CAPITOLO DICIASSETTESIMO

Per tutta la notte, i sogni di Damon erano stati ossessionati da uno scalpitio di cavalli al galoppo: galoppavano verso Armida, portando brutte notizie. Ellemir si stava vestendo per scendere a dirigere il lavoro nelle cucine — la seconda gravidanza non era accompagnata dai malesseri della prima — quando all’improvviso impallidì e urlò. Damon accorse al suo fianco, ma lei passò oltre e scese a precipizio le scale, attraversando l’atrio e il cortile: si fermò al portone, a testa nuda, pallida come la morte.

Damon, che si era sentito afferrare dalla premonizione, la seguì, supplichevole. — Ellemir, cosa c’è? Tesoro, non devi stare qui…

— Nostro padre — mormorò lei. — Nostro padre ne morirà. Oh, beata Cassilda, Domenic, Domenic!

Damon la ricondusse dolcemente verso la casa, nella sottile nebbia dell’acquerugiola mattutina. Appena varcarono la porta trovarono Callista, pallida e tirata, e Andrew, turbato e apprensivo. Callista si avviò verso la camera di suo padre, dicendo a bassa voce: — Non possiamo far altro che stargli vicino, Andrew. — Andrew e Damon rimasero accanto al vecchio, mentre il valletto lo vestiva. Delicatamente, Damon lo sollevò e lo depose sulla sedia a rotelle. — Caro zio, possiamo soltanto aspettare. Ma qualunque notizia arrivi, ricorda che hai ancora figli e figlie che ti amano e ti sono vicini.

Ellemir entrò nella Grande Sala e s’inginocchiò piangendo davanti al padre. Dom Esteban le accarezzò i luminosi capelli e disse, con voce rauca: — Abbi cura di lei, Damon, e non preoccuparti di me. Se… se è accaduto qualcosa di brutto a Domenic, il figlio che tu Ellemir porti in grembo sarà il secondo erede degli Alton.

E Dio li aiutasse tutti, pensò Damon, perché Valdir non aveva ancora dodici anni! Chi avrebbe comandato le Guardie? Perfino Domenic veniva considerato troppo giovane.

Andrew pensò che suo figlio, il bimbo di Ellemir, sarebbe stato erede del dominio. Quella prospettiva gli sembrò così assurda e improbabile che si sentì scuotere da un’ilarità isterica.

Callista mise una tazzina nella mano del vecchio. — Bevi, padre.

— Non voglio le tue droghe! Non voglio addormentarmi se non quando saprò…

— Bevi! — ordinò lei, pallida e incollerita. — Non serve per offuscare la tua sensibilità, ma per darti forza. Oggi avrai bisogno di tutte le tue energie.

Con riluttanza, il vecchio inghiottì la pozione. Ellemir si alzò e disse: — La gente di casa non deve soffrire la fame a causa delle nostre ansie. Vado a occuparmi della colazione.

Portarono a tavola il vecchio e cercarono d’indurlo a mangiare; ma nessuno di loro riuscì a inghiottire più di qualche boccone, e Andrew si sforzò di tendere l’orecchio oltre la portata del proprio udito, di sentire l’arrivo del messaggero che recava l’annuncio di cui nessuno ormai dubitava più.

— Eccolo — disse Callista, posando un pezzo di pane imburrato e balzando in piedi. Suo padre tese la mano. Era pallidissimo ma perfettamente padrone di sé: il nobile Alton, il Comyn signore del dominio.

— Siediti, figlia. Le cattive notizie vengono quando vogliono, ma non è dignitoso correre loro incontro.

Si portò alle labbra una cucchiaiata di crema di noci, poi tornò a posarla senza averla assaggiata. Gli altri non fingevano neppure di mangiare: ascoltavano lo scalpitio degli zoccoli sulle pietre del cortile, il suono dei passi del messaggero sui gradini. Era una Guardia, molto giovane, e i suoi capelli rossi — come Andrew sapeva — indicavano il sangue dei Comyn. Aveva l’aria stanca, triste, apprensiva.

Dom Esteban disse, senza alzare la voce: — Benvenuto in casa mia, Darren. Cosa ti conduce qui a quest’ora?

