25

— Perdoni l’intrusione, ambasciatrice Prat — disse il giovane inserviente, entrando nel salone di cortesia al palazzo delle Nazioni Unite. — È arrivata una valigia diplomatica per lei da Sudbury.

Tukana Prat osservò i dieci illustri neanderthal seduti in varie posizioni nel salone, intenti a guardare fuori dalla vetrata o distesi supini sul pavimento. Sospirò. — Come temevo — disse nella propria lingua; poi, tradotta dal Companion, ringraziò l’inserviente e prese la valigia in pelle, su cui era inciso lo stemma del Canada.

All’interno c’era una perla di memoria. Tukana sollevò la mascherina del Companion e la inserì all’interno. Poi chiese all’impianto di trasmettere il contenuto dall’altoparlante esterno, in modo che sentissero tutti.

— Ambasciatrice Tukana Prat — tuonò la voce del consigliere Bedros — ciò che hai fatto è inqualificabile! Io… noi, il Gran Consiglio dei Grigi esigiamo il rientro immediato tuo e di coloro che hai convinto con l’inganno a seguirti. Noi siamo… — pausa; a Tukana sembrò addirittura di sentirlo deglutire per calmarsi — noi siamo molto preoccupati per la loro sicurezza. Tutti loro rivestono ruoli di enorme importanza nella nostra società. Voi tutti dovete tornare immediatamente indietro, non appena ricevuto questo messaggio!

Lonwis Trob scosse la venerabile testa. — Giovane scalmanato.

— Be’ — commentò Derba Jonk, l’esperta in staminali — finché noi resteremo di qua, non c’è pericolo che loro chiudano il varco.

— Non c’è dubbio — disse il poeta Dor Farrer sorridendo.

Tukana annuì. — Vi ringrazio ancora per avere accettato di seguirmi fin qui. Qualcuno intende eseguire l’ordine del consigliere Bedros?

— Stiamo scherzando? — rispose Lonwis Trob, rivolgendo su Tukana i suoi occhi meccanici blu. — Sono decine di mesi che non mi diverto così.

Tukana sorrise. — Molto bene. Allora passiamo al programma per domani. Krik, tu domattina dovrai partecipare a una trasmissione chiamata Good Morning America: stanno coprendo loro le spese per far trasportare fuori dal varco un corno glaciale… sì, già sanno che va tenuto sotto ghiaccio. Jalsk, verrà a incontrarti qui a New York la squadra di atletica americana di una cosa chiamata “Olimpiadi”; l’incontro si terrà domattina nel Centro sportivo dell’università. Ora a te, Dor: un gliksin di nome Ralph Vicinanza, un cosiddetto agente letterario, ti ha invitato a un pranzo di lavoro. Quanto al giudice Harbron e allo studioso Klimilk, domani pomeriggio terrete una conferenza alla Columbia Law School. Borl! Tu e un rappresentante delle Nazioni Unite parteciperete a uno spettacolo serale con David Letterman, che verrà registrato nel pomeriggio. Io e Lonwis siamo stati invitati a parlare, domani sera, al Rose Center for Earth and Space. Oltre, naturalmente, a tutti gli incontri programmati qui all’ONU.

Il mago dell’intelligenza artificiale, Kobast Gant, sorrise. — Il mio caro Ponter Boddit dev’essere ben felice della nostra presenza: gli portiamo via una bella fetta di lavoro. Detesta essere al centro dell’attenzione.

Tukana annuì. — Già. Dopo quello che gli è successo, ha diritto a un po’ di relax.

Alla fine Ponter, Mary e l’onnipresente agente dell’FBI lasciarono il bar e si diressero verso gli ascensori. Erano soli; nessun altro in attesa di salire ai piani superiori; il portiere notturno, seduto alla reception a decine di metri di distanza, era intento a leggere “USA Today” masticando una delle mele fornite gratis dall’hotel.

