi giorni avevano inciso nuove rughe sul suo volto: ma adesso non sembrava più vecchio, oppresso dall’angoscia.

A mezzogiorno smontarono per consumare il pasto, e legarono i cavalli perché pascolassero l’erba nuova che spuntava robusta attraverso i resti dell’ultima tormenta di neve. Trovarono un tronco asciutto e vi si sedettero, circondati dai boccioli che gettavano via i baccelli invernali e prorompevano in corolle coloratissime come se fosse già primavera. Ma quando Andrew glielo chiese, Damon ribatté: — Primavera? Per gli inferni di Zandru, no, non è ancora pieno inverno, e non lo sarà fin dopo la festa del solstizio! Oh, i fiori? — Rise. — Col clima che c’è qui, fioriscono ogni volta che ci sono un paio di giorni di sole e di caldo. I tuoi scienziati terrestri usano un’espressione apposita: adattamento evolutivo. Tra le colline di Kilghard ci sono soltanto pochi giorni in piena estate in cui non nevica, perciò i fiori sbocciano appena c’è un po’ di sole. Se pensi che qui sia strano dovresti andare negli Heller, a vedere i fiori e i frutti che crescono intorno a Nevarsin. Qui non possiamo coltivare i meloni glaciali, lo sai. È troppo caldo: sono piante dei nevai. — E in effetti Damon si era tolto il mantello foderato di pelliccia e cavalcava in maniche di camicia, sebbene Andrew fosse ancora imbacuccato per ripararsi da quella che a lui sembrava una giornata fredda e pungente.

Damon aprì l’involto dei viveri che Callista aveva preparato per il viaggio, e scoppiò a ridere. — Callista dice, per scusarsi, che s’intende poco del governo di una casa. Ma siamo fortunati, perché non ha ancora imparato quali sono i viveri adatti per i viaggiatori! — C’erano un pollo arrosto freddo, che Damon divise con il coltello, e una pagnotta che conservava ancora un po’ del calore del forno. Andrew non immaginava perché l’altro stesse ridendo. Disse: — Non capisco cosa ci sia di tanto divertente. Callista mi ha chiesto cos’avrei voluto mangiare durante una lunga cavalcata, e io gliel’ho detto.

Ridendo, Damon porse a Andrew una generosa razione di carne. Era fragrante di spezie che il terrestre non aveva ancora imparato a riconoscere. — Non so perché (per consuetudine, credo), le provviste che toccano ai viaggiatori sono pane duro, carne secca, frutta secca e noci, e roba del genere. — Guardò Andrew che affettava il pane, confezionando un sandwich con la carne arrosto. — Dev’essere buono. Proverò anch’io. E… meraviglia delle meraviglie, Callista ci ha dato anche mele fresche. Bene, bene! — Ridendo, addentò soddisfatto la coscia del pollo arrosto. — Non mi sarebbe mai venuto in mente di contestare il vitto dei viaggiatori, e Elli non avrebbe mai pensato di chiedermi cosa volevo! Forse, sul nostro mondo, qualche idea nuova può tornare comoda.

Si calmò, immergendosi nei propri pensieri, mentre guardava Andrew mangiare il pane e la carne. Anche lui aveva avuto pensieri eretici, a proposito del lavoro con le matrici, fuori dalle Torri. Doveva esserci una soluzione. Ma sapeva che se ne avesse parlato a Leonie lei sarebbe inorridita, come se fossero ancora i tempi di Regis IV.

Naturalmente Leonie sapeva che lui si era servito di una matrice. Tutte le matrici autorizzate e sintonizzate su un telepate Comyn venivano controllate dai grandi schermi della Torre di Arilinn. Potevano averlo identificato dalla sua matrice; e anche Dezi, e forse addirittura Andrew, sebbene Damon non ne fosse sicuro.

Ammesso che qualcuno stesse osservando. C’erano pochi telepati disponibili per compiti non essenziali, come sorvegliare gli schermi delle matrici, e probabilmente nessuno se n’era accorto. Ma gli schermi c’erano, e ogni matrice di Darkover era legalmente soggetta al controllo. Era possibile seguire perfino quelli come Domenic, che erano stati sottoposti alla prova del laran e avevano ricevuto una matrice ma non l’avevano mai usata.

Quella era un’altra ragione per cui Damon pensava che non avrebbe dovuto rinunciare a un telepate come Dezi. Anche se la sua personalità non s’integrava nell’intimità di un cerchio (e Damon era disposto ad ammettere che non doveva essere facile coesistere con Dezi), si sarebbe potuto utilizzarlo per sorvegliare gli schermi.

Pensò, ironicamente, che quel giorno era pieno di pensieri eretici. Chi era, lui, per mettere in discussione le decisioni di Leonie di Arilinn?