— Nobile Alton. — La voce del messaggero parve bloccarglisi in gola. — Purtroppo ti porto brutte notizie. — Girò lo sguardo intorno a sé. Appariva in trappola, infelice, come se non se la sentisse di dare il terribile annuncio a quel vecchio fragile, immobilizzato su una sedia a rotelle.

Dom Esteban disse, con calma: — Avevo avuto un preannuncio, ragazzo mio. Vieni e parlamene. — Tese la mano, e il giovane si accostò esitante alla tavola alta. — È mio figlio Domenic. È… è morto?

Il giovane Darren abbassò gli occhi. Dom Esteban fece un respiro tremulo come un singhiozzo, ma parlò con voce controllata.

— Sarai stanco per il lungo viaggio. — Accennò ai servitori di prendere il mantello del giovane, di togliergli i pesanti stivali, di portargli morbide pantofole da casa, e di offrirgli un boccale di vino caldo. — Dimmi tutto, ragazzo. Com’è morto?

— È stata una disgrazia, nobile Alton. Era nell’armeria, e si esercitava a tirare di scherma col suo scudiero, il giovane Cathal Lindir. Non si sa come, sebbene avesse la maschera, è stato colpito alla testa. Nessuno pensava che fosse una cosa grave, ma prima che arrivasse l’ufficiale ospitaliere era morto.

Povero Cathal, pensò Damon. Era nei Cadetti, insieme a Domenic, durante l’anno in cui lui era stato il loro maestro. Quei due ragazzi erano inseparabili, stavano insieme dappertutto: nei turni di guardia, alle esercitazioni di scherma, nelle ore di libertà. Erano bredin, fratelli giurati. Sarebbe stato già abbastanza tremendo se Domenic fosse morto per un incidente: ma il fatto che un colpo sferrato da un amico giurato avesse causato la sua fine… Beata Cassilda, come doveva soffrire quel povero ragazzo!

Dom Esteban era riuscito a dominarsi, e interrogava il messaggero per informarsi delle disposizioni che erano state prese. — Bisogna richiamare immediatamente Valdir da Nevarsin, come erede designato.

Darren replicò: — Il nobile Lorill Hastur l’ha già mandato a prendere, e ti prega di venire a Thendara se sei in grado di farlo, mio signore.

— In grado o no, partiremo oggi stesso — disse con fermezza Dom Esteban. — Anche se dovrò viaggiare in lettiga a cavalli. E voi, Damon e Andrew, verrete con me.

— Verrò anch’io. — Callista era pallidissima, ma la sua voce era ferma. Elìemir disse: — E anch’io. — Piangeva in silenzio.

— Rhodri — ordinò Damon, chiamando con un cenno il vecchio maggiordomo, — assegna una stanza al messaggero perché possa riposare; e manda uno dei nostri uomini a Thendara, col cavallo più veloce, per avvertire il nobile Hastur che arriveremo fra tre giorni. E prega Ferrika di venire subito da dama Ellemir.

Rhodri annuì. Aveva il volto grinzoso inondato di lacrime, e Damon ricordò che aveva passato ad Armida tutta la sua esistenza, aveva tenuto sulle ginocchia Domenic e Coryn quand’erano bambini. Ma adesso non c’era tempo di pensare a quelle cose. Ferrika dichiarò che probabilmente Ellemir poteva viaggiare senza pericoli. — Ma almeno parte del percorso, dovrai farlo in lettiga, mia signora, perché ti stancheresti troppo se stessi sempre in sella. — Quando Ferrika si sentì dire che doveva accompagnarli, protestò.

— Sono molti, nella tenuta, che hanno bisogno delle mie cure, nobile Damon.

— Dama Ellemir porta in grembo il secondo erede degli Alton. Ha bisogno di te più di chiunque altro, e tu sei sua amica d’infanzia. Hai istruito altre donne della tenuta: adesso dovranno dimostrare di aver imparato a dovere.

