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— Sei sicura che Douglas non… — Kobol lasciò la frase in sospeso.

Lisa scosse la testa. — Ho controllato. È salito in superficie per fare due passi da solo.

Kobol si mise a sedere sul bordo del letto. Indossava l'abito da lavoro comune a tutti: una tuta grigia, sbiadita. Sulla spalla era cucito un cerchietto di stoffa blu altrettanto sbiadito, attraversato da una saetta gialla: il contrassegno del reparto energia elettrica.

Lisa, che indossava ancora la tuta imbottita nera, rialzò le gambe e appoggiò il mento sulle ginocchia.

— Ti è rimasto un bel segno sulla guancia — osservò Kobol.

— Lo coprirò col fondotinta.

— Già. — Si guardò intorno. — E cosa farai quando i cosmetici saranno finiti? Manderai Douglas a comprarli in una profumeria sulla Terra?

— Non sei divertente.

— Non ne avevo affatto l'intenzione.

— Tu non ti aspettavi che tornasse, vero?

Kobol non rispose.

— Martin, guardami! — gli intimò lei. Kobol si voltò lentamente, ma senza avvicinarsi.

— Douglas non sa nulla di noi — gli disse Lisa. — Non devi preoccuparti per questo.

Il lungo viso tetro di Kobol non cambiò espressione. — Ci avevo pensato. Voglio dire che avevo pensato a noi. A lui. Hai visto che accoglienza gli hanno tributato? È un eroe. Lo adorano.

— Già — ammise Lisa. — Ma non ha la stoffa del capo. C'è una bella differenza.

Kobol sbuffò.

— No, ascoltami. Io lo conosco. — Lisa si raddrizzò a sedere appoggiando la schiena contro il muro. — Non sa comandare sul serio. Sa dare ordini e fare quello che crede debba essere fatto, ma parte dal presupposto che tutti la pensino come lui e seguano spontaneamente le sue direttive. Non si rende nemmeno conto che deve convincere la gente, circuirla, allettarla o costringerla a seguirlo.

Kobol espresse il suo consenso con un sorriso riluttante. — Hai ragione. È proprio fatto così. Capace di affrontare i nemici senza neanche voltarsi a guardare se i suoi soldati lo seguono.

— Dobbiamo formare un vero governo — dichiarò lei con fermezza. — Gli incontri occasionali dei capi dei vari settori devono essere trasformati in un consiglio, con riunioni regolari…

— Ed elezioni?

— Sì, elezioni, naturalmente. Non subito, è ovvio, ma l'anno prossimo, quando ci saremo un po' assestati.

— Eleggeranno Douglas come capo supremo — disse Kobol con un sorriso sardonico.

— Forse.

— Ne dubiti?

— Non credo che importi molto — replicò Lisa con una voce dura come i muri della stanzetta. — Lasciamo pure che quegli idioti lo eleggano capo supremo, comandante o quel che preferiscono. Nel consiglio, lui avrà a che fare con noi. E non saprà come cavarsela. Se ci mettiamo d'accordo, tre o quattro di noi possono bloccarlo.

Kobol si passò la mano sulla mascella ossuta. — Gli faresti questo?

— Perché no? Sarebbe per il bene della comunità, non ti pare? Lui vorrà certo tornare sulla Terra per portare qui tutti i superstiti che riuscirà a trovare, e tu sai che non ce lo possiamo permettere.

— Ma tu, tu… lo colpiresti deliberatamente alla schiena?

— Non farne un dramma, Martin — ribatté lei fissandolo intensamente. — Io ho sposato l'uomo sbagliato. Anche se dividiamo questa stanza e questo letto, non significa che lo amo o che debba seguirlo ciecamente come una schiava.

— Non so — disse lui lentamente. — Ti guardavo quando è arrivato. Sembrava che… — esitò.

— Cosa?

— Che tu fossi felice di rivederlo. Molto felice. Come una bambina che ha ritrovato il suo cucciolo.

Lisa arrossì. — Non dire assurdità.

— Così mi è sembrato.

— Sciocchezze. — Ma distolse gli occhi per guardare il lucido specchio di metallo appeso alla parete di fronte.