Finì la coscia del pollo arrosto, osservando pensoso il terrestre. Andrew stava mangiando una mela, e fissava assorto la distante catena di colline.

È mio amico. Eppure è venuto qui da una stella tanto lontana che non posso vederla nel cielo, di notte. Ma il fatto stesso che ci siano altri pianeti come il nostro, in tutto l’universo, cambierà il nostro mondo.

Guardò le colline lontane e pensò: Io non voglio che il nostro mondo cambi. Poi rise amaramente di se stesso. Se ne stava lì a pianificare un modo per alterare l’uso delle matrici su Darkover, a pensare a una riforma del sistema delle antiche Torri che custodivano le vecchie scienze delle matrici, le custodivano nei modi collaudati, decisi tante generazioni prima.

Disse: — Andrew, perché sei qui? Su Darkover?

Andrew scrollò le spalle. — Sono finito qui per caso. Era un lavoro come un altro. Poi un giorno ho conosciuto Callista… ed eccomi qui.

— Non è questo, che intendevo. Perché la tua gente è qui? Cosa vuole la Terra dal nostro mondo? Non è ricco, non c’è niente da sfruttare. So abbastanza del vostro impero per sapere che quasi tutti i mondi colonizzati hanno qualcosa da dare. Perché Darkover? Il nostro è un mondo con pochi metalli pesanti, un mondo isolato con un clima che la tua gente, mi sembra di capire, giudica inospitale. Cosa vogliono i terrestri da noi?

Andrew intrecciò le mani intorno alle ginocchia, e disse: — Sul mio mondo c’è una vecchia storiella. Un tale chiede a un esploratore perché ha deciso di scalare una montagna, e quello si limita a rispondere: «Perché c’è!».

— Non mi sembra una ragione sufficiente per costruire un astroporto — replicò Damon.

— Non capisco. Diavolo, Damon, io non sono un costruttore d’imperi. Avrei preferito restare nell’allevamento di cavalli di mio padre. Secondo me, è l’ubicazione. Tu lo sai che la galassia ha la forma di una gigantesca spirale? — Andrew raccolse un fuscello e tracciò uno schizzo sulla neve quasi sciolta. — Questa è la spirale superiore della galassia, e questo è il braccio inferiore: e qui c’è Darkover. È un posto ideale per controllare il traffico e trasbordare i passeggeri, capisci?

— Ma i viaggi dei cittadini dell’impero da un’estremità all’altra dell’impero stesso non significano niente, per noi.

Andrew scrollò le spalle. — Lo so. Sono sicuro che la Centrale Imperiale avrebbe preferito che ci fosse un mondo disabitato, al crocevia, così non avrebbe dovuto preoccuparsi di chi ci viveva. Ma voi siete qui, e siamo qui anche noi. — Scosse la testa vedendo l’espressione di Damon. — Non sono io a decidere la loro politica, Damon. Non sono neppure sicuro di capirla. A me l’hanno spiegata così, ecco tutto.

La risata di Damon era priva di gaiezza. — E io mi sono stupito nel vedere che Callista ci ha dato carne arrosto e mele fresche per il viaggio! I cambiamenti sono relativi, credo. — Notò l’espressione turbata di Andrew e si sforzò di sorridere. Non era colpa del terrestre. — Speriamo che siano tutti cambiamenti in meglio, come il pollo arrosto di Callie! — Si alzò dal tronco e seppellì con cura il torsolo di mela in un mucchietto di neve. Provò un senso d’angoscia. Se le cose fossero andate diversamente, avrebbe potuto piantare quel melo per sua figlia. Andrew, con la strana sensibilità che dimostrava di tanto in tanto, si chinò accanto a lui, in silenzio, per seppellire anche il suo torsolo di mela. Solo quando furono di nuovo in sella disse, gentilmente: — Un giorno, Damon, i nostri figli mangeranno i frutti di questi alberi.

Rimasero lontani da Armida più di tre decine di giorni. A Serrais, ci volle tempo per trovare uomini validi disposti a lasciare i loro villaggi, e magari le loro famiglie, per lavorare quasi un anno nella tenuta di Armida. Eppure non potevano portar via troppi scapoli, altrimenti avrebbero alterato la vita dei villaggi. Damon cercò di trovare le famiglie che avevano legami di sangue o d’azione con le terre di Armida. Erano molte. Poi volle far visita a suo fratello Kieran, e a sua sorella Marisela e ai figli di lei.

Marisela, una giovane donna dolce e grassottella che somigliava a Damon ma che aveva i capelli biondi anziché rossi, si mostrò addolorata alla notizia dell’aborto di Ellemir. Disse, generosamente, che se non avevano più fortuna entro un anno o due Damon avrebbe potuto avere come figlio adottivo uno dei suoi: un’offerta che sorprese Andrew, ma che Damon accolse come se fosse normalissima.

