35

Mary uscì dalla stazione di polizia su tutte le furie. Ma non disse una parola finché lei e Ponter non furono di nuovo in macchina, fermi al parcheggio.

— Ma che diavolo hai fatto? — gli gridò, guardandolo in faccia.

— Mi dispiace — disse Ponter.

— E adesso, tanti saluti alla possibilità di esaminare quei campioni! Cristo, sono pronta a scommettere che l’unico motivo per cui non ti ha arrestato è perché avrebbe dovuto ammettere la sua stupidità a lasciarti avvicinare.

— Ripeto: mi dispiace.

— Ma, santo cielo, che cosa avevi in mente? Ponter tacque.

— E allora? Eh?

— Adesso — disse lui, in tono piatto — so chi ha violentato Qaiser. E, com’è probabile, anche te.

Mary si abbandonò sul sedile. — Chi?

— Il tuo collega… non riesco a pronunciare bene il suo nome… qualcosa come Co… na… le… as.

— Cornelius? Cornelius Ruskin? No, questa è follia!

— Perché? C’è qualcosa nella sua costituzione fisica che sia in contraddizione con i tuoi ricordi di quella notte?

Mary aveva ancora il fiatone per aver urlato. Però dalla sua voce se n’era andata tutta la rabbia, era rimasto solo lo stupore. — Be’, no. Voglio dire, okay, Cornelius ha gli occhi azzurri, ma ce li ha un sacco di gente. E poi non fuma.

— Fuma — disse Ponter.

— Non l’ho mai visto con una sigaretta.

— Quando lo abbiamo salutato, aveva odore di tabacco.

— Magari era stato in un pub e il fumo gli si era attaccato addosso.

— No, proveniva dal suo alito, anche se tentava di nasconderlo con qualche sostanza chimica.

Mary aggrottò le ciglia. Ne conosceva qualcuno, di fumatore in segreto. — Io non ho sentito niente. Ponter non rispose.

— Inoltre — continuò Mary — Cornelius non farebbe mai del male a me o a Qaiser. Voglio dire, eravamo colleghi, e…

Mary s’interruppe.

— Sì? — chiese Ponter.

— In effetti, a me piaceva considerarlo un collega. Ma lui era solo un assistente stagionale. Si era specializzato a Oxford… Oxford, santo cielo, ma non aveva ottenuto niente di più di quella miseria. Non dico una cattedra, ma neppure un contratto a tempo pieno. Invece, io e Qaiser…

— Sì?

— Be’, io devo ringraziare di essere donna, ma lei ha fatto l’en-plein quando sono state assegnate le cattedre: è donna e per di più appartenente a una minoranza. Dicono che gli stupri non vengano commessi per desiderio sessuale: sono un crimine istigato dal desiderio di forza, di autorità. E si sa che Cornelius pensa di non averne nessuna.

— È anche uno di quelli che hanno accesso al frigorifero del laboratorio — disse Ponter. — Essendo un genetista, poteva prevedere che cosa avresti fatto. Avrebbe cercato, e distrutto, tutte le prove.

“Mio Dio” pensò Mary. — Però… aspetta. Sono solo illazioni.

Erano solo illazioni, finché non ho avuto occasione di esaminare i reperti della violenza su Qaiser. Conservati al sicuro in un posto in cui Ruskin non avrebbe mai potuto mettere piede. L’odore di quei reperti è lo stesso che aveva lui quando lo abbiamo incontrato in corridoio, fuori dal tuo laboratorio.

— Ne sei sicuro? — chiese Mary. — Ne sei assolutamente sicuro?

— Non dimentico mai un odore — disse Ponter.

— Mio Dio… Che facciamo adesso?

— Potremmo avvisare l’investigatore Hobbes.

— Già, ma…

— Ma?

— Questo non è il tuo mondo — disse Mary. — Non si può semplicemente chiedere di visionare un archivio degli alibi. In ciò che hai detto, non c’è niente che consenta alla polizia di esigere un campione del DNA di Ruskin. — Non era già più “Cornelius”.

— Potrei testimoniare che il suo odore…

Mary scosse la testa. — Non esiste nessun precedente di questo tipo, neppure come primo indizio. Anche se Hobbes credesse alle tue affermazioni, non potrebbe ingiungere a Ruskin di presentarsi per un interrogatorio.

— Questo mondo… — disse Ponter, arrendendosi.

— Sei assolutamente sicuro? — ripeté Mary. — Senza ombra di dubbio?

— L’ombra di…? Ah, capisco. Sì, sono assolutamente sicuro.

— Non solo al di là di ogni ragionevole dubbio. Al di là di ogni possibile dubbio.

— Non ho nessun dubbio.

— Sul serio? — disse Mary.

