CAPITOLO DECIMO

Andrew stava sognando…


Vagava nella tormenta che udiva all’esterno, e che gettava neve e nevischio, spinti dai venti, intorno alle alture di Armida. Ma lui non aveva mai visto Armida. Era solo, e vagava in una desolazione senza strade, senza case, senza rifugi, come aveva fatto quando l’aereo per il rilevamento topografico era precipitato abbandonandolo in un mondo sconosciuto. Barcollava nella neve e il vento gli straziava i polmoni e una voce sussurrava come un’eco nella sua mente: Non c’è niente per te, qui.

E poi vide la ragazza.

E la voce nella sua mente mormorò: Tutto questo è già accaduto. Lei aveva addosso una camicia da notte leggera e lacera, e Andrew scorgeva la pelle chiara attraverso gli strappi; ma la stoffa non svolazzava nei venti furibondi che lo assalivano, e la tormenta non le agitava i capelli. Lei non era presente: era uno spettro, un sogno, una ragazza che non era mai esistita; eppure lui sapeva, su un altro livello di realtà, che era Callista, che era sua moglie. O forse era stato soltanto un sogno entro un sogno, vissuto mentre giaceva nella tormenta, e lui sarebbe rimasto lì disteso, seguendo quel sogno fino alla morte…? Cominciò a dibattersi, udì la propria voce gridare…


E la tormenta era cessata. Andrew giaceva nella sua camera da letto ad Armida. La tempesta si stava spegnendo, là fuori, ma il fuoco nel camino era ridotto a poche braci. In quella luce intravedeva a malapena Callista… o forse era Ellemir, che dormiva a fianco della sorella dalla notte in cui il riflesso psi che lei non poteva controllare li aveva folgorati entrambi nell’atto d’amore.

Durante i primi giorni, dopo che Dezi aveva tentato di ucciderlo, non aveva fatto quasi altro che dormire per le conseguenze della leggera commozione cerebrale e del freddo. Si toccò la ferita sulla fronte, non ancora rimarginata. Damon aveva tolto i punti un paio di giorni prima, e la crosta cominciava a staccarsi. Sarebbe rimasta una piccola cicatrice. Ma non era necessario uno sfregio per ricordargli com’era stato strappato dalle braccia di Callista quando una forza simile a una folgore si era avventata attraverso il corpo di lei. Ricordava che anticamente, sulla Terra, c’era stata una forma di tortura: un elettrodo accostato ai genitali. Ma non era stata colpa di Callista: quando aveva saputo ciò che aveva fatto, per poco il trauma non l’aveva uccisa.

Callista era ancora a letto, e Andrew aveva l’impressione che non migliorasse. Sapeva che Damon era preoccupato per lei. Le somministrava pozioni di erbe dagli strani aromi, e discuteva delle sue condizioni con parole di cui Andrew comprendeva forse una su dieci. Andrew si sentiva inutile, come la quinta gamba di un cavallo. E anche quando aveva incominciato a star meglio e a sentirsi in grado di muoversi, non aveva avuto la possibilità di distrarsi col lavoro solitamente pesante dell’allevamento dei cavalli. Con la stagione della tormenta, si era fermato tutto. Alcuni servitori, passando dalle gallerie sotterranee, andavano a curare i cavalli da sella e le mucche che fornivano il latte per tutta la casa. Alcuni giardinieri badavano alle serre. Andrew, ufficialmente, era il responsabile di tutto, ma in realtà non aveva nulla da fare.

Senza Callista, lo sapeva, non c’era niente che lo trattenesse lì, e dopo quella notte non era rimasto solo con lei per un momento. Damon aveva insistito perché Ellemir le dormisse accanto: non doveva mai sentirsi sola, neppure nel sonno, e per questo scopo la sua gemella era la persona più adatta.

Ellemir l’assisteva instancabilmente, giorno e notte. Da un certo punto di vista, Andrew le era grato per quelle cure premurose, dato che lui poteva fare ben poco per Callista. Ma nello stesso tempo se ne risentiva, si risentiva per essere isolato da sua moglie: ciò sottolineava la fragilità del filo che lo univa a Callista.

Avrebbe desiderato curarla, assisterla, sollevarla… Ma non volevano lasciarlo solo con lei neppure per un momento: e si risentiva anche di questo. Davvero pensavano che se l’avessero lasciata sola con lui, le si sarebbe avventato addosso come un animale selvatico, per violentarla? Maledizione, pensò, era più probabile che lui avesse eternamente paura di sfiorarla con un dito. Vorrei solo stare insieme a lei. Gli ripetevano che Callista aveva bisogno di sapere che lui l’amava ancora, e poi si comportavano come se non osassero lasciarli soli neppure per un minuto…

Si accorse che continuava a rimuginare, ossessivamente, sulle frustrazioni cui non poteva porre rimedio. Si girò, irrequieto, e cercò di riaddormentarsi. Ascoltò il respiro tranquillo di Ellemir e il sospiro angosciato di Callista, mentre si voltava. Cercò di raggiungerla col pensiero, e sentì il lieve contatto nella propria mente. Lei dormiva sodo, stordita da un’altra delle pozioni di Damon o di Ferrika. Andrew avrebbe voluto sapere cosa le somministravano, e perché. Si fidava di Damon, ma avrebbe desiderato che Damon si fidasse un po’ più di lui…

E anche la presenza di Ellemir era un motivo d’irritazione: così simile alla sua gemella, ma sana e rosea mentre Callista era così pallida e malata… Callista avrebbe dovuto essere come lei. La gravidanza, sebbene frustrata prematuramente, aveva ammorbidito la figura di Ellemir, sottolineando il contrasto con la magrezza di Callista. Maledizione, non doveva pensare a Ellemir. Era la sorella di sua moglie, la moglie del suo miglior amico, la donna più proibita per lui. E inoltre era una telepate, e avrebbe captato quel pensiero, e sarebbe rimasta atrocemente imbarazzata. Damon gli aveva detto, una volta, che in una famiglia di telepati un pensiero libidinoso era l’equivalente psicologico della violenza carnale. Non gli importava nulla di Ellemir (era soltanto sua cognata), ma lo induceva a immaginare Callista come avrebbe potuto essere se fosse stata sana e libera dall’influsso di quella stramaledetta Torre.