— Ti ringrazio, Mari. Forse sarà necessario, poiché i figli di coniugi che sono due volte cugini sopravvivono raramente. Io non sento il bisogno di un erede, ma le braccia di Ellemir sono vuote e lei si affligge. E non è probabile che Callista abbia un figlio molto presto.

Marisela disse: — Io non la conosco bene. Anche quando eravamo ragazzine, tutti sapevano che era destinata alla Torre, e non legava molto con le altre. La gente è così pettegola — aggiunse, con veemenza. — Callie aveva tutto il diritto di lasciare Arilinn e di sposarsi, se lo voleva, ma è vero che ci siamo stupiti tutti quanti. So che spesso le Custodi di altre Torri se ne vanno per sposarsi, ma Arilinn? E Leonie è là da tanto tempo: fin da quando posso ricordare io, fin da quando può ricordarlo nostra madre. Eravamo tutti convinti che Callista avrebbe preso il posto di Leonie. Un tempo, le Custodi di Arilinn non potevano lasciare il loro posto neppure se volevano…

— Quel tempo è passato da secoli — osservò impaziente Damon, ma Marisela proseguì imperterrita: — Io sono stata sottoposta alla prova del laran a Neskaya, quando avevo tredici anni, e una delle ragazze mi ha detto che se l’avessero mandata ad Arilinn avrebbe rifiutato perché là le Custodi venivano castrate. Non erano donne ma emmasca, come la leggenda afferma che la figlia di Robardin era emmasca e è diventata donna per amore di Hastur…

— Favole! — esclamò Damon, ridendo. — Questo non avviene più da centinaia d’anni, Marisela.

— Io mi limito a riferire quello che hanno detto a me — replicò Marisela, offesa. — E sicuramente Leonie sembra un emmasca, e Callista… Callista è più magra di Ellemir, e sembra più giovane, quindi non puoi darmi torto se penso che potrebbe non essere donna. Comunque questo non significa che non potesse sposarsi, se voleva, anche se molte non vogliono.

— Marisa, piccola, ti assicuro che la moglie di Andrew non è un emmasca!

Marisela si voltò verso Andrew e domandò: — Callista è incinta?

Andrew rise e scosse il capo. Era inutile irritarsi: i livelli di reticenza erano immensamente diversi da cultura a cultura; e perché lui doveva biasimare Marisela, che dopotutto era cugina di Callista, se chiedeva ciò che tutti desideravano sapere di una giovane sposa? Ricordò quello che Damon aveva detto a proposito di Ellemir, e lo ripeté.

— Preferisco che per un anno o due sia libera da simili preoccupazioni. È ancora molto giovane.

Ma più tardi, in privato, chiese a Damon: — Cos’è un emmasca?

— Questa parola indicava uno dell’antica razza delle foreste. Ora non si uniscono più con gli umani, ma si dice che i Comyn abbiano sangue chieri, specialmente tra gli Heller: alcuni degli Ardais e degli Aldaran hanno mani con sei dita. Non sono sicuro di credere a questa leggenda (qualunque allevatore di cavalli può dirti che un ibrido è sterile), ma si dice che ci sia sangue chieri nei Comyn e che i chieri di un lontano passato si unissero agli umani. Si credeva che un chieri potesse apparire sotto aspetto di uomo a una donna, o sotto aspetto di donna a un uomo, poiché era l’una e l’altra cosa, o forse non era nessuna delle due. Perciò dicono che anticamente anche alcuni Comyn erano emmasca, né uomo né donna ma neutri. Be’, questo avveniva moltissimo tempo addietro, ma secondo la tradizione sono stati loro i primi Custodi: né uomini né donne. Più avanti, quando le donne si sono addossate l’onere di essere Custodi, venivano rese emmasca, castrate chirurgicamente, perché si riteneva più sicuro per una donna lavorare tra gli schermi senza dover portare il peso della femminilità. Ma a memoria d’uomo (e questo posso affermarlo con certezza, perché conosco le leggi di Arilinn) nessuna donna è stata castrata per lavorare nelle Torri. La verginità di una Custode basta a difenderla dai pericoli della femminilità.

— Non ho ancora capito perché sia così — disse Andrew, e Damon spiegò: — È una questione di allineamento dei nervi. I medesimi nervi, nel corpo umano, sono i canali del laran e del sesso. Ricordi che dopo aver lavorato con le matrici siamo restati tutti impotenti per diversi giorni? I medesimi canali nervosi non possono portare contemporaneamente entrambi i tipi d’impulsi. Una donna non ha quella particolare valvola di sicurezza: perciò le Custodi, che devono reggere frequenze tremende e coordinare tutti gli altri telepati, devono mantenere i loro canali a completa disposizione del laran. Altrimenti i loro nervi potrebbero sovraccaricarsi e bruciarsi. Una volta o l’altra ti mostrerò quei canali, se t’interessa. Oppure puoi chiederlo a Callista.