— Quanto a noi due… — cominciò Kobol.

— Non è cambiato niente — dichiarò Lisa. — Douglas è all'oscuro di tutto.

Ma Kobol scrollò la testa dicendo: — Qualcosa è cambiato, Lisa. Io. Non voglio più vivere alla sua ombra. Voglio che tu lo lasci.

— Non posso! — esclamò lei sorpresa. — Non adesso. Non ancora, comunque.

— Perché no?

— Come posso, con la situazione che si è venuta a creare? Non vedi cosa sta succedendo, Martin? Non capisci? La vita della nostra comunità è appesa a un filo. La Terra è morta e dobbiamo contare solo su noi stessi. La situazione è già abbastanza precaria senza aggravarla coi nostri problemi personali.

Lui puntò l'indice lungo e ossuto verso l'ecchimosi bluastra sulla sua guancia. — Non credi che i tuoi problemi personali siano già di dominio pubblico?

— No — rispose con fermezza Lisa. — E per il momento passano in seconda linea. Ho intenzione di continuare a essere sua moglie e lui sarà il capo del nuovo governo.

— Sarebbe come dire che tu sarai il capo del nuovo governo, e io me ne starò fuori al freddo.

— Martin, per favore — disse lei sfiorandogli la mano. — Devi capire. Noi due possiamo… restare ancora insieme. Come abbiamo fatto fino adesso.

Kobol ritrasse la mano. — No, Lisa. Sei tu che devi capire. Io voglio essere il capo del governo, qualunque sarà. E voglio averti tutta per me.

— Avrai quello che vuoi, ma ci vuole tempo, Martin. Devi avere pazienza.

— Lo lascerai per me?

— A suo tempo.

— Farai in modo che diventi io il capo?

Lei esitò. — Non sono certa che ti eleggerebbero, Martin. Eleggeranno Douglas. È il loro eroe. Noi due dobbiamo lavorare tramite lui.

Kobol proruppe in un'amara, aspra risata. — Sarebbe come dire che tu dirigerai il consiglio tramite suo. Tu vuoi il comando, in un modo o nell'altro.

Lisa tornò ad appoggiarsi contro il muro come se volesse trarre forza dalla pietra. — È questo che pensi?

Kobol smise di ridere. — Chiunque vinca, tu vuoi comandare. Vuoi diventare l'ape regina.

— E tu cosa vuoi, Martin? — ribatté lei freddamente. — Il tuo interesse nei miei riguardi non deriva in parte dalla gelosia per Douglas? Non vuoi essere il primo, avere tutto per te?

— Cristo, Lisa, noi due siamo fatti della stessa pasta! — sbottò Kobol. — Se non ci azzanniamo a vicenda, insieme faremo grandi cose.

— Io non sfodererò gli artigli finché tu non mi metterai i bastoni fra le ruote.

— E hai intenzione di restare con lui?

— Per il momento.

— Non pensi che dovrai andare in letto con lui?

— Ma certo. La maggior debolezza di Douglas è che ci tiene a fare tutto quello che ritiene suo dovere.

— È diverso da noi.

Lisa allungò le gambe e sì alzò dal letto. — Dovremo prendere accordi per la formazione di un consiglio permanente… un elenco di incontri, titoli ufficiali, roba del genere.

Kobol assentì.

L'interfono accanto al letto cominciò a ronzare. Lisa sollevò il ricevitore, rimase ad ascoltare per qualche istante, poi ringraziò e riappese.

— È rientrato — disse poi a Kobol. — Probabilmente sarà qui fra poco. È meglio che tu te ne vada adesso, Martin.


Il compartimento stagno e lo stanzone che serviva da garage e da magazzino erano stati in origine una caverna naturale erosa nella parete del cratere. Le zone sottostanti adibite a lavoro e abitazione erano state ricavate mediante esplosioni e scavando la roccia a una profondità che garantiva un'assoluta protezione dalle radiazioni e dagli enormi sbalzi di temperatura nel corso della giornata lunare lunga 648 ore.

