Damon sapeva che il momento non avrebbe tardato molto, e infatti non tardò.
Ellemir si era calmata. Sedeva sulla poltrona dove l’aveva deposta Andrew, e singhiozzava sommessamente per il trauma. Ferrika, quando venne chiamata, la guardò sgomenta.
— Non so cos’hai fatto, mia signora, ma se non vuoi perdere anche questo bambino faresti meglio ad andare a letto e a restarci. — Cominciò a passare le mani, delicatamente, sopra il corpo di Ellemir. Con grande sorpresa di Damon, non la toccava ma teneva le dita a una certa distanza: infine disse, aggrottando lievemente la fronte: — Il bambino sta bene. Anzi, tu stai molto peggio di lui. Ti ordinerò un pasto caldo, e tu mangerai e poi andrai a… — S’interruppe e si fissò le mani, sbalordita.
— In nome della dea, cosa sto facendo?
Callista, richiamata alle sue responsabilità, disse: — Non preoccuparti, Ferrika, il tuo istinto non sbaglia. Non è sorprendente: vivi vicino a noi da molto tempo. Se avevi una traccia di laran, era inevitabile che si destasse. Più avanti t’insegnerò come si fa, esattamente. Con una donna incinta è un po’ difficile.
Ferrika sbatté le palpebre, fissando Callista. Il suo volto rotondo aveva un’espressione sbigottita. Poi notò i graffi sanguinanti sulle guance della giovane donna. — Io non sono una leronis.
— Non lo sono neppure io, ormai — disse gentilmente Callista. — Ma ho imparato, come imparerai tu. È la dote più utile, per una levatrice. Sono sicura che tu possiedi più laran di quanto credi. — E aggiunse: — Vieni, portiamo Ellemir in camera sua. Deve riposare. E poi… — Si portò le mani ai graffi sanguinanti. — E poi devo curare anche questi. E quando ordini la cena per Ellemir, Damon, ordinala anche per me. Ho fame.
Damon le guardò uscire. Da molto tempo sospettava che Ferrika possedesse il laran; ma per lui era un sollievo che fosse stata Callista ad assumersi la responsabilità d’insegnarle.
Non c’era motivo perché una persona che possedeva il dono non venisse addestrata a servirsene, Comyn o non Comyn. Se le cose erano sempre andate così, dopo le epoche del caos, non voleva dire che dovessero continuare fino a quando Darkover fosse sprofondato nell’Ultima Notte. Andrew era diventato uno di loro, eppure era un terrestre. Ferrika era nata nelle tenute degli Alton, apparteneva alla classe comune, e — peggio ancora — era una Libera Amazzone. Ma aveva tutto ciò che occorreva per essere una di loro: aveva il laran.
Il sangue dei Comyn? Bastava pensare a ciò che aveva fatto a Dezi!
Damon si accorse che dopo quella terribile battaglia anche lui era affamato: ordinò la cena, e poi mangiò senza far caso al cibo, guardando Andrew che faceva altrettanto. Nessuno dei due parlò di Dezi. Damon pensò che più avanti si sarebbe dovuto far sapere a Dom Esteban che il figlio bastardo tanto amato e difeso era morto per le proprie colpe. Ma bisognava tenergli nascosti i particolari.
Andrew mangiava senza sentire il sapore, conscio di una fame terribile e dello sfinimento causato dal collegamento tramite la matrice: era nauseato, sebbene il suo organismo affamato divorasse il cibo con intensità meccanica. I suoi pensieri creavano un contrappunto doloroso: rivedeva Damon che scrollava Callista e la tratteneva per impedirle di mutilarsi. Il ricordo del volto insanguinato di lei lo faceva star male.
Aveva lasciato che fosse Damon a occuparsi di Callista: lui non aveva pensato ad altro che a Ellemir. Elli, che portava in grembo suo figlio. Aveva toccato Callista, e lei l’aveva scagliato attraverso la stanza. Damon l’aveva afferrata come un cavernicolo, e lei si era acquietata subito. Si chiese, disperato, se entrambi non avevano sposato la donna sbagliata.
