23

Sebbene il raduno fosse stato accelerato al massimo, ci vollero alcune settimane perché l'esercito di Kobol riunisse tutte le sue diverse componenti in una valle al limitare del territorio di Douglas.

Alec non aveva mai visto tanti uomini insieme. Stava sulla sommità di una collina, la più alta della zona, sotto un acero che stava rivestendosi del fogliame e osservava l'imponente distesa di camion, jeep, cavalli, carri e uomini.

— Dovrebbero bastare per conquistare tutto il mondo — disse Ron Jameson che gli stava accanto.

— Non mi piace che siano tutti radunati nello stesso posto — osservò Alec. — Se gli esploratori di Douglas li vedono, e se dispongono di armi atomiche o aerei…

— Abbiamo intercettato tutte le sue pattuglie, finora — rispose con calma Jameson. — E non credo che al mondo esistano ancora aeroplani e testate nucleari.

— Ne basterebbe una.

— Fra due giorni saremo in grado di muoverci — disse Jameson stringendosi nelle spalle. — Credo che ce la faremo a evitare che gli uomini di Douglas ci scoprano.

— Fra due giorni?

— Sì. Gli uomini hanno fatto una faticata per arrivare qui. Adesso hanno bisogno di riprendere fiato, di approntare le armi, e di imparare gli ordini di combattimento.

Così mi restano due giorni per trattare con Kobol, pensò Alec.

— Se ci fermassimo qui per più di due giorni — continuò Jameson, — le varie bande che compongono questo valoroso esercito comincerebbero a combattersi fra loro. Non corre buon sangue, giù nella valle.

Alec annuì. — Mettiamoci al lavoro.

Era ormai notte avanzata quando Alec poté finalmente andare da Kobol, che si trovava virtualmente agli arresti in una delle numerose caverne che si aprivano sui fianchi delle colline.

La caverna in questione aveva le pareti inclinate e il tetto a volta da cui pendevano stalattiti di tutte le misure. L'unico ingresso era un angusto tunnel che consentiva il passaggio di una sola persona per volta. Alec aveva posto una sentinella alle due estremità del budello.

Kobol era seduto su una vecchia branda cigolante con la gamba sana ripiegata sotto di sé e la testa china, intento a scrivere su un foglio che teneva in grembo. Alec vide che la branda era cosparsa di altri fogli coperti dalla sua scrittura.

— Buonasera — disse.

Kobol si limitò ad alzare un attimo la testa inarcando un sopracciglio, e si rimise a scrivere.

— Non ti ho ancora detto una cosa — riprese Alec.

— Oh — disse lui senza alzare la testa.

— So dove Douglas tiene i materiali fissili.

Kobol smise di colpo di scrivere.

— Voglio che tu ti metta a capo di una squadra speciale per andarli a prendere prima che Douglas abbia la possibilità di distruggerli.

Kobol si rizzò a sedere, respinse il foglio e allungò le gambe, e Alec ebbe l'impressione di vedere un serpente che snoda le spire.

— Credi che potrebbe sabotarli? — chiese Kobol.

— Può darsi. Potrebbe anche innescarli con esplosivo o sistemarli in modo da provocare una deflagrazione nucleare che distrugga tutto.

Kobol aggrottò la fronte passandosi un dito sui baffi. Alec avvicinò l'unica sedia alla branda, e vi si sedette a cavalcioni.

— Tu conosci quei materiali meglio di chiunque altro di noi. È un lavoro rischioso ma necessario. Sei disposto a farlo?

— Se accetto — rispose Kobol con un mezzo sorriso, — sarò a capo di una piccola squadra suicida e niente più, mentre tu guiderai il grosso dell'esercito. Se avrò successo, sarò vittorioso ai tuoi ordini. In caso contrario tu ti sbarazzerai di un nemico.

— Se fallirai ci sbarazzeremo l'un dell'altro e di tutti.

— E la colonia morirà per mancanza di materiali fissili.

— Già.