Era una cosa evidente, perfino per la levatrice Amazzone: pronunciò una cortese frase di rispetto e andò a parlare con le sue subordinate. Callista aveva mandato le ancelle a preparare tutto quello che sarebbe stato necessario per un soggiorno piuttosto lungo a Thendara. Quando Ellemir le chiese perché, rispose laconicamente: — Vladir è ancora un bambino. Forse il Consiglio dei Comyn non sarà d’accordo di permettere che nostro padre, invalido e malato di cuore, continui a essere a capo del dominio: potrebbe esserci una lotta prolungata per l’assegnazione di un tutore a Valdir.

— Io direi che logicamente il tutore dovrebbe essere Damon — osservò Ellemir, e le labbra di Callista si tesero in un triste sorriso. — Certo, sorella: ma io ho partecipato al Consiglio come rappresentante di Leonie, e so che per quei signori non c’è mai nulla di semplice e di ovvio, se esiste qualche vantaggio politico da ricavare con una soluzione diversa. Ricordi? Domenic ha detto che avevano litigato circa il suo diritto di comandare le Guardie, perché era troppo giovane. E Valdir è più giovane ancora.

Ellemir rabbrividì, posandosi la mano sul ventre in un gesto automatico di protezione. Conosceva molte vecchie storie di rabbiosi dissidi nel Consiglio dei Comyn, di lotte più crudeli di una battaglia perché coloro che si affrontavano non erano nemici bensì parenti. Come affermava un’antica massima, quando i bredin erano in disaccordo i nemici s’infiltravano per accentuare le divergenze.

— Callie! Credi… credi che Domenic sia stato assassinato?

Callista rispose, balbettando: — Cassilda, Madre dei Sette! Spero di no. Se fosse morto di veleno, o di una malattia misteriosa, lo temerei: c’erano tanti dissidi, per l’eredità degli Alton. Ma… colpito per gioco da Cathal? Noi conosciamo Cathal, Elli: amava Domenic come la propria vita! Erano uniti dal giuramento dei bredin. Preferirei credere Damon capace di violare un giuramento, piuttosto che nostro cugino Cathal! — E aggiunse, pallida e turbata: — Se fosse stato Dezi…

Le due gemelle si guardarono; non volevano esprimere la loro accusa, ma ricordavano che per poco la malvagità di Dezi non era costata la vita a Andrew. Infine Ellemir disse, con voce tremante: — Chissà dov’era, Dezi, quando Domenic è morto.

— Oh, no, no, Ellemir! — Callista strinse a sé la sorella, troncando le sue parole. — No, no, non pensarlo neppure! Nostro padre ama Dezi, anche se non ha voluto riconoscerlo: quindi non peggiorare le cose. Elli, ti prego, ti prego, non mettere quel pensiero in mente a nostro padre!

Ellemir sapeva ciò che intendeva Callista: doveva proteggere i propri pensieri, perché quell’accusa avventata non pervenisse a suo padre. Ma l’idea continuò a turbarla, mentre spiegava alle ancelle come dovevano badare alla casa durante la loro assenza. Trovò un momento per scendere alla cappella, a deporre una piccola ghirlanda di fiori invernali davanti all’altare di Cassilda. Avrebbe desiderato che suo figlio nascesse ad Armida, dove sarebbe vissuto circondato dall’eredità che un giorno sarebbe stata sua.

Non aveva desiderato altro, nella sua vita, che sposare Damon e dare figli e figlie al proprio clan e al suo. Era chiedere troppo?, pensò disperata. Lei non era come Callista, non ambiva a operare col laran, a sedere in Consiglio e a risolvere affari di stato. Perché non poteva avere pace? Eppure sapeva che nei giorni futuri non avrebbe potuto rinchiudersi in quel rifugio della femminilità.

Avrebbero chiesto che Damon comandasse le Guardie, al posto del suocero? Come tutte le figlie degli Alton, era fiera della carica ereditaria di comandante che suo padre aveva avuto e che lei aveva sperato di veder rimanere a Domenic per molti anni. Ma adesso Domenic era morto, e Valdir era troppo giovane: a chi sarebbe toccata? Girò lo sguardo sulle divinità dipinte sui muri della cappella, sull’immagine rigida e stilizzata di Hastur, figlio di Aldones, effigiato a Hali insieme a Cassilda e a Camilla. Erano stati i progenitori dei Comyn: la vita era più semplice, a quei tempi. Stancamente, lasciò la cappella e ritornò di sopra, per scegliere le ancelle che dovevano accompagnarli e quelle che dovevano restare a curare la casa.

