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Mancava ancora un giorno a che i Due diventassero Uno, ma Ponter e Mary si erano dati appuntamento al Padiglione degli archivi degli alibi. Ponter l’aveva portata all’ala sud, e adesso si trovavano di fronte a una parete a mini-scompartimenti, ognuno dei quali conteneva un cubo artificiale di granito delle dimensioni di un pallone. Mary aveva imparato a leggere i numeri neanderthaliani: l’archivio a cui Ponter aveva accostato il proprio Companion era il 16.321. Il cubo non aveva altri segni identificativi ma, come tutti gli altri, al centro di una delle sue facce si accendeva una lucetta blu.

Mary non riusciva a crederci. — La tua intera vita è registrata là dentro?

— Sì — rispose Ponter.

— Proprio tutto?

— Be’, tutto tranne i periodi trascorsi nel sottosuolo, al computer quantistico: i segnali del Companion non sono in grado di attraversare le migliaia di metri di roccia che lo sovrastano. Inoltre manca tutto il mio primo viaggio nel tuo mondo.

— Ma non il secondo?

— Il secondo viaggio ha cominciato a essere scaricato nell’archivio appena siamo usciti dalla miniera, al ripristinarsi del segnale di Hak. Qui dentro, ora, è contenuta la registrazione completa.

Mary non sapeva come prendere la notizia. Non era mai stata una cattolica bigotta, ma in quelle immagini figurava come attrice di un film porno.

— Stupefacente — disse. Lilly, Kevin e Frank sarebbero stati disposti a passare sul cadavere delle loro madri, per avere accesso a quel luogo. Mary osservò di nuovo il blocco di granito. — È possibile modificare o cancellare le immagini registrate?

— Perché si dovrebbe fare una cosa del genere? — chiese Ponter. Poi distolse gli occhi. — Chiedo scusa, era una domanda idiota.

Mary scosse la testa. Nonostante fossero venuti lì per quello, non aveva in mente lo stupro. — Veramente, pensavo solo al mio primo matrimonio.

E d’un tratto arrossì. Prima di allora, non lo aveva mai definito il suo primo matrimonio. — Comunque, procediamo.

Ponter annuì. Si recarono in reception, dove lui parlò con una donna di una certa età. — Vorrei avere accesso al mio archivio, per favore.

— Identità? — chiese la donna. Ponter fece passare l’avambraccio sopra uno scanner. La custode osservò lo schermo. — Ponter Boddit? — esclamò. — Pensavo fossi morto.

— Spiritosona — commentò lui.

La donna sorrise. — Seguitemi. — Li precedette fino al punto in cui i due si erano fermati in precedenza. Ponter espose Hak alla luce blu del suo archivio. — Io, Ponter Boddit, desidero visionare il mio archivio degli alibi, per semplice curiosità. Registrazione dell’ora di apertura.

La luce diventò gialla.

Toccò alla donna esibire il proprio Companion. — Io, Mabla Dabdalb, Custode degli alibi, attesto che l’identità di Ponter Boddit è stata certificata in mia presenza. Registrazione dell’orario di apertura. — La luce diventò rossa, e si udì un segnale acustico.

— Tutto in ordine — disse Dabdalb. — Potete utilizzare lo stanzino numero 7.

— Grazie — disse Ponter. — Ti auguro salute.

— Anche a voi — disse la Custode, tornando alla scrivania.

Ponter, seguito da Mary, raggiunse lo stanzino di proiezione. Per la prima volta Mary si rese conto di come si fosse sentito Ponter nel mondo dei gliksin, con mille occhi puntati addosso a seguire ogni suo movimento. Mary cercò di non lasciar trapelare il disagio.

La stanza era fornita di una piccola consolle gialla, appesa a mezza altezza al muro, e di due tipiche selle, che probabilmente i neanderthal preferivano a causa del loro bacino molto largo. Ponter andò al pannello di controllo e cominciò a estrarre dei comandi dalla sua superficie. Mary spiava da dietro la sua spalla. — Niente pulsanti?

— Pulsanti? — disse Ponter.

