CAPITOLO QUATTORDICESIMO

Dom Esteban aveva chiesto loro di rimandare l’operazione psi fino a quando fosse passato il solstizio d’inverno e fossero stati riparati i danni causati dalla tempesta di neve. Damon era lieto di quel rinvio, sebbene fosse tormentato dall’apprensione e dalla necessità di farla finita. Sapeva che molto sarebbe dipeso dal clima. Se c’era un’altra tempesta, la festa del solstizio d’inverno sarebbe stata celebrata in compagnia della sola gente di casa; ma se il tempo era buono, tutti quelli che abitavano a meno di un giorno di viaggio sarebbero venuti lì, e molti avrebbero trascorso la notte ad Armida. La vigilia del solstizio d’inverno spuntò rossa e mite, e Damon vide che Dom Esteban era lieto di quella prospettiva. Si vergognò della propria riluttanza. Un’occasione che spezzava l’isolamento invernale era molto importante, tra le Colline di Kilghard, soprattutto per un vecchio invalido relegato su una poltrona a rotelle. A colazione, Ellemir parlò allegramente dei preparativi per la festa, tutta presa dallo spirito di quella vacanza.

— Metterò al lavoro le ragazze, in cucina, per preparare i dolci, e uno degli uomini dovrà andare nella Valle Meridionale a chiedere al vecchio Yashri e ai suoi figli di venire a suonare per il ballo. E se molti resteranno qui per la notte, dovremo far aprire e arieggiare le stanze degli ospiti. E immagino che la cappella sarà scandalosamente sporca e polverosa. Non ci vado più da quando… — S’interruppe e distolse gli occhi, e subito Callista intervenne: — Penserò io alla cappella, Elli, ma dobbiamo accendere il fuoco? — Guardò suo padre, e il vecchio rispose: — Io direi che è una sciocchezza, ai giorni nostri, accendere il fuoco del sole. — Fissò Andrew, inarcando le sopracciglia, come se — pensò Damon — si aspettasse dal giovane un’espressione irriverente. Ma Andrew disse: — Sembra che sia uno dei costumi universali dell’umanità, su molti mondi, festeggiare il solstizio d’inverno, il ritorno del sole dopo la notte più lunga, e il solstizio d’estate.

Damon non si era mai ritenuto un sentimentale: si era sempre sforzato di lasciare sepolto il passato, eppure adesso ricordava tutti gli inverni che aveva trascorso ad Armida, come amico di Coryn. Stava sempre accanto a Coryn, alla festa del solstizio d’inverno, con le bambine intorno a loro, e pensava che se mai avesse avuto una famiglia tutta sua avrebbe conservato quella consuetudine. Suo suocero captò quel ricordo e alzò gli occhi, sorridendogli. La sua voce era burbera: — Credevo che voi giovani la giudicaste un’assurdità pagana da dimenticare, ma se qualcuno è disposto a portarmi in cortile potremo farlo: c’è abbastanza sole. Damon, non posso andare a scegliere i vini per la festa, quindi ecco la chiave delle cantine. Rhodri dice che il vino di quest’anno è buono, anche se io non ho potuto dirigerne la preparazione.

Andrew stava ritornando dall’ispezione quotidiana ai cavalli da sella, quando Callista lo fermò. — Vieni ad aiutarmi nella cappella. Non possono farlo i servitori, ma soltanto quelli che sono legati al dominio per nascita o per matrimonio. E tu non ci sei mai stato.

Andrew non c’era mai stato. Non sembrava che la religione avesse una parte molto importante nella vita quotidiana dei dominii: almeno, lì ad Armida era così. Callista si era messa un grande grembiule, e mentre scendevano le scale spiegò: — Era il mio unico compito, quand’ero bambina: io e Dorian ci occupavamo della cappella, per le feste. Elli non era autorizzata a entrarci: era troppo vivace e rompeva tutto.