Anche Andrew aveva fin troppe cose cui pensare, mentre parlava col vecchio coridom — addoloratissimo, come tutti gli altri servitori, per la morte del giovane padrone — circa l’organizzazione della tenuta e degli allevamenti durante la sua assenza. Pensava che avrebbe dovuto rimanere, perché a Thendara non aveva nulla da fare e sarebbe stato meglio non affidare ai servi l’allevamento dei cavalli. Ma sapeva che la propria riluttanza era dovuta in parte al fatto che a Thendara c’era la sede dell’impero terrestre. A lui stava bene che i terrestri lo credessero morto: non aveva parenti che potessero piangerlo, e a Thendara non c’era niente che l’interessasse. Ma adesso il conflitto si riproponeva, inaspettatamente. Da un punto di vista razionale sapeva che i terrestri non avevano diritti su di lui, che non avrebbero neppure saputo che lui si trovava nella città vecchia di Thendara, e che di certo non gli sarebbero corsi dietro. Tuttavia, era in apprensione. E si chiedeva dove si trovava Dezi quando era morto Domenic, sebbene continuasse a scacciare quel pensiero.

Damon gli aveva detto che Thendara non era lontana più di un giorno di viaggio, per un uomo in sella a un cavallo veloce, col tempo buono. Ma un corteo numeroso, con servitori, bagagli, una donna incinta e un vecchio invalido che dovevano viaggiare in lettiga, potevano impiegare quattro o cinque volte di più. Quasi tutto il lavoro per far preparare i cavalli e i bagagli toccò a lui, che si sentiva stanco ma soddisfatto quando finalmente il corteggio uscì dalle grandi porte. Dom Esteban era su una lettiga portata da due cavalli; un’altra attendeva Ellemir, quando si fosse stancata di cavalcare; ma per il momento lei procedeva al fianco di Damon, imbacuccata in un mantello verde e con gli occhi gonfi di pianto. Andrew ricordava Domenic che si burlava di Ellemir, alla festa nuziale, e si sentiva profondamente rattristato: aveva avuto così poco tempo per imparare a conoscere quel giovane vivace che l’aveva accettato con tanta prontezza.

Poi venivano una lunga fila di animali da soma, i servitori in sella alle bestie dalle grandi corna ramificate che sulle strade di montagna avevano il passo più sicuro di molti cavalli e alla retroguardia cinque o sei Guardie col compito di proteggerli dai pericoli. Callista era pallida e quasi incorporea nel nero mantello da viaggio. Guardando il suo volto scavato sotto il cappuccio scuro, era difficile riconoscere in lei la ragazza che rideva tra i fiori dorati. Era accaduto soltanto il giorno prima?

Eppure, nonostante la luttuosa solennità delle vesti scure e il volto esangue, era ancora la donna che aveva accolto e ricambiato i suoi baci con passione inaspettata. Un giorno — presto, presto, si ripromise — l’avrebbe liberata, l’avrebbe avuta sempre con sé. Quando la guardò, lei alzò il volto con un debole sorriso.

Il viaggio richiese quattro giorni, freddi e faticosi. Il secondo giorno, Ellemir salì sulla lettiga e non rimontò a cavallo fino a poco prima di raggiungere le porte della città. Al valico che si affacciava su Thendara, volle lasciare la lettiga.

— Scuote me e il piccino molto peggio dell’andatura di Shirina — insistette, stizzita. — E non voglio entrare a Thendara come una regina viziata o un’invalida. Devono sapere tutti che mio figlio non è debole! — Ferrika, interpellata, disse che era importante che Ellemir si sentisse a suo agio: e se si sentiva in grado di cavalcare, poteva e doveva farlo.

