Alec stava alla finestra della cupola-osservatorio e osservava la grigia distesa accidentata che si stendeva fino all'orizzonte, dominata dai picchi del cratere Alphonsus. Nel cielo nero spiccava una falce di Terra illuminata dal sole, che gettava ombre nitide sulla scabra superficie del cratere.
Alec pensava alla discussione in corso al consiglio. Sapeva che la scelta era limitata a lui stesso e a Kobol. Kobol aveva il vantaggio dell'età, dell'esperienza e nessun appoggio personale. In qualità di membro del consiglio era presente al dibattito. Non c'era pericolo che si comportasse slealmente. Gli unici vantaggi di cui godeva Alec erano sua madre, e l'impellente ambizione che lo rodeva.
Lasciò la cupola e si diresse verso la piazza centrale dove si apriva la sala del consiglio. Lungo le pareti di roccia del corridoio correvano i tubi dell'acqua, dell'energia elettrica e del riscaldamento: le tre cose di capitale importanza per la vita della comunità. Lampade tubolari brillavano sul soffitto, non tanto a beneficio di chi percorresse il corridoio, quanto per dare luce all'erba che ne tappezzava il pavimento.
Mentre camminava coi piedi calzati da pantofole sull'erba stinta che forniva ossigeno, Alec si chiedeva cosa si provava a vivere sulla Terra, a stare all'aperto senza tuta. Era un'esperienza traumatizzante? Si raccontava di gente che era impazzita trovandosi all'aperto senza protezione. E la gravità…
Scrollò la testa per scacciare questi fastidiosi pensieri e proseguì con passo sicuro verso la sala del Consiglio.
La piazza centrale era affollata. Alec l'aveva previsto, ma lo infastidiva ancora vedere tanta gente riunita in un posto solo, a girellare oziosamente. L'enorme caverna a cupola risuonava dell'eco di cento conversazioni.
Le porte scolpite della sala del Consiglio erano ancora chiuse. Nessuno aveva il permesso di entrare quando era in corso una seduta. Le porte erano state disegnate e create da uno dei membri originali del Consiglio che aveva lasciato il lavoro per limiti di età. Poco dopo era morto e aveva lasciato scritto che i suoi resti venissero riciclati negli impianti di produzione-viveri.
Alec si fece strada in mezzo alla calca, badando di non toccare né di essere toccato dagli estranei. Era troppo nervoso per aspettare nel suo alloggio la decisione del Consiglio. Ma la folla lo innervosiva ancora di più, e notava che tutti reagivano nello stesso modo: più gente si riversava nella piazza, più aumentava l'agitazione. Il rumore continuava a crescere.
— Hai l'aria di uno che ha bisogno di riposare.
Alec sobbalzò e, voltandosi, vide Bill Lawrence, uno dei giovani, brillanti ingegneri della comunità, suo amico fin dall'infanzia. Con i folti capelli a spazzola, e la barba spuntata con estrema cura, Lawrence affrontava la vita con rigido formalismo che però si scioglieva in cordialità quando era con gli amici.
— Ho l'aria così tesa? — gli chiese Alec sforzandosi di sorridere.
— Non sei il solo — rispose Lawrence. — Perché credi che tutti si siano radunati qui?
Lo prese per un braccio — privilegio concesso solo agli amici — e lo pilotò attraverso la ressa verso le panchine di pietra disposte intorno agli alberi nani in fondo alla piazza, dove si trovavano già altri amici di Alec intenti a bere da bicchieri di plastica.
Alec sedette in mezzo a loro, rammaricandosi che Lawrence fosse stato escluso dalla spedizione sulla Terra a causa della fragilità delle sue ossa.
Porgendogli un bicchiere, Lawrence spiegò: — Deitz ha fabbricato questo beverone in laboratorio, fra un esperimento sul veleno per i topi e uno sul carburante per i razzi. È illegale, ma rende venticinque unità al litro.
Alec ne assaggiò un sorso con circospezione. Il liquido gli bruciò la lingua e mancò poco che lo soffocasse. — Ugh… — esclamò — chi è disposto a comprare un litro di questa roba?
— Nessuno.
Risero tutti.
Zeke, un paffuto giovanotto coi capelli biondi soprannominato "Calabrone" perché pareva che fosse sempre indaffarato, disse: — Denunceremo Deitz al Consiglio… appena avremo finito di bere la prova.
— Prima di allora sarai già morto da un pezzo — obiettò Alec, posando il bicchiere sulla panchina.
— Fa un certo effetto vedere tutti qui — osservò Joanna, una ragazza bruna, alta e magra, con voce di gola.
Alec annuì: — Non lavora nessuno, oggi?