Dopotutto, pensò, con la mente che si trascinava dolorosamente lungo una pista fin troppo nota, entrambi erano stati addestrati nelle Torri, entrambi erano telepati di primissimo ordine, e si comprendevano. Lui e Elli erano su un piano diverso: erano persone comuni, e non capivano certe cose. Guardò Damon con risentita inferiorità.
Aveva ucciso un ragazzo, quella mattina. In un modo orribile. E adesso se ne stava lì seduto a cenare tranquillamente.
Damon percepì il risentimento di Andrew, ma non tentò di seguire i suoi pensieri. Sapeva che c’erano momenti — e forse ci sarebbero sempre stati — in cui Andrew, per qualche ragione incomprensibile, si isolava da loro, non era più un fratello amatissimo ma un estraneo, disperatamente alienato. Sapeva che ciò era parte del prezzo che entrambi dovevano pagare per il tentativo di stringere la loro fratellanza attraverso due mondi in conflitto, due società del tutto diverse. Forse sarebbe stato sempre così. Lui aveva tentato di gettare un ponte attraverso l’abisso, ma questo era servito soltanto a peggiorare le cose. Adesso, tutto ciò che poteva fare — e se ne rendeva conto con amarezza — era lasciare che seguissero il loro corso.
Quando la porta si aprì di nuovo, Damon alzò la testa con un’irritazione che si affrettò a dominare: il servitore, dopotutto, doveva fare il suo lavoro. — Vuoi portare via i piatti? Un momento… Andrew, hai finito?
— Su serva, dom — disse l’uomo. — La Dama di Arilinn e la leronis della Torre hanno implorato il favore di poterti parlare, nobile Damon.
Implorato?, pensò scettico Damon. Non era probabile. — Di’ loro che le riceverò nell’altra sala, tra qualche minuto. — Tra sé, ringraziò gli dèi perché Callista era con Ellemir, e Leonie non aveva chiesto di lei. Se avesse visto quei graffi… — Vieni, Andrew — disse. — Probabilmente ci vogliono tutti e quattro, ma non lo sanno ancora.
Leonie guidava il gruppo. Con lei c’erano Margwenn Elhalyn, e due telepati di Arilinn che erano andati alla Torre dopo il soggiorno di Damon, e uno, Rafael Aillard, che era stato ad Arilinn con lui ma che adesso risiedeva a Neskaya. Era incredibile, pensò Damon, che un tempo quell’uomo avesse fatto parte del suo cerchio e gli fosse stato più vicino di un parente stretto, di un caro amico. Leonie era velata, e questo lo irritò. Senza dubbio era doveroso che una comynara, una Custode, si presentasse velata in mezzo a estranei. Avrebbe capito se si fosse velata Margwenn. Ma Leonie?
Tuttavia parlò come se fosse abituato a vedere il proprio appartamento invaso da telepati sconosciuti e dalla Custode di Arilinn. — Parente, mi fai un grande onore. In cosa posso servirti?
Leonie disse, bruscamente: — Damon, tu sei stato allontanato da Arilinn anni fa. Tu possiedi il laran, e sei stato addestrato a usare una matrice, quindi non ti si può vietare di usarla per legittimi scopi personali. Ma la legge proibisce d’intraprendere importanti operazioni con le matrici fuori dalla protezione delle Torri. E adesso, tu hai usato la tua matrice per uccidere.
Per la verità, pensò Damon, era stata Callista a uccidere Dezi. Ma non aveva importanza. La responsabilità era sua. E lo disse.
— Sono il reggente di Alton. Ho messo legittimamente a morte un assassino che aveva ucciso un uomo e aveva tentato di ucciderne un altro entro il dominio. Rivendico il mio privilegio.