Andrew non aveva mai visto Castel Comyn se non da lontano, dal settore terrestre. Spiccava alto sulla città, immenso e antico, e Callista gli disse che esisteva fin da prima delle epoche del caos e non era stato costruito da mani umane. Le pietre erano state collocate al loro posto dai cerchi delle matrici delle Torri, che avevano collaborato per trasformare insieme le energie.

All’interno era un labirinto, con lunghi ed enormi corridoi; e le stanze in cui furono accompagnati — gli appartamenti, spiegò Callista, riservati da tempo immemorabile agli Alton nella stagione del Consiglio — erano spaziose quanto quelle che loro occupavano ad Armida.

A parte le stanze degli Alton, il castello sembrava deserto. — Ma il nobile Hastur è qui — disse Callista a Andrew. — Rimane a Thendara quasi tutto l’anno, e suo figlio Danvan aiuta a comandare le Guardie. Immagino che convocheranno il Consiglio per decidere sull’eredità degli Alton. Ci sono sempre problemi, e Valdir è così giovane.

Quando portarono Dom Esteban nella sala principale degli appartamenti degli Alton, gli andò incontro un ragazzetto snello sui dodici anni, con la carnagione olivastra, il volto intelligente e i capelli così scuri da non sembrare neppure rossi.

— Valdir. — Dom Esteban tese le braccia, e il ragazzo s’inginocchiò ai suoi piedi.

— Sei così giovane, figlio mio, ma dovrai comportarti da adulto! — Quando il ragazzo si alzò, lui lo strinse a sé. — Dimmi: sai dov’è tuo fratello… — Non finì la frase. Il giovane Valdir rispose a bassa voce: — Riposa nella cappella, padre, vegliato dal suo scudiero. Non sapevo cosa dovevo fare, ma… — Fece un gesto, e Dezi, esitando, entrò nella sala. — Mio fratello Dezi mi è stato di grande aiuto, da quando sono arrivato da Nevarsin.

Damon pensò, spietatamente, che Dezi non aveva perso tempo, adesso che il suo protettore era morto, a insinuarsi nelle grazie del nuovo erede. Accanto all’esile e bruno Valdir, Dezi, con i capelli di un rosso vivo e il volto lentigginoso, aveva l’aria di membro della famiglia assai più del figlio legittimo. Dom Esteban abbracciò Dezi piangendo.

— Mio caro, caro ragazzo…

Damon si chiese come poteva privare il vecchio del conforto dell’unico altro figlio vivente, privare Valdir dell’unico fratello. Il detto era vero: le spalle di chi non ha un fratello sono indifese. E del resto Dezi, senza la matrice, era innocuo.

Valdir andò ad abbracciare Ellemir. — Vedo che finalmente hai sposato Damon. Lo immaginavo. — Ma davanti a Callista esitò, intimidito. Callista tese le mani, spiegando a Andrew: — Sono andata alla Torre quando Valdir era ancora piccolo; da allora l’ho visto solo poche volte, e non l’ho più incontrato da quando è cresciuto. Sono sicura che ti sei dimenticato di me, fratello.

— No — disse il ragazzo, alzando il volto verso la sorella. — Mi sembra di ricordare qualcosa. Eravamo in una sala con tanti colori, come un arcobaleno. Dovevo essere molto piccolo. Sono caduto e mi sono fatto male a un ginocchio, e tu mi hai preso in braccio e hai cantato per me. Portavi un abito bianco con qualcosa di azzurro.

Callista sorrise. — Ora ricordo. È stato quando ti hanno presentato nella Camera di Cristallo, come dev’essere presentato ogni figlio dei Comyn, per accertare che non abbia difetti o deformità nascoste, quando in seguito viene promesso in matrimonio. Allora io ero soltanto un controllore psi. Ma tu non avevi ancora cinque anni: mi sorprende che rammenti il velo azzurro. Questo è mio marito, Andrew.

