12

Il sole era già calato dietro gli alberi quando Will Russo ricomparve. Sbucò dalla foresta avviandosi verso il semicerchio di autoblindo disposte sul bordo della pista.

Alec fu contento di rivederlo. Gli andò incontro.

— Non vi siete ancora sistemati per la notte, eh? — fu la prima cosa che disse Will.

— No, non ancora.

— Bene, bene — sembrava soddisfatto. — Noi ci siamo accampati sulla cresta della prima collina — spiegò indicando vagamente la direzione — e ho pensato che sarebbe stata un'ottima idea se vi accampaste lassù con noi.

Alec non disse niente.

— I banditi superstiti sono ancora nei paraggi — spiegò Will — e se ci accampiamo insieme saremo abbastanza forti da scoraggiarli dal tentare un attacco durante la notte. E dormiremmo tutti meglio.

Io con le autoblindo e i laser e tu con i tuoi uomini esperti nel combattimento nei boschi, pensò Alec. Annuì e chiese: — Possiamo salire fin lassù coi veicoli?

— Certamente. Ti mostrerò il sentiero.

— D'accordo. — Alec si voltò per chiamare Jameson.

— Bene. Magnifico — commentò Will con un sorriso infantile. — L'unione fa la forza.

Il sentiero che risaliva il pendio della collina era stretto e pericoloso. Un'autoblindo slittò in un fossatello scavato dalla pioggia di fianco al sentiero appena visibile. Ci volle un'ora per tirarla fuori.

Per Furetto fu una passeggiata meravigliosa. Sdraiato dietro l'affusto del laser di un'autoblindo, si sentiva sazio e soddisfatto. La gamba non gli faceva più male. Quegli uomini gli avevano dato da mangiare e fasciato la gamba con strisce pulite di qualcosa simile alla stoffa, però liscia e scivolosa. Lo trattavano come un re, e non smettevano mai di sorvegliarlo.

Era ormai notte quando Alec e i suoi raggiunsero finalmente la cima della collina. Appollaiato sul tettuccio della prima autoblindo, Alec vide un gruppetto di uomini e donne seduti davanti a un fuoco. Una delle donne era Angela.

— Sono tutti qui i tuoi? — chiese a Will che sedeva sul parafango di fianco alla cabina.

— Oh, no! Ce ne sono più del doppio che montano la guardia. Non li hai visti mentre salivamo?

Alec fece un cenno di diniego.

Gli alberi si diradavano e sulla cresta c'era un ampio spiazzo per parcheggiare i mezzi in cerchio intorno al campo. Alec disse a Jameson di ordinare agli uomini di dormire a bordo, e che a turno, uno doveva restare sveglio.

— Sei sicuro che basti un uomo solo per ogni mezzo? — chiese Jameson.

Erano abbastanza lontani dal campo perché né Russo né gli altri li potessero sentire.

— Cosa vuoi dire?

— Non voglio fare la parte dell'ospite maleducato — rispose Jameson infilando i pollici nella bandoliera — ma… be', perché questa gente è così premurosa con noi? Specialmente se si tratta delle stesse persone che hanno rubato i materiali fissili. Perché si sono dati tanto da fare per aiutarci a tenere a bada i barbari e perché ci offrono di accamparci con loro? Non mi quadra.

Alec fu costretto a convenire con lui. — Per lo meno è meglio che starsene da soli allo scoperto. Inoltre, abbiamo razioni solo per un paio di giorni.

La faccia di falco di Jameson scrutò gli uomini seduti davanti al fuoco. — E se gli interessassero le nostre autoblindo? Se le volessero prendere? Non gli sarebbe difficile tagliarci la gola nel sonno.

L'idea di Will Russo che uccideva degli uomini mentre dormivano non quadrava con il giudizio che Alec si era fatto di lui. Tuttavia…

— D'accordo. Di' agli uomini di chiudersi nelle cabine e di aprire solo se li chiama qualcuno di noi.

Jameson tacque per qualche istante. Nella luce fievole e vacillante del fuoco lontano non era possibile leggere l'espressione del suo viso. Infine disse: — Va bene… però non mi va.

— Le cose potrebbero andare meglio — ammise Alec — ma anche peggio.

— Già.

— Metti qualcuno alla radio. Durante la notte sarà possibile comunicare col satellite.

— D'accordo.

Alec si avviò lentamente verso il fuoco. Vedeva i lunghi capelli di Angela brillare come oro alla luce.

Trovava affascinante il fuoco. Le fiamme, danzando, contorcendosi, guizzando creavano forme in continuo mutamento, forme che…

— Salve, hai già mangiato?

Alec si sottrasse alla visione ipnotica. — Cosa? — Vide che Angela lo stava guardando. — Mangiato? No, non ancora.

— Cos'hai? Stai bene?