Sia gli psicologi sia gli ingegneri minerari avevano convenuto che gli alloggi dovevano essere qualcosa di più che non semplici dormitori. Così, nonostante il costo e la fatica, avevano scavato anche alcune sale comuni. Prima che il sole devastasse la Terra, la comunità lunare aveva insistito per ottenere una sala di ricreazione, completa di biliardo e di un tavolo da ping-pong più grande del normale per via della bassa gravità lunare; una biblioteca dotata di veri libri e visori collegabili con i microfilm delle biblioteche terrestri; e infine una piccola sala per le conferenze con un vero tavolo di legno.

Il Consiglio che s'era autonominato governo della comunità, scelse la sala delle conferenze per le sue riunioni. Nove caposezione presero posto intorno al tavolo di noce. Douglas sedette istintivamente a capotavola. Lisa stava alla sua destra, mentre Kobol scelse un posto qualunque a metà tavola.

Il primo argomento all'ordine del giorno era la nomina di un presidente provvisorio. Venne scelto all'unanimità Douglas.

In piedi a capotavola, con un sorriso fanciullesco, il neo-eletto disse: — Grazie. Apprezzo la fiducia che mi avete dimostrato, e mi rendo conto delle responsabilità dell'incarico. Ora credo che dovremo elaborare un ordine del giorno per questo comitato…

— Consiglio — lo corresse James Blair. — Questo è un consiglio di ministri, non un comitato.

— Consiglio — accettò Douglas con un'alzata di spalle. — Dobbiamo metterci d'accordo sul da farsi. Secondo me la cosa più importante è assicurare la sopravvivenza della nostra comunità. La seconda, strettamente collegata alla prima, è la necessità di ristabilire i collegamenti con la Terra…

— I collegamenti con la Terra? — chiese William Demain con la faccia infantile increspata da un'espressione perplessa. — Quale Terra? La Terra non esiste più.

— Non del tutto — corresse Douglas.

— Come capo dei sistemi di sussistenza — intervenne LaStrande, che aveva una voce da baritono nonostante l'aspetto mingherlino — ritengo che il compito più importante, anzi l'unico che importi realmente, sia quello che hai nominato per primo, Douglas. Noi dobbiamo fare tutto il possibile per avere la certezza di essere autosufficienti. Viveri, aria, acqua, energia elettrica… tutte cose che ci occorrono per sopravvivere. Dobbiamo essere certi di essere in grado di procurarceli con i nostri soli mezzi. Senza l'intervento della Terra. Non possiamo dipendere in tutto e per tutto dalla Terra. È assurdo il solo pensarlo.

Le sue parole furono accolte da un generale mormorio di consenso.

— Aspetta un momento — disse Douglas. — Io sono andato sulla Terra. Non è morta.

— No, è morta solo a metà — sussurrò LaStrande.

— Sulla Terra c'è gente che ha bisogno del nostro aiuto — continuo Douglas — e sulla Terra ci sono materiali di cui abbiamo bisogno: medicinali, pezzi di ricambio, apparecchiature.

— Non possiamo portare altra gente quassù! — esclamò con voce supplichevole Catherine Demain. — Non possiamo! Non abbiamo posto, né medicinali, né viveri bastanti. Sarebbe ingiusto per quelli che vivono già qui.

Discussero per un'ora buona, mentre Douglas se ne restava seduto, incapace di dominare la situazione, confuso e deluso. Kobol e Lisa non aprirono bocca, ed evitarono con cura di scambiare occhiate con gli altri, mentre continuava il dibattito.

— Dobbiamo essere in grado di provvedere alle nostre necessità — continuava a insistere LaStrande, sottolineando con enfasi ogni parola. — Non possiamo dipendere dalla Terra per nessuna cosa!

— Ma non possiamo disinteressarci dei superstiti — ribatté Douglas. — Hanno bisogno del nostro aiuto, e noi abbiamo bisogno di quello che ci possono fornire.

— No! Mai! La Terra non esiste più! Ignorala!

— Ma è inumano!