— Sembrerà incredibile, per i vostri piccoli nasi, ma non vanto capacità straordinarie. Sarebbe in grado di farlo qualunque appartenente alla mia specie, e anche ad altre specie.

Mary ci pensò. Se i cani sapevano riconoscere chiunque dall’odore, perché Ponter no? — Che cosa possiamo fare? — chiese.

Ponter rimase in silenzio a lungo. Poi rispose, a bassa voce: — Avevi detto che il motivo per cui non avevi denunciato la violenza era che temevi le conseguenze, nei vostri tribunali.

— E allora? — scattò Mary.

— Non volevo far pesare la cosa. Volevo solo essere sicuro di aver compreso bene. In caso di indagini giudiziarie, che cosa potrebbe succedere a te o alla tua amica Qaiser?

— Be’, anche se venissero ritenute probanti le analisi del DNA… e non è detto… l’avvocato di Ruskin cercherebbe di dimostrare che eravamo consenzienti.

— Non meriti questo — disse Ponter. — Nessuno lo meriterebbe.

— Ma se non facciamo qualcosa, Ruskin colpirà ancora.

— No — disse Ponter, reciso.

— Ponter, non c’è niente che tu possa fare!

— Portami all’università.

— No, Ponter, no!

— Allora ci arriverò a piedi.

— Non sai neppure dove si trova.

— Lo sa Hak.

— Ponter, questa è una pazzia. Non puoi ammazzarlo!

Lui si toccò la spalla su cui aveva la fasciatura. — Su questo pianeta, qualcuno uccide continuamente qualcun altro.

— Ponter, non te lo permetto!

— Devo impedirgli di commettere altre violenze.

— Ma…

— Oggi potrai fermarmi, e anche domani e dopodomani, ma non potrai tenermi al guinzaglio in eterno. Una volta o l’altra riuscirò a eludere la tua sorveglianza, allora tornerò al campus ed eliminerò il problema. — La fissò dritto negli occhi, con quelle sue pupille dorate. — L’unico dilemma è se riuscirò a farlo prima che colpisca ancora. Davvero intendi rallentarmi?

Mary chiuse gli occhi, mettendosi in ascolto, con tutte le sue forze, della voce di Dio. Rimase ad attendere se Lui le inviasse un messaggio. Non arrivò nulla.

Riaprì gli occhi. — Non posso permettertelo, Ponter. Non posso permettere che tu uccida una persona a sangue freddo. Nemmeno quella persona.

— Deve essere fermato.

— Promettimelo — disse Mary. — Promettimi che non lo farai.

— Perché ci tieni tanto? Lui non è degno di vivere.

Mary inspirò profondamente. — Ponter, lo so che ritieni una stupidaggine la mia fede in un aldilà. Ma se lo ucciderai, la tua anima sarà punita. E se io ti permetto di ucciderlo, verrà punita anche la mia anima. Ruskin mi ha già dato un assaggio dell’inferno, e non intendo trascorrere l’eternità in quel modo.

Ponter corrugò la fronte. — Io intendo farlo per il tuo bene.

— Non questo. Non un omicidio.

— E va bene — disse Ponter alla fine. — Va bene. Non lo ucciderò.

— Lo prometti? Lo giuri?

— Lo prometto. — E dopo un secondo: — Gristle! Mary annuì. Quella era l’unica parolaccia che Ponter si permettesse di dire. Poi un altro pensiero colpì Mary. — C’è una possibilità che non hai preso in considerazione.

— Quale?

— Che Qaiser e Cornelius abbiano avuto un rapporto consenziente prima che qualcun altro compisse lo stupro. Non sarebbe la prima volta che due colleghi, uomo e donna, lo abbiano fatto in ufficio.

— Non saprei — disse Ponter.

— Credimi, succede continuamente. In questo caso, l’odore di lui non sarebbe rimasto su… be’, sulle sue mutandine, eccetera?

Bip.

— Mutandine. I… pantaloncini di sotto. Quelle che hai visto in quella busta trasparente.

— Sì. La tua ipotesi è possibile.

— Dobbiamo avere delle certezze. Assolute.

— Potresti chiederlo a Qaiser — suggerì Ponter.

— Non me lo direbbe mai.

— Perché? Pensavo foste amiche.

— Lo siamo. Ma Qaiser è sposata… ha un Legame… con un altro uomo. Però credimi: anche in questi casi, il sesso in ufficio è diffusissimo.

— Andiamo bene — commentò Ponter.

— Perciò, temo che non ci sia granché che possiamo fare — disse Mary.

— Possiamo fare molto, invece. Ma mi hai fatto promettere di no.

— Infatti. Ma…

— Dovremmo avvisarlo che è stato scoperto — aggiunse Ponter. — Che i suoi spostamenti sono tenuti sotto sorveglianza.