Era così gentile con lui…

Dopo molto tempo, scivolò nel sonno e riprese a sognare.


Era nel piccolo rifugio dei mandriani dove Callista, muovendosi attraverso il sopramondo, il mondo del pensiero e dell’illusione, l’aveva guidato nella tormenta dopo che l’aereo era precipitato. No, non era il rifugio dei mandriani: era lo strano edificio illusorio che Damon aveva costruito nelle loro menti e che era reale solo nella loro visualizzazione, ma aveva una solidità nel mondo del pensiero: perciò lui ne poteva vedere i mattoni e le pietre. Si svegliò, come aveva fatto allora, e vide la ragazza giacere accanto a lui, nella luce fioca: una figura indistinta, immobile, dormiente. Come aveva fatto allora, tese le mani per toccarla e scoprì che lei non c’era, non esisteva su quel piano: la sua forma, attraverso il sopramondo (che lei aveva spiegato come il doppio a rete d’energia del mondo reale) l’aveva raggiunto varcando lo spazio e forse anche il tempo, per burlarsi di lui. Eppure non si era burlata di lui.

Lo guardò con un sorriso grave, come aveva fatto allora, e disse, con un barlume di malizia: — Ah, è triste. È la prima volta, la primissima volta che giaccio con un uomo: e non posso goderne.

— Ma ora sei qui con me, tesoro — mormorò Andrew, e tese le mani verso di lei: e questa volta lei era lì, fra le sue braccia, calda, ardente, e sollevava la bocca al suo bacio, si premeva contro di lui con timido slancio, come aveva fatto una volta, ma solo per un momento.

— Questo non dimostra che è giunta l’ora, amore? — Andrew l’attirò a sé: le loro labbra s’incontrarono, i loro corpi si strinsero. Provò di nuovo la sofferenza del desiderio; ma aveva paura. C’era una ragione per cui non doveva toccarla… e all’improvviso, nel momento della tensione e della paura, lei gli sorrise, e tra le sue braccia c’era Ellemir, così simile e diversa dalla gemella.

Andrew disse: — No! — Si ritrasse, ma le mani di lei, piccole e forti, l’attirarono giù, più vicino. Lei gli sorrise e disse: — Ho chiesto a Callista di dirti che sono disponibile, come si narra nella ballata di Hastur e Cassilda. — Lui si guardò intorno, e vide Callista che li osservava e sorrideva…


Si svegliò con un sussulto di vergogna e di orrore. Si levò a sedere sul letto e si guardò intorno, angosciato, per assicurarsi che non fosse accaduto nulla, nulla. Era giorno, e Ellemir, con uno sbadiglio assonnato, scivolò fuori dal letto, avvolta nella sottile camicia da notte. Andrew si affrettò a distogliere lo sguardo.

Ellemir non se ne accorgeva neppure — per lei, Andrew non era un uomo — ma continuava ad aggirarsi davanti a lui, semivestita o svestita, tenendolo continuamente sulle spine, in preda a una frustrazione che non era neppure sessuale… Andrew rammentò che era sul loro mondo e che toccava a lui abituarsi alle loro consuetudini invece di cercare d’imporre le proprie. Solo la frustrazione, e il vergognoso realismo del sogno, lo rendevano quasi dolorosamente conscio di lei. Ma mentre il pensiero gli si chiariva nella mente, Ellemir si voltò con lentezza e lo fissò. Aveva gli occhi seri, ma sorrideva; e all’improvviso lui ricordò il sogno, e seppe che lei l’aveva condiviso, chissà come, e che i propri pensieri, il proprio desiderio, si erano intessuti nel sogno di lei.

Che razza di uomo sono? Mia moglie è malata, in pericolo di vita, e io sto qui a concupire la sua gemella… Tentò di voltarsi, sperando che Ellemir non captasse quel pensiero. La moglie del mio migliore amico…

Lei gli sorrideva, ma sembrava turbata. Andrew pensò che doveva scusarsi per quei pensieri. Invece Ellemir disse, dolcemente: — Va tutto bene, Andrew. — Per un momento, non gli riuscì di credere che lei avesse pronunciato davvero quelle parole. Sbatté le palpebre, ma prima che gli venisse in mente qualcosa da dire Ellemir aveva raccolto gli indumenti ed era andata in bagno.

Andrew si accostò alla finestra e guardò la tempesta di neve, che si stava acquietando. A perdita d’occhio il paesaggio era tutto bianco, lievemente rosato dalla luce del grande sole rosso che si affacciava fioco attraverso gli squarci tra le nubi. I venti avevano plasmato la neve in creste gelate, come onde di un duro oceano bianco che si stendeva fino alle lontane colline indistinte. Andrew ebbe la sensazione che il tempo rispecchiasse il suo umore: grigio, tetro, insopportabile.

