27

— Daria! — gridò Mary.

Ponter le si accostò con aria interrogativa. Mary però lo ignorò e ripeté ad alta voce il nome della dottoranda.

Lei si precipitò. — Cos’è successo? — chiese, in un tono nervoso che sottintendeva: “Cos’altro ho combinato, ora?”.

Mary fece un passo indietro, in modo che Daria potesse scrutare all’interno del frigo, e puntò un indice accusatore in quella direzione. — Tenevo due campioni, lì dentro. Che fine hanno fatto?

Daria scosse la testa. — Io non ho preso niente. Non ho neppure più aperto il frigo, da quando lei è partita per Rochester.

— Sei sicura? — chiese Mary, tentando di non tradire il panico. — Due contenitori opachi, entrambi con un’etichetta scritta in rosso con la data del 2 agosto… — una data che non avrebbe mai dimenticato — e le parole “Vaughan-666”.

— Ah sì — rispose Daria — li ho notati una volta, mentre stavo lavorando su Ramesse. Ma non li ho toccati.

— Sicura?

— Ma certo! Che cosa contenevano?

Mary ignorò la domanda, e chiese, anche se già lo sapeva: — Chi ha accesso a questo frigo?

— Oltre a me — disse Daria — Graham e gli altri dottorandi, il corpo docente e la professoressa Remtulla. E il personale delle pulizie, immagino… chiunque abbia la chiave del laboratorio.

Il personale delle pulizie! Mary aveva notato uno di loro nel corridoio del piano terra, poco prima del…

Poco prima di venire assalita.

“Come ho fatto a essere così stupida!” Non occorreva una laurea in Genetica per capire che un contenitore con il nome della vittima, il numero della Bestia dell’Apocalisse e la data della violenza, era la prova da togliere di mezzo.

— Tutto bene? — domandò Daria. — C’era del materiale relativo alle colombe migratrici?

Mary afferrò con rabbia uno dei contenitori dal frigo. — Eccola la colomba migratrice del cazzo! — Lo sbatté sul bancone.

Il traduttore di Ponter emise un bip. — Mèr… — sussurrò.

Mary inspirò profondamente, poi espirò pian piano. Tremava come una foglia.

— Professoressa Vaughan — disse Daria — glielo giuro, io non…

— Lo so — rispose Mary, sforzandosi di assumere un tono neutrale. — Lo so. — Guardò Ponter, il cui volto era la maschera della preoccupazione; poi Daria, su cui era dipinta piuttosto la paura. — Scusami, Daria. È solo che… solo che erano campioni insostituibili. — Fece spallucce, ancora infuriata con se stessa ma cercando di non darlo a vedere. — Non avrei dovuto lasciarli in bella vista.

— Che cos’erano? — domandò Daria, che non tratteneva più la curiosità.

— Niente — disse Mary, scuotendo la testa e avviandosi all’uscita senza neppure controllare se Ponter la stesse seguendo. — No, niente. Niente.

Ponter la raggiunse in corridoio. Le posò una mano sulla spalla. — Mèr…

Mary si fermò. Chiuse gli occhi per qualche istante. — Ti racconterò tutto. Ma non qui.

— Allora andiamocene — disse Ponter.

Ridiscesero la scalinata. Lungo il tragitto incrociarono un addetto alle pulizie in tuta blu, che saliva i gradini a due a due. A Mary sembrò che il cuore fosse sul punto di esplodere. Ma no, no, era Franco, un italiano; lo conosceva bene. E aveva gli occhi scuri.

— Caspita, la professoressa Vaughan! — disse. — Pensavo che sarebbe stata via per tutto l’anno.

— Sono solo di passaggio — rispose lei, cercando di assumere un tono normale.

— Bene. Buon giro, allora! — Franco li superò, salendo.

Mary espirò rumorosamente e proseguì. All’uscita dall’edificio, con Ponter che la seguiva, si diresse verso la macchina ma stavolta fece una lunga deviazione per evitare il punto maledetto. Infine, sbucarono nel parcheggio.

Salirono in macchina. Un forno. Mary d’estate di solito lasciava leggermente aperti i finestrini (ed era ancora estate: l’autunno sarebbe ufficialmente arrivato il 21 settembre) ma stavolta se n’era dimenticata, presa da troppi pensieri all’idea di rimettere piede alla York University.

