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Dopo tre giorni, gli esperti canadesi del Laboratorio per il controllo epidemiologico, e i loro corrispettivi yankee dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, affermarono all’unanimità che l’ambasciatrice Tukana Prat e l’inviato Ponter Boddit non erano portatori di alcuna forma virale, e potevano uscire dalla quarantena. I due neanderthal, scortati da cinque militari e dal dottor Montego, avanzarono circospetti lungo il tunnel della miniera fino alla gabbia metallica dell’ascensore, con cui affrontarono il lungo tragitto fino alla superficie. Pareva che la notizia della loro risalita li avesse preceduti: il vasto salone in cui sbucava l’ascensore era stipato di minatori e altri dipendenti della Inco.

— Il parcheggio è diventato una sala stampa — li avvisò Hélène Gagné. — A lei, ambasciatrice Prat, toccherà ovviamente rilasciare una breve dichiarazione.

Tukana sollevò un sopracciglio. — Che genere di dichiarazione?

— Un saluto. La solita prassi ufficiale.

Ponter non aveva idea di che si trattasse, ma per fortuna non era compito suo. Hélène accompagnò lui e Tukana all’esterno del salone, nell’aria autunnale di Sudbury. La temperatura superava di almeno 2 gradi centigradi quella del mondo da cui arrivava Ponter; però era anche vero che erano trascorsi tre giorni, quindi quella variazione climatica non necessariamente dimostrava l’effetto serra.

Comunque Ponter scosse la testa, perplesso. La volta scorsa, quando era uscito dalla miniera, era in stato di incoscienza a causa della ferita alla testa. Adesso ebbe modo di constatare con i suoi occhi le dimensioni dell’impianto, come un’immensa ferita inflitta alla Terra; vasti spazi in cui tutti gli alberi erano stati sradicati; l’ampio… “parcheggio”, come lo chiamavano, in cui si ammassavano centinaia di veicoli privati.

E la puzza! L’improvvisa zaffata nauseabonda di questo mondo lo fece barcollare. Basandosi sulle descrizioni fornite da Ponter, la compagna di Adikor, Lurt, gli aveva anche elencato le probabili fonti di quell’odore della Terra gliksin: diossido di azoto, diossido di zolfo e altri veleni prodotti dalla combustione petrolchimica.

Ponter aveva preavvisato Tukana, la quale stava cercando di turarsi il naso con la massima discrezione possibile. Quanto a lui, il dolce ricordo che aveva degli amici di quaggiù gli aveva fatto dimenticare, o rimuovere, gli orrori che i gliksin avevano compiuto sulla loro versione del pianeta.

Alla sua scrivania, Jock Krieger stava navigando per le due Reti: il normale Internet e la vasta schiera di siti web governativi segreti, accessibili solo tramite linee dedicate in fibra ottica e previa autorizzazione.

A Jock non era mai piaciuto imbattersi in qualcosa che non comprendesse; l’ignoranza era l’unica cosa che gli desse la brutta sensazione di perdere il controllo della situazione. Perciò adesso si dava da fare per aggiornarsi sulla faccenda dei collassi geomagnetici, soprattutto dopo che, da Sudbury, si era diffusa la notizia che si trattava di fenomeni piuttosto improvvisi.

Si era aspettato di trovare migliaia di pagine web sull’argomento; ma, per quanto tutti i siti di informazione nell’ultima settimana avessero ammassato dati raccogliticci, perlopiù facendo copia-incolla delle opinioni dei soliti quattro esperti, esistevano pochi veri studi dedicati al fenomeno. Anzi, circa metà degli interventi provenivano da sedicenti scienziati creazionisti i quali si sforzavano di controbattere l’evidenza delle inversioni magnetiche di epoca preistorica, obiettando soprattutto che avrebbero richiesto un lasso di tempo eccessivo, dato che la Terra aveva solo poche migliaia di anni.