Com’era fragile, dopotutto, il vincolo che lo univa a Callista! Eppure sapeva che non avrebbe mai potuto tornare indietro. Aveva scoperto troppi abissi in se stesso, troppe stranezze aliene. Il vecchio Carr, l’Andrew Carr dell’impero terrestre, aveva cessato di esistere nel giorno lontano in cui Damon li aveva posti tutti in contatto tramite la matrice. La strinse tra le dita, dura e fredda nel sacchetto isolante che portava al collo, e ricordò che era un gesto darkovano, un gesto che aveva visto compiere cento volte da Damon. E in quel gesto automatico riconobbe di nuovo la stranezza di quel suo nuovo mondo.

Fino a poche notti prima aveva creduto di essere avviato a costruirsi una nuova vita. Aveva un lavoro importante da svolgere, una famiglia, amici, un fratello e una sorella, un secondo padre, una moglie amata e innamorata. E poi, nell’esplosione di una folgore invisibile, tutto il suo mondo nuovo si era sgretolato intorno a lui, e l’alienità l’aveva accerchiato ancora. Vi stava sprofondando, annegando… Perfino Damon, solitamente così vicino e amichevole, quasi un fratello, era divenuto freddo ed estraneo.

O forse era lui, Andrew, che adesso vedeva l’alienità in tutti e in tutte le cose?

Notò che Callista si muoveva. Temendo che i propri pensieri la disturbassero, prese gli indumenti e andò a lavarsi e a vestirsi.

Quando tornò, Callista era sveglia e Ellemir l’aveva preparata facendole indossare una camicia pulita, lavandola, intrecciandole i capelli. Era stata portata la colazione, e Damon e Ellemir lo stavano aspettando intorno al tavolo dove tutti e quattro prendevano i pasti da quando Callista si era ammalata.

Ma Ellemir stava ancora accanto a Callista, e aveva l’aria turbata. Quando Andrew entrò lei disse, in tono di profonda inquietudine: — Callista, vorrei che ti lasciassi visitare da Ferrika. So che è giovane, ma è stata istruita nella Casa della Corporazione delle Amazzoni ed è la miglior ostetrica che abbiamo mai avuto ad Armida. Ti…

— I servigi di un’ostetrica — replicò Callista, con una sfumatura di amara gaiezza, — sono l’ultima cosa di cui ho bisogno.

— Comunque, Callista, lei conosce tutti i disturbi femminili. Senza dubbio, può fare più di me. Damon — insistette Ellemir, — tu cosa ne pensi?

Damon stava accanto alla finestra e guardava la neve. Si voltò e aggrottò leggermente la fronte. — Nessuno rispetta più di me le capacità e l’istruzione di Ferrika, Elli. Ma non so se ha l’esperienza necessaria per un caso come questo. Non capita di frequente, neppure nelle Torri.

Andrew disse: — Non capisco! È ancora soltanto l’inizio delle mestruazioni? Se è così — continuò, rivolgendosi direttamente a Callista, — che male ci sarebbe a farti vedere da Ferrika?

Callista scrollò la testa. — No, è finito, qualche giorno fa. Credo — (alzò gli occhi verso Damon, ridendo) — che la mia sia soltanto pigrizia: approfitto di una debolezza femminile.

— Vorrei che fosse così, Callista — disse Damon, e andò a sedersi a tavola. — Vorrei convincermi che oggi saresti in grado di alzarti. — La guardò mentre lei, con dita languide, imburrava un pezzo di pane di noci. Callista se lo portò alla bocca e masticò, ma Andrew non la vide deglutire.

Ellemir spezzò un po’ di pane e disse: — Abbiamo una decina di ancelle, in cucina, ma se io manco per un giorno o due il pane diventa immangiabile!

Andrew pensò che il pane era come al solito: caldo, fragrante, a grana grossa, con la farina mescolata alle noci macinate che su Darkover costituivano il cibo principale. Era aromatizzato con le erbe e aveva un buon sapore, ma a Andrew davano un po’ fastidio quella grana grossolana e quelle spezie sconosciute. Neppure Callista mangiava, e Ellemir appariva turbava. Disse: — Posso mandarti a prendere qualcosa d’altro, Callie?

Callista scrollò la testa. — No, davvero. Non posso, Elli. Non ho fame…

Erano giorni che non mangiava quasi nulla. In nome di Dio, pensò Andrew, cos’ha?

Damon disse, con improvvisa ruvidezza: — Vedi, Callista? È come ti dicevo. Hai lavorato con le matrici per… per quanto? Nove anni? Sai cosa significa, quando non puoi mangiare!

Negli occhi di lei balenò un’espressione spaventata. Disse: — Mi sforzerò, Damon. Davvero. — Prese una cucchiaiata di frutta cotta e l’inghiottì con riluttanza. Damon l’osservò, preoccupato, pensando che costringerla a fingere un appetito che non provava non era ciò che lui voleva ottenere. Disse, fissando le creste di neve che sembravano panna montata, imporporate dalla luce: — Se il tempo migliorasse, manderei qualcuno a Neskaya. Forse la leronis potrebbe venire a darti un’occhiata.

— Sembra che adesso si stia schiarendo — osservò Andrew, ma Damon scrollò il capo.

— Prima di sera riprenderà a nevicare. Conosco il tempo di queste colline. Se qualcuno partisse stamattina, resterebbe bloccato a metà strada.