— Non me la sento di affrontarlo faccia a faccia.

— Non te lo chiederei mai. Potremmo fargli pervenire un messaggio.

— Ma servirebbe a qualcosa?

Ponter mostrò il polso sinistro. — È la filosofia che sta dietro gli impianti Companion. Quando si sa di essere osservati, o che le proprie azioni vengono registrate, si modifica il proprio comportamento. Nel mio mondo ha funzionato egregiamente.

Mary sentì allentarsi un po’ la tensione. — Immagino… immagino che male non farà. A che cosa pensavi? A una lettera anonima?

— Sì.

— Cioè, informarlo che d’ora in poi avrà sempre degli occhi puntati addosso? E che non avrebbe nessun modo per farla franca? — Ci rifletté. — Dovrebbe essere matto per riprovarci, sapendo che c’è gente sulle sue tracce.

— Proprio così — disse Ponter.

— Potremmo lasciargli un messaggio nella casella postale dell’università.

— No, non alla York — disse Ponter. — È il luogo in cui ha già distrutto tutte le prove esistenti, facendo affidamento sul fatto che tu saresti rimasta via per un anno, e quindi, al tuo ritorno, sarebbe stato impossibile risalire all’epoca del furto. No, dovremmo lasciargli il messaggio nella sua “tana”.

— Tana? Cioè casa sua?

— Sì.

— Ci sono! Non c’è nulla di più inquietante che scoprire di essere stati “stanati”.

Ponter fece un’espressione perplessa, ma chiese: — Sai dove abita?

— Non lontano di qui. Non ha una macchina, dato che vive da solo, e non potrebbe neppure permettersela. Durante le tempeste di neve, qualche volta gli ho dato uno strappo fino a casa. Si tratta di un appartamento appena oltre Jane Street… un momento, so in quale palazzo abiti, ma non ho idea di che numero abbia il suo appartamento.

— Un’abitazione multifamiliare, come la tua?

— Sì. No. Molto meno graziosa della mia.

— Vicino all’ingresso non c’è un elenco delle persone che vi risiedono?

— Non più. Ora usiamo codici numerici e nomi fittizi. Il tutto, proprio per evitare che la gente faccia ciò che abbiamo intenzione di fare noi.

Ponter era senza parole. — Pur di non munirvi di Companion, sareste disposti a tutto…

— Andiamo — disse Mary. — Per tornare a casa passeremo davanti alla sua abitazione. La riconoscerò a vista, e se non altro potremo segnarci il numero civico.

— Bene — disse Ponter.

Guidando lungo la Finch, e poi svoltando nella via in cui sorgeva il palazzo di Ruskin, Mary sentì accrescersi il nervosismo. Non che temesse di incontrarlo, ma non riusciva a smettere di immaginare la scena in tribunale. “Lei sa dove abiti l’uomo che sta accusando, signora Vaughan? È mai stata a casa sua? Ah, sì, davvero? E tuttavia sostiene che il rapporto non fu consensuale…”

Driftwood, l’area che si estendeva lungo Jane Street e Finch Avenue West, non era il posto in cui una persona sana di mente avrebbe risieduto a lungo. Era uno dei peggiori quartieri di Toronto… anzi, del Nord America. La sua vicinanza alla York University creava problemi all’ateneo; probabilmente era quello il motivo per cui, nonostante anni di pressioni, la metropolitana non era mai stata prolungata fino al campus.

Però Driftwood aveva un vantaggio: gli affitti erano bassissimi. Per una persona che intendesse arrivare a fine mese con lo stipendio da assistente stagionale, e che non poteva permettersi nemmeno un’utilitaria, era l’unico posto abbordabile e raggiungibile a piedi.

Il palazzo in cui viveva Ruskin era una torre bianca, in mattoni, con balconcini arrugginiti pieni di cianfrusaglie; un terzo delle finestre erano sigillate con carta di giornale e nastro adesivo, o con fogli di alluminio. Aveva 15 o 16 piani, e…

— Aspetta! — esclamò Mary.

—… Che cosa? — chiese Ponter.

— Abita all’ultimo piano. Adesso ricordo: lo definisce sempre il suo “attico nei bassifondi”. — Pausa. — Il che non ci fornisce ancora il suo numero di alloggio, ma sono almeno due anni che sta là, perciò chi distribuisce la posta lo conoscerà bene. Noi accademici abbiamo la tendenza a ricevere pacchi di giornali e riviste.

— E allora? — chiese Ponter, che non aveva colto, — Se spediremo una lettera al “Dott. Cornelius Ruskin”, a questo indirizzo, indicando semplicemente “ultimo piano”, sono sicura che la riceverà.

— Ottimo — disse Ponter. — La spedizione è andata a buon fine.

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