Lawrence si guardò intorno. — Solo gli addetti ai servizi essenziali. Gli altri sono venuti tutti qui.
— Non capisco. — Alec trovava la cosa sconcertante.
— I sostenitori di Kobol hanno fatto una sfilata prima che tu arrivassi — disse Zeke. — Tutti i minatori e i tecnici… hanno detto che si è trattato di una manifestazione spontanea.
— Una manifestazione! Senza permesso?
Lawrence annuì.
— Prima hanno abbandonato il posto di lavoro, poi hanno sfilato senza il permesso del Consiglio — disse Alec con voce che suonava turbata alle sue stesse orecchie.
— Kobol vuole essere il capo della spedizione — disse Joanna.
— Non si tratta solo della spedizione — lo corresse Lawrence — ma del controllo del Consiglio. Se Kobol riesce nel suo intento, guiderà la spedizione e al ritorno sarà a capo del Consiglio. Tua madre sta lottando per conservare la Presidenza.
— Kobol non può batterla — dichiarò seccamente Alec.
— Se tornerà dalla Terra con i minerali fissili esigerà che si venga a una votazione, e Lisa sarà costretta a cedergli il posto — disse Lawrence.
— Per questo è importante che sia nominato tu a capo della spedizione — aggiunse Zeke. — Per mio conto non voglio a nessun costo che comandino i minatori e i tecnici. Finirebbe con un aumento eccessivo della popolazione e nel giro di pochi anni saremmo a terra. Pare che i seguaci di Kobol non riescano a capire che è più facile e veloce far crescere la popolazione che scavare nuove aree coltivabili.
— Kobol non guiderà la missione e non sarà a capo del Consiglio — dichiarò con fermezza Alec.
— Chi lo dice? — gli gridò una voce estranea.
Un uomo sulla trentina avanzata stava in piedi fra la panchina dove sedeva Alec e quella vicina. Era massiccio, biondastro e indossava la tuta rossa dei minatori.
— Non è educato intromettersi in una conversazione privata — gli fece notare Alec, mentre altri tecnici e minatori stavano sopraggiungendo.
— Oooh! — il nuovo venuto sporse le labbra. — Non è bello essere maleducati, vero? Non vogliamo che gli amichetti del piccolo, fragile scienziato possano turbarsi.
— Non gli badare — lo ammonì Lawrence posando una mano sulla spalla di Alec.
— Kobol sistemerà le cose come si deve, qui — continuò il minatore a voce alta. — Metterà al loro posto i tuoi favoriti deboli di costituzione. La comunità sarà retta dai forti! Voi teste d'uovo passate la giornata a premere i bottoni mentre noi ci rompiamo la schiena per voi. Le cose devono cambiare e cambieranno!
Facendo uno sforzo per controllarsi, Alec si alzò in piedi. — Andiamocene — disse senza scomporsi ai suoi amici. — Anche l'educazione ha dei limiti.
Ma il minatore girò intorno alla panchina e gli si piantò davanti deciso con i pugni sui fianchi. Era di tutta la testa più alto di Alec, e trasudava forza e sicurezza di sé.
— Ehi, non agitarti. Non volevo farti piangere.
Alec lo fissava con occhi di fuoco.
— Anzi — continuò ridendo il minatore — ti auguro sinceramente che il voto del Consiglio ti sia favorevole. Ne avrai bisogno. Voterei anch'io per te, se potessi, a patto che mi garantissero gli stessi benefici degli altri membri del Consiglio.
Gettò la testa all'indietro e scoppiò a ridere. Tecnici e minatori risero con lui.
Lawrence prese Alec per un braccio cercando di trascinarlo via. — Andiamo, Alec. Non vale la pena di starlo a sentire.
Ma Alec, in preda a un'ira più fredda del ghiaccio lunare, si liberò con uno strattone.
— Cosa vorresti dire? — chiese con voce talmente bassa che lui stesso la sentì appena.
— Vallo a chiedere alla mamma, bamboccio. — Minatori e tecnici sghignazzavano, e buona parte della folla si stava avvicinando per assistere alla scena.
Alec fece un passo avanti.
— Cosa ti piglia, bamboccio? Tua madre se l'è fatta con metà Consiglio, per amor tuo, perché non potrebbe farsi scopare da un paio di veri uomini?