— Privilegio negato — disse Margwenn. — Avresti dovuto ucciderlo in un regolare duello, con armi lecite. Tu non hai il potere, fuori dalle Torri, di usare una matrice per un’esecuzione.
— Il tentato omicidio e l’omicidio sono stati commessi entrambi per mezzo di una matrice. Poiché sono stato addestrato in una Torre, ho giurato d’impedire tale abuso.
— Un abuso per impedire un abuso, Damon?
— Nego che sia stato un abuso.
— Non sta a te deciderlo — disse Rafael Aillard. — Se Dezi aveva violato le leggi di Arilinn (e a giudicare da quanto so di lui mi è facile crederlo, ma questo non c’entra), avresti dovuto riferirlo a noi e lasciare che fossimo noi ad agire.
La risposta di Damon fu un monosillabo osceno. Andrew non avrebbe mai creduto che Damon fosse capace di parlare in quel modo in presenza di donne. — Il primo reato è stato commesso davanti a me. Dezi aveva tentato d’imporre la sua volontà al mio fratello giurato, spingendolo fuori nella tempesta: solo la fortuna l’ha salvato dalla morte. E adesso ha assassinato il fratello di mia moglie, l’erede di Alton, e tutti erano disposti a credere che fosse stata una disgrazia! Chi, se non io, doveva punirlo? Per tutta la vita mi è stato insegnato che è compito mio punire i reati contro i miei parenti. In caso contrario, cos’altro è un Comyn?
— Ma — disse Leonie, — l’addestramento che hai ricevuto dev’essere usato in una Torre. Quando sei stato allontanato…
— Quando sono stato allontanato, dovevo forse trascorrere il resto della vita senza la conoscenza e le capacità della mia preparazione? Se quella conoscenza non poteva essere affidata a me, perché mi era stata data? Dovevo vivere il resto della vita come un bimbo sorretto per le briglie, senza muovermi a meno che la bambinaia mi guidasse? — Damon guardò Leonie negli occhi. Non lo disse a voce alta, ma tutti i presenti poterono captarlo: Non dovevo essere allontanato da Arilinn. Sono stato scacciato con un falso pretesto, come adesso so con certezza. A voce, replicò: — Quando sono stato allontanato ho ricevuto la libertà di agire sotto la mia responsabilità, come qualunque figlio dei Comyn.
E anche adesso, Leonie, tu non vuoi affrontarmi.
Come osi! La donna sollevò il velo. Aveva perso gli ultimi resti della sua straordinaria bellezza, pensò Damon con distacco. Leonie si erse in tutta la sua statura (era più alta di lui) e disse: — Non intendo ascoltare queste chiacchiere!
Damon ribatté, con voluta insolenza: — Non ho invitato qui nessuno di voi. Il reggente di Alton deve ascoltare e tacere, come un bambino cattivo che viene rimproverato e mandato in camera sua?
Leonie aggrottò la fronte. — Preferiresti che portassimo questi problemi davanti a tutti i Comyn, nella Camera di Cristallo?
Damon scrollò le spalle. — Allora parlate. — Indicò con un cenno del capo le sedie. — Volete accomodarvi? Non mi va di discutere cose importanti dondolandomi sui piedi come un Cadetto in corvée di punizione. E posso offrirvi qualche rinfresco?
— No, grazie. — Ma si sedettero, e Damon si lasciò cadere su una poltrona. Andrew restò in piedi. Senza saperlo, aveva assunto la posa tradizionale di uno scudiero dietro il suo signore, un passo dietro il seggio di Damon. Gli altri lo notarono e aggrottarono la fronte, mentre Leonie incominciava a parlare.
— Quando hai lasciato Arilinn, noi avevamo fiducia che avresti rispettato le leggi, e in generale non abbiamo avuto motivo di lamentarci. Di tanto in tanto abbiamo seguito la tua matrice mediante gli schermi di controllo, ma quasi tutto ciò che avevi fatto era poco importante e del tutto legittimo.