— Sappi che non ho cambiato idea: quando tornerò sulla Luna ti accuserò comunque di tradimento.

Alec si permise di sorridere.

— Non credi che sarebbe piuttosto difficile dimostrarlo, se porterai i materiali?

— Lo dimostrerò.

— E allora provaci.

Kobol rimase per un attimo interdetto, poi si contrasse come se fosse pronto a scattare. — Se accetto e riesco a impadronirmi dei materiali, mi prometti che tornerò sano e salvo sulla Luna?

— Perché? Pensavi forse che ti avrei fatto uccidere dopo la vittoria?

— Sei tu che lo dici.

— Tornerai sano e salvo. Sistemeremo le nostre divergenze a casa.

— La mia salvezza in cambio dei fissili — borbottò Kobol. — D'accordo.

Alec annuì. Non si strinsero la mano. Alec si alzò e si avviò all'uscita. A metà strada si voltò. — Non ti ho chiesto la stessa garanzia per me… non mi hai assicurato che non tenterai di uccidermi prima del ritorno alla colonia.

Kobol fece per rispondere, ma Alec proseguì: — Non mi occorre la tua promessa, tanto non mi fiderei. Ma mettiti bene in mente questo: se cerchi di uccidermi io ti farò fuori. Anche se riuscirai, ci sono dozzine di uomini pronti a farti a pezzi, dopo. Prega che io non muoia in combattimento, Martin.

Uscì, lasciando Kobol seduto sulla branda, con espressione corrucciata.


La mattina del terzo giorno ebbe inizio l'attacco.

Erano state due giornate estenuanti. Due giornate per preparare uomini ed equipaggiamenti: per respingere le pattuglie di Douglas che sempre più numerose e insistenti cercavano di infiltrarsi nella valle; per impartire le istruzioni a Kobol; per mettere insieme speciali unità motorizzate; per mantenersi in contatto col satellite e infine, per aver notizie sempre fresche sulle condizioni meteorologiche.

La notte precedente all'attacco piovve. Le truppe uscirono dalla valle e si sparsero per dirigersi verso le rispettive posizioni, disponendosi ad arco intorno a circa metà del perimetro difensivo di Douglas. Si muovevano celermente ma i reparti che costituivano l'onda d'urto erano a bordo di camion, autoblindo e jeep. Tutte le unità erano mobili, non c'erano reparti appiedati. Le autoblindo erano dotate di laser, le jeep di mitragliatrici e lanciarazzi. La cavalleria disponeva di ogni tipo di armi, dai fucili automatici alle balestre.

La pioggia trattiene le pattuglie di Douglas e fa da schermo al nostro spiegamento, pensò Alec. Almeno spero.

Si era sistemato sull'affusto del laser a bordo di un'autoblindo. La pioggia si era ridotta a una leggera acquerugiola, e il sole stava spuntando dietro le colline a oriente facendo capolino tra le nuvole. Il terreno era umido ma non fangoso.

Alec indossava un elmetto da combattimento e ascoltava le voci dei comandanti le diverse unità sintonizzando gli auricolari sulle diverse frequenze. Le avevano scelte con cura per essere certi di essere fuori della portata delle radio antiquate di cui disponeva Douglas. Tutti i comandanti di settore si misero in contatto con lui per un ultimo controllo. Poco dopo la pioggia cessò del tutto e Alec chiese a Jameson: — Come va lì da te?

Calma e vivace, la voce di Jameson rispose: — Tutto a posto, qui. Unità e comandanti di settore sono pronti e non vedono l'ora di muoversi.

Alec controllò l'ora. Le sei meno dieci. L'inizio dell'attacco era fissato per le sei, quando Douglas e i suoi si mettevano a colazione.

Mentre aspettava che la lancetta dei minuti avanzasse, Alec ripensò a tutto quello che gli era successo negli ultimi mesi: le bufere, il freddo, il fango. E le notti con Angela, il calore del fuoco, e quello della loro passione. E il massiccio uomo dai capelli grigi che l'aveva costretto ad andarsene.