Il ragazzo s’inchinò cerimoniosamente, ma non porse la mano a Andrew e si ritirò al fianco di Dezi. Andrew s’inchinò freddamente a Dezi; Damon l’abbracciò com’era doveroso tra parenti, sperando che quel contatto disperdesse i sospetti di cui non riusciva a liberarsi. Ma Dezi era saldamente barricato, e lui non poteva leggere nella sua mente. Poi Damon si disse che doveva essere più giusto. Nel loro ultimo incontro aveva torturato Dezi, per poco non l’aveva ucciso: come poteva, lui, accoglierlo con spirito d’amicizia?

Dom Esteban venne portato nelle sue stanze. Guardò Dezi con aria implorante, e il giovane lo seguì. Quando furono usciti, Andrew disse con una smorfia: — Bene, speravo che ci fossimo sbarazzati di lui. Ma se la sua presenza serve a consolare nostro padre, cosa possiamo fare?

Damon pensò che non sarebbe stata la prima volta che un figlio bastardo, dopo una giovinezza riprovevole, diventava il sostegno di un padre che aveva perso gli altri figli. Per il bene di Dom Esteban e per quello di Dezi, si augurò che fosse davvero così.

Raggiunse Andrew e Callista, e disse: — Volete venire con me nella cappella, a vedere come hanno sistemato Domenic? Se è tutto a posto, possiamo risparmiare questo dolore a nostro padre; e Ferrika ha già fatto mettere a letto Ellemir. Lei conosceva Domenic meglio di tutti: è inutile tormentarla ancora.

La cappella si trovava nelle viscere di Castel Comyn: era scavata nella viva roccia della montagna. Vi regnava il freddo delle grotte sotterranee. Nel silenzio echeggiante, Domenic giaceva su una lunga bara sostenuta da cavalietti, davanti alla statua della beata Cassilda, Madre dei Dominii. Nella figura di pietra, Andrew credette di scorgere una vaga somiglianza col volto di Callista e col volto esangue del giovane defunto.

Damon piegò la testa e nascose la faccia tra le mani. Callista si chinò e baciò dolcemente la gelida fronte, mormorando qualcosa che Andrew non udì. Una forma scura, inginocchiata accanto alla bara, si mosse e si alzò. Era un giovane robusto, non molto alto, spettinato e con le palpebre arrossate da un lungo pianto. Andrew immaginò chi era, prima ancora che Callista tendesse la mani.

— Cathal, caro cugino.

Il giovane li fissò dolorosamente per un attimo, prima di ritrovare la voce. — Dama Ellemir, miei signori…

— Non sono Ellemir ma Callista, cugino — disse lei, a bassa voce. — Ti siamo grati perché sei rimasto con Domenic fino al nostro arrivo. È giusto che abbia vicino qualcuno che l’amava.

— È quello che ho pensato, eppure mi sento colpevole: sono stato io a ucciderlo… — La voce si spezzò. Damon abbracciò il giovane, che tremava.

— Sappiamo tutti che è stata una disgrazia, parente. Dimmi com’è accaduto.

Gli occhi arrossati del giovane erano colmi di dolore. — Eravamo nell’armeria e ci esercitavamo con le spade di legno, come facevamo tutti i giorni. Lui era uno schermitore più esperto di me — disse Cathal, straziato. Anche lui, notò Andrew, aveva i lineamenti dei Comyn: quel «cugino» non era un semplice termine di cortesia. — Non mi ero accorto di averlo colpito così forte, davvero. Credevo che fingesse per prendermi in giro, che sarebbe balzato in piedi ridendo… Lo faceva spesso.

Il volto di Cathal si contrasse. Damon, ricordando i mille scherzi che Domenic aveva combinato nei Cadetti, strinse la mano del giovane. — Lo so, ragazzo mio. — Era rimasto così afflitto dal giorno della disgrazia, senza nessuno che lo consolasse? — Parliamone.

— Io l’ho scosso. — Cathal era pallido per l’orrore. — Gli ho detto: «Alzati, somaro, finiscila di scherzare». E poi gli ho tolto la maschera e ho visto che era svenuto. Ma anche allora non mi sono spaventato troppo: capita spesso che qualcuno si faccia male.

— Lo so, Cathal. Anch’io sono stato messo fuori combattimento cinque o sei volte, quand’ero Cadetto: e guarda, il mio dito medio è ancora storto per un colpo che Coryn mi aveva sferrato con una spada da esercitazioni. Ma allora cos’hai fatto?