Andrew non approfondì l’argomento. Il pensiero del modo in cui era stata condizionata Callista suscitava ancora in lui una collera così profonda che preferiva non pensarci.

Rientrarono ad Armida dopo un lungo viaggio, interrotto per tre volte dal maltempo che li costrinse a passare la notte in luoghi diversi, talvolta alloggiati in camere lussuose, talvolta dividendo un pagliericcio sul pavimento insieme ai figli più piccoli della famiglia che li ospitava. Andrew, quando vide le luci di Armida dall’altra parte della valle, pensò con una strana intensità che stava veramente tornando a casa. A mezza galassia di distanza dal mondo su cui era nato… eppure quella era la sua casa, e là c’era Callista. Si chiese se tutti gli uomini, quando trovavano una donna che dava un significato alla loro vita, definivano così l’idea di casa: il luogo dove li attendeva l’amata. Damon, almeno, sembrava condividere quel sentimento: pareva lieto di ritornare ad Armida proprio come — circa trenta giorni prima — era parso contento di andarsene. La grande casa di pietra, adesso, aveva un’aria familiare, come se vi avesse sempre vissuto.

Ellemir scese di corsa la scalinata per accogliere Damon nel cortile, e lasciò che lui la sollevasse tra le braccia con slancio esuberante. Aveva l’aria allegra e sana, le guance colorite, gli occhi scintillanti. Ma Andrew non aveva tempo per badare a Ellemir, adesso, perché Callista l’aspettava in cima alla scala, silenziosa e seria. Quando gli rivolse quel lieve mezzo sorriso, per lui significò più di tutta la traboccante gaiezza di Ellemir. Gli porse le mani, e lasciò che lui se le portasse alle labbra e le baciasse una dopo l’altra: poi, tenendo ancora le dita su quelle di lui, lo condusse in casa. Damon si chinò a salutare Dom Esteban con un bacio filiale sulla guancia, e abbracciò in fretta Dezi. Andrew, più riservato, s’inchinò al vecchio, e Callista andò a sederglisi accanto mentre lui riferiva a Dom Esteban com’era andato il viaggio.

Damon chiese notizie degli uomini che erano rimasti vittime del congelamento. I meno gravi erano guariti ed erano ritornati alle loro famiglie; gli altri, quelli che erano stati risanati con la matrice, erano ancora convalescenti. Raimon aveva perso due dita del piede destro; Piedro non aveva recuperato la sensibilità dell’anulare e del mignolo della mano sinistra; ma non erano completamente invalidi, come invece si era temuto.

— Sono ancora qui con noi — disse Ellemir, — perché Ferrika deve ungere i loro piedi con le pomate, la sera e la mattina. Sapevi che Raimon è un ottimo musico? Quasi tutte le sere lo facciamo venire nella sala, e suona per farci danzare, le ancelle e i servitori, e balliamo anch’io e Callista e Dezi, ma adesso che siete tornati… — Si strinse al fianco di Damon, guardandolo felice.

Callista seguì l’occhiata di Andrew e disse sottovoce: — Mi sei mancato, Andrew. Non so dimostrarlo allo stesso modo di Elli. Ma sono più felice di quanto sappia dirti, perché sei di nuovo con noi.

Dopo la cena, nella grande sala, Dom Esteban disse: — Facciamo un po’ di musica?

— Mando a chiamare Raimon? — domandò Ellemir, e uscì. Andrew chiese a Callista: — Canterai per me?

Callista guardò il padre per avere il permesso. Il vecchio annuì e lei prese la piccola arpa e suonò un paio di accordi.


Perché hai quel sangue sulla mano destra,

Fratello, dimmi, dimmi…


Dezi sbuffò per protestare. Ellemir, ritornando, vide la sua espressione turbata e disse: — Callista, canta qualcosa d’altro! — Quando Andrew la fissò con aria interrogativa, spiegò: — Porta sfortuna, se una sorella canta quella ballata in presenza di un fratello. Narra la storia di un uomo che ha ucciso tutti i parenti tranne una sorella, e lei è costretta a condannarlo al bando.

Dom Esteban fece una smorfia e disse: — Non sono superstizioso, e in questa sala non c’è nessuno dei miei figli maschi. Canta pure, Callista.

Turbata, Callista chinò la testa sull’arpa e proseguì:


Eravamo alla festa, lottavamo per gioco,

Sorella, te lo giuro,

Una furia insensata mi ha invaso,

e li ho uccisi vergognosamente.