Scrollando la testa, scacciò i ricordi per tornare alla realtà del momento. La mattina andava rapidamente schiarendosi, le nuvole si diradavano allontanandosi spinte da una fresca brezza. Il sole era luminoso e lui ne sentiva già il calore sulle spalle e sul collo.

— Meno dieci secondi — mormorò fra sé.

Girando il pulsante sulla frequenza generale, sentì il segnale che confermava come la frequenza fosse aperta e sintonizzata.

— A tutti i settori e comandanti le unità… ha inizio l'attacco. Via!

L'autoblindo fece un balzo in avanti, poi prese velocità risalendo senza scossoni verso la cresta del colle dietro cui si era tenuta nascosta. La seguivano altre tre autoblindo e un paio di jeep. Queste accelerarono e sorpassarono il mezzo di Alec puntando verso la cresta del colle.

Dopo che l'ebbero raggiunta, iniziarono la discesa del versante opposto. Alec prese il binocolo e vide la rete metallica che si snodava lungo il terreno collinoso, mezzo chilometro più avanti. Si scorgevano due torri di guardia e, verso l'orizzonte, una collinetta sormontata da un avamposto.

Ormai ci hanno visti si disse, guardando le figure sulla torre di guardia muoversi e gesticolare. Sono sorpresi? Ci aspettavano? Hanno paura come ne ho io? Alec si accorse che gli batteva forte il cuore, lo sentiva pulsare in gola, lo sentiva nelle orecchie, amplificato dagli auricolari.

Si diressero a velocità sostenuta verso la recinzione, e in lontananza, sulla destra, Alec vide un reparto di cavalleria che procedeva al galoppo per restare alla pari con loro. Le jeep erano già più avanti. Lampi di fuoco danzavano sulla sommità delle torri di guardia, ma Alec non riusciva a sentire altro che il sibilo del vento della corsa.

Una delle jeep lanciò un razzo contro la torre più vicina e Alec ne seguì la scia mentre passava a pochi metri dal bersaglio e andava a infilarsi nel terreno entro il recinto, esplodendo.

— Siamo alla portata della recinzione! — gridò il servente, legato al seggiolino catapultabile sistemato di fianco all'affusto del laser.

— Distruggila! — gli gridò Alec.

Il generatore del laser si accese ronzando; le sue vibrazioni furono soffocate dall'acuto sibilo del laser. Il raggio era invisibile, ma non appena toccò la recinzione, la rete metallica si fuse come la cera di una candela.

Le jeep si diressero verso il varco aperto dal laser, e il servente rivolse la sua attenzione alle torri di guardia. La più vicina stava ancora sparando quando il raggio la colpì. La sommità prese subito fuoco.

Penetrarono all'interno del recinto correndo a gran velocità sul terreno disuguale. Le jeep erano incolumi e continuavano a precedere gli altri, deviando sulla sinistra per allontanarsi il più possibile dal fuoco d'artiglieria dell'avamposto. Alec si voltò e vide lo squadrone di cavalleria avanzare attraverso il varco nella rete. La torre di guardia colpita non sparava più.

Alec scorse un bagliore sulla sommità del colle e un attimo dopo il terreno eruttò a una certa distanza sulla sua destra. Il rombo sordo dell'esplosione lo raggiunse mentre la nuvola nera proiettava in alto zolle di terra.

Oltrepassare la linea degli avamposti e impegnare le forze mobili di Douglas, questo era il piano. Lasciare gli avamposti isolati e concentrare tutto l'impeto sulle riserve, sgominandole prima che fossero in grado di organizzare un contrattacco.

Altre due bombe caddero vicino. L'onda d'urto e il rumore dell'esplosione furono contemporanei, e il conducente sterzò a sinistra per evitare le zolle che ricadevano sull'autoblindo. Alec scorse due crateri fumanti nei punti dove erano cadute le bombe. Sembravano due ferite crudeli nella carne morbida della terra.