Era facile immaginare Callista come una bambina molto seria, alla quale si potevano affidare cose fragili e preziose. Disse, quando entrarono nella cappella: — È da quando sono andata alla Torre che non passo più qui a casa la festa. E adesso Dorian è sposata e ha due bambine (io non le ho mai viste), e Domenic è a Thendara a comandare le Guardie, e il mio fratellino minore è a Nevarsin. Non vedo più Vladir da quando era piccolo. Non credo che lo rivedrò prima che sia cresciuto. — Si fermò e rabbrividì, come se avesse scorto qualcosa di spaventoso.

— Dorian somiglia a te e a Elli?

— No, non molto. È bionda, come molti dei Ridenow. Tutti dicevano che era la bellezza della famiglia.

— Stento a credere che tutti, in famiglia, ci vedessero male — disse Andrew, ridendo; lei arrossì, e lo condusse nella cappella.

Al centro c’era un altare quadrilatero, una lastra di pietra bianca, traslucida, che sembrava antichissima. Alle pareti c’erano vecchi affreschi. Callista li indicò, spiegando a bassa voce: — Quelli sono i Quattro, gli antichi dèi: Aldones, il Signore della Luce; Zandru, che opera il male nell’oscurità; Evanda, signora della primavera e della vegetazione; e Avarra, la tenebrosa madre della nascita e della morte. — Prese una scopa e cominciò a spazzare il pavimento polveroso. Andrew si chiese se Callista credeva davvero a quegli dèi o se la sua osservanza religiosa era puramente formale. Il suo sprezzo per la religione doveva essere qualcosa di diverso da ciò che ne pensava lui.

Callista disse, esitando: — Non so bene in cosa credo. Sono una Custode, una tenerésteis, un meccanico. Ci è stato insegnato che l’ordine dell’universo non dipende da nessuna divinità, eppure… eppure, chissà, forse sono stati gli dèi a stabilire le leggi che hanno fatto le cose come sono, le leggi cui non possiamo disubbidire. — Si fermò, silenziosa, per un momento; poi andò a spazzare nell’angolo, chiamando Andrew perché l’aiutasse a togliere la polvere e a raccogliere dall’altare i piatti e i recipienti. In una nicchia c’era la statua vecchissima di una donna velata, circondata da teste di bambino, rozzamente scolpite in pietra azzurra. Lei disse, a voce bassa: — Forse sono superstiziosa, dopotutto. Questa è Cassilda, chiamata la Beata, che ha partorito un figlio al sovrano Hastur, figlio della Luce. Dicono che dai sette figli di lui siano discesi i Sette Dominii. Non so se sia vero, o una leggenda o una favola, o il ricordo confuso di qualche antica verità, ma le donne della nostra famiglia fanno offerte… — Tacque, e sulla polvere dell’altare negletto Andrew vide un mazzo di fiori lasciato ad avvizzire.

L’offerta di Ellemir, quando aveva creduto di poter dare un figlio a Damon…

In silenzio, lui passò il braccio intorno alla vita di Callista: si sentiva più vicino a lei di quanto si fosse mai sentito dopo la spaventosa notte della catastrofe. Nella trama di un matrimonio erano intessuti molti strani fili. Callista muoveva le labbra, e Andrew si chiese se stava pregando; poi lei alzò la testa, sospirò, prese il mazzo avvizzito e lo lasciò cadere delicatamente sul mucchio di polvere.

— Vieni, dobbiamo lavare tutti i recipienti e pulire l’altare per accendervi il nuovo fuoco. Dobbiamo lucidare tutti i candelieri… Chissà perché hanno lasciato tutte le smoccolature di cera, l’anno scorso? — La sua voce aveva ritrovato la gaiezza. — Va’ al pozzo, per favore, e portami un po’ d’acqua.