Infatti, poco dopo mezzogiorno la neve ricominciò a scendere in enormi fiocchi bianchi, dapprima lentamente e poi sempre più pesante, in un turbine irrequieto che nascose il paesaggio e le colline. Andrew la guardava, indignato e incredulo, mentre andava dalle gallerie delle stalle alle serre, mentre sovrintendeva all’attività dei maggiordomi e dei garzoni. Com’era possibile che il cielo racchiudesse tanta neve?

Salì di nuovo nel tardo pomeriggio, appena ebbe terminato quel po’ di lavoro che c’era da fare in quei giorni. Come sempre, quando rimaneva per un poco lontano da Callista, si sgomentò. Gli parve che da quel mattino fosse diventata ancora più pallida e scarna, e che dimostrasse dieci anni più della gemella. Ma gli occhi le brillarono di gioia al vederlo, e quando Andrew le prese le dita lei le strinse intorno alla sua mano, di slancio.

Andrew chiese: — Sei sola, Callista? Dov’è Ellemir?

— È andata a passare un po’ di tempo con Damon. Poverini, sono stati così poco insieme, ultimamente: uno dei due è sempre con me. — Si scostò, con un fremito di sofferenza che sembrava non lasciarla mai. — Avarra abbia pietà di me: sono stanca di stare a letto.

Lui si chinò e la sollevò. — Allora ti terrò un po’ così, tra le braccia — disse, portandola a una poltrona davanti alla finestra. Era leggera come una bambina, abbandonata e inerte. Gli appoggiò la testa sulla spalla. Andrew provava una tenerezza dolorosa, immune dal desiderio: un uomo non poteva turbare col desiderio quella bambina malata. La cullò, dolcemente.

— Dimmi cosa succede, Andrew. Sono così isolata. Poteva finire il mondo senza che io ne sapessi nulla.

Lui indicò il mondo bianco di neve, oltre la finestra. — Come vedi, non è accaduto niente d’importante. Non c’è niente da dirti, a meno che t’interessi sapere quali frutti stanno maturando nella serra.

— Ecco, mi fa piacere sapere che non sono stati distrutti dalla tormenta. Qualche volta i vetri si spezzano e le piante muoiono: ma è ancora troppo presto perché succeda — disse lei, appoggiandosi stancamente, come se lo sforzo di parlare fosse stato troppo grande.

Andrew la tenne stretta, lieto che non si ritraesse, che mostrasse di desiderare il contatto con lui mentre in precedenza l’aveva temuto. Forse aveva ragione: ora che il suo ciclo era incominciato, con l’andar del tempo e con la pazienza avrebbe potuto vincere il condizionamento della Torre. Teneva gli occhi chiusi, e sembrava addormentata.

Rimasero così a lungo, fino a quando Damon, entrando all’improvviso nella stanza, si arrestò di colpo, sbigottito. Aprì la bocca per parlare, ma Andrew percepì il messaggio concitato e impaurito, direttamente dal suo pensiero.

Andrew! Mettila giù, presto, allontanati da lei!

Andrew alzò la testa, irosamente: ma sentendo l’angoscia sincera di Damon reagì con prontezza. Sollevò Callista e la riportò sul letto. Lei restò silenziosa, immobile, priva di sensi.

— Da quanto tempo è così? — chiese calmo Damon.

— Solo da pochi minuti. Stavamo parlando — rispose Andrew, in tono difensivo.

Damon sospirò, e disse: — Credevo di potermi fidare di te. Credevo che capissi!

— Lei non ha paura di me, Damon: voleva che la tenessi tra le braccia.

Callista aprì gli occhi. Sembravano incolori, nella luce fioca filtrata dalla neve. — Non rimproverarlo, Damon. Ero stanca di stare a letto. Davvero, sto meglio. Pensavo che stasera mi sarei fatta portare la mia arpa e avrei suonato un po’. Sono stanca di non aver niente da fare.

Damon la guardò, scettico, ma disse: — La manderò a prendere, se vuoi.

— Lascia, vado io — replicò Andrew. Senza dubbio, se si sentiva abbastanza bene da suonare l’arpa doveva essere migliorata! Scese nella Grande Sala, trovò un maggiordomo e chiese lo strumento di dama Callista. L’uomo gli portò la piccola arpa, non più grande di una chitarra terrestre, nella custodia di legno scolpito.

— Devo portarla di sopra, Dom Ann’dra?

— No, la prendo io.

Una delle ancelle, che stava dietro il maggiordomo, disse: — Porta le nostre congratulazioni alla signora, e dille che speriamo che presto stia abbastanza bene da accettarle personalmente.

Andrew imprecò, incapace di trattenersi. Poi si affrettò a chiedere scusa: la donna non aveva avuto intenzioni cattive. E cos’altro potevano pensare? Callista era a letto da dieci giorni, e nessuno era stato chiamato ad assisterla: solo la sua gemella poteva starle vicina. Si poteva dar loro torto se pensavano che era incinta, e che la sorella e il marito si prendevano cura di lei perché il bambino non subisse la stessa sorte di quello di Ellemir? Infine disse, con una voce che sapeva malferma: — Ti ringrazio dei tuoi… dei tuoi gentili auguri, ma mia moglie non ha avuto questa fortuna… — Non riuscì a continuare. Accettò i mormorii di comprensione, e si affrettò a salire.

Nel soggiorno dell’appartamento si fermò, sentendo la voce incollerita di Damon.

— È inutile, Callista, e lo sai. Non puoi mangiare, non dormi se non ti somministro un soporifero. Speravo che tutto si risolvesse, dopo l’inizio spontaneo del ciclo. E invece guardati!

Callista mormorò qualcosa. Andrew non riuscì ad afferrare le parole, ma solo il tono di protesta.