Quando l'orologio inserito nel muro sopra alla porta indicò che la discussione stava protraendosi da cinquantacinque minuti, Kobol finalmente districò dalla sedia la sua alta figura ossuta e si alzò per dire, guardando prima LaStrande e poi Douglas Morgan: — Avete ragione tutti e due. Dobbiamo fare in modo di essere autosufficienti, però sulla Terra ci sono cose che a noi mancano e che non ci possiamo procurare altrimenti. Quindi è necessario mandare qualcuno sulla Terra a prenderle.

Douglas, che era rimasto tutto il tempo in piedi, cadde a sedere. LaStrande sbirciò Kobol attraverso le lenti spesse, come un gufo.

— Dobbiamo organizzare una spedizione — proseguì Kobol. — Più di una, se è necessario, e andare sulla Terra a prendere quello che ci serve.

— E i superstiti? — chiese Douglas.

Scrollando le spalle, Kobol rispose: — Catherine ha ragione. Non abbiamo posto, viveri, medicine sufficienti. Molti di quelli che hai portato, Doug, sono troppo malandati per lavorare. Metà moriranno per avvelenamento da radiazioni. Portarne ui altri sarebbe solo uno spreco di tempo e di energie.

Douglas lo guardava, più addolorato che adirato, ma non replicò. Dopo essersi dato un'occhiata intorno, Kobol si sedette.

Fu Lisa a rompere il prolungato silenzio che seguì. — Abbiamo bisogno di un elenco di tutto ciò che occorre per ogni sezione. Catherine, controlla le scorte di medicinali e sappici dire cosa dobbiamo prelevare sulla Terra.

Catherine Demain annuì, e mormorò: — Ci servirebbe una fabbrica di prodotti farmaceutici.

— E anche gli altri compilino l'elenco — continuò Lisa — mettendo al primo posto gli articoli di maggiore necessità.

— Pensavo — disse LaStrande con voce meno stentorea ora che non stava più discutendo — che potremmo attenuare il surlavoro dell'impianto di aerazione facendo crescere più erba e altri vegetali quaggiù. Per esempio, non si potrebbe togliere la pavimentazione dei corridoi e seminare erba?

— Verrebbe calpestata, no? — ribatté Blair.

— Sulla Terra ne esistono specie molto resistenti — disse LaStrande. — Quelle che vengono fatte crescere nei prati dove giocano i bambini… — Ammiccò dietro le lenti spesse e trasse un profondo sospiro come se volesse ricacciare le lacrime. — Comunque, se trovassimo le qualità adatte o creassimo strisce di zolle erbose…

— Segnale sulla lista — disse Lisa.

Douglas si lasciò andare contro lo schienale della sedia. Non aprì bocca; il suo pensiero era rivolto alla Terra lontana. Lisa lo guardò, e capì che non aveva accettato la sconfitta. Stava semplicemente programmando la prossima mossa della battaglia.

— Chi guiderà la spedizione? — chiese Blair. — Qualcuno si offre volontario?

Tutti, istintivamente, guardarono Douglas.

— Certo — disse lui. — Ci penso io.

— No — lo contraddisse Lisa.

Bastò quest'unica sillaba a raggelare l'ambiente. Tutti s'immobilizzarono come se non riuscissero a muoversi né a parlare. Infine Douglas guardò sua moglie e le chiese: — Come sarebbe a dire?

Il bel viso di lei, incorniciato dai capelli neri, assunse l'espressione di una santa condotta al martirio. — Douglas ha già guidato una missione sulla Terra. Mio marito ha già corso abbastanza rischi, per ora. Non voglio rischiare un'altra volta di perderlo. Non è leale chiedergli di tornare sulla Terra.

Douglas fu lì lì per ribattere, ma si trattenne. Gli altri si scambiarono qualche occhiata.

— Ci andrò io — disse Kobol. — È una mia idea, quindi è giusto che io mi assuma questa responsabilità.

— Dovremmo stabilire dei turni — propose LaStrande — se vogliamo inviare più di una spedizione. Nessuno dovrebbe partire solo perché sono gli altri a spingerlo.

— Sì, stabiliamo dei turni. È più giusto.

— È democratico.