A mezzogiorno il grande disco rosso del sole era librato nel cielo limpido e senza nubi, e due o tre delle Guardie più robuste portarono Dom Esteban nel cortile, mentre Damon sistemava lo specchio, la lente e l’esca che avrebbero acceso il fuoco nell’antico braciere di pietra. Si sentiva il profumo dell’incenso balsamico che Callista aveva acceso sull’altare della cappella, e Damon, guardando Callista e Ellemir, ebbe l’impressione di rivederle bambine, solenni e compunte nelle vesti a quadretti, con i riccioli sciolti intorno alle guance. Qualche volta, Dorian aveva portato una delle sue bambole alla cerimonia… ma Damon non ricordava di aver mai visto Callista o Ellemir con una bambola. E lui e Coryn, allora, stavano al fianco di Dom Esteban… Adesso il vecchio non poteva inginocchiarsi accanto al braciere, e fu Damon a reggere la lente finché il raggio concentrato si insinuò tra le fascine e gli aghi resinosi, sollevando un sottile filo di fumo fragrante. Per molto tempo il fumo continuò a salire. Poi una scintilla cremisi fece eco al riflesso del sole nello specchio, e al centro del fumo scaturì una fiammella. Damon si chinò sul braciere, alimentandola con aghi resinosi e trucioli finché il fuoco divampò, tra gli applausi e le grida dei presenti. Porse il braciere a Ellemir, che lo portò nella cappella, all’altare. Poi, ridendo e scambiandosi auguri, tutti cominciarono a lasciare il cortile, sfilando davanti al vecchio per ricevere i doni. Ellemir, ritta accanto al padre, li distribuiva: gingilli d’argento e talvolta di rame. In qualche caso, ai servitori più apprezzati, consegnava certificati che davano loro il diritto sui capi di bestiame o altre proprietà. Callista e Ellemir, una dopo l’altra, si chinarono a baciare il padre e augurargli una buona stagione. Alle figlie, Dom Esteban donò pellicce preziose che potevano servire per cavalcare anche col tempo peggiore.

Il suo dono per Andrew fu una serie di rasoi in un astuccio di velluto. I rasoi erano di una lega metallica leggera, e Andrew sapeva che, su un pianeta come Darkover, dove i metalli scarseggiavano, era un regalo splendido. Si piegò, impacciato, e abbracciò il vecchio. Il contatto di quelle guance baffute contro le sue gli diede un bizzarro senso di calore, di familiarità.

— Buona festa a te, figlio, e buon anno nuovo.

— Anche a te, padre — disse Andrew, rammaricandosi di non saper trovare parole più eloquenti. Eppure sentiva di aver compiuto un altro passo verso l’accettazione di quella casa. Callista gli strinse la mano, mentre rientravano per preparare il banchetto serale.

Per tutto il pomeriggio continuarono ad arrivare ospiti dalle fattorie e dalle piccole tenute dei dintorni: molti erano stati presenti anche alle nozze. Quando salì a vestirsi per la cena, Damon si trovò esiliato dalla sua metà dell’appartamento. Ellemir, attirandolo nelle stanze di Andrew e Callista, gli disse: — Ho ceduto le nostre camere ai visitatori venuti da Syrtis, Loran e Caitlia e alle loro figlie. Io e te passeremo la notte qui, con Andrew e Callista. Ho qui i vostri abiti per la festa.

Andrew, dividendo allegramente con Damon lo spazio limitato, abbassò lo specchio perché il cognato, che era più basso di lui, potesse farsi la barba. Si chinò, toccandosi i capelli che gli erano cresciuti sul collo. — Dovrei trovare qualcuno che me li tagli — disse, e Damon rise.

— Non sei un monaco né una Guardia, quindi non li vorrai più corti di adesso, vero? — Damon portava i capelli tagliati all’altezza del colletto: Andrew scrollò le spalle. Le usanze e le mode erano fattori relativi. A lui sembrava di avere i capelli lunghissimi, in disordine, eppure erano più corti di quelli di Damon. Mentre si radeva con i rasoi nuovi, si chiese perché, su un pianeta gelido come Darkover, soltanto i vecchi portassero la barba lunga per ripararsi dal freddo. Ma del resto, le usanze non avevano senso.

Al pianterreno, quando guardò la sala ornata di rami verdi, e le torte alle spezie che avevano un profumo simile a quello del pane allo zenzero dei suoi Natali terrestri, ebbe la sensazione di rivivere una festa della sua infanzia. Moltissimi ospiti li aveva già visti in occasione del suo matrimonio. Gli invitati ballavano e bevevano tanto da stupirlo, perché aveva sempre pensato che i montanari di Darkover fossero tipi sobri. Lo disse a Damon, e quello annuì. — Lo siamo davvero. Perciò beviamo solo nelle occasioni speciali, e non capitano spesso. E allora ne approfittiamo. Bevi, fratello! — Damon mostrava di far tesoro di quel consiglio: era già mezzo sbronzo.

