Prologo

— Ho fatto una cosa orrenda — disse Ponter Boddit, a cavalcioni della sella nell’ufficio di Jurard Selgan.

Selgan era della generazione 144, cioè dieci anni più anziano di Ponter. Aveva capelli di un “grigio saggezza”; la scriminatura dei capelli si era allargata in una specie di fiume che scorreva lungo la fronte bassa e sfociava nell’arcata sopracciliare. — Va’ avanti — lo incoraggiò.

— Sentivo di non avere scelta — disse Ponter, abbassando lo sguardo. L’arcata sopracciliare sporgente era un ottimo scudo contro gli occhi di smeraldo di Selgan.

— Sentivo che dovevo farlo, ma…

— Ma ora ne sei pentito?

Ponter tacque, fissando il pavimento rivestito di muschio.

— Ne sei pentito?

— Non… non ne sono sicuro.

— Lo rifaresti, se ti ritrovassi nella medesima situazione?

Ponter emise un grugnito ironico dal naso.

— Che cosa ho detto di divertente? — chiese Selgan; nella sua voce c’era curiosità, più che irritazione.

Ponter alzò lo sguardo. — Pensavo che solo i fisici della mia risma si interessassero di esperimenti mentali.

Selgan sorrise. — Tra noi due non c’è poi quella gran differenza. Tutti e due siamo alla ricerca della verità, della soluzione dei misteri.

— Immagino di sì — rispose Ponter. Spostò lo sguardo sulle pareti lisce, dolcemente curvilinee, di quella stanza cilindrica.

— Non hai ancora risposto alla domanda — notò Selgan. — Lo rifaresti, capitasse di nuovo?

Ponter restò nel suo mutismo per un po’. Selgan rispettò il suo silenzio, gli diede il tempo di riflettere sulla questione. Alla fine Ponter disse: — Non so.

— Non lo sai, o preferiresti non dirlo? Ponter ripiombò nel silenzio.

— Desidero aiutarti — disse Selgan, cambiando posizione sulla propria sella. — Non ho nessun altro scopo. Non ti giudicherò, se è questo che temi.

Stavolta Ponter rise ad alta voce, ma in tono amaro. — È tutto qui il problema, eh? Nessuno ci giudicherà mai.

Selgan aggrottò le sopracciglia. — In che senso?

— Voglio dire: in quell’altro mondo… l’altra Terra… credono che esista un… be’, a noi manca il termine preciso; loro lo chiamano “Dio”. Un essere supremo e incorporeo che ha creato l’universo.

Selgan scosse la testa. — Come fa l’universo ad avere un creatore? Questo implicherebbe che abbia un inizio, ma non è così: l’universo esiste da sempre.

— Lo sai tu, e lo so io — rispose Ponter. — Ma loro no. Loro ritengono che l’universo abbia solo… be’, loro direbbero “dodici miliardi di anni”: più o meno, 150 miliardi di mesi.

— E prima che c’era?

Ponter corrugò la fronte al ricordo delle sue conversazioni con quella fisica gliksin di nome Lou Benoit… peccato che non riuscisse a pronunciare in modo esatto i nomi dell’altra Terra. — Affermano che prima di allora il tempo non esistesse. Il tempo ha cominciato a scorrere solo dopo la creazione.

— Un’idea stupefacente — commentò Selgan.

— Già — concordò Ponter. — D’altra parte, se accettassero l’eternità dell’universo, non rimarrebbe nessun ruolo per il loro Dio.

— Anche il tuo compagno è un fisico, vero? — chiese Selgan.

— Adikor Huld — ne precisò il nome Ponter. — Sì, lo è.

— Sicuramente tu e Adikor vi troverete spesso a parlare di fisica. Ma a me la questione interessa da un punto di vista diverso: tu hai citato questo… “Dio” in rapporto al concetto di giudizio. Spiegamelo meglio.

Per un po’ Ponter rimuginò in silenzio sul migliore approccio al tema. Poi disse: — Pare che la maggior parte di loro, degli altri umani, credano in ciò che definiscono “aldilà”: una vita dopo la morte.

— Ridicolo! — sbottò Selgan. — È una contraddizione in termini.

— Oh, certo — rispose Ponter con un sorriso. — Ma di assurdità del genere nel loro modo di pensare ce ne sono parecchie. E un fatto talmente diffuso che gli hanno dato un nome specifico, come se bastasse definire i paradossi per scioglierli. È una parola che faccio fatica a pronunciare; qualcosa tipo “ossa-mori”.

