CAPITOLO TREDICESIMO

Andrew cavalcava tra la neve che si andava sciogliendo, mentre cadevano ancora alcune folate leggere. Dall’altra parte della valle vedeva le luci di Armida, un brillio dolce contro la massa della montagna. Damon diceva che quelle erano soltanto colline: ma per Andrew erano monti, e altissimi. Udiva parlare a bassa voce gli uomini che lo seguivano, e sapeva che anche loro pensavano al fuoco e al cibo e alle loro case, dopo otto giorni trascorsi nei lontani pascoli a ispezionare i danni causati dalla tempesta di neve e le condizioni delle strade e del bestiame.

Aveva accolto con gioia quella possibilità di restare solo insieme a quegli uomini che non potevano leggere i suoi pensieri. Non si era ancora abituato completamente a vivere in una famiglia di telepati, e non aveva ancora imparato a schermarsi da un’intrusione accidentale. Percepiva soltanto un rivoletto lontano e sottile di pensieri, da quegli uomini: pensieri superficiali che non lo turbavano. Ma era lieto di tornare a casa. Varcò le porte del cortile, e i servitori vennero a prendere le briglie del suo cavallo. Lui lasciò fare senza riflettere, anche se talvolta, quando ci pensava, gli dava un po’ fastidio. Callista gli venne incontro, scendendo di corsa la scalinata. Andrew si chinò a baciarle la guancia, e poi scoprì, sebbene nel cortile fosse molto buio, che aveva abbracciato Ellemir. Ridendo, condividendo il divertimento di lei per il suo abbaglio, l’abbracciò forte e sentì sulla bocca la bocca di Ellemir, calda e familiare. Salirono la scalinata tenendosi per mano.

— Come stanno tutti, Elli?

— Abbastanza bene, anche se mio padre è a corto di fiato e mangia poco. Callista è con lui, ma ho pensato che qualcuno doveva venire a riceverti. — Ellemir gli strinse la mano. — Mi sei mancato.

Anche Andrew aveva sentito la sua mancanza: e provò una fitta di rimorso. Maledizione, perché sua moglie aveva una gemella? Chiese: — Come sta Damon?

— Ha molto da fare — rispose Ellemir, ridendo. — Se ne sta sprofondato tra i vecchi annali dei dominii, dei membri della nostra famiglia che sono stati Custodi o tecnici ad Arilinn o a Neskaya. Non so cosa stia cercando, e lui non me l’ha detto. In questi ultimi dieci giorno l’ho visto pochissimo.

Nell’atrio, Andrew si sfilò il pesante mantello e lo consegnò al maggiordomo di sala. Rhodri gli tolse gli stivali incrostati di neve e gli porse un paio di stivaletti foderati di pelliccia. Con Ellemir al braccio, Andrew entrò nella Grande Sala.

Callista era seduta accanto al padre, ma quando lo vide entrare s’interruppe, depose l’arpa su una panca e gli andò incontro. Si muoveva quietamente, e lo strascico della veste azzurra ondeggiava dietro di lei. Senza volerlo, Andrew si trovò a paragonare la sua accoglienza con quella premurosa di Ellemir. Tuttavia la guardò affascinato. Ogni movimento di Callista l’incantava ancora, lo riempiva di desiderio. Lei gli tese le mani, e al contatto di quelle dita fresche e delicate Andrew si sentì ancor più sconcertato.

Cosa diavolo era l’amore, comunque?, si chiese. Aveva sempre creduto che innamorarsi di una donna significasse disamorarsi delle altre. Di quale era innamorato, poi? Di sua moglie… o di sua cognata?

Disse, tenendole dolcemente le mani: — Mi sei mancata. — Lei gli sorrise. Dom Esteban disse: — Bentornato, figlio. È stato un viaggio faticoso?

— Non troppo. — Poiché ci si aspettava questo, da lui, si chinò a baciare la scarna guancia del vecchio, e pensò che era pallido: non aveva affatto l’aria di star bene. Concluse che c’era da aspettarselo. — E tu come stai, padre?

— Oh. non cambio mai — disse il vecchio, mentre Callista porgeva una coppa a Andrew. Lui la prese e se la portò alle labbra. Era sidro caldo aromatizzato con spezie, e aveva un sapore meraviglioso, dopo la lunga cavalcata. Era bello, essere a casa. Nella parte inferiore della sala, le donne stavano apparecchiando la tavola per il pasto serale.

— Come va, là fuori? — chiese Dom Esteban, e Andrew incominciò a fare il suo rapporto.

— Quasi tutte le strade sono aperte, anche se ci sono valanghe, e l’ansa del fiume è ghiacciata. Tutto considerato, non abbiamo perso molto bestiame. Abbiamo trovato quattro cavalle e tre puledri congelati nel capanno oltre il guado. Il ghiaccio aveva coperto la biada, e probabilmente sono morti di fame.

Il nobile Alton si era incupito. — Una buona fattrice vale il suo peso in argento; ma con una simile tempesta, avremmo dovuto aspettarci perdite più gravi. Cos’altro?

— Sulla collina, una giornata a cavallo a nord di Corresanti, alcuni puledri erano rimasti isolati dagli altri. Uno, con una zampa rotta, non era riuscito ad arrivare al capanno, e una valanga l’aveva sepolto. Gli altri erano affamati e tremanti, ma si riprenderanno: adesso hanno foraggio e cure, e un uomo è rimasto a badare a loro. Sei vitelli sono morti nel pascolo più lontano, al villaggio di Bellazi. Erano congelati, e gli abitanti del villaggio ci hanno chiesto le carcasse perché la carne era ancora buona; ci hanno detto che tu gliele lasciavi sempre. Ho risposto di seguire pure la consuetudine. Ho fatto bene?

Il vecchio annuì. — È un’usanza in vigore da cent’anni. Il bestiame che muore nella tormenta di neve viene assegnato al villaggio più vicino, che usa la carne e la pelle come crede meglio. In cambio, gli abitanti provvedono riparo e foraggio ai capi di bestiame che capitano là durante la tormenta, e poi li riportano indietro appena possono. Se in una stagione di carestia ne uccidono e ne mangiano qualcuno in più, non me la prendo. Non sono un tiranno.

Le ancelle stavano servendo in tavola. Gli uomini e le donne si radunarono intorno al tavolo nella sala inferiore, e Andrew spinse la sedia a rotelle di Dom Esteban al suo posto, alla tavola alta, dove i familiari si sedettero insieme ad alcuni dei servitori di rango più elevato e agli specialisti che mandavano avanti l’allevamento e la tenuta. Andrew cominciava a pensare che Damon non si sarebbe presentato, quando all’improvviso lui entrò dalla porta in fondo, e, scusatosi con Ellemir per il ritardo, si avvicinò a Andrew con un sorriso di benvenuto.

— Ho sentito, in cortile, che eri tornato. Come te la sei cavata, da solo? Continuavo a pensare che avrei dovuto venire con te, almeno la prima volta.