Si ripeterono i chiassosi giochi con scambi di baci che Andrew ricordava dalla sua festa nuziale. Rammentò qualcosa che aveva letto diversi anni prima: le società urbane che disponevano di molto tempo libero ideavano svaghi estremamente ricercati, superflui per i rari momenti di libertà di coloro che dovevano dedicarsi per lunghe ore a pesanti lavori manuali. Ripensando a ciò che sapeva dei giorni dei pionieri del suo mondo, quando gli agricoltori si svagavano con passatempi destinati in futuro a essere considerati adatti ai bambini (addentare una mela senza toccarla con le mani, giocare a moscacieca), si rese conto che avrebbe dovuto aspettarsi qualcosa del genere. Anche lì, nella Grande Casa, c’era parecchio da fare, e le feste come quella erano poche; perciò, se i giochi gli sembravano infantili il torto era suo e non di quegli allevatori e contadini, che lavoravano duramente. Quasi tutti gli uomini avevano i calli alle mani, segno di una pesante fatica fisica: perfino i nobili. Anche le sue mani erano indurite, come non lo erano mai state da quando aveva lasciato l’allevamento di cavalli in Arizona, a diciannove anni. Anche le donne lavoravano, pensò, rammentando i giorni che Ellemir trascorreva a dirigere le attività delle cucine, e le lunghe ore passate da Callista nella distilleria e nella serra. Entrambe partecipavano gaiamente alle danze e a quei giochi semplici. Uno non era molto diverso dalla moscacieca: un uomo e una donna venivano bendati, e dovevano cercarsi in mezzo alla folla.

Quando incominciarono le danze, si ritrovò molto richiesto come ballerino. Scoprì il perché quando un ragazzo che non aveva ancora vent’anni trascinò Callista nel ballo, girandosi a dire alla sua compagna di prima, una ragazzetta che non dimostrava più di quattordici anni: — Se danzo con una sposa al solstizio d’inverno, mi sposerò prima che l’anno finisca!

La ragazza — era una bambina, in effetti, con una veste a fiori e i capelli sciolti in lunghi riccioli intorno alle guance — si avvicinò a Andrew e disse, con un sorriso impertinente per mascherare la timidezza: — Oh, allora io ballerò con lo sposo! — Andrew si lasciò trascinare sulla pista, e avvertì la ragazza che non era un buon ballerino. Poi, più tardi, la rivide in un angolo, col giovane che voleva sposarsi entro l’anno: lo stava baciando con una passione che non aveva nulla d’infantile.

Col passare delle ore, molte coppie si appartarono negli angoletti o nelle parti più buie delle sale. Dom Esteban sì ubriacò, e alla fine lo portarono a letto, già addormentato. A uno a uno gli ospiti si congedarono, o augurarono la buonanotte e si fecero condurre alle loro camere. Quasi tutti i servitori avevano partecipato alla festa e adesso erano ubriachi come gli ospiti, poiché non dovevano affrontare una lunga cavalcata al freddo. Damon si era addormentato su una panca nella Grande Sala, e russava. Nell’oscurità che precede l’alba si guardarono intorno nella Grande Sala, con le fronde verdi appassite, le bottiglie e le coppe sparse un po’ dovunque, i dolciumi avanzati: compresero che i loro doveri di padroni di casa erano finiti, e che potevano andarsene a letto. Dopo qualche tentativo poco convinto di svegliare Damon, che borbottò intontito, lo lasciarono stare e salirono senza di lui. Andrew era sorpreso. Perfino al suo matrimonio, Damon aveva bevuto pochissimo. Bene, pensò, anche un uomo sobrio aveva diritto di ubriacarsi per Capodanno.