— Sono corso a chiamare l’ufficiale ospitaliero, mastro Nicol.

— E l’hai lasciato solo?

— No: c’era suo fratello, con lui. Dezi gli spruzzava la faccia con acqua fredda, cercando di farlo rinvenire. Ma quando sono tornato con mastro Nicol, era morto.

— Sei sicuro che fosse vivo quando l’hai lasciato?

— Sì — disse il giovane, in tono sicuro. — Respirava, e gli ho sentito il cuore.

Damon scosse la testa, sospirando. — Hai notato i suoi occhi? Aveva le pupille dilatate? O contratte? Reagiva in qalche modo alla luce?

— Non… non l’ho notato, nobile Damon. Non ho neppure pensato di controllare.

Damon sospirò. — Posso capirlo. Bene, caro ragazzo, le ferite alla testa non seguono sempre le regole. L’anno in cui ero ufficiale ospitaliero, una Guardia è stata scaraventata contro un muro, durante una rissa per la strada. Quando l’hanno rimessa in piedi, sembrava che stesse bene; ma a cena si è addormentata con la testa sulla tavola, e non si è svegliata più. È morta nel sonno. — Si alzò, tenendo la mano sulla spalla di Cathal. — Tranquillizzati: non potevi far nulla, tu.

— Il nobile Hastur e gli altri mi hanno rivolto molte domande, come se credessero che io potessi fare del male a Domenic. Eravamo bredin: gli volevo bene. — Il ragazzo andò a fermarsi davanti alla statua di Cassilda e disse, in tono veemente: — Il Signore della Luce mi fulmini, se gli ho fatto del male! — Poi si voltò e s’inginocchiò per un momento ai piedi di Callista. — Domna, tu sei una leronis: puoi dimostrare che non avevo cattive intenzioni nei confronti del mio amato signore, che sarei morto per difenderlo! Vorrei che la mia mano si fosse paralizzata, prima che lo colpissi!

Aveva ripreso a piangere. Damon lo sollevò, dicendo con fermezza: — Lo sappiamo, ragazzo mio, credimi. — Percepiva una sensazione di angoscia e di rimorso. La mente di Cathal gli era spalancata: ma il rimorso era tutto per quel colpo disgraziato, e in lui non c’era ombra di malvagità. — Ma ormai è inutile continuare a piangere. Devi andare a riposare. Tu eri il suo scudiero: dovrai cavalcare al suo fianco, quando lo porteremo alla tomba.

Cathal trasse un profondo respiro e alzò gli occhi verso Damon. — Tu mi credi davvero, nobile Damon. Adesso… adesso penso che riuscirò a dormire.

Con un sospiro, Damon osservò il giovane che si allontanava. Per quanto lui potesse tranquillizzarlo, Cathal avrebbe trascorso il resto della vita con la consapevolezza di aver ucciso per disgrazia un parente e un amico giurato. Povero Cathal! Domenic era morto in fretta e senza soffrire, ma Cathal avrebbe subito quell’angoscia per anni.

Callista stava accanto alla bara e guardava Domenic, vestito con i colori del suo dominio, i capelli ricciuti pettinati con cura, gli occhi chiusi. Gli sfiorò la gola.

— Dov’è la sua matrice? Damon, va sepolta con lui.

Damon aggrottò la fronte. — Cathal?

Il ragazzo si fermò sulla soglia della cappella. — Signore?

— Chi l’ha preparato per la sepoltura? Perché gli hanno tolto la matrice?

— La matrice? — Gli occhi azzurri avevano un’espressione perplessa. — Gli avevo sentito ripetere spesso che non s’interessava a quelle cose. Non sapevo che l’avesse.

Callista si portò la mano al collo. — Domenic aveva ricevuto una matrice, dopo essere stato sottoposto agli esami. Possedeva il laran, sebbene se ne servisse molto di rado. L’ultima volta che l’ho visco la portava al collo, in un sacchetto come questo.