Douglas scosse la testa. — Comandare una spedizione quasi militare non è un lavoro democratico.

— Andiamo, Douglas — lo rimproverò Catherine. — Non voler fare sempre tu l'eroe. Concedi una possibilità anche agli altri.


Mentre percorrevano il corridoio che portava al loro alloggio, Douglas strusciò un piede sul pavimento di plastica e disse: — Te lo immagini coperto d'erba?

Lisa, che gli camminava accanto, guardò il soffitto a volta, di nuda roccia. — Ci occorrerebbero alcune lampade speciali — disse. — Agli infrarossi, credo. O agli ultravioletti?

— Quasi infrarossi — rispose lui meditabondo. — Potremmo procurarci facilmente i gas inerti per le lampade fluorescenti. E le rocce sono piene di vetro.

— Così basta che ci procuriamo le sementi.

— E i concimi.

— Sylvia Dortman, del laboratorio di biologia, potrebbe produrre i microbi che fissano l'azoto, per l'erba. Lo si faceva sulla Terra prima… prima… — le mancò la voce.

Continuarono a camminare in silenzio per un po', poi Douglas chiese: — Perché ti sei dichiarata contraria a che guidassi la prossima spedizione?

Lei lo guardò un attimo, poi distolse gli occhi. — Non lo so. L'ho detto istintivamente.

Douglas la scrutò con attenzione mentre continuavano a camminare. Questa era la Lisa che aveva conosciuto tanto tempo prima sulla Terra, la bellezza calda e vulnerabile di cui si era innamorato. Non la fredda statua di ghiaccio che era diventata. Che il ghiaccio si stia sciogliendo?, si chiese. Può essere che tutto quello che è successo in questi ultimi tempi l'abbia ricondotta a me?

Cercò di parlare, ma le parole gli si fermarono in gola. Come uno scolaretto! pensò, deglutendo a vuoto.

Finalmente riuscì a dire: — Lisa, prima, alla riunione hai detto che non volevi correre di nuovo il rischio di perdermi.

— È vero — rispose lei con voce appena percettibile.

— Parlavi sul serio? Davvero…?

Lisa inciampò su un'increspatura del pavimento, e lui allungò la mano per sorreggerla. Lei gli afferrò il braccio, si girò, si strinse a lui e lo baciò con passione. Sentiva Lisa calda e vibrante fra le sue braccia. — Oh, Douglas — mormorò — ti prego, ti prego, non lasciarmi ancora. Dimentichiamo il passato. Stiamo sempre uniti.

— Sì, sì, certo. Non ti lascerò mai, Lisa. Ti amo, ti ho sempre amata. Sempre — mormorò lui con le lacrime agli occhi. Quelli di lei erano asciutti, ma Douglas non se ne accorse.


Qualche ora dopo, nel buio della loro stanza, col calore della passione che andava lentamente attenuandosi, Douglas si alzò a sedere sul letto disfatto.

— Cosa? — chiese Lisa con voce assonnata.

— Fissili.

— Cosa? — ripeté lei.

— Sostanze fissili per i generatori nucleari. Uranio, torio. Senza i generatori, le macchine non funzionano.

— Credevo che ne avessimo a sufficienza per parecchi anni.

— Circa cinque.

— Oh, ma prima di allora ne trovemo anche qui sulla Luna.

— È poco probabile. Qui finora non è stato trovato niente di più pesante del ferro, se non in quantità microscopiche. Dobbiamo andare sulla Terra per procurarci i materiali fissili.

— Invece dei generatori nucleari potremmo servirci dell'energia solare.

— Vorrei che fosse possibile — rispose lui con un sospiro — ma per farlo ci servirebbero i trasformatori che non abbiamo, e che non siamo nemmeno in grado di fabbricare.

— E allora manderemo sulla Terra qualcuno che ci procuri sostanze fissili.

— Per forza.

— Fra cinque anni. Adesso sdraiati e dormi.

— Già, fra cinque anni. Forse anche prima.

Sapevano tutti e due che avrebbe guidato lui quella spedizione sulla Terra, o che, quanto meno, avrebbe cercato di farlo.

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