Altre bombe esplosero dietro di loro. Un'altra cadde abbastanza vicina da far rovesciare una jeep che rotolò come impazzita facendo schizzare brandelli di uomini e di lamiera prima di fermarsi su un fianco. Mentre l'autoblindo la stava superando il serbatoio della jeep esplose. Alec non si fermò. Non era ancora il momento di seppellire i morti e di prestare soccorso ai feriti.

Un dolce pendio si alzava davanti a loro. Alec conosceva a memoria quella zona e sapeva che se dovevano presentarsi difficoltà, questo sarebbe avvenuto proprio lì. Douglas aveva sistemato le sue difese in quella lunga catena di colline, aggiungendovi bastioni e contrafforti nei tratti dove il terreno era pianeggiante, cosicché quella linea elevata copriva per una lunghezza di venti chilometri quel lato della base. Poi, fra quel baluardo e la recinzione interna correva un ampio tratto pianeggiante.

Partirono alla carica della linea difensiva. Alec, aggrappato alla ringhiera dell'affusto, coi nervi tesi, aspettandosi di incappare in qualche mina, nel fuoco dell'artiglieria, nelle sventagliate delle mitragliatrici nascoste nelle trincee scavate dietro la cresta delle alture.

Niente. Non c'erano difensori. La distesa pianeggiante si allungava a perdita d'occhio, e Alec vide altre unità di autoblindo, jeep e squadroni di cavalleria sfrecciare sull'erba.

È troppo facile, pensò fra sé. È impossibile sconfiggere così facilmente Douglas.

Ma intanto continuavano a procedere a rotta di collo giù per il pendio e lungo il tratto piano. Di tanto in tanto lo scoppio di una bomba rammentava agli assalitori che gli avamposti erano ancora attivi, ma erano colpi saltuari che non provocavano danni e non rallentavano l'impeto degli attaccanti.

In preda a un miscuglio di esultanza e di timore, Alec sintonizzò la radio sulla frequenza di Jameson. — Ron, dove ti trovi? — chiese nel microfono dell'elmetto.

Una brevissima pausa, poi: — Abbiamo appena superato un bastione artificiale a circa venti chilometri dal limite della zona della base. Finora non abbiamo incontrato molta resistenza. Abbiamo perso un'autoblindo caduta nel cratere di una bomba e uno squadrone di cavalleria colpito in pieno. Tutti gli altri stanno avanzando al massimo della velocità.

— Bene. Continuate a procedere e state all'erta. — Poi passò sulla frequenza generale. — A tutti i comandanti di reparto. Riferite se vi siete imbattuti in altre forme di resistenza oltre al fuoco di artiglieria.

Silenzio. Solo il ronzio della statica.

Alec disse: — Ai comandanti di settore. Rispondete secondo l'ordine.

— Settore uno. Nessuna resistenza. — Era la voce di Jameson.

— Settore due. Nessun problema.

— Settore tre. Corriamo come il vento. Nessuno ci ostacola.

— Settore quattro…

Qualcuno tirò Alec per la manica. Era il servente del laser sporto in avanti sul sedile, che gesticolava verso il tratto che si erano lasciati alle spalle. Tre sagome tozze e massicce stavano superando la cresta dietro di loro. Lasciando aperta la radio, Alec si portò il binocolo agli occhi. Erano veicoli cingolati dipinti di verde scuro e marrone. Lunghi cilindri di canne di cannone spuntavano dalle torrette. Carri armati! Alec ricordò di averli visti nei microfilm di storia.

— Ehi, qui settore tre — gracchiò una voce negli auricolari. — Abbiamo appena visto degli strani camion che ci seguono.

— A tutte le unità! — gridò Alec. — Riferire numero e posizione dei carri armati nemici. Sono veicoli che avanzano su cingoli, pesantemente corazzati e armati di cannoni e mitragliatrici.

Come in risposta, uno dei tre carri armati vomitò fuoco e una bomba passò sibilando sull'autoblindo di Alec esplodendo così vicino da assordarlo.