— Me la sono cavata discretamente, anche se sarei stato lieto della tua compagnia — disse Andrew. Notò che Damon aveva l’aria stanca e sciupata, e si chiese cos’aveva fatto. L’altro non diede spiegazioni, e cominciò invece a far domande sul bestiame e sui capanni del foraggio, sui danni causati dalla tempesta di neve e le condizioni dei ponti e dei guadi, come se in vita sua non avesse fatto altro che collaborare alla direzione di un allevamento di cavalli. Mentre i due parlavano con Dom Esteban, Callista e Ellemir chiacchieravano sottovoce tra loro. Andrew si sorprese a pensare che sarebbe stato bello quando fossero rimasti di nuovo soli: ma non gli dispiaceva di discutere col suocero la situazione dell’allevamento. Quando era arrivato lì aveva temuto di essere accettato solo come marito di Callista, squattrinato e alieno, inutile all’andamento della tenuta, in quello strano mondo. Adesso sapeva di essere accettato e apprezzato come avrebbe potuto esserlo un figlio ed erede del dominio.

Per quasi tutto il pasto discussero le riparazioni degli edifici e dei ponti e la sostituzione dei capi di bestiame perduti. Le donne stavano sparecchiando, quando Callista si sporse e parlò sottovoce al padre. Il vecchio annuì e lei si alzò, battendo leggermente il boccale sul tavolo per chiedere attenzione. I servitori la guardarono, rispettosamente. Una Custode era oggetto di superstiziosa reverenza, e sebbene Callista avesse rinunciato ufficialmente alla sua dignità era ancora considerata con un rispetto superiore al normale. Quando nella sala ci fu silenzio, lei parlò con quella voce sommessa e chiara.

— Qualcuno, qui, senza autorità, è entrato nella mia distilleria e ha preso una certa erba. Se la renderà subito, e se non ne ha fatto un uso illegale, crederò che l’abbia presa per sbaglio e non ci penserò più. Ma se non mi verrà restituita prima di domani mattina, farò ciò che ritengo doveroso.

Nella sala regnava un silenzio confuso. Alcuni si scambiarono mormorii, ma nessuno parlò a voce alta, e alla fine Callista disse: — Sta bene. Pensateci, questa notte. Domani userò tutti i metodi di cui dispongo… — (con un gesto automatico, arrogante, si portò la mano sulla matrice appesa al collo) — per scoprire il colpevole. È tutto. Potete andare.

Era la prima volta che Andrew la vedeva appellarsi deliberatamente alla sua passata autorità di Custode, e si sentiva turbato. Quando lei tornò a sedersi, le chiese: — Cos’è scomparso, Callista?

— Il kireseth — rispose lei. — È un’erba pericolosa, ed è proibito usarla tranne a coloro che sono stati addestrati nelle Torri, o sotto la loro diretta responsabilità. — Aveva aggrottato la fronte. — Non mi piace l’idea di un individuo ignorante che impazzisce per l’effetto di quella roba. È un allucinogeno.

Dom Esteban protestò: — Oh, su, Callista, senza dubbio non è poi così pericoloso. So che voi delle Torri avete un tabù superstizioso nei confronti di quell’erba, ma qui tra le colline cresce allo stato selvatico, e non ha mai…

— Comunque sono personalmente responsabile, e devo assicurarmi che non venga usato illegalmente a causa della mia trascuratezza.

Damon scosse stancamente la testa. — Non pigliartela con i servitori, Callista. L’ho preso io.

Lei lo fissò, sbalordita. — Tu, Damon? E cosa volevi farne?

— Ti basta sapere che avevo le mie ragioni?

— Ma perché? Se me l’avessi chiesto te l’avrei dato, ma…

— Ma avresti domandato il motivo — disse Damon, col volto contratto dallo sfinimento e dalla sofferenza. — No, Callie, non cercare di leggermi nel pensiero. — I suoi occhi s’indurirono di colpo. — L’ho preso per ragioni che mi sembravano valide, e non te le rivelerò. Forse non ne avrò bisogno, e in questo caso te lo restituirò, ma per il momento credo di potermene servire. Non insistere, breda.

Lei disse: — Ma certo, se è questo che vuoi. — Alzò la coppa e bevve, guardando Damon con aria turbata. Era facile leggere i suoi pensieri: Damon è addestrato all’uso del kirian ma non sa prepararlo: quindi cosa può farsene, dell’erba? Cosa può farsene? Non credo che ne farà cattivo uso, ma che intenzioni ha?

I servitori si dispersero. Dom Esteban chiese se qualcuno voleva giocare con lui a carte, o ai castelli, il gioco simile agli scacchi che Andrew stava imparando. Fu Andrew ad accettare, e cominciò a studiare i minuscoli pezzi di cristallo con attenzione superficiale: ma la sua mente era altrove. Cosa poteva farsene Damon del kireseth? Damon l’aveva avvertito di non maneggiarlo e di non fiutarlo, lo ricordava benissimo. Mentre muoveva un pedone, che subito venne catturato dal suocero, ebbe l’impressione di sentire i pensieri di Damon filtrare attraverso i confini delle sue emozioni. Sapeva che Damon odiava e temeva il lavoro con la matrice che aveva appreso, cui era stato costretto a rinunciare, e cui aveva dovuto ritornare contro la propria volontà. Fino a quando Callista sarà libera. E anche allora… Ci sono molte cose che un telepate può fare, tante cose che non vengono fatte… Escludendo a forza i pensieri di Damon, Andrew si costrinse a concentrarsi sulla scacchiera: perse tre pedoni in rapida successione, poi commise un grosso errore con una mossa che gli costò il pezzo più importante, il drago. Abbandonò la partita, dicendo, in tono di scusa: — Perdonami, le forme di quei due pezzi mi confondono ancora.

— Non importa — replicò il vecchio, rendendogli garbatamente il pezzo mosso per errore. — Sei un giocatore più abile di Ellemir, anche se lei è la sola che abbia la pazienza di giocare con me. Damon è bravissimo, ma di rado ne ha il tempo. Damon? Quando io e Andrew avremo finito la partita, vuoi sfidare il vincitore?

— Questa sera no, zio — disse Damon, scuotendosi; e il vecchio, guardandosi intorno, vide che quasi tutti i servitori se n’erano andati a letto. Solo il suo valletto indugiava davanti al fuoco, sbadigliando. Il nobile Alton sospirò e guardò la luna, fuori dalla finestra.

— Sono un egoista. Vi tengo qui a parlare per metà notte, e Andrew ha fatto una lunga cavalcata e è rimasto per tanto tempo lontano da sua moglie. Dormo così poco, ormai, e le notti mi sembrano interminabili senza qualcuno che mi tenga compagnia: perciò finisco con l’aggrapparmi a voi. Andate a letto.

Ellemir gli diede il bacio della buonanotte e si ritirò. Callista indugiò per dire qualcosa al valletto del vecchio. Damon si voltò per seguire Ellemir, ma quando arrivò alla porta esitò e tornò indietro.

— Padre, c’è un lavoro molto importante da compiere. Puoi fare a meno di noi per qualche giorno?

— Dovete andare via?

— No, non dobbiamo andare via — rispose Damon. — Ma forse dovrò collocare gli smorzatori ed erigere una barriera per isolare noi quattro. Posso scegliere il momento più opportuno, ma preferirei non rimandare ancora. — Guardò Callista, e Andrew captò il pensiero che Damon cercava di nascondere: Lei morirà di dolore…

— Avremo bisogno almeno di tre o quattro giorni, senza interruzioni. Si può fare?

Il vecchio annuì, lentamente. — Prenditi tutto il tempo che sarà necessario, Damon. Ma se si tratta di un lavoro lungo, sarebbe meglio attendere che sia trascorso il solstizio d’inverno e che siano stati riparati i danni causati dalle nevicate. È possibile?