— Magnifico — disse Damon, con enfasi sarcastica. — Mi rallegra sapere che giudicavi lecito se usavo la mia matrice per chiudere la cassaforte, per ritrovare la strada in un bosco, o per arrestare l’emorragia della ferita di un amico!
Rafael Aillard fece una smorfia. — Se sei disposto ad ascoltarci senza tentare di fare lo spiritoso, porteremo prima a termine questo compito spiacevole.
— Non mi manca certo il tempo per ascoltarvi. Però mia moglie è incinta e sofferente, e mio suocero è alle soglie della morte, quindi potrei trascorrere il resto della giornata in modo più utile che ascoltando le cose ignobili che mi rovesciate addosso.
— Mi dispiace che Ellemir non stia bene — disse Leonie. — Ma Esteban è davvero così grave? Oggi, al Consiglio, sembrava in buone condizioni.
Stringendo le labbra, Damon rispose: — La rivelazione del tradimento commesso dal figlio bastardo che amava tanto l’ha distrutto. Può darsi che sopravviva, per ora, ma non è probabile che veda le nevi di un altro inverno.
— Quindi tu ti sei incaricato di vendicarti e di giustiziare Dezi — disse Leonie. — Non mi rammarico per lui. Era ad Arilinn da meno di dieci giorni quando gli ho scoperto tali difetti di carattere da rendermi conto che non poteva restare.
— Eppure, sapendo questo, ti sei assunta la responsabilità di addestrarlo? Chi sceglie un utensile inadatto a un compito, non deve lamentarsi se poi quello taglia la mano che l’impugna. — Vagamente, Damon pensò che ancora al solstizio d’inverno non si sarebbe neppure sognato di porre in discussione i moventi e le decisioni di una Custode, soprattutto della Dama di Arilinn.
Margwenn disse, spazientita: — Cos’avresti voluto che facessimo? Tu sai che non è facile trovare figli e figlie dei Comyn dotati di laran; e nonostante i torti di Dezi, i suoi doni erano grandi.
— Avreste fatto meglio a istruire una persona comune, con meno sangue nobile e maggiore onestà!
Rafael disse: — Tu sai che nessuno, se non è Comyn, può varcare il Velo di Arilinn.
— E allora, maledizione — ribatté Damon, pensando al tocco delicato di Ferrika mentre controllava Ellemir, — forse è venuto il momento di strappare il Velo e di apportare qualche cambiamento ad Arilinn!
Leonie aggricciò le labbra, disgustata. — Dove hai preso queste idee, Damon? È questo che succede, quando si accoglie in famiglia un terrestre? — Ma non gli lasciò il tempo di rispondere. — Non abbiamo protestato quando hai usato la tua matrice in modo lecito. Neppure quando hai tolto la matrice a Dezi. Ma a te non è bastato. Hai commesso molte azioni illecite. Hai insegnato a questo terrestre alcuni rudimenti della tecnologia delle matrici. Ricorderai che Stefan Hastur ha ordinato, quando i terrestri sono giunti qui, che nessuno di loro doveva essere autorizzato neppure ad assistere a un’operazione con le matrici.
— Riposi in pace — disse Damon, — ma non darò a un morto il diritto di essere custode della mia coscienza.
Rafael esclamò, irosamente: — Dovremmo rinnegare la saggezza dei nostri padri?
— No: ma loro hanno vissuto come volevano, quando erano vivi, e non mi hanno chiesto quali fossero i miei desideri e le mie esigenze; perciò farò altrettanto con loro. Certo non li porrò sugli altari come se fossero dèi, e non tratterò ogni loro parola con la stessa reverenza con cui i cristoforos trattano le sciocchezze del loro Libro delle Afflizioni.
— Come giustifichi il fatto di aver addestrato questo terrestre? — chiese Margwenn.
— Che giustificazione mi serve? Possiede il laran, e un telepate non addestrato rappresenta un pericolo per se stesso e per tutti coloro che lo circondano.