Cosa sarà di te adesso, cuore mio,

Fratello, dimmi, dimmi…


Andrew, vedendo gli occhi brucianti di Dezi, provò un senso di pena per lui, per l’insulto gratuito che Dom Esteban gli aveva rivolto. Callista cercò lo sguardo di Dezi, come per scusarsi, ma il ragazzo si alzò e uscì sbattendo la porta delle cucine. Andrew pensò che doveva fare qualcosa, dire qualcosa… ma cosa?

Più tardi Raimon entrò zoppicando e appoggiandosi ai bastoni, e cominciò a suonare un ballabile. La tensione si dileguò, quando gli uomini e le donne della tenuta si affollarono al centro della sala: gli uomini in un cerchio esterno, le donne in uno interno, eseguendo le figure di un ballo che si snodava in circoli e spirali. Uno degli uomini tirò fuori una specie di flauto — uno strumento sconosciuto che, pensò Andrew, faceva un baccano infernale — perché un’altra coppia potesse ballare la danza delle spade. Poi cominciarono a danzare a coppie: Andrew, comunque, notò che quasi tutte le donne più giovani ballavano tra di loro. Callista suonava; Andrew fece un inchino a Ferrika per invitarla.

Più tardi vide Ellemir e Damon ballare insieme: lei gli cingeva il collo con le braccia e lo guardava con occhi ridenti. Quella vita gli ricordò i suoi tentativi di ballare con Callista alla loro festa nuziale, contrariamente all’usanza. Bene, adesso nulla glielo impediva. Andò a cercarla: aveva lasciato l’arpa a un’altra donna e stava ballando con Dezi. Quando si separarono, Andrew si avvicinò e tese le braccia.

Callista sorrise gaiamente e venne verso di lui, ma Dezi si mise in mezzo. Parlò con una voce che non si sarebbe udita a un metro di distanza, ma era impossibile non sentire la malignità beffarda del tono: — Oh, non possiamo ancora lasciarvi ballare insieme, vero?

Callista lasciò ricadere le braccia, e impallidì. Andrew sentì uno spicinio di piatti e di bicchieri rotti, chissà dove, per il violento impatto del grido mentale di lei. Evidentemente tutti i presenti che possedevano un’ombra di facoltà telepatica avevano captato quello sfogo angoscioso. Andrew non stette a riflettere. Sferrò un pugno durissimo alla faccia di Dezi, scagliandolo a terra.

Dezi si rialzò lentamente. Si asciugò il sangue dalle labbra: i suoi occhi sfolgoravano di furia. Poi si avventò verso Andrew, ma Damon l’abbrancò alla vita e lo trattenne a forza.

— Per gli inferni di Zandru, Dezi! — sibilò. — Sei impazzito? Sono state proclamate faide di sangue per tre generazioni, per insulti molto meno gravi di quello che hai rivolto a nostro fratello!

Andrew girò lo sguardo sul cerchio di volti inorriditi fino a quando scorse Callista, a occhi sbarrati. All’improvviso lei nascose la faccia fra le mani, si girò e corse fuori dalla sala. Non singhiozzava, ma Andrew sentiva, come vibrazioni tangibili, le lacrime che non poteva piangere.

La voce incollerita di Dom Esteban risuonò nel lungo silenzio imbarazzato.

— La spiegazione più caritatevole per quello che hai fatto, Deziderio, è che ancora una volta hai bevuto più di quanto puoi reggere! Se non sai sopportare il vino da uomo, faresti meglio ad accontentarti di bere shallan, come i bambini. Chiedi scusa al nostro parente, e vattene a dormire!

Era il modo migliore per chiudere l’incidente, pensò Andrew. A giudicare dalla loro confusione, quasi tutti i presenti non sapevano neppure cos’avesse detto Dezi. Avevano soltanto captato l’angoscia di Callista.

Dezi borbottò qualche sillaba. Andrew pensò che fossero parole di scusa. Disse, calmo: — Non mi curo degli insulti che puoi rivolgere a me, ma che uomo sarei se ti permettessi di offendere mia moglie?

Dezi girò la testa verso Dom Esteban (per assicurarsi che non potesse sentire?) e disse in tono sommesso e rabbioso: — Tua moglie? Non sai neppure che un matrimonio libero è legale solo quando è stato consumato? Non è tua moglie più di quanto sia mia! — Poi passò svelto davanti a Andrew e uscì dalla sala.

La serata aveva perso tutta la gaiezza. Ellemir ringraziò in fretta Raimon per la musica e corse via. Dom Esteban chiamò Andrew con un cenno e chiese se Dezi si era scusato. Distogliendo gli occhi (il vecchio era telepate: com’era possibile mentirgli?), Andrew rispose impacciato che l’aveva fatto, e con suo grande sollievo il vecchio lasciò perdere. Cosa poteva fare, del resto? Non poteva dichiarare una faida di sangue contro il fratellastro di sua moglie, un adolescente ubriaco che amava lanciare insulti brucianti.