Andrew notò lo sguardo inquieto che Dom Esteban rivolgeva a Callista, e captò quello che il vecchio non diceva: Una Custode che è stata sciolta dal giuramento? Sapeva che anche Damon l’aveva colto; ma l’altro disse soltanto: — È possibile, e lo faremo. Grazie, padre. — Si chinò ad abbracciare il vecchio, poi lo scrutò aggrottando la fronte mentre i servitori lo spingevano via.

— Sente la mancanza di Dezi, credo. Quali che fossero le colpe di quel ragazzo, per lui era un buon figlio. Per il suo bene, forse avremmo dovuto perdonare Dezi. — Sospirò, mentre salivano le scale. — Si sente così solo. Qui non c’è nessuno che gli faccia veramente compagnia. Al disgelo di primavera dovremmo mandare a chiamare un parente o un amico che gli stia vicino.

Callista saliva i gradini dietro di loro. Damon si fermò prima di dirigersi al proprio appartamento.

— Callie, tu eri stata nominata Custode quando eri giovane: troppo giovane, credo. Avevi seguito l’addestramento anche per gli altri gradi? Sei controllore, meccanico o tecnico? Oppure lavoravi soltanto ai relè centrali come tenerésteis? — Usò il termine arcaico, che di solito in lingua casta veniva tradotto come «Custode», anche se «guardiana» sarebbe stato altrettanto esatto.

— Ma sei stato tu a insegnarmi il controllo, Damon. Per me era il primo anno alla Torre, e l’ultimo per te. Secondo il certificato, sono soltanto un meccanico: non ho mai provato a svolgere il lavoro di un tecnico. I tecnici non mancavano, e io avevo già abbastanza da fare con i relè. Perché?

— Volevo sapere cosa siamo in grado di fare tra tutti e due. Io avevo raggiunto il livello di tecnico. Posso costruire le griglie e gli schermi di cui abbiamo bisogno, se dispongo dei cristalli e dei nodi vergini. Ma potrei aver bisogno di un meccanico, e sicuramente avrò bisogno di un controllore, se dovrò cercare la soluzione che ti ho promesso: perciò voglio essere sicuro che non ti sia lasciata scadere di forma per effettuare il controllo, se sarà necessario. Hai continuato gli esercizi di respirazione?

— Non potrei dormire, altrimenti. Immagino che tutti noi, una volta imparato, continuiamo a farlo per tutta la vita — disse Callista, e Damon sorrise, si tese verso di lei e le sfiorò la guancia con un lieve bacio.

— Magnifico, sorella. Dormi bene. Buonanotte, fratello mio — aggiunse, rivolgendosi a Andrew, e se ne andò.

Era chiaro: qualcosa turbava Damon. Callista era seduta al tavolino da toilette, e s’intrecciava i lunghi capelli. Andrew provò una fitta dolorosa al ricordo di un’altra notte, ma ne distolse il pensiero. Callista, ancora preoccupata per Damon, disse: — È più sconvolto di quanto voglia farci credere. Lo conosco da molto tempo. È inutile fargli domande, se c’è qualcosa che non vuole dire…

Ma cosa intende farsene, del kireseth?

Con un fremito di gelosia, Andrew ricordò che Callista non si era ritratta quando Damon le aveva sfiorato la guancia con un bacio: eppure lui sapeva cosa sarebbe accaduto se avesse fatto altrettanto. Poi, contro la propria volontà, si ritrovò a pensare a Damon e a Ellemir, insieme, riuniti.

Lei era sua moglie, in fin dei conti, e Damon non aveva nessun diritto…

Callista spense la luce e s’infilò nel proprio letto. Con un sospiro, Andrew si sdraiò, seguendo con lo sguardo le quattro lune che si muovevano nel cielo. Infine si addormentò, senza accorgersene. Era come se fosse passato in uno stato di coscienza a mezza strada fra la realtà e i sogni. Damon gli aveva detto che talvolta, nel sonno, la mente ascendeva al sopramondo, senza necessità di uno sforzo cosciente.


Gli sembrava di aver abbandonato il proprio corpo, di muoversi nell’informe grigiore del sopramondo. Da qualche parte — no, dovunque — poteva vedere e percepire Damon e Ellemir che facevano l’amore: e benché sapesse che l’avrebbero accolto con gioia se si fosse unito a loro, se si fosse collegato alla loro intimità, al loro gioioso rapporto, continuò a distogliere gli occhi e la mente da quella vista. Non era un guardone: non era ancora depravato fino a quel punto, neppure lì.

Dopo un lungo tempo trovò la struttura che avevano eretto per lavorare sugli uomini colpiti da congelamento. Temeva di trovarli anche lì, perché sembravano onnipresenti, ma Ellemir dormiva e Damon era seduto su un tronco: aveva l’aria avvilita, e al suo fianco c’era un mazzo di fiori di kireseth secchi.

Gli chiese: — Cosa vuoi farne, Damon? — E l’altro rispose: — Non lo so bene. Perché pensi che non abbia potuto spiegarlo a Callista? È proibito. Tutto è proibito. Non dovremmo neppure essere qui.

Andrew replicò: — Ma stiamo solo sognando, e chi può proibire il sogno? — Ma sapeva, con una punta di rimorso, che un telepate doveva essere responsabile perfino dei propri sogni, e che neppure nei sogni lui poteva accostarsi a Ellemir come desiderava fare. Damon disse: — Ma ti avevo avvertito: è solo una parte del fatto di essere ciò che siamo. — Andrew gli voltò le spalle e cercò di uscire dalla struttura, ma i muri lo tenevano rinchiuso, prigioniero. Poi Callista (oppure era Ellemir? Non sapeva più con certezza quale delle due fosse sua moglie) gli si accostò, tenendo in mano un mazzo di fiori di kireseth, e disse: — Prendili. Un giorno i nostri figli si nutriranno di questi frutti.

Il frutto proibito. Ma prese il mazzo, mordendo i fiori che erano morbidi come seni di donna, e il profumo delle corolle era come una fitta nella sua mente. Poi il fulmine colpì l’edificio, che cominciò a tremare e a crollare, e al di là dei muri che precipitavano c’era Leonie che li malediceva, e oscuramente Andrew sapeva che era tutta colpa sua, perché lui le aveva portato via Callista.

E poi si ritrovò solo sulla grigia pianura, e l’edificio era lontanissimo, all’orizzonte. Sebbene camminasse da un’eternità, giorni, ore, eoni, non riusciva a raggiungerlo. Sapeva che Damon e Callista e Ellemir erano tutti là dentro, e avevano trovato la soluzione ed erano felici, ma lui era di nuovo solo, estraneo, e mai più sarebbe stato parte di loro. Appena si avvicinava, il grigiore elastico si espandeva, e lui era di nuovo lontano, l’edificio era di nuovo sull’estremo orizzonte. Eppure, chissà come, nel contempo era all’interno di quelle mura, e Callista gli giaceva tra le braccia (oppure era Ellemir? o forse, chissà come, faceva l’amore con entrambe, contemporaneamente?), ed era Damon quello che vagava all’orizzonte e si sforzava di avvicinarsi all’edificio e non lo raggiungeva mai, mai, mai… Disse a Ellemir: — Devi portargli qualche fiore di kireseth. — Ma lei si trasformò in Callista e replicò: — È proibito, a coloro che sono stati addestrati in una Torre. — Andrew non riusciva a capire se era lì a giacere fra le due donne o se era fuori, a vagare sul lontano orizzonte… Ma sapeva di essere prigioniero nel sogno di Damon e di non poterne uscire.