— Benone. — Si accovacciò a terra vicino a lei. — Solo che non avevo mai visto un fuoco all'aperto… È… affascinante.

— Oh, certo, immagino.

Alec vide che da un treppiede pendeva sul fuoco un contenitore di metallo. Angela disse che era una pentola, ma Alec aveva l'impressione che un tempo fosse stato una latta di benzina.

— Prendi un po' di stufato e mettiti a tuo agio.

Alec si alzò e si chinò sulla pentola. Un'ondata di fragrante vapore gli salì alle nari. In un liquido scuro e ribollente salivano ogni tanto a galla dei pezzi di roba scura. Pensando alle iniezioni e alle pillole di cui l'avevano imbottito sulla stazione spaziale, Alec infilò il coltello nel liquido e ne trasse uno di quei pezzi. Lo tenne a distanza di braccio facendolo sgocciolare e infine tornò ad accovacciarsi accanto ad Angela.

— Non avere paura, non ti farà male — disse ridendo lei. — Da vivo era solo un coniglio.

— Un coniglio? — Era la prima volta che la sentiva ridere.

Angela confermò con un cenno, poi chiese: — Non hai niente che possa servirti da piatto? Nello stufato ci sono tante buone cose: carote, sedano e molte erbe aromatiche.

— Uhm… pare buono. Ho la gavetta sull'autoblindo. Prima voglio assaggiarlo… — Staccò un boccone con un morso. — Ahi! Non aveva mai mangiato niente di così caldo. — Tossendo, sentendosi soffocare, con la bocca che bruciava, riuscì finalmente a ingoiare il boccone.

Angela gli stava dando delle pacche sulla schiena con aria preoccupata. — Vuoi un po' d'acqua?

— Sì — gracchiò lui con gli occhi lacrimosi. — Ho la bocca piena di ustioni di secondo grado e un pezzo di coniglio morto di traverso nel gozzo, ma per il resto sto bene.

Gli uomini e le donne seduti intorno al fuoco, una dozzina in tutto, lo stavano guardando. Ma distolsero subito lo sguardo, e ripresero a chiacchierare tra loro. Alec riuscì a mandare giù qualche boccone senza altri guai, e Angela gli insegnò come dovesse soffiare sui bocconi per raffreddarli. Finì che trovò gustoso lo stufato, tanto da volerne ancora.

— Vado a prendere la gavetta — disse, alzandosi.

— Non occorre — gli disse Angela. — Qua, prendi il mio piatto. Prima te lo lavo, va bene? Così ti risparmi la strada.

Si chinò per prendere una borraccia posata accanto al fuoco e lavò piatto e cucchiaio di metallo. Alec intanto si chiedeva: Perché non vuole che vada alle autoblindo?

Quand'ebbe terminato di mangiare lavò lui stesso le stoviglie e le restituì ad Angela.

— Ti fa ancora male la bocca? — chiese lei sorridendo.

— Sopravviverò. — In realtà, col cibo caldo nello stomaco, si sentiva rinvigorito. Ma subito gli si affollarono alla mente tanti pensieri amari e dolorosi: il furto dei materiali fissili, l'attacco, la distruzione della navetta, l'isolamento in cui si trovavano lui e i suoi uomini, lontani centinaia di migliaia di chilometri da casa.

Chiuse gli occhi e trasse un lungo sospiro rabbrividendo. — Sara meglio che torni dai miei uomini — disse ad Angela, mentre una voce continuava a tormentargli la mente: Fallimento! Fallimento!

La ragazza si alzò e si avviò con lui. Alec notò che era disarmata, mentre lui aveva solo il coltello.

— Guarda! — disse Angela indicando la Luna che stava sorgendo al di sopra della cima frangiata degli alberi. Era quasi piena, luminosa, placida, bellissima.

Alec la fissò. In quel biancore non si distinguevano le luci della base.

— Com'è? — chiese Angela.

— Cosa?

— La vita sulla Luna.

— Non viviamo sulla Luna, ma dentro. Sotto la superficie. Lassù non si può camminare all'aperto come qui. Occorrono tuta pressurizzata e casco.

— Perché?

— Perché non c'è aria.

Lei spalancò tanto d'occhi, poi chiese: — Ma, senti, come si può vivere senza aria?

Si misero allora a sedere su un macigno per guardare la Luna che saliva nel cielo notturno, giocando ogni tanto a nascondersi dietro una nuvola argentea, e Alec le spiegò come si viveva sulla Luna. Angela lo ascoltava rapita, e non mancò molto che Alec si ritrovò a guardare lei invece della Luna. Com'era bella, illuminata dalla luce pallida!

— È la prima volta che qualcuno mi parla di queste cose — disse lei, eccitata. — Papà… cioè, tuo padre si rifiuta sempre di parlare della vita lassù.