— Ed è stato lui a indurre Callista a venir meno alla parola data? Si era impegnata a rinunciare per sempre al proprio lavoro.
— Non sono neppure il guardiano della coscienza di Callista — disse Damon. — La conoscenza è racchiusa nella sua mente, e io non posso sottrargliela. — Ancora una volta, con immensa amarezza, lanciò la domanda a Leonie: — Dovrebbe passare la vita a contare i buchi delle tovaglie e a preparare le spezie per il pane alle erbe?
Margwenn fece una smorfia di disprezzo. — Sembra che la scelta di Callista fosse questa. Non è stata costretta a rendere il giuramento. Non è stata neppure violentata. Ha compiuto una scelta libera, e deve rassegnarsi.
Siete tutti sciocchi, pensò stancamente Damon, senza curarsi di celare quel pensiero. Lo vide riflesso negli occhi di Leonie.
— Una delle accuse è così grave che al suo confronto tutte le altre appaiono banali, Damon. Tu hai costruito una Torre nel sopramondo. Operi con un cerchio di meccanici illegittimo, al di fuori di una Torre eretta per decreto dei Comyn, al di fuori dei giuramenti e delle protezioni imposti dopo le epoche del caos. La punizione per questo è terribile. Esito a infliggertela. Perciò sei disposto a sciogliere i vincoli del tuo cerchio, a distruggere la Torre proibita che hai costruito e a giurarci che non lo farai mai più? Se mi farai questa promessa, non chiederò altre punizioni.
Damon si alzò, teso come quando aveva fronteggiato il violentissimo attacco di Dezi. Questo, pensò, devo affrontarlo in piedi.
— Leonie, quando mi hai allontanato dalla Torre hai smesso di essere la mia Custode e la custode della mia coscienza. Ciò che ho fatto, l’ho fatto sotto la mia responsabilità. Sono un tecnico delle matrici, addestrato ad Arilinn, e ho vissuto tutta la vita secondo i precetti che mi sono stati insegnati là. La mia coscienza è pulita. Non prenderò l’impegno che tu chiedi.
— Fin dalle epoche del caos — disse Leonie, — è proibito ai cerchi di operatori delle matrici di lavorare al di fuori di una Torre approvata per decreto dei Comyn. E non possiamo acconsentire che tu ammetta nel tuo cerchio una donna che un tempo era Custode e che è stata sciolta dal giuramento. Questo non è permesso, in forza delle leggi che ci sono state tramandate dai tempi di Varzil il Buono. È impensabile; è osceno! Tu devi distruggere la Torre, e promettermi che non la ricostruirai più. Quale reggente di Alton e tutore di Callista, ti chiedo d’impegnarti a far sì che lei non violi mai più le condizioni alle quali le è stato reso il suo giuramento.
Con uno sforzo, Damon riuscì a mantenere ferma la voce. — Non accetto il tuo giudizio.
— Allora dovrò invocarne uno peggiore — disse Leonie. — Vuoi che esponga tutto questo al Consiglio e agli operatori di tutte le Torri? Sai quale sarà la punizione, se verrai riconosciuto colpevole. Una volta che la macchina si metterà in moto, neppure io potrò salvarti — aggiunse, guardandolo direttamente per la prima volta dall’inizio dell’incontro. — Ma so che se mi darai la tua parola la manterrai. Promettimi che scioglierai questo cerchio illegittimo, ritrarrai l’energia dalla tua Torre nel sopramondo, e t’impegnerai con me personalmente a usare la tua matrice, a partire da oggi, solo per scopi leciti ed entro i limiti stabiliti; in cambio io ti darò la mia parola che non procederò oltre, qualunque cosa tu abbia fatto.
La tua parola, Leonie? Cosa vale, la tua parola? Fu come se l’avesse schiaffeggiata. La Custode impallidì. Chiese, con voce tremante: — Mi sfidi, Damon?