Si svegliò con un sussulto. Callista giaceva, irrequieta, nella grigia oscurità della camera. Andrew sentì la propria voce dire: — Saprai cosa fare di loro quando verrà il momento… — E poi, chiedendosi cos’aveva inteso dire, comprese che quelle parole facevano parte del sogno di Damon. Poi si riaddormentò, vagando fino all’alba in quei reami grigi e informi. Parzialmente conscio che quella non era la sua coscienza, si chiese se era se stesso o se in un modo o nell’altro si era mescolato anche alla personalità di Damon.

Si sorprese a pensare che la precognizione era quasi peggio della mancanza di ogni facoltà. Se era un avvertimento, allora ci si poteva lasciar guidare. Ma era solo una sfocatura del tempo, e neppure Leonie comprendeva il tempo. E Andrew, vagamente conscio, si augurò che Damon tenesse per sé quei suoi maledetti sogni.


Era una mattina fredda, e nevischiava. Damon pensò che il cielo rispecchiava il suo umore.

Aveva evitato quel lavoro per tanti anni, e adesso era costretto a ricominciare. E ora sapeva che non era soltanto per il bene di Callista. Aveva sbagliato a rinunciarvi completamente.

Era stato fuorviato dal tabù che vietava ai telepati di operare con le matrici fuori dalle Torri. Dopo le epoche del caos, quel tabù poteva aver avuto senso: ma adesso — lo sentiva in tutti i nervi — era un errore.

C’erano tante cose che i telepati potevano fare. E invece non si faceva nulla.

Lui si era costruito una nuova carriera nelle Guardie, ma ciò non l’aveva mai soddisfatto completamente. E a differenza di Andrew, non riusciva a sentirsi realizzato dirigendo la tenuta del suocero. Sapeva che per molti figli cadetti, privi di una tenuta tutta loro, quella sarebbe stata la soluzione ideale: sebbene non avesse proprietà terriere, aveva una tenuta dove i suoi figli avrebbero partecipato all’eredità. Ma questo non andava bene, per lui. Sapeva che qualunque maggiordomo sarebbe stato in grado di svolgere il suo lavoro. Il suo compito, lì, consisteva semplicemente nel controllare che un dipendente privo di scrupoli non approfittasse del padre di sua moglie.

Non gli dispiaceva dedicare il proprio tempo al lavoro nella tenuta. La sua vita era lì con Ellemir, e adesso l’avrebbe straziato il doversi separare da Andrew o da Callista.

Per Andrew era diverso. Era diventato adulto in un mondo non molto diverso da quello, e per lui era come ritrovare l’ambiente che aveva creduto di perdere per sempre quando aveva lasciato la Terra. Ma Damon, adesso, aveva incominciato a intuire che il suo vero lavoro era quello, il lavoro che aveva appreso nelle Torri.

— Il tuo compito e quello di Ellemir — disse a Andrew, — consistono semplicemente nel proteggerci dalle intrusioni. Se ci fosse qualche interruzione (anche se ho cercato di provvedere perché non ce ne siano), potrete occuparvene voi. Altrimenti dovete semplicemente restare in rapporto con me e prestarmi la vostra forza.

Il compito di Callista era di gran lunga più difficile. All’inizio aveva esitato a partecipare in quel modo: ma Damon era riuscito a convincerla, e ne era lieto perché poteva fidarsi completamente di lei. Come lui, era stata addestrata ad Arilinn, era un abile controllore psi, e sapeva esattamente ciò che si doveva fare. Avrebbe vegliato sulle sue funzioni vitali, assicurandosi che il suo organismo continuasse a procedere nel dovuto modo mentre il suo io essenziale era altrove.

Callista era pallida, stranita, e Damon sapeva che era riluttante a riprendere il lavoro che aveva abbandonato per sempre: e non, come lui, per paura o disgusto, ma perché era stato uno strazio rinunciarvi. E ora che aveva compiuto la rinuncia, esitava a scendere a un compromesso.

Eppure quello era il suo vero lavoro, e Damon lo sapeva. Era nata ed era stata addestrata per compierlo. Era un errore crudele, che una donna non potesse svolgere quel lavoro senza rinunciare alla femminilità. Per qualunque attività che non fosse un’operazione da compiere tra i grandi relè e schermi, Callista sarebbe stata perfettamente qualificata, anche se si fosse sposata una decina di volte e avesse avuto una decina di figli. Eppure era perduta, per le Torri, e la perdita era altrettanto grave per lei. Era un’idea assurda, pensava Damon, che con la rinuncia alla verginità Callista fosse stata privata di tutte le facoltà acquisite tanto faticosamente e delle conoscenze apprese a caro prezzo durante tutti gli anni trascorsi ad Arilinn.

Non lo credo, pensò, e trattenne il respiro. Era una bestemmia, un sacrilegio inconcepibile. Ma guardò Callista e pensò di nuovo, in uno slancio di sfida: Comunque, io non lo credo!

Tuttavia stava violando il tabù della Torre già servendosi di lei come controllore. Era una sciocchezza, una sciocchezza spaventosa!

Certo, dal punto di vista legale non faceva nulla di riprovevole. Callista, sebbene avesse dichiarato l’intenzione di sposarsi con una cerimonia di matrimonio libero, in pratica non era la moglie di Andrew. Era ancora vergine, e perciò era qualificata… Che sciocchezza! Che tragica sciocchezza!

C’era un errore, pensò nuovamente, un errore terribile nell’intera concezione dell’addestramento dei telepati, su Darkover. A causa degli abusi delle epoche del caos, dei reati commessi da uomini e donne morti da così tanto tempo che le loro ossa erano diventate polvere, altri uomini e altre donne erano condannati a una morte vivente.

Callista chiese, con dolcezza: — Cosa c’è, Damon? Sembri così incollerito!

Lui non poteva spiegarglielo. Era ancora legata ai tabù, fin dal profondo delle ossa. Disse «Ho freddo», e non proseguì. Si avvolse in una vestaglia, che almeno avrebbe difeso il suo corpo dallo spaventoso gelo del sopramondo. Notò che anche Callista aveva sostituito il solito abito da casa con una vestaglia pesante. Si abbandonò su una poltrona, mentre Callista prendeva posto su un cuscino ai suoi piedi. Ellemir e Andrew erano un po’ scostati, e Ellemir osservò: — Quando vegliavo per te mi dicevi che dovevo toccarti i polsi per restare in contatto.

— Tu non sei addestrata, tesoro. Callista faceva questo lavoro già quando era una ragazzina. Sarebbe addirittura in grado di controllarmi da un’altra stanza, se fosse necessario. Tu e Andrew, sostanzialmente, siete superflui, anche se sarà un aiuto avervi qui. Se qualcosa dovesse interromperci… Ho dato gli ordini, ma se, gli dèi non vogliano, s’incendiasse la casa o Dom Esteban stesse male e avesse bisogno di assistenza, potrete occuparvene voi e proteggere me e Callista dalle interferenze.