Alec si sentì raggelare il cuore.

— Strano — proseguì Angela sorridendo, ma con un certo imbarazzo. — Mi riesce difficile chiamarlo papà, adesso che so che è tuo padre.

— Non ti ha mai parlato della base lunare? — chiese lui con una voce che risuonò fredda e lontana alle sue stesse orecchie.

— No, quando glielo chiedo cambia sempre argomento. Così ho finito col non chiederglielo più.

Alec si alzò. — Devo andare dai miei uomini. Buonanotte, Angela.

— Oh! — lei rimase zitta, sorpresa, per un momento, poi si alzò a sua volta. — Be', buonanotte, Alec. — Si voltò avviandosi di buon passo verso il fuoco.

Lui esitò, incerto se chiamarla. Ma infine s'incamminò nella direzione opposta. Contravvenendo ai suoi stessi ordini si avvolse in un telo di plastica e si sdraiò sull'erba vicino alle autoblindo, col mitra vicino. Impiegò molto tempo a prendere sonno, e quando finalmente si addormentò, sognò sua madre.


Furetto scivolò giù dal cassone e si tastò la gamba ferita. Era a posto, poteva reggersi e camminare. Il cibo che gli avevano dato gli aveva ristorato le forze, e la gamba avrebbe fatto in fretta a guarire.

Zoppicando, girò intorno all'autoblindo e vide Alec sdraiato per terra col mitra accanto. Furetto si accovacciò perché l'uomo di guardia nell'autoblindo vicina non lo vedesse, e rimase a guardare il mitra. Poteva afferrarlo e correre a nascondersi nei boschi. Non l'avrebbero mai trovato e lui avrebbe avuto una meravigliosa arma tutta sua.

Ricordò vagamente Billy-Joe e gli altri della banda che erano stati uccisi. Pensò a sua madre che gli dava da mangiare e lo cullava quand'era piccolo. Potrebbero ammazzarmi, disse fra sé. Lui poteva ammazzarmi. Ma non l'ha fatto.

La tentazione di rubare il mitra era fortissima, ma lo allettavano anche il cibo, le cure e le gentilezze che aveva ricevuto da quella gente. Resterò ancora per un po' con loro, decise. Tornò ad arrampicarsi al suo posto e si rimise a dormire.


Quando il sole lo svegliò, Alec ebbe l'impressione di aver sonnecchiato solo per pochi minuti. Dopo avere controllato con Jameson che ogni cosa fosse in ordine, si avviò tutto rigido e indolenzito verso le braci del fuoco, che già alcune donne stavano ravvivando.

— Oh, finalmente ti sei svegliato — lo salutò cordialmente Will Russo, intento a bere da una tazza fumante. — Qua — disse avvicinandosi ad Alec. — Bevi un po' di tè d'erbe. Non è particolarmente buono, ma servirà a rimetterti in sesto. Se vuoi raderti…

Alec prese la tazza, ma ricordando l'esperienza della sera precedente, la restituì dicendo: — Um… grazie, mi basta un po' d'acqua fresca. — Gli faceva ancora male la bocca.

— Sei riuscito a metterti in contatto col satellite? — gli chiese Will. — Vengono a prendervi?

— Non ancora — rispose Alec chinandosi a prendere la borraccia dell'acqua. — C'è un uomo alla radio, ma finora non hanno risposto.

Bevve dalla borraccia, ripensando alle pillole e alle vaccinazioni che gli avevano praticato nel timore che contraesse qualche malattia.

— Bene — concluse Russo — mi dispiace di piantarvi qui soli nei boschi, ma non possiamo fermarci di più.

— Capisco.

Salutò Will e tornò dai suoi.

— Ah, sei qua — lo salutò Ron Jameson.

— Cosa c'è?

— Contatto radio.

Alec lo seguì alla terza autoblindo dove Gianelli, con un'enorme cuffia in testa, ascoltava attentamente la radio.

— Sì, sì… vi sento… debole ma chiaro. Va bene. Adesso è qui. Aspettate…

Si tolse la cuffia e la porse ad Alec. — Il satellite trasmette una chiamata da casa. Kobol è già tornato alla base.

Kobol!, pensò Alec sistemando cuffia e microfono. Non ha perso tempo. Chissà quanto carburante ha consumato per tornare più in fretta che poteva!

— Pronto… pronto… Alec Morgan? — La telefonista era una donna, ma la voce, sebbene percettibile, era debole e disturbata da interferenze.

— Sì. Avanti!

Una pausa, poi: — Alec, qui Martin Kobol. Mi senti?

— Sì.

Occorrevano circa due secondi perché le parole di Alec arrivassero sulla Luna e altri due perché arrivasse sulla Terra la risposta di Kobol. Una pausa che si notava, a volte snervante a volte utile perché consentiva di riflettere.