Ponter non sopportava il caldo, e fu immediatamente in un bagno di sudore. Mary inserì la chiavetta di accensione, abbassò i finestrini e azionò l’aria condizionata al massimo. Ci volle un minuto, però, prima che iniziasse a soffiare aria fredda.

Mentre erano fermi in macchina nel parcheggio, a motore acceso, Ponter disse semplicemente: — Allora?

Mary richiuse i finestrini, per paura che qualcuno di passaggio potesse sentirla. — Ricordi che sono stata violentata — disse.

Ponter annuì, le sfiorò un braccio.

— Non ho sporto denuncia — continuò lei.

— Senza Companion né archivi degli alibi, temo che sarebbe servito a poco — disse Ponter. — Mi hai detto che molti crimini rimangono impuniti.

— Sì, ma… — Le si incrinò la voce. Allora tacque, finché non ebbe riguadagnato un po’ di calma. — Ma non avevo pensato alle conseguenze. È stata violentata un’altra donna, proprio qui, la settimana scorsa. Vicino all’edificio in cui siamo entrati.

Ponter spalancò gli occhi nelle orbite profonde. — E pensi che sia stato lo stesso uomo?

— Non c’è modo di saperlo con certezza, ma…

Non occorreva che lei terminasse la frase; Ponter capì. Se lei avesse sporto denuncia, forse l’aggressore sarebbe stato arrestato prima di avere l’occasione di ripetere quell’atto abominevole.

— Non potevi prevedere questi sviluppi — disse Ponter.

— Sì che potevo! — scattò lei.

— Conosci l’altra vittima?

— No, l’informazione è tenuta riservata. Perché?

— Devi liberarti da questa sofferenza… E l’unico modo è attraverso il perdono di lei.

Mary si irrigidì. — Non riuscirei mai a guardarla dritta negli occhi, chiunque sia. Dopo quello che è accaduto per causa mia…

— Non è stata colpa tua.

— Adesso volevo fare la cosa giusta — disse Mary. — È per questo che sono passata di qui. Volevo recuperare la prova della violenza, e darla alla polizia.

— I campioni contenuti nei contenitori scomparsi?

Mary annuì. La temperatura stava diventando glaciale, ma lei non toccò i comandi. Meritava di soffrire.

Mary rimase in silenzio per un po’, e Ponter disse: — Se non puoi contattare l’altra vittima per chiederle perdono, allora devi perdonarti da sola.

Mary ci pensò un momento. Poi, senza dire nulla, uscì in retromarcia dallo spazio in cui aveva parcheggiato. — Dove stiamo andando? — chiese Ponter. — A casa tua?

— Non proprio — rispose lei, e si diresse verso l’uscita.

Mary entrò nel confessionale di legno, si inginocchiò e si fece il segno della croce. La finestrella tra lei e il sacerdote si aprì; attraverso la griglia, Mary riconobbe il profilo aquilino di padre Caldicott.

— Mi perdoni, padre, perché ho molto peccato — disse Mary, con la formula di rito.

Caldicott aveva ancora un lieve accento irlandese, per quanto fosse in Canada da quarant’anni. — Da quanto tempo non ti confessi, figliola?

— Da gennaio. Otto mesi.

Il prete conservò un tono neutro. — Dimmi i tuoi peccati.

Mary aprì la bocca, ma non ne uscì suono. Dopo un po’, il sacerdote la incoraggiò. — Figliola?

Mary inspirò in profondità, espirò, e disse: — Sono stata violentata.

Caldicott tacque per qualche istante, forse per elaborare la linea del discorso. — Hai detto che sei stata violentata?

— Sì, padre.

— E ti sei opposta?

— Sì, padre.

— Allora, figlia mia, non hai alcuna colpa.

Mary si sentì stringere il petto. — Lo so, padre. Non è stato quello il mio peccato.

— Ah — fece Caldicott, come se avesse afferrato. — Sei rimasta incinta? E hai deciso di abortire?

— No, no. Nessuna gravidanza.