Ma era vero, ciò che aveva detto Dezi? Quando furono nel loro appartamento, Andrew lo chiese a Damon: e quello, sebbene scuotesse il capo, lo guardò turbato.

— Non preoccuparti, amico mio. Nessuno avrebbe motivo di mettere in discussione la legalità del tuo matrimonio. Le tue intenzioni sono oneste, e nessuno sta a badare ai cavilli legali.

Ma Andrew sentiva che Damon non era riuscito a convincere neppure se stesso. Udì il pianto di Callista che proveniva dalla loro camera; e anche Damon lo udì.

— Come vorrei torcere il collo al nostro Dezi!

Anche Andrew la pensava come lui. Con poche parole maligne, quel ragazzo aveva annientato la gioia della loro riunione.

Callista aveva smesso di piangere, quando lui entrò. Era in piedi davanti al tavolino da toilette: aprì lentamente il fermaglio a forma di farfalla che portava alla nuca, e si lasciò ricadere i capelli sulle spalle. Si voltò e disse, umettandosi le labbra, come se quello fosse un discorso che aveva provato e riprovato fra sé molte volte: — Andrew, mi dispiace… mi dispiace che tu abbia dovuto… È colpa mia.

Si sedette e prese la spazzola d’avorio, facendosela passare lentamente sui capelli. Andrew s’inginocchiò accanto a lei, augurandosi disperatamente di poterla prendere tra le braccia per consolarla. — Colpa tua, amore? E come puoi aver colpa della malignità di quel disgraziato? Non ti dirò di dimenticarlo (so che non puoi), ma non devi turbarti così.

— Ma è colpa mia. — Callista rifiutava d’incontrare il suo sguardo, perfino nello specchio. — Perché sono quella che sono. È colpa mia se quello che ha detto è… vero.

Andrew pensò, con una fitta di rammarico, a Ellemir che si abbandonava tra le braccia di Damon, che gli cingeva il collo mentre ballavano. Infine disse: — Bene, Callie, non ti mentirò: non è facile. Non posso fingere che mi piaccia, questa attesa. Ma ho promesso, e non mi lamento. Lasciamo perdere, amore.

Lei strinse le labbra, ostinatamente. — Non posso lasciar perdere. Non riesci a capire che tu… Il tuo bisogno fa soffrire anche me, perché anch’io ti voglio, e non posso, non oso… Andrew, ascoltami. No, lasciami finire: ricordi quello che ti ho chiesto, il giorno delle nostre nozze? Che se per te questo sarebbe stato difficile, dovevi… dovevi prendere un’altra?

Andrew la guardò attraverso lo specchio e aggrottò la fronte, irritato. — Credevo di averlo chiarito una volta per tutte, Callista. In nome di Dio, credi che m’interessi una delle ancelle o delle serve? — Le aveva dato fastidio, che lui avesse ballato con Ferrika? Aveva forse pensato…

Callista scrollò la testa e disse, con un filo di voce: — No. Ma se potesse servire a qualcosa… Ne ho parlato a Ellemir. E lei mi ha detto… che è disposta.

Andrew la fissò, sbigottito e costernato. — Dici sul serio?

Sì, lei diceva sul serio. Glielo rivelava la sua aria grave, e del resto lui sapeva che non era capace di uno scherzo del genere. — Ellemir? Lei è l’ultima, proprio l’ultima… È tua sorella! Come potrei farti una cosa simile?

— Credi che mi renda felice vederti così avvilito, sapere che un ragazzetto come Dezi può svergognarti in quel modo? E come potrei essere gelosa di mia sorella? — Lui fece un gesto di ripugnanza, e Callista gli tese la mano. — No, Andrew, ascoltami. È la nostra usanza. Se tu fossi uno di noi, sarebbe normale che io e mia sorella ti… ti dividessimo in questo modo. Anche se le cose stessero., come dovrebbero essere, tra noi, e se io fossi malata, o incinta, o semplicemente non… non ti volessi… È una consuetudine molto antica. Hai sentito la ballata di Hastur e Cassilda? Perfino nella ballata si racconta che Camilla ha preso il posto della sua breda tra le braccia del dio, e perciò è morta quando lui è stato aggredito. E così la beata Cassilda è sopravvissuta al tradimento di Alar e ha partorito il figlio del dio… — La sua voce si spense.

Andrew ribatté, seccamente: — Questo può andare benissimo nelle vecchie ballate e favole, ma non nella vita.

— Neanche se io lo volessi, Andrew? Mi sentirei meno colpevole per ogni giorno d’indugio che si aggiunge alla… alla tua sofferenza.