— Sii sincera, Callista. Tu eri leronis di Arilinn. Se ti avessero portato qualcuna in questo stato, cos’avresti fatto? — Una breve pausa. — Allora sai cosa devo fare, e in fretta.

— Damon, no! — Era un grido di disperazione.

Breda, ti prometto che cercherò…

— Oh, Damon, dammi ancora un po’ di tempo! — Andrew la sentì singhiozzare. — Mi sforzerò di mangiare, prometto. Mi sento meglio davvero: oggi sono stata seduta per più di un’ora, chiedilo a Ellemir. Damon, non puoi darmi ancora un po’ di tempo?

Ci fu un lungo silenzio, poi Damon imprecò e uscì dalla stanza. Fece per passare oltre Andrew senza parlare, ma il terrestre lo prese per un braccio.

— Cosa succede? Cosa le hai detto, per sconvolgerla così?

Damon non lo guardò, e Andrew provò l’allarmante sensazione che per suo cognato lui non fosse presente davvero. — Non vuole che faccia quello che devo fare. — Vide la custodia dell’arpa e disse, sprezzante: — Credi davvero che stia abbastanza bene da poter suonare?

— Non lo so — rispose irritato Andrew. — So soltanto che lei me l’ha chiesta. — All’improvviso ricordò ciò che avevano detto i servitori, e sentì che non poteva più resistere.

— Damon, ma cos’ha? Ogni volta che te l’ho chiesto hai cercato di sfuggirmi.

Damon sospirò e si sedette, stringendosi la testa fra le mani. — Non so se riuscirò a spiegartelo. Tu non sei stato addestrato nell’uso delle matrici, non conosci il linguaggio, non conosci neppure i concetti.

Andrew disse, cupamente: — Spiegati in parole semplici.

— Non esistono. — Damon sospirò e tacque, riflettendo. Infine disse: — Ti ho mostrato i canali, in Callista e in Ellemir.

Andrew annuì, ricordando quelle linee luminose e i centri pulsanti, così nitidi in Ellemir, così infiammati e torpidi in Callista.

— In sostanza, è affetta da un sovraccarico dei canali nervosi. — Damon si accorse che Andrew non capiva. — Ti ho detto che gli stessi canali portano le energie sessuali e le forze psi: non contemporaneamente, è ovvio. Quando è stata addestrata come Custode, Callista ha imparato le tecniche che le impedivano di essere capace (o anche soltanto conscia) della minima reazione sessuale. Fin qui è chiaro?

— Credo di sì. — Andrew pensò all’apparato sessuale di Callista, reso non funzionale perché lei potesse usare l’intero corpo come trasformatore di energia. Dio, come si poteva fare una cosa simile a una donna!

— Bene. In un adulto normale, i canali funzionano selettivamente. Bloccano le forze psi quando i canali servono per le energie sessuali, e bloccano gli impulsi sessuali quando viene usato lo psi. Dopo aver lavorato con la matrice, ricordi che sei rimasto impotente per alcuni giorni? Di solito, quando una Custode rinuncia alla sua carica, questo avviene perché i canali sono ritornati a livelli normali e alla normale selettività. Allora lei non è più in grado, come deve essere in grado di fare una Custode, di rimanere completamente libera da ogni traccia di energia sessuale rimasta nei canali. Evidentemente Callista ha pensato che questo fosse già avvenuto in lei, perché sentiva di reagire a te. Per un momento l’ha fatto, sai — continuò Damon, guardando esitante Andrew; e il terrestre, che non voleva ricordare quell’istante di quadruplice contatto e riconoscere che Damon poteva avervi partecipato, non alzò gli occhi. Si limitò ad annuire, a testa bassa.

— Bene. Se una comune Custode… una Custode con il condizionamento e i canali liberi… viene attaccata, può proteggersi. Per esempio: se tu non fossi stato il marito di Callista, l’uomo al quale lei aveva dato il diritto di farlo, se fossi stato un estraneo che tentava di violentarla, lei avrebbe scagliato l’energia direttamente attraverso te. E tu saresti morto, e Callista… ecco, credo che sarebbe rimasta scossa e nauseata, ma dopo un buon pasto e un sonno si sarebbe ripresa perfettamente. Ma non è andata così.

Non è di te che non mi fido, marito mio…

— Lei deve aver creduto di essere pronta, altrimenti non avrebbe rischiato. E quando si è accorta che non era pronta, nell’attimo prima di folgorarti col riflesso che non poteva controllare, ha riportato il contraccolpo nel suo corpo. E questo ti ha salvato la vita. Se l’intero flusso di energia ti avesse attraversato, immagini cosa sarebbe successo?

Andrew riusciva a immaginarlo, ma preferiva non pensarci.

— Dev’essere stato quel trauma a provocare le mestruazioni. L’ho osservata attentamente, fino a quando sono stato sicuro che non sarebbe andata in crisi: ma poi ho pensato che l’emorragia, e la perdita di energia che si verifica normalmente nelle donne in queste occasioni, avrebbero fatto defluire il sovraccarico e avrebbero liberato i canali. Ma non è stato così. — Damon aggrottò la fronte. — Vorrei sapere esattamente cosa le ha fatto Leonie. Nel frattempo, ti ho pregato di non toccarla. E non devi farlo.

— Hai paura che mi folgori di nuovo?