Callista teneva la propria matrice sulle ginocchia. Damon notò che l’aveva legata al polso con un nastro. C’erano vari modi di maneggiare una matrice, e ad Arilinn tutti venivano incoraggiati a fare esperimenti e a trovare il metodo più congeniale. Damon notò che lei era in contatto con la gemma psi senza fissarla, mentre invece lui scrutava nelle profondità della propria e guardava le luci vorticanti che si mettevano a fuoco lentamente… Cominciò a respirare più adagio, e sentì quando Callista stabilì il contatto con la sua mente, sintonizzando le risonanze del proprio campo fisico con quelle di lui. Più vagamente, e in distanza, la sentì collegarsi a Andrew e Ellemir. Per un momento si rilassò, nella gioia di averli tutti intorno a sé, vicini, rassicuranti, nel legame più stretto che conoscesse. In quel momento sapeva di essere più vicino a Callista di chiunque altro al mondo. Più vicino che a Ellemir, anche se conosceva così bene il suo corpo, anche se aveva condiviso i suoi pensieri, anche se per un breve tempo lei aveva portato in grembo la loro figlia. Eppure Callista era vicina a lui come un gemello a un gemello prima della nascita, e Ellemir era più distante. E ancora più oltre percepiva Andrew, come un gigante, una rocca di forza che li proteggeva, li salvaguardava…

Percepì le mura del loro rifugio che li racchiudeva, la struttura astrale che aveva costruito per guarire gli uomini dal congelamento. Poi, con quello strano slancio verso l’alto, fu nel sopramondo, e poté vedere le mura prendere forma intorno a loro. Quando l’aveva costruito insieme a Andrew e Dezi somigliava a un rifugio per viaggiatori, di rozza pietra bruna, forse perché lui l’aveva ritenuto una struttura temporanea. Nel sopramondo, gli edifici erano ciò che ognuno li riteneva. Notò che adesso i mattoni e le pietre erano levigati e lucenti, e che sotto i suoi piedi c’era un pavimento d’ardesia come quello della piccola distilleria di Callista. Dal punto in cui si trovava, vestito dei colori verde e oro del suo dominio, poteva vedere che l’edificio era arredato. Visti così, i mobili sembravano stranamente trasparenti e incorporei, ma lui sapeva che se avesse provato a sedersi avrebbero assunto forza e solidità. Sarebbero stati comodi, e gli avrebbero offerto qualunque superficie desiderasse: velluto o seta o pelliccia, a volontà. Su uno di quei mobili giaceva Callista, e anche lei appariva stranamente trasparente, sebbene Damon sapesse che anche lei si sarebbe solidificata se rimanevano lì a lungo. Andrew e Ellemir erano ancora più indistinti, e lui vide che dormivano su altri mobili, perché erano lì soltanto nella sua mente, non erano consci al livello del sopramondo. Solo i loro pensieri, che fluttuavano tra i suoi nel collegamento mantenuto da Callista, erano forti e presenti. Erano passivi, lì, e gli prestavano tutta la loro forza. Damon fluttuò per un momento, godendo il conforto di un cerchio di sostegno, sapendo che l’avrebbe salvato dal terribile sfinimento conosciuto già altre volte. Notò che Callista teneva tra le mani una serie di fili, come una ragnatela, e comprese che era così che lei visualizzava il controllo mantenuto sul suo corpo, giacente nel mondo solido. Se il suo respiro fosse mancato, se la circolazione fosse stata ostacolata dalla posizione rattrappita, addirittura se un prurito avesse disturbato la sua concentrazione nel sopramondo, Callista avrebbe potuto rimediare prima ancora che lui se ne accorgesse. Protetto da Callista, il suo corpo era al sicuro, lì nel rifugio del loro edificio.

Ma non poteva restare lì: e mentre lo pensava, sentì se stesso attraversare le impalpabili mura del rifugio. Erano i suoi pensieri a fornire l’uscita, sebbene nessun estraneo potesse entrare: e si trovò fuori, sulla grigia e informe pianura del sopramondo. In lontananza scorgeva le cime della Torre di Arilinn, o meglio del duplicato di quella Torre.

Da mille anni, forse, i pensieri di ogni tecnico psi che si era mosso nel sopramondo avevano fatto di Arilinn un monumento inespugnabile. Perché era così lontana?, si chiese Damon, e poi comprese. Era la visualizzazione di Callista, e a lei Arilinn sembrava molto distante. Ma lì, nel sopramondo, lo spazio non aveva realtà, e letteralmente alla velocità del pensiero Damon si trovò davanti alle porte di Arilinn.

Lui ne era stato scacciato. Poteva penetrarvi, ora, se tentava di farlo? A questo pensiero si trovò all’interno, sui gradini del cortile, e Leonie stava davanti a lui, velata, nelle vesti cremisi.

— So perché sei venuto, Damon. Ho cercato dovunque i documenti che tu vuoi, e in questo giorno ho scoperto sulla storia di Arilinn molte più cose di quante ne avessi mai immaginate. Sapevo infatti che nei primi tempi delle Torri molti Custodi erano emmasca di sangue chieri, né uomo né donna. Ma non sapevo che quando tali nascite si sono fatte meno frequenti, quando i chieri hanno smesso di unirsi agli umani, alcuni dei primi Custodi sono stati castrati affinché assomigliassero a loro. Tu lo sapevi che anticamente venivano usati come Custodi non soltanto donne ma anche maschi castrati? Che barbarie!

— Ed era inutile — osservò Damon. — Qualunque tecnico psi appena un po’ efficiente è in grado di svolgere quasi tutto il lavoro di un Custode, senza altri inconvenienti che qualche giorno d’impotenza.

Leonie sorrise appena e disse: — Molti uomini ritengono che anche questo prezzo sia troppo alto.

Damon annuì, pensando a suo fratello Lorenz e al disprezzo nella sua voce quando diceva di lui «mezzo monaco, mezzo eunuco».

— Quanto alle donne — proseguì Leonie, — si è scoperto che una Custode non andava necessariamente castrata, sebbene non avessero ancora ideato le tecniche di addestramento che usiamo noi. Era sufficiente fissare i canali in modo che restassero liberi e non trasportassero ulteriori impulsi oltre a quelli psi. Perciò facevano in questo modo, senza ricorrere alla barbarie della castrazione. Ma nella nostra epoca, anche questa sembra una menomazione troppo grave per una donna. — Il suo volto aveva assunto un’espressione sprezzante. — Credo che fosse solo per l’orgoglio degli uomini Comyn, i quali erano convinti che l’attributo più prezioso di una donna fosse la fecondità, la capacità di trasmettere la loro eredità maschile. E hanno cominciato a riprovare le menomazioni della capacità riproduttiva delle donne.

Damon disse, a bassa voce: — E significava anche che una donna, convinta durante la fanciullezza di voler essere Custode, non era obbligata a compiere una scelta per la vita prima di sapere quanto le sarebbe costato.