Ecco qual è il piano di Douglas, pensò Alec. Ha nascosto i carri armati negli avamposti e adesso ci vuole chiudere tra quelli e le sue riserve.

Nonostante tutto, provò un certo sollievo. Adesso Douglas aveva giocato la sua carta, e lui poteva prendere le misure per controbatterlo. Ricordò da quanto aveva appreso studiando la storia che i carri armati senza il sostegno della fanteria sono vulnerabili. Pericolosi, ma vulnerabili. Guardò il lontano orizzonte verso cui stava puntando la sua autoblindo. Douglas era là. Chi credi di spaventare coi tuoi carri armati!, disse mentalmente a suo padre. Forse questo sistema potrebbe funzionare con Kobol, ma non con me. Vedremo alla fine chi tra noi due si rivelerà miglior stratega.

— Ascoltatemi — disse al microfono. — Impegnate i carri armati alla massima portata possibile coi laser. Cavalleria e jeep li inseguano e cerchino di distruggerli in avvicinamento. Colpite prima i cingoli, per costringerli a fermarsi, poi distruggeteli.

La radio riversò un bailamme di rapporti e commenti. Alec tentò di capire qualcosa in tutta quella confusione, ma improvvisamente una bomba sollevò letteralmente da terra l'autoblindo, e lo mandò a sbattere contro la ringhiera. Una miriade di detriti gli si rovesciò addosso. Sentì il sapore del sangue sulle labbra.

Accovacciandosi vicino alla cabina del conducente, gridò: — Va' avanti a zigzag, maledizione! Confondili. — Tornò ad alzarsi e ordinò al servente: — I cingoli, mira ai cingoli! La corazza è troppo spessa per riuscire a perforarla.

Ma poi si accorse che il servente sedeva afflosciato, sorretto dall'imbracatura, con la testa ciondoloni, la bocca aperta e gli occhi che guardavano senza vedere. Alec si affrettò a sfibbiargli l'imbracatura. Il servente scivolò sull'affusto, rotolò su se stesso e cadde a terra. Un'altra bomba passò sopra l'autoblindo mentre Alec prendeva il posto del servente ucciso, sentendosi vulnerabile come un paziente sul tavolo operatorio.

Fece ruotare lo specchietto del laser e cercò di metterlo a fuoco sul carro armato più vicino. Dopo avere disposto i comandi sul più breve impulso possibile, lasciò partire una successione di scariche di qualche microsecondo. Il terreno vicino al carro armato si costellò di brevi volute di fumo, ma il mezzo cingolato continuò nella sua corsa. Alec lasciò partire un'altra scarica. Ma dove sono gli altri? si chiese.

Le bombe del carro armato esplodevano sempre più vicine. Alec continuava a sparare scariche di laser. Una pioggia di schegge colpì la fiancata dell'autoblindo, ma Alec ebbe il tempo di vedere, mentre continuavano ad avanzare a tutta velocità, un'altra autoblindo semirovesciata in un cratere con la parte anteriore schiacciata.

Un carro armato girava su se stesso e Alec pensò esultante: colpito ai cingoli! Una dozzina di uomini a cavallo gli si stava avvicinando pronti a colpirlo coi lanciarazzi e le bombe a mano. Alec guardò il secondo carro armato, e dietro ad esso scorse il terzo che brulicava di uomini che gli si erano arrampicati sopra come formiche su uno scorpione.

Se riuscissimo a mettere fuori combattimento i carri armati prima che Douglas faccia arrivare qui le riserve… Alec chiamò la seconda autoblindo del suo reparto: — Portati sulla sinistra del carro armato che sta ancora sparando. Io mi porterò sulla destra. Dagli sotto!