— Questo lascialo a me. Non hai nessuna ragione di sentirti colpevole. — Ma Andrew distolse gli occhi, stanco e sconfitto. Callista si alzò, lasciandosi ricadere i capelli fino alla cintura; poi li prese lentamente a manciate, dividendoli per intrecciarli. Disse, irrigidendosi: — Non lo sopporto più.

Andrew replicò, gentilmente: — Allora spetta a te, porvi fine. — Prese una ciocca dei suoi capelli e se la portò alle labbra, assaporandone la finezza, la delicata fragranza. Quel contatto gli diede le vertigini. Aveva promesso di non cercare di farle fretta. Ma per quanto tempo ancora, per quanto tempo…?

— Tesoro, cosa posso dirti? È una prospettiva tanto spaventosa, anche adesso?

Il tono di Callista era desolato. — So che non dovrebbe esserlo. Ma ho paura. Non credo di essere pronta…

Lui la cinse con le braccia, delicatamente. Disse, quasi in un bisbiglio: — Come puoi saperlo, se non provi? Vuoi venire a dormire accanto a me? Soltanto questo: ti giuro che non ti chiederò nulla che tu non ti senta pronta a darmi.

Lei esitò, torcendosi una ciocca di capelli, e disse: — Non… non sarà peggio, per te, se dovessi decidere che… che non posso, che non sono ancora pronta?

— Devo giurartelo, amor mio? Non ti fidi di me?

Lei rispose, con un sorriso straziante: — Non è di te che non mi fido, marito mio. — Queste parole mozzarono il respiro nella gola di Andrew.

— Allora…? — La teneva tra le braccia, senza stringerla. Dopo molto tempo, quasi impercettibilmente, lei annuì.

Dolcemente, la sollevò tra le braccia e la portò al proprio letto. Disse, adagiandola sui cuscini: — Allora, se pensi così, non è la prova che è venuto il momento, tesoro? Ti prometto che sarò delicato…

Callista scosse la testa, mormorando: — Oh, Andrew, se fosse davvero così semplice! — I suoi occhi si riempirono di lacrime. All’improvviso gli cinse il collo con le braccia.

— Andrew, farai una cosa se te la chiedo? Qualcosa che forse non vorrai fare? Andrew, lo prometti?

Lui disse, spasimando d’amore: — Non so pensare a niente, su questo mondo o su qualunque altro, che non sarei disposto a fare per te, Callie. Mio tesoro, mio amore, qualunque cosa, qualunque cosa che possa rendertelo più facile.

Lei lo guardò, tremando. — Allora ecco — disse. — Colpiscimi, fammi perdere i sensi. Prendimi con la forza, questa volta, quando non potrò resistere…

Andrew arretrò, guardandola inorridito, senza capire. Per un attimo, letteralmente, non riuscì a esprimere lo sbigottimento e la ripugnanza. Alla fine disse, balbettando: — Devi essere impazzita, Callista! In nome di Dio, come potrei fare una cosa simile a una donna? E soprattutto a te!

Lei lo guardò disperata. — Hai promesso.

Andrew s’incollerì. — Cosa sei, Callista? Che assurda, perversa… — Gli mancarono le parole. Dunque, fredda verso la sua gentilezza, lei chiedeva la sua crudeltà?

Callista continuava ancora a piangere silenziosamente. Captò quel pensiero e rispose: — No, no, non ho mai pensato che tu lo volessi. Ma era l’unico modo in cui potevo pensare di… Oh, Avarra abbia pietà di me: avrei dovuto morire, avrei dovuto morire…

Si girò, nascondendo la testa nel cuscino, e cominciò a piangere così disperatamente che Andrew si sentì atterrito. Si sdraiò accanto a lei e cercò di prenderla tra le braccia, ma lei si svincolò con violenza. Sconvolto, invaso da una sofferenza grande quasi quanto quella di Callista, la strinse, la tenne contro di sé, accarezzandola per calmarla, cercando di stabilire un contatto con la sua mente: ma lei aveva abbassato la barriera. La tenne così, in silenzio, lasciando che piangesse. Alla fine, Callista si abbandonò tra le sue braccia, come non aveva più fatto da quando lui l’aveva portata fuori dalle caverne di Corresanti: e gli parve che una barriera interiore si fosse dissolta. Lei sussurrò: — Sei così buono, con me, e io mi vergogno tanto.

— Ti amo, Callista. Ma credo che tu abbia esagerato tutto, sproporzionatamente. Credo che sbagliamo, ad aspettare: e più attenderemo, peggio sarà. — Andrew sentì il lieve contatto nella mente e comprese che adesso lei l’accoglieva con gioia, come in quei momenti di solitudine e di paura. Callista disse: — Non avevo paura, allora.