— Il mio turno è finito da un pezzo, signora — disse Carlos. — Al piano troverete l’agente Burstein, che veglierà sulla vostra incolumità.

— Ti ringrazio, Carlos — disse Mary.

Lui annuì, e parlò a un microfono che teneva sul bavero: — Roccia e la principessa in arrivo. — Mary sorrise. Quando aveva saputo che l’FBI avrebbe assegnato loro dei nomi in codice (una vera fígata), aveva chiesto di poterli scegliere lei. Carlos tornò a rivolgersi a loro due: — Buonanotte, signora. Buonanotte, signore. — Ma ovviamente non se ne andò; si allontanò solo di qualche passo e attese che arrivasse l’ascensore.

All’improvviso Mary avvertì una vampata di calore, sebbene qui la temperatura fosse più bassa che al bar. No, a innervosirla non era la prospettiva di rimanere da sola in ascensore con Ponter. Con un estraneo, sarebbe stato un incubo, che avrebbe ricordato per il resto della sua vita… ma con Ponter? No, mai.

Eppure, aveva caldo. Guardava in ogni direzione, tranne verso le iridi dorate di Ponter: le cifre digitali che indicavano a che piano si trovassero i cinque ascensori; l’avviso accanto alla pulsantiera, che indicava l’orario del brunch in hotel la domenica mattina; il numero di emergenza per chiamare i vigili del fuoco…

Uno degli ascensori arrivò al piano e si aprì, con un curioso rullo di tamburi. Ponter, galantemente, fece segno che passasse prima lei; Mary entrò salutando con la mano Carlos, il quale annuì vigorosamente. Ponter la seguì e rimase a fissare i pulsanti. I numeri riusciva a leggerli senza difficoltà: per quanto i neanderthal non avessero elaborato una scrittura alfabetica, avevano però un sistema decimale, incluso un simbolo per indicare lo zero. Allungò la mano e premette 12, sorridendo al vedere che il numero si illuminava.

Mary avrebbe preferito che la propria stanza non fosse anch’essa al 12° piano. Aveva spiegato a Ponter perché non esistesse il 13° ma, se fosse esistito, sarebbe andato bene anche quello. Superstiziosa non lo era di certo; anche se Ponter avrebbe probabilmente affermato di sì, perché per lui chiunque credesse in Dio era superstizioso.

Comunque, se lei fosse stata a qualsiasi altro piano, la buonanotte sarebbe stata più breve e più dolce da dare. Un gesto della manina e un “arrivederci a domani” da parte di chi fosse uscito per primo dall’ascensore.

Il grosso 8 digitale perse un segmento, diventando un 9.

“Ma così” pensò Mary “sarà tutto più complicato.”

L’ascensore si fermò, le porte si aprirono. Ad attenderli c’era l’agente Burstein. Mary lo salutò con un cenno del capo, con la mezza speranza che si aggiungesse a loro due per accompagnarli lungo il corridoio; ma il federale restò immobile presso gli ascensori.

Così, Ponter e Mary percorsero da soli il corridoio; passarono oltre il distributore di bevande fresche, poi oltre una serie di stanze; finché…

— Bene — disse Mary, con il cuore che le batteva impazzito. Frugò nella borsetta alla ricerca della chiave magnetica. — Io sono arrivata.

Guardò Ponter, che le restituì lo sguardo. Lui non tirava mai fuori la chiave in anticipo; era l’ultima cosa a cui pensava, proveniva da un mondo in cui poche porte avevano serrature, e quelle poche si aprivano automaticamente a un segnale del Companion.

Ponter non disse nulla.

— Ora — fece lei, imbarazzatissima — immagino che dovremmo darci la buonanotte.

Ponter ancora taceva; allungò la mano e, con gran destrezza, sfilò la tessera dalle dita di Mary, e la inserì nella fessura. Attese che comparisse il segnale sul display, quindi abbassò la maniglia e fece girare la porta sui cardini.