Nelle stanze che le due coppie dovevano dividersi quella notte a causa degli ospiti, Andrew provò una fitta di frustrazione, intensificata dallo stato di semiubriachezza. Era una vita d’inferno, essere sposato e dormire solo. Un matrimonio infernale, e qualcosa che sembrava una parodia di una festa natalizia. Era depresso, sconsolato. Forse, dato che Damon era ubriaco, Ellemir… Ma no, le donne si erano sdraiate insieme sul letto grande, come avevano fatto durante la lunga infermità di Callista. Pensò che avrebbe dovuto dormire ancora nel lettino che solitamente era di sua moglie; e Damon, se saliva, si sarebbe sistemato nel salotto.

Le donne ridacchiavano tra loro come ragazzine. Avevano bevuto anche loro? Callista lo chiamò a bassa voce, e lui si avvicinò. Erano sdraiate vicine e ridevano nella luce fioca. Callista tese la mano e lo attirò accanto a loro.

— Qui c’è posto anche per te.

Andrew esitò. Che senso avrebbe avuto, lasciarsi tentare? Poi rise, e prese posto accanto a loro. Il letto era enorme, e poteva accogliere comodamente sei persone. Callista gli sussurrò: — Volevo dimostrarti una cosa, amor mio. — E gli spinse dolcemente Ellemir tra le braccia.

Lui provò un furioso imbarazzo che parve dilagare bruciante in tutto il suo essere, smorzando la passione come un getto di acqua gelida. Non si era mai sentito così nudo in tutta la sua vita.

Oh, al diavolo, pensò. Si comportava da sciocco. Non era quello il secondo passo logico e inevitabile, del resto? Ma la logica non aveva spazio nei suoi sentimenti.

Ellemir era calda e tenera tra le sue braccia.

Cosa c’è, Andrew?

C’era, maledizione, la presenza di Callista, e lei doveva saperlo. Per qualcuno, pensò, sarebbe stato particolarmente eccitante. Ellemir seguì i suoi pensieri, che associavano quel genere di cose agli esibizionismi erotici, ai tentativi di eccitare gusti depravati, agli istinti decadenti. Disse, in un mormorio: — Ma non è affatto così, Andrew. Siamo tutti telepati. Qualcunque cosa facciamo, gli altri lo sapranno, vi parteciperanno: quindi perché fingere che uno di noi possa escludere completamente qualcuno degli altri?

Andrew sentì le dita di Callista sfiorargli il volto. Strano che al buio, sebbene le loro mani fossero quasi identiche, lui potesse essere cosi sicuro che quella sulla sua guancia era di Callista e non di Ellemir.

Fra telepati, il concetto di quel tipo d’intimità non poteva esistere, Andrew lo sapeva: perciò chiudere le porte e isolarsi era solo una finzione. E veniva il momento in cui si rinunciava a fingere…

Cercò di ritrovare l’eccitazione, ma l’ubriachezza e l’imbarazzo cospiravano per deluderlo. Ellemir rise: ma era chiaro che quel riso non intendeva ridicolizzarlo. — Credo che abbiamo tutti bevuto un po’ troppo. Dormiamo, allora.

Erano quasi addormentati quando la porta della camera si aprì ed entrò Damon, a passi malfermi. Li guardò sorridendo. — Sapevo che vi avrei trovati tutti qui. — Gettò via gli abiti. Era ancora ubriaco. — Avanti, fatemi posto. Dov’è che…

— Damon, devi dormire per farti passare la sbronza — disse Callista. — Non pensi che staresti più comodo se…

— Comodo un accidente — ribatté assonnato Damon. — Nessuno deve dormire solo, in una notte di festa!

Callista gli fece posto accanto a sé, ridendo, e Damon s’infilò nel letto e si addormentò di colpo. Andrew sentì una risata folle disperdere il suo imbarazzo. Mentre si assopiva, percepì un sottile filo di contatto mentale che s’intesseva intorno a loro, come se Damon, anche nel sonno, cercasse il conforto della loro presenza e li attirasse tutti insieme, allacciandoli, con i cuori che battevano all’unisono in una pulsazione lenta, in una serenità infinita. Pensò, senza sapere se era un pensiero suo o di un altro, che adesso tutto andava bene perché Damon era lì. Così doveva essere. Captò, dalla coscienza di Damon: Tutti i miei cari… Non sarò solo, mai più…