Leonie non gli badò. — Tu sei un uomo, e non pretendo che tu capisca. Era appunto per risparmiare alle donne il doloroso peso della scelta. — All’improvviso, la sua voce si spezzò. — Credi che non avrei preferito essere privata della femminilità durante l’infanzia piuttosto che trascorrere tutta la vita imprigionata, sapendo di detenere la chiave della mia prigione, sapendo che solo il mio voto, il mio onore, la parola di un’Hastur, mi tenevano così… così incarcerata? — Damon non sapeva se era l’angoscia o la collera a farle tremare la voce. — Se potessi fare ciò che voglio, se voi uomini Comyn non foste tanto preoccupati della preziosa fecondità delle donne, tutte le bambine che vengono alla Torre verrebbero castrate e vivrebbero per tutta la vita felici, libere dal peso della femminilità. Sarebbero libere dalla sofferenza e dall’incessante ricordo della loro scelta: dalla consapevolezza che non possono decidere una volta per tutte ma devono continuare a ripetere quella scelta ogni giorno della loro vita.

— Le renderesti per sempre schiave della Torre?

La voce di Leonie si udiva appena, ma per Damon fu come un grido. — Credi che non siamo schiave, così?

— Leonie, Leonie, se è così che pensi, perché l’hai sopportato per tutti questi anni? C’erano altre che avrebbero potuto toglierti il fardello dalle spalle quando fosse diventato troppo pesante per te.

— Io sono un’Hastur — disse lei. — E ho giurato di non deporre mai il mio fardello se prima non avessi preparato un’altra capace di sostituirmi. Credi che non abbia tentato? — Lo guardò negli occhi, e Damon si tese per l’angoscia perché lei era nel sopramondo come la formavano i suoi pensieri, e davanti gli stava la Leonie dei suoi primi anni alla Torre. Non avrebbe mai saputo se altri uomini l’avevano giudicata bella, ma per lui era bellissima, infinitamente desiderabile, e teneva tra le sottili mani i fili della sua anima… Distolse gli occhi, sforzandosi di vederla solo come l’aveva vista di persona l’ultima volta, il giorno delle proprie nozze: una donna seria, anziana, controllata, al di là della rabbia e della ribellione.

— Credevo che ti accontentassi del potere e della venerazione, della carica più elevata, pari a qualunque nobile Comyn: Leonie di Arilinn: Signora di Darkover.

Lei replicò, con una voce che veniva da distanze immense: — Se tu avessi saputo che mi ribellavo, allora avrei fallito. La mia vita, la mia ragione, il mio posto di Custode, dipendevano da questo: non dovevo saperlo neppure io. Eppure ho tentato più volte di preparare un’altra perché prendesse il mio posto, in modo che io potessi deporre un fardello troppo opprimente. Sempre, quando avevo preparato una Custode, qualche altra Torre scopriva che la sua aveva deciso di andarsene, o che l’addestramento era fallito e che quella non poteva far altro che rinunciare e sposarsi. Erano un branco di donne deboli e senza ideali: nessuna aveva la forza di resistere. Io sono l’unica Custode in tutti i dominii che abbia conservato la carica per più di vent’anni. E anche quando ho incominciato a invecchiare, per tre volte ho dovuto rinunciare a quelle che avevo preparato per prendere il mio posto: due sono andate a Dalereuth e una a Neskaya, e io, che avevo addestrato una Custode per ognuna delle Torri dei dominii, volevo prepararne una per Arilinn, per potermi concedere un po’ di riposo. Tu c’eri, e hai visto cos’è accaduto. Sei ragazze, e tutte con le facoltà indispensabili per diventare Custodi. Ma tre erano già donne, benché giovani, e avevano già conosciuto il risveglio dei sensi. I loro canali erano già differenziati e non potevano reggere frequenze così forti, anche se due di loro, in seguito, sono diventate controllore e tecnico, ad Arilinn o a Neskaya. Allora ho cominciato a scegliere ragazze più giovani, quasi bambine. Con Hilary sono arrivata vicina al successo. Ha lavorato per due anni con me, come sotto-Custode, rikhi: ma tu sai cos’ha dovuto sopportare, e alla fine ho avuto pietà di lei e l’ho lasciata libera. Poi Callista…

— E tu hai fatto in modo che lei non fallisse — disse Damon, in preda alla collera, — modificando i suoi canali perché non potesse maturare!

— Io sono una Custode — ribatté irosamente Leonie, — e sono responsabile solo di fronte alla mia coscienza! E lei era consenziente. Potevo prevedere che si sarebbe incapricciata di questo terrestre, e che il suo giuramento non avrebbe più avuto per lei il minimo valore?

Di fronte al silenzio accusatore di Damon, aggiunse in tono difensivo: — E anche così, Damon, le voglio bene: non avrei potuto sopportare la sua infelicità! Se l’avessi creduta una semplice fantasia infantile, l’avrei ricondotta qui ad Arilinn con me, l’avrei circondata di tanto affetto e di tanta tenerezza che non avrebbe mai rimpianto il suo innamorato terrestre. Eppure… eppure lei mi aveva fatto credere… — Nei fluidi livelli del sopramondo, Damon poté vedere, condividendola con Leonie, l’immagine che la Custode aveva scorto nella mente di Callista: Callista che giaceva tra le braccia di Andrew, esausta e vulnerabile, mentre lui la portava fuori dalle grotte di Corresanti.

E ora che l’aveva vista — sebbene solo riflessa nella mente di Leonie — così come avrebbe potuto essere (indenne, immutata), e appunto perché l’aveva vista così, comprese che non avrebbe mai avuto pace se non quando avesse potuto rivederla in quel modo. Disse, senza alzare la voce: — Non posso credere che avresti fatto questo se non fossi stata convinta che era possibile annullarlo.

— Io sono una Custode — ripete lei, indomita, — e sono responsabile solo di fronte alla mia coscienza.

Era vero. Secondo la legge delle Torri, una Custode era infallibile e la sua parola era legge nei confronti dei componenti del suo cerchio. Tuttavia Damon insistette.

— Se era così, perché non l’hai castrata una volta per tutte? — Leonie tacque a lungo, e infine rispose: — Tu parli così perché sei un uomo, e per te una donna non è altro che una moglie, un mezzo per darti figli, per trasmettere la preziosa eredità dei Comyn. Io ho altri scopi. Damon, ero così stanca, e sentivo che non potevo sopportare di spendere le mie energie e la mia forza, di mettere tutto il mio cuore in lei, per anni e anni, e poi vederla svegliarsi, e allontanarsi da me per buttarsi tra le braccia di un uomo… o, come Hilary, ammalarsi e soffrire a ogni plenilunio le torture di un’anima dannata. Non era egoismo, Damon! Non era solo il desiderio di deporre il mio fardello per riposare! Io l’amavo come non avevo mai amato Hilary. Sapevo che non avrebbe fallito, ma temevo che fosse troppo forte per cedere anche se avesse sofferto come Hilary, che fosse capace di sopportarlo (come ho fatto io, Damon) per lunghi, lunghi anni. Le ho risparmiato tutto questo, perché avevo il diritto di farlo. — E aggiunse, in tono di sfida: — Ero la sua Custode!

— E le hai tolto il diritto di scegliere!

— Nessuna donna dei Comyn può scegliere — disse Leonie, quasi in un bisbiglio. — Non può scegliere veramente. Io non avevo scelto di diventare Custode, e neppure di andare a una Torre. Ero una Hastur, e quello era il mio destino, così come il destino delle mie compagne di gioco era di sposarsi e di dare figli maschi ai loro clan. E non era irrevocabile. Nella mia infanzia ho conosciuto una donna che era stata sottoposta a questo trattamento, e mi aveva detto che era reversibile. Era legittimo, mentre la castrazione non lo era: una donna poteva essere richiamata, se i genitori lo volevano, per concludere uno di quei matrimoni dinastici tanto cari ai Comyn, e in quel modo non c’era pericolo di menomare la sacra fecondità di una figlia dei domimi! — Il sarcasmo del suo tono era così amaro che Damon rabbrividì.