Mary d’istinto si guardò attorno per vedere se ci fosse qualcuno in corridoio. C’era solo l’immancabile agente dell’FBI. Il che le seccò parecchio, ma molto meno che se fosse stato uno dei colleghi paleoantropologi.

La mano di Ponter stava scivolando su per il braccio di lei, lentamente, delicatamente, fino a raggiungere la spalla. Quindi passò con grazia lungo una guancia, spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

E poi, finalmente accadde.

Il volto di lui si accostò a quello di lei, le labbra si toccarono. Mary sentì una scossa di piacere attraversarle il corpo. Adesso le braccia di Ponter le cingevano i fianchi, e lei quelli di lui, e…

Mary non avrebbe saputo dire chi dei due conducesse il ballo, ma si spostarono lateralmente come in un ballo, sempre abbracciati. Superarono la porta, che Ponter chiuse silenziosamente con un piede.

Poi, con una mossa improvvisa, lui la prese tra le braccia, portandola come se pesasse non più di una bambina; e la depose con gentilezza sul lettone. Il cuore di Mary batteva all’impazzata. Erano vent’anni che non si sentiva più così; dalla prima volta con Donny, quando i genitori di lui erano andati via per il weekend.

Per un secondo Ponter restò immobile chino su di lei, con uno sguardo interrogativo; il tempo, eventualmente, di mettere freno alle cose. Mary, con un lieve sorriso, alzò le braccia e le avvolse attorno al collo taurino di lui, tirandolo a sé.

Lei già si vedeva in una di quelle scene a cui tante volte aveva assistito nei film, ma mai vissuto di persona: i vestiti che volano via magicamente, mentre i due rotolano tra le lenzuola…

Non era il caso. Mentre lui tentava goffamente di sbottonarle la camicetta, le venne in mente che era la prima volta che provava l’operazione con una camicia gliksin. Però era bella la sensazione che trasmettevano le sue forti nocche mentre premevano contro il seno di lei.

Da parte sua, Mary aveva sperato di cavarsela meglio, in virtù delle istruzioni ricevute da Hak nel giorno dell’attentato, su come si aprissero le maniche neanderthaliane. Solo che la volta scorsa era in pieno giorno, e qui regnava un buio quasi totale. Nessuno dei due aveva pensato di accendere la luce, entrando; ne filtrava solo un po’ dalle finestre, con i pesanti tendaggi marroni aperti.

Rotolarono e Mary si trovava sopra, adesso. Manovrò fino a ritrovarsi seduta sul torace di Ponter, quindi afferrò il primo bottone della camicetta. Si aprì senza difficoltà. Abbassando lo sguardo, lei notò il piccolo crocifisso d’oro (acquistato in sostituzione di quello che aveva donato a Ponter) nell’apertura triangolare che scopriva la sua carne pallida.

Aprì il secondo bottone. La camicetta si aprì ulteriormente, mostrando il suo semplice reggiseno bianco.

Mary voleva vedere l’espressione di Ponter, ma lui le guardava il seno, e la prominente arcata sopracciliare gli nascondeva gli occhi. Provava piacere o disgusto? Mary non sapeva quanto fossero formose le donne neanderthal ma, a giudicare dall’ambasciatrice Prat, dovevano essere piuttosto pelose, mentre il petto di Mary era glabro.

Poi, nella semioscurità, risuonò la voce di Ponter. — Sei bellissima.

A Mary scivolò via ogni timore, ogni inibizione. Si sbottonò completamente, quindi portò le mani dietro la schiena e sganciò il reggiseno. Lo lasciò scivolare giù; le mani di Ponter le accarezzarono lo stomaco, raggiunsero le mammelle, le sostennero a coppa, le soppesarono. Poi lui la fece abbassare, e retrocedere lentamente lungo il suo torso, finché la sua grande bocca non incontrò il seno sinistro di lei e lo risucchiò interamente tra le labbra, giocandovi con la lingua e facendola gemere di piacere.