Si svegliarono tardi, ma le tende chiuse oscuravano la stanza. Ellemir era ancora raggomitolata tra le braccia di Andrew. Si mosse, si girò assonnata verso di lui, lo avvolse nel proprio tepore di donna. Quel senso di vicinanza, di partecipazione, era ancora presente, e lui si lasciò sommergere, accettando l’accoglienza del corpo di lei. Non erano solo lui e Ellemir, in un certo senso, ma la consapevolezza — al di sotto della superficie della coscienza — che tutti ne facevano parte, che s’integravano straordinariamente, senza bisogno di analisi. Aveva voglia di gridare al mondo, alla gente: — Vi amo, vi amo tutti. — Nella sua esultanza non distingueva l’eccitazione sessuale per Ellemir, la tenerezza per Callista, il forte e protettivo calore umano che provava per Damon. Erano un’emozione sola, che era amore. Vi era immerso, e vi si abbandonava, esausto, gloriandosene. Sapeva che avevano svegliato gli altri. Non aveva importanza.

Ellemir fu la prima a muoversi: si stirò, rise, sbadigliò. Si sollevò leggermente e lo baciò rapida. — Mi piacerebbe star qui tutto il giorno — disse, in tono di rammarico, — ma sto pensando al caos della sala. Se voglio che i nostri ospiti possano fare colazione, devo scendere ad assicurarmi che si lavori! — Si sporse a baciare Damon; dopo un momento baciò anche Callista, poi scivolò dal letto e andò a vestirsi.

Damon, meno coinvolto fisicamente, percepì lo sforzo che Callista stava compiendo per mantenere le barriere. Dunque non era un effetto totale, dopotutto. Lei ne era ancora fuori. Le sfiorò con la punta di un dito gli occhi, ancora chiusi. Andrew era andato in bagno. Erano soli, e sentì che la coraggiosa finzione si stava dissolvendo.

— Piangi, Callie?

— No. No, naturalmente. Perché dovrei? — Ma piangeva.

Damon la tenne così, sapendo che in quel momento condividevano qualcosa da cui gli altri erano esclusi: quell’esperienza comune, quella dolorosa disciplina, il senso di diversità.

Andrew era andato a vestirsi. Damon captò un frammento del suo pensiero, una contentezza mista a rammarico, e ricordò che per un poco Andrew era stato uno di loro. Ma adesso anche lui era separato. Sentiva anche le emozioni di Callista: non serbava rancore a Ellemir, per nulla, ma aveva bisogno di sapere prima di poter partecipare. Sentì la sua angoscia disperata, il folle impulso improvviso di graffiarsi, di percuotersi con i pugni, di ribellarsi al proprio corpo inutile, mutilato, così diverso da ciò che avrebbe dovuto essere. La tenne stretta a sé, cercando di calmarla con quel contatto.

Ellemir tornò dal bagno, con i capelli sgocciolanti, e si sedette al tavolino di Callista. — Metterò uno dei tuoi abiti da casa, Callie: ci sono tante pulizie da fare — disse. — Questo è il guaio delle feste! — Vide che Callista nascondeva il volto contro la spalla di Damon, e per un momento si sentì straziata dall’angoscia della sorella. Ellemir era cresciuta nella convinzione di possedere un po’ del laran del suo clan: ma adesso, mentre riceveva l’impatto della sofferenza di Callista, comprese che era più una maledizione che una fortuna. E quando Andrew tornò, lei captò il suo improvviso distacco.

Andrew stava pensando che bisognava abituarsi fin dall’infanzia, a certe cose. Interpretò il teso silenzio di Ellemir come un’espressione di vergogna o di rammarico per ciò che era accaduto, e si chiese se avrebbe dovuto scusarsi. Di cosa? Con chi? Ellemir? Damon? Vide Callista tra le braccia di Damon. Aveva il diritto di protestare? Forse era giusto così, ma lui provava ancora un disagio e un disgusto quasi fisici; o era solo perché la sera prima aveva bevuto troppo?

Damon si accorse che Andrew li stava guardando, e sorrise.