Le due autoblindo si portarono ai lati del carro armato. La torretta girò in direzione di Alec che fu pronto a colpirla con un raggio laser alla massima potenza. — Acceca quei bastardi! — imprecò rabbiosamente fra i denti sperando che l'energia agli infrarossi riuscisse almeno a mettere fuori uso i periscopi che sporgevano dalla torretta. Poi il carro armato esplose in un'enorme sfera di fuoco. Il laser dell'altra autoblindo aveva centrato il serbatoio. La torretta volò in aria. Col fumo e il vapore che uscivano sibilando da tutte le connessure, il carro armato morì come un drago consumato dai suoi stessi fluidi, sibilando e rombando, divorato dal fuoco, finché non scomparve avvolto in una nuvola di fumo nero.

Sembrarono ore, ma in realtà passarono solo quaranta minuti dalla comparsa alla distruzione dei tre carri armati. I reparti di Alec si aiutavano a vicenda, ma per lo più ognuno dovette combattere la sua battaglia, una specie di torneo tra due dei tre carri armati chiusi in trappola e una manciata di autoblindo e di jeep. L'apporto della cavalleria fu decisivo. Alla vista dei carri armati, i cavalieri si sparpagliarono, e poi, mentre jeep e autoblindo ingaggiavano battaglia coi mezzi corazzati, la cavalleria tornò a riunirsi formando la retroguardia e attaccò col lancio di missili e granate. Gli uomini saltavano di sella sui carri armati infilando granate nei tubi di scappamento, o fracassando i periscopi e gli altri strumenti che sporgevano dalle torrette. Accecati e immobilizzati, i carri armati si trasformarono in trappole mortali.

Le riserve di Douglas arrivarono poco prima che l'ultimo carro armato venisse distrutto. Arrivarono a cavallo o su leggere autoblindo. Erano poco numerosi e sparsi su un'unica fila. La veemenza dell'attacco di Alec aveva annientato il piano difensivo di Douglas prima ancora che avesse inizio la battaglia, ma nessuna delle due parti se ne rese conto mentre infuriava il combattimento.

Mentre la battaglia si andava attenuando nel suo settore, Alec ordinò al conducente di risalire sulla cresta dietro cui erano comparsi i carri armati. Da quella posizione elevata ebbe modo di seguire l'andamento degli scontri e diramare direttamente ordini via radio ai vari reparti.

I laser delle sue autoblindo ebbero ben presto ragione dei mezzi più leggeri di Douglas, che poco dopo cominciarono a ritirarsi, ordinatamente in alcuni punti, in rotta disordinata in quelli dove divampavano gli incendi appiccati dai laser.

Non era un bello spettacolo. Alec si rese conto dell'entità delle perdite. L'odore della morte arrivava fin lassù: lezzo di carne bruciata, fumo acre degli esplosivi e di olio lubrificante.

Il frastuono era incessante, nonostante gli spessi auricolari: le esplosioni punteggiavano l'ininterrotto crepitìo delle armi automatiche, e le grida e i lamenti e tutti i suoni umani arrivavano talmente alterati e distorti da essere irriconoscibili.

Alec smontò dal seggiolino e si piazzò sull'affusto del laser. Gli tremavano le ginocchia, aveva la vista annebbiata.

È per questo che sono venuto, si disse mentre osservava migliaia di uomini che cercavano di uccidersi a vicenda. Questo è lo scopo a cui mirava la mia vita. Afferrò il binocolo appeso al collo e fece per portarselo agli occhi, ma esitò: e se vedessi laggiù il cadavere di Will?

La voce calma, fredda di Jameson lo riportò bruscamente alla realtà. — In questo settore il nemico è in rotta. Non combatte più.

— Va bene — rispose Alec cercando di non tradire l'emozione. — Lascia perdere gli sbandati. Lasciali andare. Punta sulla base cercando di raggiungerla prima che riescano a organizzare la difesa. Ti raggiungerò da questa parte.

— Controllo. E Kobol con la sua squadra speciale?

— Seguirà il mio reparto. Non c'è altro. Muoviti fra cinque minuti al massimo.

— Ci stiamo già muovendo.