Damon scosse la testa. — Non credo che ne abbia la forza, adesso. In un certo senso, è peggio. Reagisce fisicamente a te, ma i canali non sono liberi: quindi non c’è modo di far defluire le energie sessuali in modo normale attraverso i canali. Ci sono due serie di riflessi che agiscono contemporaneamente: ognuna blocca l’altra, e inibisce entrambe le funzioni normali.

— Mi sento più confuso che mai — disse Andrew, stringendosi la testa fra le mani, e Damon si accinse a una spiegazione ancora più semplice.

— Una donna addestrata come Custode, qualche volta deve coordinare otto o dieci telepati. Lavorando nei cerchi di energon, deve incanalare tutta quella forza attraverso il proprio corpo. Regge tensioni psi enormi, come… — Captò l’analogia nella mente di Andrew. — Come un trasformatore. Perciò loro non possono, non osano affidarsi alla selettività normale dell’adulto comune. Devono mantenere i canali totalmente, completamente, permanentemente liberi per le forze psi. Ricordi quello che ha detto mia sorella Marisela?

L’udirono insieme, come un’eco nella mente di Damon: Anticamente le Custodi di Arilinn non potevano abbandonare il loro incarico neppure se volevano… Le Custodi di Arilinn non sono donne ma emmasca…

— Le Custodi non vengono più castrate, naturalmente. Si affidano ai voti di verginità, e al condizionamento antisessuale intensivo, per mantenere i canali completamente liberi. Ma dopotutto una Custode è una donna; e se s’innamora, con ogni verosimiglianza comincia a reagire sessualmente, perché i canali sono ritornati alla selettività normale, per lo psi o per il sesso. Deve smettere di fungere da Custode, perché i suoi canali non sono più completamente liberi. Può reggere lo psi comune, ma non le enormi tensioni di una Custode, i cerchi e i relè di energon… Be’, tu non ne sai molto, lascia stare. Di solito, in pratica, una Custode, il cui condizionamento è fallito rinuncia completamente a lavorare col laran. Io lo ritengo assurdo, ma la nostra consuetudine è questa. Ed è questo, ciò che Callista si aspettava: che appena avesse incominciato a reagire a te avrebbe preso a usare selettivamente i canali, come tutti i normali telepati adulti.

— E perché non è accaduto? — chiese Andrew.

— Non so — rispose Damon, disperato. — Non ho mai visto una cosa simile. Non voglio credere che Leonie abbia alterato i canali, in modo che non potessero mai più funzionare selettivamente: ma non mi viene in mente un’altra spiegazione. Siccome è chiaro che Leonie ha modificato i canali in un modo o nell’altro, per mantenerla fisicamente immatura, credo che la causa sia proprio questa. Adesso capisci perché non devi toccarla? Non perché lei ti folgorerebbe di nuovo (uccidendoti, questa volta), ma perché si lascerebbe morire piuttosto di farlo. Sarebbe una cosa così facile, per lei, che il solo pensarci mi atterrisce. Perché i riflessi ci sono ancora, e lei li combatte: e questo la sta uccidendo.

Andrew si coprì la faccia con le mani. — E io che l’ho supplicata… — disse, con un filo di voce.

— Tu non potevi saperlo — osservò Damon, gentilmente. — E neppure lei lo sapeva. Credeva di decondizionarsi normalmente, se no non avrebbe mai rischiato. Era disposta a rinunciare del tutto alla funzione psi dei canali, per te. Sai cosa significa per lei?

Andrew mormorò: — Non lo merito. Tanta sofferenza…

— E così maledettamente inutile! — esclamò Damon. Era una bestemmia. Non c’era una legge più inflessibile di quella che impediva a una Custode, dopo aver rinunciato al giuramento, dopo aver perso la verginità, di svolgere ancora un’attività seria con le matrici. — Era ciò che lei desiderava, Andrew. Rinunciare al suo lavoro di Custode, per te.

— E allora cosa si può fare? — chiese Andrew. — Lei non può continuare così. Ne morirà!

Damon disse, riluttante: — Dovrò liberarle i canali. E lei non vuole permettermelo.

— Perché?

Damon non rispose subito. E infine disse: — Di solito lo si fa sotto l’effetto del kirian, e io non ne ho. Senza, è tremendamente doloroso. — Ma così, Callista poteva sembrare vile, e lui non voleva dare quell’impressione; tuttavia non si sentiva capace di spiegare a Andrew qual era la vera obiezione di Callista. Con sollievo, posò lo sguardo sulla rryl nella sua custodia.

— Ma se sta abbastanza bene da chiedere l’arpa, forse è migliorata davvero — disse, con un barlume di speranza. — Portagliela, Andrew. Ma… — S’interruppe, poi riprese: — Ma non toccarla. Sta ancora reagendo a te.

— Ma non è quello che vogliamo?

— No, con i due sistemi sovraccarichi e intasati — disse Damon. Andrew chinò la testa e mormorò: — Lo prometto.

Lasciò Damon, entrò nella stanza dove giaceva Callista… e si fermò, sconvolto. Lei era silenziosa, immobile, e per un terribile istante Andrew non la vide respirare. Aveva gli occhi aperti ma non lo vedeva, non lo seguì con lo sguardo quando l’ombra di lui le nascose la luce. Provò una paura agghiacciante: sentì un urlo muto stringergli la gola. Si voltò di scatto per chiamare Damon, ma Damon aveva già captato l’impatto telepatico del suo panico e si stava precipitando nella stanza. Poi emise un grande sospiro di sollievo, quasi un singhiozzo.

— Tutto bene — disse, aggrappandosi a Andrew come se fosse in preda alle vertigini. — Non è morta: ha… ha abbandonato il suo corpo. È nel sopramondo, ecco tutto.