— È reversibile… come? — chiese. — Callista non può vivere così, né Custode né libera.

— Non lo so. Quando le è stato applicato non credevo che sarebbe diventato necessario invertire il processo, quindi non ho fatto progetti in vista di un giorno come questo. Ma mi sono rallegrata (per quanto posso rallegrarmene) quando Callista mi ha detto che avevo operato con minore efficienza di quanto avessi creduto. — Ancora una volta Damon captò nella mente di Leonie la fuggevole visione di Callista fra le braccia di Andrew che la portava via da Corresanti. — Ma sembra che si sia sbagliata.

Leonie appariva esausta, tormentata. — Damon, Damon, lasciala ritornare da noi! È tanto orribile che diventi la Dama di Arilinn? Perché dovrebbe rinunciare per essere la moglie di un terrestre e per partorirgli figli mezzosangue?

Damon rispose (e sentì la propria voce tremare): — Se lei desiderasse diventare Dama di Arilinn, difenderei con la vita il suo diritto. Ma ha scelto diversamente. È la moglie di un uomo d’onore, che io sono fiero di chiamare fratello, e non voglio veder distrutta la loro felicità. Ma anche se Andrew non fosse mio amico, difenderei il diritto di Callista di disporre come vuole della sua vita. Abbandonare il titolo di Dama di Arilinn, se lo desidera, per diventare la moglie di un fabbricante di carbone dolce, nella foresta, o per impugnare la spada come dama Bruna, la sua antenata, e comandare le Guardie al posto di suo fratello! È la sua vita, Leonie, non la mia o la tua!

Leonie si nascose la faccia tra le mani. La sua voce era tremula, soffocata. — E allora così sia. Lei potrà scegliere, benché né io né tu abbiamo potuto farlo. Sceglierà quella che voi uomini di Darkover definite l’unica vita adatta a una donna! E sono io che dovrò soffrire per la sua scelta, portando il peso di Arilinn fino a quando Janine sarà abbastanza adulta, abbastanza forte per addossarselo. — Il suo volto era così vecchio e amareggiato che Damon si ritrasse.

Ma pensò che per lei non era un vero peso. Un tempo, forse, lei avrebbe potuto deporlo. Ma adesso non aveva null’altro: l’unica cosa che le rimaneva era il potere di vita e di morte su tutti gli sciagurati che rinunciavano alla loro esistenza per le Torri. Damon sapeva che per lei aveva molta importanza il fatto che Callista fosse costretta a umiliarsi e a supplicare per ottenere ciò che avrebbe dovuto spettarle di diritto!

Disse, indurendo la voce: — È sempre stata la legge. Ti ho sentito affermare che la vita di una Custode è troppo dura per essere sopportata senza pieno consenso. Ed è sempre stato così: una Custode è libera quando non può più svolgere il suo lavoro senza pericolo. L’hai detto tu stessa, che sei una Custode e sei responsabile solo di fronte alla tua coscienza. Ma cosa significa essere una Custode, Leonie, se la sua coscienza non impone un’onestà degna di una Custode, o di un’Hastur?

Ci fu un altro lungo silenzio. Infine lei disse: — Parola di Hastur, Damon, non so come si fa ad annullare il condizionamento. Tutte le mie ricerche negli annali mi hanno rivelato soltanto che nei tempi antichi, quando veniva applicato comunemente (cosa che è avvenuta dopo che le Torri hanno smesso di castrare le Custodi, in modo che la sacra fecondità di una Comynara non ne soffrisse neppure in teoria), quelle Custodi venivano inviate a Neskaya. Quindi ho cercato là i documenti. Theolinda, a Neskaya, mi ha detto che tutti i manoscritti sono rimasti distrutti quando la Torre è stata bruciata, durante le epoche del caos. E perciò, sebbene sia ancora convinta che Callista dovrebbe tornare da noi, c’è solo un modo per scoprire cosa si deve fare per lei. Damon, tu sai cosa significa la Ricerca nel Tempo?

Damon provò uno strano brivido di freddo, come se la trama stessa del sopramondo vacillasse sotto i suoi piedi. — Avevo sentito dire che anche quella tecnica era andata perduta.

— No, perché io l’ho usata. Il corso di un fiume era cambiato, e le fattorie e i villaggi lungo lo spartiacque erano minacciati dalle alluvioni o dalla siccità e dalla carestia. Ho fatto una Ricerca nel Tempo per scoprire esattamente dove scorreva cent’anni prima, in modo che fosse possibile riportarlo in un letto dove potesse fluire, senza sprecare energie nel tentativo di forzarlo in un canale artificiale. Non è stato facile. — La voce di Leonie era sottile, impaurita. — E tu dovresti spingerti più lontano di me. Dovresti ritornare ai tempi anteriori all’incendio di Neskaya, durante le ribellioni di Hastur. Erano tempi terribili. Credi che potresti raggiungere quel livello?

Damon rispose, lentamente: — So operare su molti livelli del sopramondo. Ce ne sono altri, naturalmente, cui non posso accedere. Non so come raggiungere quello dove si effettua la Ricerca nel Tempo.

— Posso guidarti io. Tu sai, naturalmente, che i sopramondi sono soltanto una serie di convenzioni. Qui, nel mondo grigio, è più facile visualizzare il tuo corpo fisico che si muove su una pianura, senza forme-pensiero e senza punti di riferimento. — Leonie indicò la sagoma fiocamente luminosa di Arilinn dietro di loro. — È più facile che avvicinarsi alla verità, e la verità è che la tua mente è una tenue rete di intangibili che si muovono in un reame di astrazioni. Questo l’hai imparato, naturalmente, durante il primo anno che hai trascorso nella Torre. Certo è possibile che il sopramondo sia vicino alla realtà oggettiva dell’universo più del mondo della forma, che tu chiami mondo reale. Eppure anche là un buon tecnico può vedere, a volontà, i corpi come ragnatele di atomi e di energia turbinante e di campi magnetici.

Damon annuì. Sapeva che era vero.

— Non è facile condurre la tua mente abbastanza lontano dalle convenzioni di ciò che tu chiami mondo reale, per liberarla dal tempo che conosci. Il tempo stesso, probabilmente, non è altro che un modo di strutturare la realtà affinché le nostre menti possano ricavarne un senso. Probabilmente, nella realtà assoluta dell’universo, della quale le nostre esperienze sono approssimazioni, non c’è l’esperienza del tempo come sequenza: passato e presente e futuro coesistono in un tutto caotico. Sul livello fisico (che naturalmente comprende anche quello in cui ci troviamo ora, il mondo delle immagini, dove la nostra visualizzazione ricrea costantemente il mondo che preferiamo vedere intorno a noi) ci è più facile muoverci lungo una sequenza personale, spostandoci da ciò che chiamiamo passato verso il presente e il futuro. Ma in realtà è probabile che anche un organismo fisico esista nella sua totalità contemporaneamente, e che il suo sviluppo biologico dall’embrione alla senilità e alla morte sia solo un’altra delle sue dimensioni, come la lunghezza. Ti sto confondendo?