Alec gli si avventò alla gola. L'uomo alzò le mani a proteggersi, e Alec andò a sbattergli addosso. Urtarono contro la panchina e caddero sul terreno erboso con un grido soffocato. Qualcuno degli spettatori urlò. Alec si sentì afferrare dalle braccia muscolose del minatore. Costui era robusto, agile come un gatto, ma non aveva mai trascorso qualche ora ogni giorno nella centrifuga a gravità terrestre, come faceva Alec da mesi. Alec riuscì a rialzarsi, vide che l'avversario se ne stava ancora accovacciato con le ginocchia piegate e una mano appoggiata a terra, come una scimmia. Lo guardava sorridendo, e disse: — Ho sentito dire che hai carattere, ragazzino. Vediamo quanto ti costerà.
Si alzò lentamente. Alec, immobile davanti a lui, si accorse che stavano fra le due panchine, e c'era poco spazio per muoversi. I suoi nervi e i suoi muscoli fremevano di rabbia trattenuta a stento, ma si costrinse ad aspettare.
Il minatore, grande e grosso come suo padre, gli incombeva sopra. Fece una finta sulla destra. Alec lo ignorò. L'uomo ripeté la mossa a sinistra. Alec non rispose. Infine allungò il braccio e mirò alla testa. Alec schivò il colpo, gli sferrò un calcio nel ginocchio, gli calò un violento colpo di taglio alle reni e con l'altra mano gli mollò un pugno in piena faccia. Il minatore cadde pesantemente contro la panchina col naso che sanguinava. Aveva un'espressione attonita, non sorrideva più. Si mise carponi nel tentativo di rialzarsi, ma il ginocchio offeso non lo reggeva. Cadde bocconi.
Alec girò lo sguardo sugli spettatori. — C'è qualcun altro che ha qualcosa da dire?
— Andiamo, è finita — gli disse Lawrence. — Leviamoci di qui.
Alec si lasciò guidare dai suoi amici, attraverso la calca, mentre i minatori si chinavano per soccorrere il compagno.
Raggiunto l'alloggio che Alec divideva con sua madre, tutti gli amici se ne andarono alla chetichella. Rimase solo Joanna. Bevvero un liquore che faceva parte della preziosa scorta ricavata ogni anno dagli scarti altrimenti inservibili delle fattorie idroponiche: un liquore legalmente permesso.
Joanna sedette sul divano accanto ad Alec. I mobili, tutti di pietra lunare, erano coperti da cuscini imbottiti di gommapiuma. La stanza era ampia, con due grandi schermi su una parete, due sedie e un basso tavolino davanti al divano. Le altre pareti erano adorne di quadri e i pannelli inseriti nel soffitto emanavano una morbida luce fluorescente.
— Sai — disse Joanna — secondo me il veleno di Deitz è meglio di questa roba.
— Come fai a sentire il sapore? — ribatté Alec. — Brucia la lingua. Non si sentono i sapori.
— Però è forte. — Joanna si voltò per guardarlo. Sorrise. — Non credevo che tu fossi così forte. Hai fatto fuori quel minatore come se fosse un giocattolo.
— Se passassi qualche ora al giorno nella centrifuga diventeresti forte anche tu.
— Prendi tutto sul serio, tu.
Alec non sapeva cosa rispondere. Joanna continuava a guardarlo coi suoi grandi occhi a mandorla, scuri quasi quanto quelli di sua madre.
— C'è qualcosa che t'interessa oltre alla spedizione sulla Terra? — gli chiese lei.
— M'interessano moltissime cose. Ma la spedizione ha la precedenza su tutto.
— Capisco.
— È in ballo la vita dell'intera comunità — disse lui gravemente. — Se non troviamo le sostanze fissili, finiremo per trovarci in una situazione irrimediabile.
Joanna annuì pensosa. — Per questo sei così… inaccessibile?
— Mi sto addestrando, Joanna. Affrontare la gravità terrestre è come pesare sei volte di più. Metà della gente di qui non resisterebbe, perché con la gravità lunare le ossa sono fragili. Inoltre ho seguito i corsi di tattica militare, logistica, progettazione…
— Tutte cose di cui ti occupi fin da quando eravamo bambini.
— Sì — ammise lui. — Ma ne è valsa la pena. Sai che il Consiglio ha adottato il mio progetto per la spedizione? L'ho elaborato col vecchio colonnello Dunn… Dettagli, uomini ed equipaggiamento, orari… insomma tutto, e l'hanno preferito al progetto di Kobol.
— No, non lo sapevo. È meraviglioso — ma lo disse con voce atona, come se la cosa non la interessasse.
— Ho anche studiato i vecchi nastri sulla meteorologia terrestre… le precipitazioni e i cambiamenti di temperatura. Cose di questo genere.
— Ma tu… perché lo fai? Cosa vuoi ottenere?
— Io? — ribatté lui, sorpreso. — Io voglio guidare la spedizione. — Non era solo questo, naturalmente, ma non aveva voglia di parlarne con nessuno.