Fissando gli occhi ciechi e spalancati, Andrew bisbigliò: — Cosa possiamo fare, per lei?

— Nelle sue attuali condizioni fisiche non potrà restarci a lungo — rispose Damon, mentre l’angoscia, la preoccupazione e la speranza si mescolavano nella sua voce. — Non sapevo neppure che fosse abbastanza forte per questo. Ma se lo è… — Non l’affermò a voce alta, ma entrambi udirono ciò che non disse: Se lo è, forse non è grave come temiamo.


Muovendosi nei grigi spazi del sopramondo, Callista sentiva le loro grida e le loro paure: ma vagamente, come in un sogno. Per la prima volta, dopo un’eternità, il dolore non la tormentava più. Aveva abbandonato il suo corpo straziato, uscendone come da un indumento troppo ampio e scivolando nei reami conosciuti. Si sentiva prendere forma nei grigi spazi del sopramondo, e il suo corpo era sereno e in pace com’era stato un tempo… Si vedeva avvolta nelle pieghe aeree e traslucide della sua veste di Custode: una leronis, una maga. Mi vedo ancora così?, si chiese, stupita e profondamente turbata. Non sono una Custode ma una donna sposata, nel pensiero e nel cuore se non nella realtà…

Il vuoto di quel mondo grigio le faceva paura. Cercò, quasi automaticamente, un punto di riferimento, e nelle grige lontananze scorse il fioco brillio della rete di energia che in quel mondo era l’equivalente della Torre di Arilinn.

Non posso andare là, pensò. Ho rinunciato. Ma a quel pensiero provò un appassionato desiderio del mondo che aveva abbandonato per sempre. Come se il desiderio avesse creato la risposta, vide ravvivarsi la rete e poi — quasi con la rapidità del pensiero — fu , entro il Velo, nel ritiro segreto, il Giardino della Fragranza, il Giardino della Custode.

Poi vide la figura velata che prendeva lentamente forma davanti a lei. Non ebbe bisogno di scorgere il volto di Leonie per riconoscerla.

— Mia diletta figlia — disse Leonie. Callista sapeva che era solo un tenue contatto del pensiero; ma in quel regno familiare la loro presenza reciproca era così reale che la voce di Leonie suonava ricca, calda, più tenera di quanto fosse mai stata nella vita. Solo su quel piano non fisico, lo sapeva, Leonie poteva permettersi quelle emozioni. — Perché sei venuta da noi? Credevo che ti fossi sottratta per sempre alla nostra portata, chiya. Oppure sei finita qui in un sogno?

— Non è un sogno, Kiya. — La collera la invase, come una scossa gelida che pervadeva ogni nervo. La dominò, come le era stato insegnato fin dall’infanzia, perché la collera degli Alton poteva uccidere. Con voce fredda e imperiosa, respingendo la tenerezza di Leonie, dichiarò: — Sono venuta a cercarti, a chiederti perché hai pronunciato una benedizione senza verità! Perché mi hai mentito? — Sentiva la propria voce come un urlo negli orecchi. — Perché mi hai legata con vincoli che non potevo spezzare, cosicché è stata una beffa quando mi hai data in sposa? Mi serbi tanto rancore per la mia felicità, tu che non l’hai mai conosciuta?

Leonie rabbrividì. La sua voce era piena di dolore. — Speravo che fossi felice e che fossi già una vera sposa, chiya.

— Sai bene che quanto hai fatto lo rende impossibile! Puoi giurare di non avermi castrata, come si faceva un tempo alla Dama di Arilinn?

Leonie, col volto pieno di orrore, disse: — Gli dèi mi siano testimoni, figliola, e le cose sacre di Hali: non sei stata castrata. Ma eri molto giovane quando sei arrivata alla Torre…

Il tempo parve scorrere a ritroso mentre Leonie parlava, e Callista si sentì trascinata a quei giorni quasi dimenticati, con i capelli ancora arricciati intorno alle guance anziché intrecciati come si addiceva a una donna: provò di nuovo la reverenza impaurita che aveva provato per Leonie prima che diventasse sua madre, la sua guida, la sua maestra, la sua sacerdotessa…

— Tu eri riuscita come Custode, figlia mia, mentre altre sei avevano fallito. Credevo che ne fossi orgogliosa.

— Lo ero — mormorò Callista, chinando il capo.

— Ma tu mi hai ingannata, Callista, altrimenti non ti avrei mai lasciata andare. Mi hai fatto credere, sebbene io lo ritenessi quasi impossibile, che reagivi già al tuo innamorato, che se non avevi giaciuto con lui sarebbe accaduto comunque entro breve tempo. Perciò ho creduto che forse non ero riuscita nell’intento, che forse il tuo successo come Custode era venuto perché ti credevi libera da ciò che tormentava le altre donne. Poi, quando l’amore è entrato nella tua vita, e hai scoperto di avere un cuore, allora, come è accaduto a tante Custodi, non era più possibile che rimanessi addormentata. E perciò ti ho benedetta, e ti ho liberata dal voto. Ma se non è vero, Callista, se non è vero…

Callista ricordò Damon che le lanciava quella sfida irosa: Vuoi passare la vita a contare i buchi nelle tovaglie di lino e a preparare le erbe per il pane alle spezie, tu che eri Callista di Arilinn? E anche Leonie udì l’eco, nella propria mente.

— L’ho già detto, mia cara, e ora te l’offro di nuovo. Puoi ritornare da noi. Un po’ di tempo, un periodo di riaddestramento, e saresti di nuovo dei nostri.