— Sì. Tu non hai mai pensato alle mie motivazioni, hai sempre preferito ignorarle. Parli di Varzil il Buono: non credo che tu sappia di lui neppure la metà di quanto ne so io. Sì, Leonie, ti sfido. Risponderò a queste accuse a tempo debito. Presentale al Consiglio, se vuoi, o alle Torri: io sarò pronto a rispondere.
Il volto di lei era mortalmente pallido. Come un teschio, pensò Damon.
— Così sia, Damon. Conosci la punizione. Verrai privato della tua matrice, e affinché tu non possa fare ciò che ha fatto Dezi, i centri del laran del tuo cervello verranno bruciati. Sei tu che l’hai voluto, e tutti costoro possono testimoniare che ho cercato di salvarti.
Leonie si voltò e uscì. Gli altri la seguirono. Damon restò immobile, col volto irrigidito, finché se ne furono andati. Riuscì a conservare quella fredda dignità fino a quando il suono dei loro passi si perse nel corridoio. Poi, muovendosi come un ubriaco, entrò barcollando nell’altra stanza.
Udì Andrew imprecare, un torrente di esclamazioni in una lingua che doveva essere terrestre: lui non ne conosceva una parola, ma nessuno che possedesse il laran avrebbe potuto fraintenderne il significato. Damon passò davanti al cognato e si buttò bocconi su un divano, con la faccia tra le mani, immobile. Era invaso dall’orrore, e la nausea gli torceva lo stomaco.
Adesso, la sua sfida gli sembrava una bravata puerile. Sapeva, senza il minimo dubbio, che non avrebbe trovato un modo per rispondere alle accuse, che l’avrebbero giudicato colpevole, e che sarebbe incorso nella punizione.
Sordo. Cieco. Mutilato. Vivere senza laran, imprigionato per sempre nella propria mente, insopportabilmente solo per sempre… Vivere come un animale. Contrasse i pugni per la sofferenza. Andrew gli venne accanto, turbato, solo parzialmente conscio di ciò che lo tormentava.
— Damon, non fare così. Senza dubbio il Consiglio ascolterà le tue spiegazioni: capirà che hai fatto l’unica cosa che potevi fare.
Damon gemette, atterrito. Gli sembrava che tutte le paure della sua vita, le paure che aveva imparato a giudicare indegne di un uomo, l’assalissero in un’immensa ondata travolgente. Le paure di un bambino solo e indesiderato, di un ragazzo solo, nei Cadetti, goffo e non amato da nessuno, tollerato soltanto come amico di Coryn; per tutta la vita aveva tenuto a bada la paura, per non essere considerato meno di un uomo. La paura, il dubbio che Leonie vedesse attraverso il suo autodominio, scoprisse la sua passione, il suo desiderio proibito, il rimorso e lo smarrimento quando lei l’aveva scacciato da Arilinn dicendogli che non era abbastanza forte per quel lavoro, incentivando la coscienza della sua debolezza, la paura che aveva sempre soffocato. La paura repressa di tutti gli anni nelle Guardie, quando sapeva di non essere un soldato. Lo spaventoso rimorso di essere fuggito lasciando le sue Guardie a morire al suo posto…
Tutta la vita. Per tutta la vita aveva avuto paura. C’era mai stato un giorno in cui non si era reso conto di essere un vigliacco che fingeva invano di non aver paura, che ostentava il coraggio perché nessuno vedesse che era un verme tremante, un impostore, un povero essere in forma di uomo? La vita aveva così poca importanza, per lui: avrebbe preferito affrontare la morte piuttosto di rivelarsi per quel debole e codardo che era.
Ma adesso Leonie aveva minacciato l’unica cosa che lui non poteva sopportare, che non avrebbe sopportato mai. Sarebbe stato più facile morire adesso, piantarsi un pugnale in gola, piuttosto che vivere accecato, mutilato, come un cadavere ambulante, in una finzione di vita.