— Intendevo: interruttori che si azionano premendoli.

— Oh, in qualche strumento ci sono, ma solo di rado, perché c’è il rischio che qualcuno li prema per errore, scivolando o inciampando. Riteniamo più sicuro il metodo di estrarre i comandi.

A Mary tornò alla memoria quell’episodio di Star Trek in cui Spock, nientemeno, premeva per sbaglio dei pulsanti mentre si rialzava di scatto, e così avvertiva i Romulani della presenza dell’Enterprise. — Buona idea — disse Mary.

Ponter proseguì l’operazione. — Perfetto — disse alla fine. — Ci siamo.

Con gran meraviglia di Mary, in mezzo alla stanza si materializzò una sfera fluttuante. Poi si suddivise in sfere sempre più piccole, a diverse gradazioni di colore. La frammentazione proseguì finché Mary non riconobbe che si trattava di un’immagine 3-D dell’interrogatorio di polizia avvenuto a Toronto. Ecco l’investigatore Hobbes che rivolgeva loro la schiena, parlando con un agente. Ed ecco Mary, più in carne di quanto avrebbe desiderato, e Ponter. Il quale, con una mossa fulminea, afferrò il faldone lasciato sulla scrivania da Hobbes, e lo sfogliò velocissimo. Le pagine scorrevano troppo in fretta perché Mary potesse leggerle, ma a quel punto Ponter “riavvolse” e poi fece ripartire le immagini al rallentatore. Nessuna sfocatura dovuta al movimento: il testo scritto sui fogli era perfettamente leggibile, anche se per farlo Mary dovette piegare il collo in una posizione abbastanza scomoda.

— Allora? — chiese Ponter.

— Un attimo solo… — rispose Mary, che ancora non sapeva esattamente che cosa cercare. — No, qui non c’è niente. Puoi avanzare alla pagina successiva, per favore? Ecco. Ferma qui. Okay, e ora…

All’improvviso Mary sentì torcersi lo stomaco. — Oh mio Dio — disse. — Oh mio Dio.

— Che cos’hai visto? — chiese Ponter.

Mary barcollò all’indietro. Andò a sbattere contro una sella, vi si appoggiò. — L’altra vittima… — disse.

— Sì? Sì?

— Era Qaiser Remtulla.

— Chi?

— La mia diretta superiora. La mia amica. La preside della facoltà di Genetica alla York University.

— Mi dispiace — disse Ponter.

Mary chiuse gli occhi. — Anche a me… Se solo io avessi…

— Mèr — disse Ponter, posandole una mano sul braccio — il passato è passato. Non puoi cambiarlo. Ma forse c’è qualcosa che puoi fare per il futuro.

Lei alzò gli occhi ma non disse nulla.

— Leggi il resto del rapporto di polizia. Potrebbe contenere informazioni utili.

A Mary ci volle un po’ per riprendersi. Poi tornò all’ologramma e continuò a esaminarlo, nonostante le bruciassero gli occhi. Finché…

— Sì! — esclamò. — Sì! Sì!

— Cosa?

— La polizia di Toronto è in possesso di prove fisiche, per l’aggressione contro Qaiser. Un campione completo di materiali provenienti dallo stupro. — Fece una pausa. — Forse riusciranno a catturare il bastardo!

Ponter era perplesso. — L’investigatore Hobbes pareva dubitarne.

— Lo so, ma… — Sospirò. — No, probabilmente è come dici tu. — Per un po’ rimase in silenzio. — Non so se riuscirò mai più a guardare Qaiser negli occhi.

Mary non intendeva aprire la questione del suo rientro in patria, ma rivedere Qaiser implicava appunto quello. Le sue parole rimasero a mezz’aria tra lei e Ponter.

— Lei ti perdonerà — disse Ponter. — Il perdono è una virtù cristiana.

— Non è cristiana, è musulmana — disse Mary. Ma subito la mise in imbarazzo la propria ignoranza. Anche per i musulmani il perdono era un valore importante? Ma no, non era quello il problema: a condizioni invertite, lei, la cristiana Mary, avrebbe perdonato Qaiser?