Fece un gesto: l’aria ondeggiò, e Callista si trovò abbigliata delle vesti cremisi di Custode, con gli ornamenti rituali sulla fronte e sulla gola.

— Torna da noi, Callista. Torna.

Lei disse, balbettando: — Mio marito…

Leonie fece un gesto di rifiuto. — Il libero matrimonio non è nulla, Callista: è una finzione legale, priva di valore se non viene consumato. Cosa ti lega a quell’uomo?

Callista fece per rispondere «L’amore», ma sotto lo sguardo sprezzante di Leonie non riuscì a pronunciare quella parola. Disse, invece: — Una promessa, Leonie.

— La tua promessa a noi è venuta prima. Tu sei nata per questo lavoro, Callista: è il tuo destino. Ricordi? Eri consenziente a ciò che ti veniva fatto. Eri una delle sette ragazze giunte da noi quell’anno. Sei di loro hanno fallito, una dopo l’altra. Erano già cresciute, i loro canali nervosi erano già maturi. Per loro, la liberazione dei canali e il condizionamento contro la reazione erano troppo dolorosi. E poi c’era Hilary Castamir: la ricordi? Lei è diventata Custode, ma ogni mese, quando sopravveniva il suo ciclo, andava in convulsioni, e il prezzo sembrava troppo grande. Ero disperata, Callista, ti ricordi? Dovevo addossarmi il lavoro di tre Custodi, e la mia salute cominciava a soffrirne. E per questo ti ho spiegato come stavano le cose, e tu hai acconsentito.

— Come potevo acconsentire? — esclamò disperata Callista. — Ero una bambina! Non sapevo neppure cosa mi chiedevi!

— Eppure hai acconsentito a essere addestrata quando non eri ancora adulta, quando i canali erano ancora immaturi. Perciò ti sei adattata facilmente all’addestramento.

— Lo ricordo — disse Callista, a voce bassa. Era stata così orgogliosa di riuscire dove tante fallivano, di diventare Callista di Arilinn, di prendere posto accanto alle grandi Custodi della leggenda. Ricordava l’euforia che le dava il prendere la direzione dei grandi cerchi, percepire le immense tensioni che fluivano senza ostacoli attraverso il suo corpo, guidare gli enormi anelli di energon…

— Ed eri così giovane. Mi sembrava improbabile che avessi qualche possibilità. E invece… Ma, mia cara, potrai riavere tutto. Basta che tu dica una parola.

— No! — gridò Callista. — No! Sono stata sciolta dal giuramento… Non voglio! — Eppure, stranamente, non ne era sicura.

— Callista, avrei potuto costringerti a ritornare. Eri ancora vergine, e la legge mi autorizzava a importi di tornare ad Arilinn. C’è un gran bisogno di te, e io sono vecchia. Eppure, come ho detto, è un peso troppo grande per portarlo senza pieno consenso. Ti ho lasciata libera, figlia mia, sebbene io sia vecchia: e questo significa che dovrò sforzarmi di portare il mio fardello fino a quando Janine sarà abbastanza cresciuta, abbastanza adulta per questo lavoro. Ti sembra che io ti volessi male, o che abbia mentito quando ti ho benedetta e ti ho augurato di vivere felice col tuo innamorato? Credevo che fossi già libera. Credevo, rendendoti il tuo giuramento, d’inchinarmi all’inevitabile; credevo che in pratica fossi già libera, e che non ci fosse ragione di non renderti la promessa e di tormentarti insistendo per farti ritornare, per liberare i canali e costringerti a ritentare.

Callista sussurrò: — Speravo… credevo di essere libera…

Sentì l’orrore di Leonie, quasi tangibile. — Mia povera piccola, che rischio! Come può starti tanto a cuore un uomo, quando hai tutto questo davanti a te? Callista, tesoro, torna da noi! Guariremo tutte le tue ferite. Torna, il tuo posto è qui…

— No! — Era un grido di rinuncia. E come se fosse echeggiato nell’altro mondo, Callista udì la voce di Andrew invocare tormentosamente il suo nome.

— Callista, Callista, torna da noi…

Ci fu un trauma breve e brusco, la sensazione di precipitare. Leonie non c’era più, e la sofferenza le trafiggeva il corpo. Si ritrovò distesa sul letto, e il volto di Andrew, pallido come quello di un morto, era chino su di lei.

— Temevo di averti persa per sempre, questa volta — mormorò Andrew.

— Forse sarebbe meglio… — mormorò Callista, angosciata.

Leonie aveva ragione. Niente mi lega a lui, tranne una promessa… e il mio destino è di essere Custode. Per un attimo il tempo si sfocò, e Callista vide se stessa al riparo di strane mura sconosciute che non erano quelle di Arilinn. Afferrò con le mani i fasci di forza, gettò gli anelli di energon…

Tese le mani verso Andrew, e istintivamente si ritrasse. Poi, sentendo lo sgomento di lui, gli prese le mani, dimenticando le acute fitte ammonitrici.

Non potrò mai ritornare. Se non c’è una soluzione morirò, ma non ritornerò mai là.

Niente mi lega a Andrew, se non parole. Eppure… le parole… le parole hanno potere. Aprì le palpebre, guardò il marito negli occhi, e ripeté le parole che lui aveva pronunciato in occasione delle nozze.

— Andrew, nella buona e nella cattiva sorte… in ricchezza e in povertà… nella malattia e nella buona salute… finché morte non ci separi — disse, e strinse le sue mani su quelle di lui. — Andrew, amor mio, non devi piangere.

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