Caldicott attese che lei proseguisse. Ma siccome non lo faceva tornò a insistere: — Perché usi anticoncezionali? Forse, date le circostanze…

Mary in effetti prendeva la pillola, ma su quel punto era in pace con se stessa. Però non le andava di mentire a un sacerdote, per cui scelse con cura le parole: — Non è questo il peccato per cui sono venuta a confessarmi — mormorò. Dopo un respiro, aggiunse a voce più alta: — Il mio peccato è stato di non sporgere denuncia.

Percepì lo scricchiolio del legno mentre Caldicott cambiava posizione. — Dio sa tutto — disse. — E saprà punire il colpevole.

Mary chiuse gli occhi. — Quell’uomo ha violentato un’altra donna. O almeno, io sospetto che sia stato lui.

— Ah — fece Caldicott.

“Ah?” pensò Mary. “È tutto quello che riesce a dire?”

Ma il sacerdote continuò: — Sei pentita di non averlo denunciato?

La domanda era di prassi: è necessario il pentimento per ricevere l’assoluzione. Eppure quando rispose: — Sì — Mary aveva la voce rotta.

— Perché non hai sporto denuncia, figliola?

Mary ci rifletté. Avrebbe potuto rispondere che era rimasta presa tra mille cose, che era quasi la verità. La violenza era avvenuta la notte prima che convocassero Mary a Sudbury. Però lei aveva deciso di tacere già prima di ricevere la telefonata di Ruben Montego. — Avevo paura — disse. — Io sono… separata da mio marito. Avevo paura di come avrebbero reagito, di che cosa avrebbero detto di me, della mia vita morale, se questo argomento fosse finito in tribunale.

— Adesso però un’altra donna è stata aggredita a causa della tua… della tua inazione — disse Caldicott.

Il commento del sacerdote le riportò alla mente una conferenza sull’intelligenza artificiale a cui aveva assistito qualche mese prima. Il relatore, uno del MIT, aveva spiegato le Leggi della robotica stilate da Isaac Asimov, la prima delle quali suonava, più o meno: “Un robot non può procurare danni a un essere umano; né, tramite la sua inazione, può lasciare che un essere umano venga danneggiato”. Mary aveva pensato che il mondo sarebbe stato migliore, se tutti avessero seguito questa norma.

Eppure…

Eppure, tanti principi etici su cui basava la propria condotta contenevano esortazioni a non agire. Quasi tutti i Dieci comandamenti indicavano cose da non fare.

Mary aveva commesso un peccato di omissione. Caldicott probabilmente le avrebbe detto che era un peccato veniale, non mortale, ma…

Ma dentro Mary qualcosa si era spezzato il giorno in cui era stata violentata. Era sicura che fosse così anche per la seconda vittima di quella bestia, chiunque fosse.

— Sì — disse Mary, in un soffio. — Un’altra persona ha sofferto perché io non ho fatto nulla.

La silhouette di padre Caldicott si spostò. — Potrei darti qualche preghiera come penitenza, o la lettura di qualche brano della Bibbia. Tuttavia… — s’interruppe. Un chiaro invito perché fosse Mary a completare la frase.

Lei annuì, dando finalmente voce a ciò che già sentiva. — Tuttavia, l’unica vera soluzione è andare alla polizia a raccontare tutto ciò che so.

— Troverai la forza di farlo? — chiese Caldicott.

— Stavo già per farlo, padre. Ma la prova che avevo raccolto contro l’aggressore… è sparita.

— In ogni caso potrai fornire informazioni utili. Però, se desideri una penitenza alternativa…

Mary chiuse gli occhi e scosse la testa. — No. No. Andrò dalla polizia.

— In questo caso… — disse Caldicott. — Dio, Padre di misericordia, che nella morte e resurrezione del Suo Figlio ha riconciliato a sé il mondo e ha mandato lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti concede il perdono e la pace. — Mary si asciugò gli occhi. Il sacerdote concluse: — E ora io ti assolvo da tutti i tuoi peccati…

Mary si era assunta un impegno difficile. Ma si sentì come se le avessero levato un peso di dosso.

—… Nel nome del Padre…

Ci sarebbe andata quel giorno stesso. Immediatamente.

—… E del Figlio…

Ma non da sola.

—… E dello Spirito Santo.

Mary fece il segno della croce. — Amen.

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