— Ma perché? Qual è il motivo… personale?
Alec non rispose. Non poteva.
Joanna sbuffò e si voltò verso di lui mettendosi in ginocchio sul divano. — Alec, cosa vuoi? Perché la spedizione sulla Terra è così importante per te? Per via di tuo padre? Per quello che ha fatto? O perché vuoi consolidare la posizione di tua madre a presidente del Consiglio?… O cosa?
Lui si scostò un poco. — Non è per mia madre, né tantomeno per mio padre. Ma per me. Vado perché voglio andare.
— Perché ti piace mettere a repentaglio la vita.
— Non farne una questione personale. Non è educato.
— Alec — ribatté lei seccamente — almeno con me lascia perdere tutte quelle baggianate sull'educazione. Ci conosciamo da quando siamo nati e io voglio sapere il vero motivo per cui sei così ansioso di buttare via la tua vita. Mi fai paura.
— Sono il più adatto per quest'incarico. Nessun altro, da Kobol in giù, è alla mia altezza, sia fisicamente sia intellettualmente. Mi fa piacere attuare quello che mi hanno insegnato, mettere in pratica l'addestramento…
— È lei che ti ha addestrato — lo interruppe Joanna. — Tua madre ti ha fatto il lavaggio del cervello.
Alec si alzò di scatto. — Sarà meglio che tu te ne vada, Joanna. O non capisci, o ti rifiuti di capire.
— No, Alec. Io capisco, più di quanto tu non creda. Io voglio che tu viva la tua vita, non quella di lei. Perché vuoi sprecarti per la sua carriera, per la sua sete di vendetta?
— Vattene! — gridò Alec.
Sconfitta, Joanna si alzò e andò alla porta. Dopo averla aperta, si voltò per dirgli: — Povero stupido!
Alec si era quasi addormentato, quando finalmente arrivò sua madre. Era rimasto sdraiato parecchie ore sul materasso ad aria nel suo stanzino, al buio, fissando la tappezzeria tessuta a mano che nascondeva il serbatoio dell'acqua e l'impianto di riscaldamento, ascoltando il sospiro del materasso ogni volta che si muoveva, cercando di non pensare a niente. Ma tutte le volte che chiudeva gli occhi vedeva la faccia sogghignante del minatore. Poi la faccia si fondeva con quella di suo padre, che aveva visto in fotografia. Suo padre, che era partito dalla Luna il giorno della sua nascita.
— Dormi?
Alec riaprì di colpo gli occhi. Sua madre, ferma sulla soglia, era incorniciata dalla luce della stanza vicina.
— No — rispose Alec, e accese la lampada sopra al letto.
Guardandola mentre entrava e sedeva sull'unica sedia della stanzetta, Alec capiva come -nonostante adesso avesse un'aria molto affaticata — tutti gli uomini della comunità la desiderassero. Lisa Ducharme Morgan era un'ammaliatrice, una maliarda dalla cupa bellezza. In confronto a lei, Joanna e le altre ragazze erano scialbe e incolori. Ma Lisa era una bellezza gelida, un'Artemide, una divinità remota, l'unica degna… l'unica in grado di governare quella minuscola serra di umanità trapiantata.
— Ho saputo della rissa — disse lei senza scomporsi. — Cosa volevi dimostrare?
— Che non sei una puttana — rispose lui, pentendosi immediatamente.
Ma Lisa non batté ciglio. — Oh, di nuovo quella storia? Un'altra cosa per la quale dobbiamo ringraziare tuo padre.
— Il Consiglio ha votato?
— No. La discussione continua. I sostenitori di Kobol escogitano tutti gli espedienti possibili… Sono arrivati perfino a dire che tu sei troppo emotivamente instabile per poter guidare la spedizione. Non mi sorprenderebbe se quella provocazione fosse stata architettata apposta. N
— È probabile — rispose Alec dopo averci pensato sopra un momento.
Lisa si chinò verso di lui dicendogli con intenso fervore: — Non capisci quanto sia importante per te imparare a dominarti? Hai violato tutte le regole sociali in vigore. Come credi che reagiranno i membri del Consiglio? Risparmia la tua ira per un vero nemico, o rovinerai tutto… per te e per me.
Sforzandosi di parlare con calma, Alec disse: — A me interessa sapere solo quando voterà il Consiglio e se avrò vinto o no.
Lisa lo fissò a lungo, e lui sostenne lo sguardo di quegli insondabili occhi neri. I suoi occhi.
— Voteranno domattina. Credo che vinceremo.
— Allora andrò sulla Terra.
— Sì, come ha fatto tuo padre — disse lei con voce amara.