Alec fece un rapido controllo con gli altri comandanti di settore. La battaglia si stava sgretolando in una serie di piccole schermaglie. Adesso le truppe di Douglas lottavano per la sopravvivenza, cercando di scappare e di non restare sul campo. Alec ordinò a tutti i comandanti di ignorare i reparti in ritirata e di offrire la resa a quelli che continuavano ancora a combattere. Poi ordinò a metà dei suoi reparti di avanzare a tutta la velocità verso la base di Douglas.

Mentre la sua autoblindo scendeva sobbalzando il pendio per mettersi a capo di una colonna che si stava formando, Alec impartì via radio gli ordini a Kobol, in attesa alla base di partenza.

— Adesso? — rispose Kobol sorpreso. — Stai già puntando sulla base?

— Sì — rispose Alec mentre il suo mezzo si faceva strada tra le altre autoblindo e le jeep che stavano radunandosi ai piedi della collina. — Abbiamo sbaragliato il grosso delle truppe di Douglas. Adesso non resta da fare che un bel repulisti — e fra sé aggiunse: a meno che Douglas non abbia un altro asso nella manica.

Kobol borbottò qualcosa che voleva essere una frase di congratulazioni e promise di muoversi subito.

— Tienti alla larga dagli avamposti — gli raccomandò Alec. — Sono ancora presidiati dal nemico. Non è improbabile che abbiano intenzione di scaricarti addosso tutte le munizioni che gli rimangono.

Prima che Kobol potesse rispondere, Alec chiuse la comunicazione sorridendo fra sé.

È troppo facile, continuava a pensare mentre correvano verso la base di Douglas. Ma di quali altre risorse può disporre? Ha impiegato molti più uomini di quanti ne abbia mai visti alla base. Non può averne altri di riserva.

Mentre procedevano a tutta velocità sul campo di battaglia, fra carri armati e autoblindo bruciate, corpi straziati e gementi, cadaveri maciullati, crateri di bombe, sull'erba viscida di sangue, Alec cominciò a rendersi conto che dopo tutto non era stata una cosa facile. Rapida, sì, ma non facile.

Ordinò al conducente dell'autoblindo di dirigere su una strada, e la colonna lo seguì. La strada era uno di quei sentieri in terra battuta su cui aveva più volte cavalcato insieme a Will Russo. Si snodava ai piedi delle ultime colline, e dopo essersi inoltrata in un folto di aceri e betulle terminava in vista delle prime case.

La colonna di autoblindo e jeep si aprì a ventaglio sul terreno ondulato coperto d'erba. I laser fusero senza difficoltà la rete metallica del recinto interno. Le torri di guardia erano abbandonate. Alec scrutò col binocolo la base mentre varcavano i resti ancora fumanti della recinzione. Poche persone correvano lungo le strade per mettersi al riparo nelle case.

Jameson riferì: — Ci troviamo a meno di un chilometro dall'estremità ovest della base. Nessuna resistenza. Scarsi segni di vita.

— Rallenta — ordinò Alec. — Procedi con cautela, ma continua ad avanzare. Non voglio che ci siano vittime fra i civili. Specialmente le donne. — Trasse dalla tasca della giubba una mappa disegnata a mano e disse a Jameson quali erano gli edifici che i suoi uomini dovevano occupare. — Fate uscire i difensori e radunateli sulle piste del vecchio aeroporto.

— D'accordo — rispose Jameson.

Alec impartì gli stessi ordini agli altri comandanti. Era preoccupato perché non sapeva per quanto tempo ancora l'accozzaglia di uomini ai suoi comandi avrebbe mantenuto la disciplina. Fece dirigere la sua autoblindo verso la fila di case dove abitavano Will, Douglas e Angela, e mentre il veicolo avanzava sobbalzando solitario in mezzo agli edifici, si rese conto di costituire un bersaglio ideale per i cecchini che potevano esserci nascosti.

E sparate! disse silenziosamente ai nemici. Non avrete mai un'occasione migliore.

Ma nessuno sparò. In quella parte della base non c'era il minimo segno di vita. Le case parevano tutte disabitate, e mentre imboccava la via verso cui era diretto, Alec pensò: Se ne sono andati tutti. Sono stato uno sciocco a credere che potessero essere ancora qui.