Andrew replicò con fermezza: — Da allora non è cambiato nulla: solo, ti amo di più.

Non sapeva molto delle inibizioni sessuali, ma sapeva che esisteva uno stato di frigidità patologica, e quel poco che aveva appreso della preparazione di una Custode confermava i suoi sospetti: Callista doveva aver subito un totale condizionamento contro ogni specie di reazione sessuale. Non era così ingenuo da credere che una delicata seduzione avrebbe dissipato tutte le paure di Callista e l’avrebbe trasformata in una moglie ardente e appassionata, ma gli sembrava che fosse l’unico modo per cominciare. Se non altro, ciò avrebbe potuto rassicurarla.

Adesso erano profondamente in contatto. Andrew percepiva che lei non provava neppure un’ombra dell’eccitazione fisica così forte in lui, ma sapeva che era assetata della vicinanza che poteva porre fine alla fredda separazione tra loro. L’attirò a sé, dolcemente. La voleva, sì, ma non contro la sua volontà. Voleva che lei partecipasse alla tempesta passionale che lo faceva tremare. Le parole erano inutili. Callista alzò il volto verso di lui, posandogli le labbra sulle labbra, con timida esitazione, e improvvisamente Andrew si sentì inquieto. Non si era mai trovato con una donna inesperta. Eppure sentiva — adesso che erano in profondo contatto mentale — lo sforzo immane che lei stava compiendo per non ritrarsi. Si sentiva scoppiare di tenerezza. Callista era docile tra le sue braccia, lo toccava timidamente, senza tentare di nascondere la propria mancanza di reazione. Non era la passività dell’ignoranza (ovviamente comprendeva ciò che Andrew si aspettava da lei), ma non c’era la mimima traccia di eccitazione fisica.

Andrew cercò di nuovo di raggiungere la sua mente. Poi, nella familiare presenza di lei, percepì una confusione, e qualcosa d’altro, alieno e tuttavia noto, fortemente sessuale. Ellemir? Damon e Ellemir? La sua prima reazione fu di ritrarsi, di abbassare le barriere mentali (Non sono un guardone!); ma poi sentì Callista, esitante e incerta, abbandonarsi a quella quadruplice fusione, sentì il vecchio legame ristabilirsi com’era avvenuto quando si erano collegati entro la matrice. E per la prima volta sentì un cedimento in Callista, non soltanto mentale ma anche fisico. Lei era meno apprensiva, come se questo fosse meno spaventoso per lei, ora che lo condivideva con la sorella. E mentre veniva attratto in quel quadruplice legame, nell’intensa partecipazione dell’amore dell’altra coppia, gli parve per un istante che tra le sue braccia ci fosse Ellemir, che fosse lei ad abbracciarlo, ad aprirsi interamente a lui, calda e ardente… No: era avvenuto semplicemente che Callista si era immersa nella reazione di Ellemir, e Andrew poteva sentire il timido stupore di Callista, l’eccitazione e il piacere rassicurante di Ellemir. Premette la bocca sulla bocca di lei, in un lungo bacio, e per la prima volta sentì un fremito di risposta. Callista non si limitava a permettergli di fare ciò che voleva: partecipava veramente al bacio per la prima volta.

Aveva avuto veramente bisogno di quel tipo di certezza, allora? All’incalzante bisbiglio di lui, Callista gli si strinse con calore. Andrew comprese che ormai era immersa profondamente nella coscienza di Ellemir, partecipava alle sensazioni di Ellemir, lasciava che le pervadessero il corpo. Andrew poteva sentire anche Damon, e questo era inquietante: o forse sentiva soltanto la reazione di Ellemir allo strano e provocante miscuglio di delicatezza e di violenza da parte di Damon?

Per un momento gli sembrò che questo bastasse, per ora: andare alla deriva sulla superficie del loro amplesso appassionato, abbandonarsi a quella calda e accogliente coscienza multipla. Ma era ancora troppo strano, per lui: e il suo corpo, assetato, esigente, insisteva per raggiungere il compimento. Come un tuffatore che risale per respirare, ansimò cercando di districarsi dal multiplo collegamento mentale, di limitare la propria coscienza alla sola Callista, Callista tra le sue braccia, fragile, vulnerabile, interamente arrendevole.

All’improvviso, con violenza inimmaginabile, la fragile rete della coscienza si lacerò. Poi Andrew sentì un dolore atroce, bruciante, nei genitali. Sconvolto, urlante, udì Callista gridare di disperazione e di folle protesta, si sentì strappare dalle sue braccia e scagliare in aria. La sua mente turbinò, stordita. Non può essere vero! Batté il capo contro uno spigolo aguzzo, e in una vampata di sofferenza, tra le luci cremisi che gli esplodevano nella testa come bombe, perse i sensi.

Загрузка...