— Che facciamo? — chiese Mary.

— Per l’aggressore? Tutto ciò che potremo, in qualunque circostanza potremo.

— No. No. Non riguardo a lui; riguardo a domani. Quando i Due diventeranno Uno.

— Ah — disse Ponter. — Già.

— Jasmel trascorrerà il periodo con Tryon, voglio sperare.

Ponter sorrise. — Sì, infatti.

— E Megameg l’hai appena vista.

— Non la vedrò mai abbastanza spesso… ma concedo il punto.

— Perciò in gioco non rimane che… Ponter sospirò. —… Daklar.

— Cosa intendi fare?

Ponter ci pensò. — Ho già violato le tradizioni venendo al Centro con un giorno di anticipo. Non credo che le cose peggioreranno di molto se andrò immediatamente da Daklar.

Il cuore di Mary ebbe un sussulto. — Solo tu e lei?

— Sì — rispose Ponter. — Solo io e lei.

In piedi davanti alla porta dell’ufficio di Daklar, Ponter cercò di raccogliere tutto il coraggio che aveva. Si sentiva come se lo avessero di nuovo catapultato nel mondo gliksin: tutte le donne di passaggio gli lanciavano occhiate stranite.

Avevano ragione loro, del resto; lui avrebbe dovuto arrivare lì solo il giorno seguente. Ma non poteva aspettare. Si era ripetuto mille volte il discorsetto tra sé e sé, nel lungo percorso a piedi dal Padiglione degli alibi, ma adesso non sapeva da che parte cominciare. Forse, se…

D’improvviso, la porta si ripiegò su un lato. — Ponter! — esclamò Daklar. — Mi pareva di aver percepito il tuo odore!

Aprì le braccia, e Ponter le si avvicinò per stringerla. Però lei si accorse che la schiena di lui si era irrigidita. — Che c’è? Che è successo? — chiese.

— Posso entrare?

— Sì, naturalmente. — Daklar rientrò in ufficio, un ambiente semicircolare scavato dentro il tronco di un albero enorme. Ponter la seguì, facendo richiudere la porta.

— Non sarò qui… qui, in questo mondo… quando i Due diventeranno Uno.

Daklar spalancò gli occhi. — Ti hanno richiamato sull’altra Terra? È capitato qualcosa di grave laggiù?

Ponter sapeva che di eventi gravi, laggiù, ne succedevano di continuo; ma scosse la testa. — No.

— Allora, Ponter, le tue figlie ci terrebbero tanto a rivederti.

— Jasmel non vorrà vedere nessuno tranne Tryon.

— E Mega?

Ponter annuì. — Lei ci rimarrà male. Sì.

— E… io?

Ponter chiuse gli occhi per qualche secondo. Poi disse: — Mi dispiace, Daklar. Davvero.

— È a causa di lei, vero? — disse Daklar. — Quella donna gliksin.

— Ha un nome: si chiama… — e avrebbe tanto voluto poterlo pronunciare come meritava — Mèr.

Daklar afferrò la palla al balzo. — Ma ascoltati! Ma se non riesci neppure a pronunciare il suo nome! Ponter, non potrà mai, mai, funzionare tra voi due. Venite da due mondi diversi… Lei non è neanche una di noi!

Ponter alzò le spalle. — Lo so. Ma…

Daklar emise un sonoro sospiro. — Ma ci vuoi provare lo stesso. Gristle, Ponter, voi uomini non finirete mai di stupirmi. Lo ficchereste dentro qualsiasi cosa!

In un flash, Ponter tornò a 229 lune prima, quando si trovava con Adikor all’Accademia delle scienze, quando avevano avuto quella stupida lite, quando lui aveva provocato Adikor finché Adikor non aveva alzato il pugno contro di lui. Aveva perdonato il compagno da molto, molto tempo. Ma adesso capiva. Capiva che cosa significasse essere così infuriati da vedere la violenza come unica soluzione.

Uscì come un bisonte dall’edificio, cercando qualcosa da distruggere.

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