— Adesso ricordo — disse Cathal. — Portava qualcosa al collo, sì. lo credevo che fosse un talismano o qualcosa del genere. Non ho mai saputo di preciso cos’era. Forse chi l’ha preparato per le esequie ha pensato che fosse un monile troppo misero per seppellirlo con lui.

Damon lasciò andare Cathal. Avrebbe chiesto chi aveva preparato il corpo di Domenic per il funerale. La matrice andava sepolta con lui.

— Com’è possibile che qualcuno l’abbia presa? — chiese Andrew.

— Tu mi hai detto e dimostrato che è pericoloso toccare la matrice di un altro. Quando hai preso quella di Dezi, è stato doloroso per te quasi quanto per lui.

— In generale, quando il proprietario di una matrice sintonizzata muore, la pietra muore con lui. E allora è soltanto un frammento di cristallo azzurro, spento, privo di luce. Ma non è giusto che rimanga accessibile. — Era molto probabile che qualche servitore avesse pensato, come aveva detto Cathal, che si trattava di un monile troppo modesto per essere sepolto insieme a un erede Comyn.

Se mastro Nicol, ignaro, l’aveva toccata, o magari ne aveva sciolto il cinghiolo per cercare di far respirare Domenic, allora questo poteva aver ucciso il ragazzo… Ma no: Dezi era presente. Dezi sapeva, poiché era stato addestrato ad Arilinn. Se mastro Nicol avesse cercato di togliere la matrice, Dezi — che, come Damon sapeva per esperienza, era in grado di svolgere i compiti di Custode — sicuramente l’avrebbe tolta di persona, perché sapeva farlo senza pericolo.

Ma se Dezi l’aveva presa…

No. Non voleva crederlo. Quali che fossero i suoi torti, Dezi aveva voluto bene a Domenic. Domenic era stato l’unico della famiglia a mostrarglisi amico, l’aveva trattato come un vero fratello, aveva insistito perché venissero riconosciuti i suoi diritti.

Era già accaduto che un fratello uccidesse un fratello… Ma no. Dezi aveva amato Domenic, e amava suo padre. E in verità sarebbe stato difficile non voler bene a Domenic.

Per un momento, Damon rimase accanto alla bara. Qualunque cosa accadesse, era la fine per la normale esistenza di Armida. Valdir era così giovane, e se doveva diventare subito l’erede non ci sarebbe stato il tempo per la tradizionale preparazione dei figli dei Comyn, gli anni nel corpo dei Cadetti e delle Guardie, e il soggiorno in una Torre se c’era idoneità. Lui e Andrew avrebbero fatto del loro meglio per dimostrarsi figli devoti del vecchio Alton: ma nonostante tutte le buone intenzioni non erano Alton, cresciuti nelle tradizioni dei Lanart di Armida. Qualunque cosa accadesse, era la fine di un’epoca.

Callista seguì Andrew, quando lui andò a esaminare gli affreschi alle pareti. Erano antichissimi, eseguiti con pigmenti che splendevano come gemme, e raffiguravano la leggenda di Hastur e Cassilda, il grande mito dei Comyn. Hastur, nelle vesti auree, che vagava sulle rive del lago; Cassilda e Camilla ai telai; Camilla, circondata dalle colombe, che gli portava i frutti tradizionali; Cassilda, con un fiore in mano, che l’offriva al figlio del dio. I dipinti erano antichi e stilizzati, ma Callista riconobbe alcuni dei frutti e dei fiori. La corolla azzurra e oro nella mano di Cassilda era il kireseth, il fiore stellato delle Colline di Kilghard, chiamato familiarmente «campanula dorata». Forse per quel legame sacro, pensò, il fiore di kireseth era tabù in tutti i cerchi delle Torri, da Dalereuth agli Heller? Ricordò, con una fitta di rimpianto, quando era stata senza paura tra le braccia di Andrew, durante la fioritura invernale. Un tempo la gente ci scherzava, ai matrimoni, se la sposa era riluttante. Le lacrime le bruciavano gli occhi, ma si sforzò di reprimerle. Ora che l’erede del dominio, il suo amatissimo fratello minore, era morto, non era il momento di preoccuparsi dei suoi problemi personali.

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