Ordinò al conducente di fermarsi davanti alla casa di Angela e saltò a terra, con la pistola che gli pendeva dal cinturone, l'elmetto in testa. Rammentando la notte in cui se n'era andato, pensò che non aveva mai immaginato un simile ritorno da conquistatore che occupa il campo abbandonato dal nemico.

La casa era vuota. Il focolare freddo. Tutto era polveroso, e aveva un'aria di abbandono come se nessuno ci vivesse da settimane, forse da mesi.

Cupo in viso, uscì, e si diresse verso la casa di Douglas. Sapeva che era una speranza assurda, eppure…

A una decina di passi dalla casa, si fermò di colpo, irrigidendosi. Un ronzio meccanico, debole ma inconfondibile, simile al rumore dell'affusto di un cannone che ruota in direzione del bersaglio, l'aveva costretto ad arrestarsi. Si scostò dal marciapiedi per addossarsi alla siepe che correva intorno alla casa, e con una mano sull'impugnatura della pistola scrutò con cura la strada apparentemente deserta.

Niente.

Poi il rumore si ripeté, alle sue spalle. Alec si girò di scatto, abbassandosi ed estraendo contemporaneamente la pistola. Ancora niente in vista. Pure qualcosa c'era. Qualcosa di diverso nella casa, qualcosa che prima non c'era.

Scorse un luccicore con la coda dell'occhio: un'asta di metallo inchiodata alla bell'e meglio al muro, sulla cui sommità si ergeva un'antenna di fortuna, nuova, ancora lucida ai raggi del sole al tramonto. Un cavo scendeva dall'antenna ed entrava in una finestra del primo piano.

L'antenna ruotò producendo un ronzio metallico mentre il suo motorino elettrico la muoveva.

Alec staccò la mano dall'impugnatura della pistola e ordinò a se stesso di smettere di tremare. Poi chiamò per radio il conducente della sua autoblindo, sempre ferma davanti alla casa di Angela e, parlando sottovoce, gli ordinò: — Chiama Jameson e digli di portare qui una squadra. Immediatamente.

— Signorsì.

Lentamente, cercando di non fare rumore, Alec girò intorno alla casa fino a raggiungere la porta posteriore. Non era chiusa a chiave. La spinse adagio. I cardini non cigolarono.

Una volta dentro, sentì provenire dal piano superiore una voce smorzata. Gli pareva quella di Douglas. Solo? Come mai era lì e non sul campo coi suoi uomini?

Alec salì i gradini a due alla volta, ma lentamente, tenendosi chino e impugnando la pistola, a scanso di sorprese. Raggiunto furtivamente il pianerottolo si diresse verso la stanza da cui proveniva la voce di Douglas.

Diede un'occhiata nelle altre stanze attraverso le porte, tutte aperte. Nessuno. Infine dopo aver inspirato ed espirato una profonda boccata d'aria aprì la porta della camera da letto ed entrò a precipizio.

La porta sbatté contro il muro mentre Alec ricadeva sui talloni, accovacciato, reggendosi in equilibrio con la pistola nella destra.

Metà stanza era ingombra di apparecchiature radio, cassette di metallo grigie e nere, con quadranti luminosi. Un groviglio di fili collegavano quell'apparente caos al cavo che scendeva serpeggiando al di sotto della finestra chiusa.

Douglas stava seduto sul letto, con un antiquato microfono stretto nel pugno poderoso. La gamba sinistra era chiusa dalla coscia al piede in un involucro di plastica. La faccia era più magra di quanto Alec non ricordasse e i capelli e la barba più grigi. Abiti e lenzuola erano spiegazzati e umidi di sudore. Sul letto al fianco di Douglas c'era una carabina con alcune scatole di munizioni sul comodino.

Per un lungo momento, Alec rimase accovacciato, immobile. Poi Douglas disse: — Be', era tempo che venissi. Cosa ti ha trattenuto?

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