Infine catturò l’attenzione di Jock la citazione di un documento affidabile: un articolo pubblicato nel 1989 dalla rivista “Earth and Planetary Letters”, dal titolo Prove di variazioni di campo estremamente rapide durante l’inversione geomagnetica. Come autori erano indicati Robert S. Coe e Michel Prévot, rispettivamente dell’Università della California a Santa Cruz, e dell’Université des Sciences et Techniques di Montpellier (la città francese, c’era da supporre, non quella in Vermont). L’Università della California era un’istituzione con tutti i crismi; quanto all’Université… qualche click con il mouse… eccola, sì, bella prestigiosa anche lei. Solo che il dannato articolo non era on-line. Come per gran parte della letteratura scientifica pre-anni ’90, nessuno si era preoccupato di metterlo in Rete. Jock sospirò. Gli sarebbe toccato andare in biblioteca.

Mary attraversò il corridoio e scese la scalinata, raggiungendo l’ufficio di Krieger al piano terra. Bussò, attese che lui dicesse: — Avanti! — ed entrò.

— L’ho beccata! — disse Mary.

— Se è contagiosa, non ti avvicinare — disse Krieger, chiudendo la finestra di Internet.

Mary era così eccitata da non notare neppure la battuta; le sarebbe tornata in mente ore dopo. — Ho scoperto come distinguere i gliksin dai neanderthal.

Jock fece un balzo sulla sedia anatomica. — Dici sul serio?

— Sì! Facile come bere un bicchier d’acqua: i neanderthal hanno 24 coppie di cromosomi, contro le nostre 23. È una differenza macroscopica, come quella tra DNA maschile e femminile.

Le sopracciglia di Jock si avvicinarono alla sua pettinatura alla Reagan. — Se era così facile, perché ci è voluto tanto tempo?

Mary gli raccontò della fatica inizialmente sprecata con il DNA mitocondriale.

— Ah! — esclamò Jock alla fine. — Ottimo lavoro. Davvero ottimo lavoro.

Mary sorrise, ma si rifece subito seria. — Tra un paio di settimane — disse — la Società di paleoantropologia avrà il suo meeting annuale. Mi piacerebbe poterci andare per presentare il cariotipo dell’Uomo di neanderthal. Prima o poi ci arriverà anche qualcun altro, ma mi piacerebbe piantare per prima la bandierina.

Krieger fece una smorfia. — Mi dispiace, Mary: sei vincolata per contratto a non divulgare il lavoro svolto qui.

Lei si preparò a combattere. — Sì, ma…

Jock alzò una mano. — Invece no, hai ragione tu. È difficile staccarsi di dosso le manie della RAND. SÌ, certo che puoi presentare la tua scoperta. Il mondo ha diritto di sapere.

Hélène Gagné osservò le centinaia di giornalisti radunati nel parcheggio della miniera di Creighton. — Signore e signori — esordì a un microfono montato su giraffa — grazie per essere venuti. A nome della popolazione dell’Ontario, di quella canadese e mondiale, sono onorata di porgere il benvenuto ai due rappresentanti della versione parallela della Terra. So che alcuni di voi hanno già avuto modo di conoscere il professor Ponter Boddit, che ha ora ricevuto il titolo di inviato speciale. — Lo indicò. A Ponter ci volle qualche secondo per realizzare che avrebbe dovuto reagire in qualche modo; sollevò il braccio destro e lo agitò entusiasticamente. Per qualche motivo, i giornalisti trovarono la cosa divertente.

— E questa — proseguì Hélène — è l’ambasciatrice, signora Tukana Prat. Sono sicura che vorrà rivolgervi alcune parole. — Si voltò verso di lei in atteggiamento di attesa. Ci volle qualche ulteriore gesto perché Tukana si avvicinasse.

— Siamo felici di essere qui — disse. E si scostò educatamente dal microfono.