— Bene. Adesso ascolta. Sono appena arrivato. Il Consiglio si riunirà fra un'ora. Qui è tutto sottosopra, i nostri progetti… tutto. Si teme che scoppierà il panico se non riusciamo a rassicurare la gente. Tutti sanno che la nostra sopravvivenza dipende da quei materiali fissili.

— Lo so. Risparmiati le concioni politiche.

Pausa, poi: — Dobbiamo elaborare un altro piano. Credi di riuscire a resistere lì per qualche altro giorno?

O qualche settimana? O mese? — Sì, credo di sì.

— Bene. Adesso ascolta. Sta' lì dove sei e aspetta le nostre decisioni.

— No.

Lunga pausa, dovuta non soltanto alla distanza.

— Come sarebbe a dire?

— Ho detto no — ripeté Alec. — So dove sono i materiali fissili e vado a prenderli.

— Non puoi… Cioè…

— Posso e ci vado. Ci terremo in contatto via satellite. — Alec contò, in attesa della risposta: uno, mille, due, mille, tr…

— È pazzesco! Ci vuoi costringere a togliere dalla naftalina un'altra navetta, seguire le tue mosse…

— Piantala, Martin. Siamo venuti qui per quei materiali e adesso andiamo a prenderli. Tutto il resto sono cose di secondaria importanza.

Quando si fece nuovamente sentire, la voce di Martin era stridula e querula come quella di una vecchia comare inaridita.

— Non puoi attraversare il continente per cercarli, pazzo che sei! Ti uccideranno e farai morire i tuoi uomini!

— Ti dispiacerebbe molto, non è vero? — rispose pronto Alec. — Ascoltami, Martin. Siamo in grado di attraversare il continente, se occorre, e di vivere di quello che ci dà la terra. Qui c'è una grande quantità di cibo.

Ma Kobol stava già dicendo:

— Non me ne importa di quello che fai di te stesso, i tuoi motivi personali non sono affare mio. Ma rischiare gli uomini senza dare loro la possibilità…

— Risparmia i tuoi sproloqui per il Consiglio, Martin. Io seguo le direttive che mi hanno dato: vado a prendere i materiali fissili.

L'intervallo fra botta e risposta stava trasformando il dialogo in due monologhi separati. — E c'è anche il risvolto medico — stava dicendo Kobol, un po' più calmo. — Tu esponi gli uomini a tutte le malattie della Terra…

— Basta. Adesso voglio parlare con mia madre. Chiamala, per favore.

— Le vaccinazioni non vi proteggeranno a lungo… — Kobol s'interruppe per poi rispondere: — Tua madre è occupata nei preparativi della riunione del Consiglio. Ora che la chiamo e lei arriva al centro comunicazioni il satellite sarà sceso al di sotto del tuo orizzonte e sarà fuori portata.

— Bene. Fa' in modo che mi chiami domani.

Un'altra pausa. Alec era certo che il cervello di Kobol ne approfittava per lavorare furiosamente. — Glielo dirò. Intanto torno a metterti in guardia: non esporre a inutili pericoli i tuoi uomini. Il Consiglio non approverebbe certo un'azione avventata. Dovresti restare lì dove ti trovi e aspettare le nostre decisioni.

— Troppo pericoloso — ribatté Alec. — Ci hanno già intrappolato una volta. Non voglio che succeda ancora.

La voce di Kobol stava diventando sempre più debole. — Hai l'ordine di restare dove sei.

— No, Martin. Sarebbe molto più pericoloso. È meglio che ci muoviamo. Aspetto una chiamata domani. Da mia madre. — Passò la cuffia a Gianelli. — Dagli le effemeridi del satellite, così sapremo quando sarà alla nostra portata.

Alec si tolse la cuffia e la porse a Gianelli: — Svelto, prima che il satellite sia fuori portata.

Alec scese dall'autoblindo e andò a cercare Will Russo. A metà strada lo vide che gli stava venendo incontro.

— Ti cercavo — disse Will.

C'era qualcosa in quell'uomo, nella sua andatura dinoccolata, con le braccia penzoloni, nel sorriso innocente, da bambino, su quel corpo da gigante, che induceva Alec a fidarsi di lui.

— Anch'io ti stavo cercando — disse.

— Sei riuscito a metterti in contatto coi tuoi?

— Sì. Se non ti spiace vorrei dirigermi a nord con voi. Voglio trovare mio padre.

Il sorriso di Will si accentuò. — Bene. Bene. Ho appena ricevuto un messaggio da lui. Si trova a pochi "clic"… ehm, chilometri da qui, in una città che si chiama Coalfield.

— Qui? — mormorò Alec stordito come se gli avessero dato un pugno.

— Già — confermò tutto allegro Will. — Ci arriveremo entro un paio d'ore.

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