La bocca di Ponter si spostò sul seno destro, tracciando un sentiero umido con la lingua da uno all’altro. Trovò il capezzolo destro, lo aspirò tra le labbra e lo succhiò delicatamente. Mary sentiva brividi percorrerle la spina dorale.

Per quanto Ponter fosse ancora completamente vestito, Mary poteva percepire l’erezione contro una coscia. Ebbe un desiderio pazzo di vederglielo. Aveva già visto Ponter nudo, durante la quarantena a casa di Ruben, ma non eccitato. Si risollevò sulle braccia, rubando il capezzolo di bocca a Ponter, e scivolò di lato a lui in modo da potergli raggiungere i fianchi. Si trovò in difficoltà* a slacciargli i pantaloni; lui si era tolto il cinturone fin dall’ingresso in camera, ma non c’era nessuna lampo, e l’erezione adesso era evidentissima.

Ponter rise, abbassò una mano e manovrò qualche laccio o altro, e all’improvviso i pantaloni furono sciolti in vita. Lui inarcò la schiena e se li tirò giù, e…

E Mary scoprì che i neanderthal non portano le mutande.

Il membro era lungo e robusto. Non circonciso, sebbene il glande purpureo avesse oltrepassato di molto il prepuzio. Fece scorrere il palmo della mano lentamente lungo il pene, sentendolo pulsare al ritmo del battito cardiaco.

Mary scivolò indietro di qualche centimetro, aiutando Ponter a togliere del tutto i pantaloni. I piedi erano avvolti nelle babbucce terminali, con solide cerniere che le univano ai pantaloni, ma lui fu rapido a disfarsene. Adesso era nudo dalla cintura in giù, Mary dalla cintura in su. Lei scivolò fuori dal letto; si sfilò le scarpe scalciando mentre si sbottonava la gonna, che lasciò sul pavimento. Abbassando gli occhi, rise: indossava mutandine beige che, in quella luce incerta, davano l’impressione che la pelle lì sotto fosse completamente uniforme e piatta. Infilò i pollici tra le anche e l’elastico, abbassò le mutandine e mostrò…

Aveva sentito che era di moda, per una donna, depilarsi quasi completamente il pube. La strisciolina scura che restava, nella definizione di Howard Stern, era la “pista di atterraggio”. Mary non andava oltre una potatura laterale quando si faceva la ceretta alle gambe; così, per la prima volta, Ponter vide della fitta peluria sul corpo di una donna gliksin. Infatti sorrise, considerandola una piacevole scoperta. Anche lui, rotolando, uscì dal letto e si alzò in piedi. Si toccò le spalline della camicia, e quella si aprì di scatto come la camicia di Hulk e cadde sulla moquette.

Adesso stavano in piedi uno di fronte all’altra, a un metro di distanza, completamente nudi a parte il Companion e la fasciatura alla spalla di Ponter. Lui accorciò di nuovo le distanze, riprese Mary tra le braccia e i due piombarono di lato sul materasso.

Mary lo voleva dentro… no, non ancora, non così presto. Avevano tutto il tempo del mondo. Tutta la stanchezza che aveva indotto Mary a venire a letto presto, era sparita. Ma… come lo facevano gli uomini di neanderthal? E se qualche movimento fosse considerato immorale o stomachevole? Decise di lasciare l’iniziativa a Ponter, il quale però era altrettanto titubante, per gli stessi motivi. Alla fine, Mary si sorprese a fare qualcosa che non ricordava di avere ordinato ai neuroni: si mise a leccare il torso tonico e peloso di Ponter, giù, giù, attraverso l’addome scolpito. Dopo qualche esitazione, dandogli il tempo di fermarla se necessario, spalancò la bocca e la fece scivolare sul pene.