Mortificatissima, Hélène si affrettò a riprendere la parola. — Ciò che l’ambasciatrice Tukana Prat voleva esprimere — disse — è che, a nome del suo popolo, è lieta di instaurare rapporti ufficiali con la nostra Terra. Si attende un dialogo costruttivo e reciprocamente vantaggioso sulle questioni di comune interesse. — Si voltò verso Tukana per riceverne l’approvazione. L’ambasciatrice annuì, e lei riprese: — Si augura che il suo e il nostro popolo possano trovare numerose occasioni di scambio sia commerciale che culturale. — Altra occhiata in direzione di Tukana. La quale, se non altro, non sembrava avere nulla da obiettare. — E desidera ringraziare per l’ospitalità la società Inco, il personale dell’Osservatorio, il sindaco e l’intera municipalità di Sudbury, il governo canadese e le Nazioni Unite, sede in cui domani terrà un discorso. — Di nuovo, si girò verso Tukana, indicando il microfono. — Dico bene?

L’ambasciatrice esitò un attimo, quindi tornò alla postazione. — Hmm, sì. Dice bene.

Esplosione di applausi e grida dai giornalisti.

Hélène si accostò a Tukana, coprendo il microfono con una mano, ma Ponter riuscì lo stesso a sentire ciò che disse: — Prima di domani, avremo parecchio lavoro da fare.

Uscita Mary, Jock rimase a guardare fuori dalla finestra. Ovviamente, aveva potuto prendersi un ufficio a scelta; molti altri, con ogni probabilità, avrebbero optato per uno con vista lago, ma questo avrebbe significato una finestra a nord, in direzione opposta rispetto agli Stati Uniti. Perciò Jock aveva scelto un ufficio a sud, ma, siccome il palazzo in cui era acquartierata la Synergy sorgeva su una lingua di terra, si godeva comunque di un’incantevole vista sul porticciolo. Unì le dita in verticale sotto il naso, e rimase a osservare pensieroso il suo mondo.

Tukana e Ponter rimasero senza fiato sul jet militare canadese che li portò a Ottawa. Sebbene nel loro mondo esistessero gli elicotteri, i jet erano un’assoluta novità.

Appena ripresasi dallo shock del battesimo dell’aria, Tukana disse a Hélène: — Le chiedo scusa. Immagino di non aver corrisposto alle sue aspettative, qualche ora fa.

Hélène corrugò la fronte. — Be’, diciamo che la nostra umanità si sarebbe attesa un po’ più di retorica e di frasi di circostanza.

Il traduttore di Tukana emise due bip, segno che si era imbattuto in termini ignoti.

— Intendo: qualche frase cerimoniosa in più, parole di apprezzamento — spiegò Hélène.

— Ma anche lei non ha detto nulla di sostanziale — notò Tukana.

L’inviata ministeriale sorrise. — Vero. Il Primo ministro è un tipo molto alla mano, non avrà problemi a conferire con lui stasera. Domani però affronterà l’assemblea generale delle Nazioni Unite, dove le sarà richiesto di tenere un discorso di una certa lunghezza. — Fece una pausa. — Mi perdoni: lei ha esperienza nel mondo diplomatico, vero?

— Certo — rispose Tukana, sulla difensiva. — Ho avuto missioni in Evsoy, Ranilass e Nalkanu, per rappresentare gli interessi di Saldak. Tuttavia noi, in simili circostanze, tentiamo di giungere a una conclusione il più rapidamente possibile.

— Non c’è pericolo di offendere le persone, con questi metodi così bruschi?

— Ma è per questo che gli ambasciatori vanno sul posto di persona, invece di portare avanti i negoziati via telecomunicazioni. Questo ci consente di percepire i feromoni delle persone a cui ci rivolgiamo, e viceversa.

— Funziona anche con gruppi numerosi?

— Oh sì. Ho condotto negoziati che coinvolgevano dieci, o addirittura undici persone.

Hélène si sentì cascare le braccia. — Domani parlerà di fronte a 1.800 persone. Sarà in grado di determinare se sta offendendo qualcuno, in una simile massa di gente?

— No, a meno che non sia qualcuno nelle mie immediate vicinanze.

— Allora, se me lo consente, mi piacerebbe darle qualche suggerimento.

Tukana annuì. — Come mi pare che diciate qui: “Sono tutta orecchi”.

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