Lentamente, attraverso la nebbia del panico e della paura, si accorse che Andrew si stava inginocchiando accanto a lui, pallido e preoccupato. Stava dicendo qualcosa, in tono supplichevole, ma le sue parole non potevano raggiungerlo attraverso la mortale foschia della paura.
Quanto doveva disprezzarlo! pensò. Lui era così forte…
Sgomento, Andrew assisteva alla silenziosa lotta di Damon. Cercò di discutere con lui, ma comprese che non riusciva a farsi ascoltare. Damon lo udiva? Nel tentativo di arrivare fino a lui, gli si sedette al fianco e si chinò a cingerlo con un braccio.
— No, no — disse, impacciato. — Va tutto bene, Damon. Sono qui. — E poi, sentendosi goffo e timido, come sempre a ogni sospetto d’intimità fra loro, disse, quasi in un sussurro: — Non lascerò che ti facciano del male, bredu.
La sofferenza e il gelido terrore di Damon proruppero, travolgendoli entrambi. Singhiozzò, convulsamente: il suo autodominio aveva ceduto. Sconvolto, Andrew cercò di ritrarsi, pensando che Damon non volesse farsi vedere così: poi comprese che quello era l’ultimo residuo della sua mentalità terrestre. Non poteva ritrarsi dal dolore di Damon, perché era il suo dolore: una minaccia contro Damon era una minaccia contro di lui. Doveva accettare la debolezza e la paura dell’amico come accettava ogni altra cosa in lui, come accettava il suo amore e le sue premure.
Sì: amore. Adesso lo sapeva, mentre stringeva a sé Damon singhiozzante e si sentiva pervadere dalla sua sofferenza come da una marea: amava Damon come amava se stesso, come amava Callista e Ellemir. Era parte di loro. Fin dall’inizio, Damon l’aveva saputo e accettato; ma lui si era sempre tirato indietro, si era detto che Damon era suo amico ma che c’erano limiti all’amicizia, c’erano punti che non dovevano mai essere sfiorati.
Si era risentito quando Damon e Ellemir avevano partecipato al suo tentativo di fare l’amore con Callista: aveva cercato d’isolarsi con lei, convinto che l’amore per lei fosse qualcosa che non poteva, non voleva condividere. Si era risentito per l’intimità fra Damon e Callista: e mai, adesso lo sapeva, aveva compreso esattamente cos’avesse spinto Ellemir a fare la sua offerta. Si era sentito imbarazzato e vergognoso quando Damon l’aveva trovato con Ellemir, sebbene avesse dato per scontato il suo consenso. La relazione con Ellemir l’aveva considerata qualcosa di separato da Damon e da Callista. E quando Damon aveva cercato di condividere la propria euforia, il traboccante amore per tutti loro, e aveva tentato di esprimere il tacito desiderio di Andrew (Vorrei poter fare l’amore con tutti voi), lui l’aveva respinto con crudeltà inimmaginabile, frantumando il fragile legame.
Si era addirittura chiesto se entrambi avevano sposato la donna sbagliata. Ma era stato lui a sbagliare, e adesso lo capiva.
Non erano due coppie che si scambiavano le compagne. Erano loro quattro, tutti insieme. Erano una cosa sola, e il legame tra lui e Damon era forte quanto quelli che li univano alle rispettiva donne.
Forse — e sentì quel pensiero affiorare con un assoluto terrore, sfidando un tipo di autoconoscenza che non si era mai concesso — quel legame era ancora più forte. Perché potevano vedersi rispecchiati l’uno nell’altro, e trovare una specie di affermazione della realtà della loro virilità. Adesso sapeva cosa intendeva Damon quando diceva che aveva cara la virilità di Andrew quanto la femminilità delle due donne. E non era ciò che Andrew temeva che fosse.