— Immagino che Dom Esteban abbia più mal di testa di me, questa mattina. Andrò a lavarmi la faccia con l’acqua fredda, poi scenderò a vedere se posso far qualcosa per nostro padre. Non me la sento di lasciarlo alle cure del suo valletto, oggi. — E aggiunse, staccandosi lentamente da Callista: — Voi terrestri avete qualche espressione adeguata per il mattino dopo una sbronza?

— A decine — rispose Andrew, cupamente. — E ognuna è rivoltante, come la sensazione che si prova. — Postumi della sbronza, pensò.

Damon andò in bagno e Andrew si passò un pettine tra i capelli, guardando irritato Callista. Non vide neppure che lei aveva gli occhi rossi. Lentamente, la giovane donna si alzò e indossò la vestaglia a fiori. — Devo andare ad aiutare Ellemir. Le ancelle non sapranno neppure da dove cominciare. Perché mi fissi così, marito mio?

Quella frase lo infastidì, gli mise addosso la voglia di litigare. — Non mi permetti neppure di toccarti le dita, e se ti bacio ti ritrai come se intendessi violentarti: eppure giacevi fra le braccia di Damon…

Lei abbassò gli occhi. — Tu sai perché oso farlo… con lui.

Andrew ricordò l’intensa sessualità che aveva percepito, diviso con Damon. Era inquietante, e lo riempiva di un vago disagio. — Non puoi dire che Damon non sia un uomo!

— Certo, lo è. Ma lui ha appreso, alla mia stessa durissima scuola, quando e come non deve sembrarlo.

Per l’ipersensibile senso di colpa di Andrew, quella era una provocazione: come se lui fosse una specie di bruto, di animale che non sapeva dominare gli appetiti sessuali e che andava accontentato. Callista l’aveva spinto, letteralmente, nelle braccia di Ellemir, ma Damon non aveva bisogno di simili concessioni. All’improvviso, rabbiosamente, prese Callista fra le braccia e le posò a forza la bocca sulla bocca. Per un momento lei resistette, scostando le labbra, e Andrew sentì la sua ribellione furiosa. Poi all’improvviso lei divenne completamente passiva fra le sue braccia, con le labbra fredde, immote, così lontana che non sembrava neppure con lui nella stessa camera. La sua voce bassa lo dilaniò come una zannata.

— Qualunque cosa tu senta di dover fare, io posso sopportarlo. Così come sono adesso, non farebbe nessuna differenza. Non mi danneggerà, ora, e non mi turberà al punto di indurmi a reagire o a colpirti. Anche se senti di dovere… di dovermi portare a letto… non significherà nulla per me, ma se ti facesse piacere…

Agghiacciato, inorridito fino al midollo, Andrew la lasciò. In un certo senso era più orribile che se lei avesse resistito furiosamente, l’avesse aggredito a morsi e unghiate, l’avesse colpito ancora con la folgore. Prima, lui aveva avuto paura della propria eccitazione: adesso sapeva che niente poteva superare le sue difese, niente.

— Oh, Callista, perdonami! Oh, Dio, Callista, perdonami! — Cadde in ginocchio davanti a lei, prendendole le dita e portandosele alle labbra, straziato dal rimorso. Damon uscì dal bagno e si arrestò sgomento nel vederli, ma loro non lo udirono e non lo scorsero. Callista prese tra le mani il volto di Andrew. Disse, sussurrando: — Ah, amore, sono io che devo chiederti perdono. Non voglio… non voglio esserti indifferente. — Aveva la voce colma di un’angoscia tanto grande che Damon comprese di non poter più attendere.

Sapeva perché si era ubriacato, la sera prima. Perché, passato il solstizio d’inverno, non poteva più rimandare la terribile prova. Ora doveva penetrare nel sopramondo, addirittura nel tempo, e cercarvi un aiuto, un modo di riportare Callista a tutti loro. Ora, davanti alla sua sofferenza frenetica, sentiva che avrebbe rischiato anche più di questo, per lei, per Andrew.

Si ritirò in silenzio e uscì dall’appartamento, passando per un’altra porta.

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