Ponter emise un sospiro beato. Mary aveva già fatto sesso orale con Colm, ma sempre di malavoglia, solo perché sapeva che a lui piaceva. Stavolta invece divorò Ponter vogliosamente, con passione, godendosi i sussulti ritmici del suo membro massiccio e il sapore salato della sua pelle. Però non voleva arrivare fino in fondo; e se lui fosse stato eccitato solo la metà di lei, si correva il rischio di finire subito. Mary estrasse il pene di bocca con un’ultima, intensa succhiata, poi sollevò gli occhi verso quelli di lui e sorrise. Ponter la fece ruotare al di sopra di sé e restituì il favore, individuando subito il clitoride con la lingua e titillandolo. Lei emise un lieve gemito, e solo perché si costrinse a non gridare. Ponter alternava rapidi guizzi della lingua a morsetti sulle labbra della vagina.

Mary impazziva di piacere, ma non voleva venire così, non la prima volta. Lo voleva dentro. Ponter sembrò pensare la stessa cosa, perché sollevò la faccia e la guardò negli occhi, con la barba che luccicava degli umori di lei.

Mary si aspettava che Ponter scivolasse semplicemente in avanti e la penetrasse, invece lui, all’improvviso, la fece stendere a pancia in giù. Stavolta il gemito di Mary fu di sorpresa. Non aveva mai avuto rapporti anali, e non era sicura di desiderarlo. Ma ecco che le mani di Ponter scorrevano sul ventre di lei, sollevandola a quattro zampe, e il suo lungo pene si inseriva nella vagina da dietro. Mary emise un grugnito mentre lo prendeva, ma era anche felice che tutto stesse scorrendo senza forzature. Le mani di Ponter raggiunsero di nuovo le mammelle, da dietro, tenendole strette mentre lui spingeva, e si ritraeva, e spingeva. Mary e Colm avevano tentato qualche volta la posizione more ferarum, ma il pene di Colm non era abbastanza lungo da farla godere fino in fondo. Ma Ponter…

Magnifico, Ponter!

Nelle fantasie che l’avevano assalita finora, e che lei si era sempre sforzata di cacciare dalla mente, si vedeva sempre con lui nella posizione “del missionario”, con lui che la soffocava di baci mentre martellava dentro di lei. Ma…

Ma c’era una ragione per cui era detta “del missionario”: non era la posizione abituale, per vari popoli di questa Terra.

Anche Ponter doveva rimuginare sulle stesse questioni. Disse qualcosa a bassa voce, che Hak a sua volta tradusse a bassa voce. L’idea che il Companion fosse al corrente, di ogni loro azione irrigidì Mary per un istante. Non lo aveva mai fatto sotto gli occhi di terzi, ed era riuscita a dissuadere Colm nelle due occasioni in cui lui aveva proposto di filmare la scena.

— È così — chiese la voce di Hak — che lo fate anche voi?

Sforzandosi di cancellare la presenza di Hak, Mary rispose: — Lo facciamo più spesso faccia a faccia.

— Ah — disse Ponter. E uscì da lei. Mary immaginava che ora l’avrebbe rivoltata sulla schiena, invece lui si mise in piedi accanto al letto e le porse una mano. Un po’ perplessa, Mary gli afferrò la mano, e lui la tirò su. Il pene di lui premeva contro il ventre morbido di lei. Lui fece scivolare le due mani muscolose dietro Mary, le strinse le natiche e la sollevò da terra. Mary divaricò le gambe, richiudendole intorno ai fianchi di Ponter; lui la calò verso il pene, facendola oscillare su e giù senza sforzo mentre lui restava immobile. Muovevano le bocche all’unisono; mentre si baciavano, e il cuore di lei martellava, e il torace di lui si gonfiava, Mary venne con un intenso brivido, gorgogliando ad alta voce nonostante gli sforzi per trattenersi. Quando lei ebbe terminato, Ponter aumentò il ritmo delle oscillazioni, e Mary si scostò di un po’ per poter contemplare il suo volto, i suoi stupendi occhi d’oro inchiodati su di lei, mentre il suo corpo sussultava nell’orgasmo. Infine, crollarono sul letto, abbracciati stretti.

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