Perché era questo, comprese improvvisamente, che lui amava in Damon: la gentilezza e la violenza, l’affermazione stessa della virilità. Ora gli sembrava incredibile di aver potuto vedere il contatto di Damon come una minaccia. Confermava, invece, qualcosa che avevano in comune, un altro modo di dichiararsi reciprocamente ciò che erano entrambi. Avrebbero dovuto salutarlo come un modo di chiudere il cerchio, di comunicare la consapevolezza di ciò che tutti loro significavano l’uno per l’altro. Ma lui l’aveva respinto, e adesso Damon, in preda al terrore che non poteva condividere con le donne, non poteva rivolgersi neppure a lui per cercare la forza necessaria. E chi gli avrebbe dato conforto, se non un fratello giurato?
— Bredu — mormorò di nuovo, stringendo Damon con lo slancio protettivo che aveva provato fin dall’inizio nei suoi confronti ma che non aveva mai saputo esprimere. Era accecato dalle lacrime. L’enormità di quella dedizione lo spaventava, ma non era disposto a tirarsi indietro.
Bredin. Sulla Terra non esisteva un legame come quello. Una volta, alla ricerca di un’analogia, aveva parlato a Damon del rito della fratellanza di sangue. Damon era stato scosso da un brivido di ripugnanza e aveva detto, con voce carica di ribrezzo: — Per noi sarebbe la cosa più abominevole, spargere il sangue di un fratello. Talvolta i bredin si scambiano i pugnali, per ricordare che nessuno dei due potrà mai colpire l’altro, perché il coltello che ciascuno porta è del fratello. — Eppure, sforzandosi di comprendere (nonostante la ripugnanza) ciò che significava per Andrew la fratellanza di sangue, aveva ammesso che il valore emotivo era il medesimo. Andrew, che pensava secondo i propri simboli perché non poteva ancora condividere quelli di Damon, mentre lo teneva abbracciato si diceva che avrebbe dato il sangue per lui; e sapeva che questo l’avrebbe fatto inorridire, così come ciò che Damon aveva cercato di dare a lui l’aveva spaventato.
A poco a poco, tutto ciò che era nella mente di Andrew filtrò in quella di Damon. E Damon comprese che finalmente adesso era uno di loro. E mentre Andrew lo teneva stretto, lasciando dissolvere lentamente le barriere, il terrore di Damon si attenuò.
Non era solo. Era il Custode del cerchio della sua Torre, e traeva fiducia da Andrew, ritrovando la forza e la virilità. Non doveva più portare il peso di tutti gli altri: lo divideva con loro.
Adesso avrebbe potuto fare qualunque cosa, pensò: e sentendo la vicinanza di Andrew, si corresse a voce: — Noi possiamo fare qualunque cosa. — Fece un lungo respiro, si alzò, e attirò a sé Andrew nell’abbraccio tra parenti, baciandolo sulla guancia. Disse, in un sussurro: — Fratello.
Andrew sorrise e gli batté la mano sulla spalla. — Tutto a posto — replicò. Erano parole insignificanti, ma Damon sentiva ciò che rappresentavano.
— Quello che ho detto una volta, a proposito della fratellanza di sangue… — cominciò Andrew, cercando a fatica le parole. — È… lo stesso sangue, come di fratelli… Il sangue che ognuno dei due sarebbe disposto a spargere per l’altro.
Damon annuì, in segno di accettazione. — Fratello — disse gentilmente. — Fratello di sangue, se vuoi. Bredu. È soltanto la vita, ciò che abbiamo in comune: non il sangue. Capisci? — Ma le parole non avevano importanza: contavano soltanto i simboli. Entrambi sapevano cos’erano l’uno per l’altro, e non c’era bisogno di parole.
— Dobbiamo preparare le donne — disse Damon. — Se Leonie presenta queste accuse in Consiglio… Se mettono in atto quelle minacce, e Ellemir non è preparata, potrebbe abortire o peggio. Dobbiamo decidere come affrontarlo. Ma la cosa che conta — aggiunse, tendendo di nuovo la mano a Andrew, — è che l’affrontiamo insieme. Tutti noi.