Anche Selgan sorrise. — Mi piacerebbe averne in cura uno, per scoprire come funzionino le loro menti. — Fece una pausa. — Questa vita dopo la morte, secondo loro, com’è?

— Qui viene il bello — rispose Ponter. — Può assumere due diverse forme, a seconda di come ci si è comportati nella vita. Se uno ha condotto un’esistenza virtuosa, allora viene ricompensato con una vita nell’aldilà incredibilmente piacevole. Ma se la vita… o anche un’azione fondamentale compiuta nell’arco della vita… è stata cattiva, allora l’esistenza successiva è piena di tormenti.

— E chi è a decidere?… Oh, aspetta, ho capito: è “Dio” a decidere, dico bene?

— Esatto. È questo ciò che credono.

— Ma perché? Perché dovrebbero credere in qualcosa di così grottesco?

Ponter alzò lievemente le spalle. — Resoconti di persone che si suppone abbiano comunicato con Dio.

— Resoconti? — disse Selgan. — C’è gente in grado di comunicare con Dio?

— Alcuni affermano di sì. Tuttavia non ho trovato prove schiaccianti.

— E Dio giudica ogni singola persona?

— Pare di sì.

— Ci sono 185 milioni di persone nel mondo, e ogni giorno ne muoiono migliaia.

— In questo mondo. Sull’altra Terra esistono sei miliardi di umani.

— Sei miliardi?! — Selgan scosse la testa. — E ognuno di loro, in qualche modo, al momento della morte viene assegnato a una delle due possibili vite nell’aldilà?

— Sì. Dopo il giudizio.

A Ponter non sfuggì la curiosa espressione che si dipinse sulla faccia di Selgan. Lo scultore di personalità era evidentemente affascinato dalle credenze gliksin, ma lo interessavano ancora di più i pensieri del suo paziente. — Giudizio — si rigirò la parola tra i denti, come un boccone succulento di carne.

— Infatti — riprese Ponter. — Capisci? Laggiù non possiedono impianti Companion, né archivi degli alibi. Non hanno registrazioni perfette di ogni azione compiuta. E non ce l’hanno, perché ritengono di non averne bisogno: credono che ci sia Dio a vegliare su tutti, a vedere tutto, perfino a custodire ogni singola persona. Perciò ritengono che sia impossibile scampare… impossibile scampare per sempre agli effetti di un’azione malvagia.

— Ma tu… hai fatto qualcosa di orrendo, dicevi? Ponter contemplò il proprio mondo attraverso la finestra.

— Sì.

— Laggiù? Su quell’altra Terra?

— Sì.

— Ma non accetti l’esistenza di quel loro Dio? Ponter ridacchiò sarcasticamente. — Certo che no.

— Per cui, ritieni che non verrai mai giudicato da nessuno per la brutta azione che affermi di aver compiuto?

— Esatto. Non direi che si è trattato di un “delitto perfetto”, tuttavia non c’è motivo di pensare che in quel mondo avranno mai dei sospetti su di me, e in questo mondo nessuno chiederà di dare un’occhiata a quel segmento del mio archivio degli alibi.

— Lo hai definito “delitto”. Lo era in base agli standard dell’altra Terra?

— Oh, sì.

— Se lo avessi compiuto qui, noi lo avremmo considerato un crimine?

Ponter annuì.

— Che cosa hai fatto?

— Io… io mi vergogno a raccontarlo — rispose Ponter.

— Ripeto: io non ti giudicherò.

Senza accorgersene, Ponter si era drizzato in piedi.

— È proprio questo il punto! — gridò. — Nessuno mi giudicherà! Né qui né laggiù! Io ho commesso un crimine. E mi è piaciuto commetterlo. E… sì, per stare al tuo giochetto mentale: lo rifarei, se mi ritrovassi nella stessa situazione!

Per qualche istante Selgan non disse nulla, come in attesa che Ponter riacquistasse la calma. — Ponter, io ti posso aiutare, se tu collabori. Ma per questo è necessario che tu parli, che mi racconti che cos’è successo. Perché hai fatto quello che hai fatto? Che cosa ti ci ha spinto?

Ponter si risedette, le gambe penzoloni dalla sella.

— Tutto è cominciato nel mio primo viaggio sull’altra Terra — disse. — Là incontrai una donna di nome Mèr Vaughan…

Загрузка...