— Non molto. Prosegui.

— Sul livello della Ricerca nel Tempo scompare interamente il concetto di sequenza lineare. Devi crearlo per te, per non smarrirti nella realtà caotica, e devi ancorarti in qualche modo per non far regredire il tuo corpo fisico attraverso le risonanze. È come vagare bendati in un labirinto di specchi. Preferirei fare qualunque altra cosa, in questo universo, piuttosto che ritentare. Eppure temo che solo in questo modo potrai trovare una soluzione per Callista. Damon, devi proprio correre questo rischio?

— Devo, Leonie. Ho fatto una promessa a Callista. — Damon non voleva svelare a Leonie la situazione in cui l’aveva fatta, né la sofferenza che lei aveva sopportato (mentre le sarebbe stato più facile morire) perché si era fidata di tale promessa. — Io non sono un Hastur, ma non posso venir meno alla mia parola.

Leonie sospirò profondamente, e disse: — Io sono un’Hastur, e una Custode, responsabile di tutti coloro che mi hanno fatto un giuramento, uomini e donne. E ritengo che, se spettasse a me scegliere, nessuna donna dovrebbe essere addestrata come Custode se prima non acconsentisse a farsi castrare, come avveniva anticamente. Ma il mondo va come vuole, e non come io vorrei. Mi assumerò la responsabilità, Damon: ma non posso assumerla interamente. Io sono l’unica Custode superstite di Arilinn. Spesso Neskaya è isolata dai relè perché Theolinda non è abbastanza forte, e Dalereuth si serve di un cerchio di meccanici, senza Custode: perciò mi rimorde la coscienza all’idea di tenere Janine al mio fianco, ad Arilinn. Già adesso non riusciamo ad addestrare tutte le Custodi che sarebbero necessarie, e spesso quelle che prepariamo perdono i poteri quando sono ancora giovani. Capisci perché ho un bisogno disperato di Callista?

Era un problema che non aveva soluzione: ma Damon non voleva che Callista diventasse semplicemente una pedina di quel gioco, e Leonie lo sapeva. Infine lei disse, stupita: — Quanto devi amarla, Damon! Forse è a te che avrei dovuto darla.

Damon rispose: — Amore? Non in quel senso, Leonie. Tuttavia mi è molto cara, e io, che ho così poco coraggio, l’ammiro in chiunque altro più di ogni altra cosa.

— Tu hai poco coraggio, Damon? — Leonie tacque a lungo, e lui vide la sua immagine tremolare come un’onda di calore nel deserto al di là delle Città Aride. — Damon, oh, Damon, dunque ho annientato tutti quelli che amo? Solo adesso mi accorgo di averti distrutto, come ho distrutto Callista…

Il suono di quelle parole echeggiò eterno, come un’eco, nella mente di Damon. Ho annientato tutti quelli che amo? Tutti quelli che amo, tutti quelli… tutti quelli che amo?

— Mi avevi detto che mi allontanavi da Arilinn per il mio bene, che ero troppo sensibile, che quel lavoro mi avrebbe distrutto. — Aveva vissuto per anni con quelle parole, le aveva trangugiate nell’amarezza, odiando se stesso perché viveva per udirle o per ripeterle. Non aveva mai pensato di dubitarne, neppure per un istante: si trattava della parola di una Custode, di un’Hastur.

Presa in trappola, lei gridò: — Cos’avrei potuto dirti? — Poi, in un’esclamazione di angoscia: — C’è qualcosa di sbagliato, di terribilmente sbagliato in tutto il nostro sistema di addestramento degli operatori psi. Come può essere giusto sacrificare tante vite in questo modo? Callista, Hilary, tu! — E aggiunse, con indescrivibile amarezza: — Io.

Se Leonie, pensò amaramente Damon, avesse avuto la sincerità o il coraggio di dirgli la verità, di dirgli «Uno di noi due se ne deve andare, e io sono la Custode e non possono fare a meno di me», allora lui sarebbe stato perduto per Arilinn, sì, ma non sarebbe stato perduto per se stesso.

Ma adesso aveva ritrovato una cosa che aveva smarrito quando era stato allontanato dalla Torre. Era di nuovo integro, e non frantumato come quando Leonie l’aveva scacciato e lui si era creduto debole, inutile, incapace del compito che aveva scelto.

C’era qualcosa di tragicamente sbagliato, nel sistema di addestramento degli operatori psi. E adesso anche Leonie lo sapeva.

Era sconvolto dall’espressione dolorosa negli occhi di Leonie. Lei mormorò: — Cosa vuoi, da me? Siccome è mancato poco che nella mia debolezza io distruggessi la tua vita, l’onore degli Hastur impone dunque che debba assistere senza reagire mentre tu distruggi a tua volta la mia?

Damon chinò la testa. L’amore, la sofferenza che aveva domato, l’amore che aveva creduto estinto anni prima, lo riempivano di pietà. Lì nel sopramondo, dove la passione fisica non poteva rendere pericoloso il gesto o il pensiero, tese le braccia verso Leonie e — come aveva desiderato per tanti anni di dolore — la strinse a sé e la baciò. Non aveva importanza che fossero soltanto le loro immagini a incontrarsi, che nel mondo reale loro fossero separati da dieci giorni di viaggio, e che in quel mondo lei non potesse reagire alla sua passione più di quanto potesse farlo Callista. Tutto ciò non importava. Fu un bacio di amore disperato, quale lui non aveva mai dato e non avrebbe mai dato a una donna vivente. Per un attimo l’immagine di Leonie tremolò, fluì, finché fu di nuovo Leonie più giovane, radiosa, casta, intoccabile, la Leonie di cui Damon aveva agognato la presenza per tanti anni d’angoscia e di solitudine, tormentandosi nel rimorso di quel desiderio.

E poi fu la Leonie di quel tempo, sbiadita, sciupata, devastata dagli anni; e piangeva con tale disperazione da far temere a Damon che gli avrebbe spezzato il cuore. Lei mormorò: — Ora va’, Damon. Ritorna dopo il solstizio d’inverno, e io ti guiderò dove potrai cercare, nel tempo, il destino di Callista e il tuo. Ma adesso, se hai ancora pietà, vattene!

Il sopramondo tremò come scosso da un uragano, svanì nel grigiore, e Damon si ritrovò ad Armida. Callista lo guardava sgomenta e costernata. Ellemir mormorò: — Damon, amor mio, perché piangi? — Ma Damon sapeva che non avrebbe mai potuto rispondere.

Era inutile, per Cassilda e per tutti gli dèi, era inutile tutta quella sofferenza, la sua e di Callista. Della povera piccola Hilary. Di Leonie. E solo la misericordia di Avarra sapeva quante vite, quante telepati nelle Torri dei dominii erano condannati a soffrire…

Sarebbe stato meglio per i Comyn, meglio per tutti, pensò, disperato, se nelle epoche del caos tutti i figli di Hastur e di Cassilda avessero annientato se stessi e le loro pietre stellari! Ma doveva esserci una fine, una fine per quella sofferenza!

Si aggrappò disperatamente a Ellemir, e tese le braccia per stringere le mani di Andrew e di Callista. Non bastava. Niente, mai, sarebbe bastato a cancellare la sua consapevolezza di quell’infelicità. Ma finché erano intorno a lui, vicini, poteva sopportarlo. Per ora. Forse.

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