19

Per Alec fu facile inserirsi nella routine della vita quotidiana della base.

Le foglie continuarono a cadere, l'erba diventò brunastra e friabile. Il vento soffiava sempre da nord o da ovest, ed era tanto freddo e tagliente da infiltrarsi anche negli abiti più pesanti. Il cielo si fece grigio e le giornate si accorciarono. Il sole non saliva mai molto alto sull'orizzonte e la luna era invisibile dietro la coltre delle nubi. Un uragano violentissimo finì di spogliare gli alberi, scoperchiò alcuni tetti e strappò diversi rami. L'alloggio di Alec rimase asciutto, anche se per parecchi giorni mancarono il riscaldamento e l'elettricità. La casa di Angela invece fu allagata, ma poi tutto tornò alla normalità.

Il tempo era bello e secco. Le giornate fredde, corroboranti. Le notti polari. Alec dormiva quasi sempre da Angela. Se anche Douglas ne era al corrente, non ne fece parola, sebbene pranzassero spesso a casa sua con Will Russo e gli altri.

Era un bel vivere. Le lotte e le traversie dell'estate erano lontane e tutti si preparavano al lungo inverno. Ogni giorno arrivavano carri e camion carichi di derrate dai villaggi, e tornavano indietro portando attrezzi, armi e munizioni fabbricati nelle officine della base.

Gli uomini che erano stati lontano a pattugliare e combattere contro le bande, tornarono a casa, e ci furono molte feste e perfino alcune rappresentazioni nel teatro della base. Alec le trovava piuttosto dilettantesche, ma Douglas, sempre seduto in prima fila, ci si divertiva moltissimo.

Will aveva portato una botticella di whisky che aveva trovato in una città abbandonata, e ne offrì a tutti. Anche Alec si ubriacò, una sera quando Will diede un ricevimento, e tutti erano allegri e cantavano. Solo Douglas non bevve e se ne andò presto. A un certo punto scomparve anche Angela.

— Volevo assicurarmi che Douglas stesse bene — spiegò la mattina dopo. — Quando se n'è andato aveva un aspetto che non mi piaceva.

Con la testa che gli martellava per il dopo sbornia Alec bofonchiò: — Così gli fai anche da infermiera, a quanto vedo.

— E io vedo che ti sei divertito — ribatté lei sorridendo. Non voglio che tu stia con lui. Ti voglio tutta per me, disse fra sé Alec, e improvvisamente capì che l'amava.

Qualche sera dopo, stavano andando sottobraccio dalla mensa alla casa di lei, avvolti in pesanti giacconi, con guanti e berretti di lana. L'acqua del lago vicino era coperta da un sottile strato di ghiaccio, e gli unici uccelli rimasti erano i passeri che gonfiavano le piume e saltellavano fra l'erba secca alla ricerca di semi e briciole. Per la prima volta dopo parecchie settimane, Alec scorse la Luna. Era solo una falce sottile che navigava nel cielo fra le nuvole.

— Chissà cosa staranno facendo i miei? — disse.

— Hai chiesto…

— Ho cercato di mettermi in contatto con loro, ma Will ha detto che è meglio non farlo. Mi ha assicurato che stanno bene, però è meglio non chieda altro di loro.

— Will è sincero.

Guardando la falce sottile, Alec disse: — Credi che Kobol sia ancora in Florida? O sarà tornato sulla Luna? Quali sono le sue intenzioni? A che gioco sta giocando?

Angela tacque.

— Tornerà in primavera — continuò Alec. — Scommetto che la primavera prossima verrà da queste parti.

— E allora ci saranno degli scontri.

— Fin che si vuole.

Stavano arrivando alla casa di Angela. — E quando si combatterà, tu da che parte starai, Alec?

Lui ci pensò sopra. — Non lo so — rispose sinceramente. — Proprio non lo so.


La prima nevicata fu precoce e colse tutti di sorpresa; Alec più di ogni altro.

Uscì nel vento che ululava, girandosi e rigirandosi per guardare quegli strani fiocchi bianchi che seppellivano il mondo sotto il loro freddo candore. Gli si scioglievano sulla faccia e sulle mani, e mulinavano agli angoli delle case. Alec arrivò non senza fatica fino da Angela e la costrinse a uscire. Lei gli insegnò a fare una palla di neve, e poi giocarono finché non furono fradici ed esausti. Infine trascorsero il resto della giornata davanti al camino, a casa di lei, senza pensare ad altro che a se stessi e al loro amore.


Qualche tempo dopo Will Russo persuase Alec ad allontanarsi con lui dalla base per qualche giorno.

Dopo più di una settimana di accenni e allusioni, Will si decise finalmente a chiedere ad Alec se voleva andare con lui a caccia nei boschi. Qualcosa, nel modo con cui espresse la domanda, sottintendeva che aveva in mente qualcosa di più che una semplice partita di caccia. Comunque Alec accettò.

Una mattina, quando il sole cominciava appena a sbiancare il cielo a oriente, si avviarono sullo spesso strato di ghiaccio che copriva il lago. Alec era un po' nervoso: non si sentiva sicuro sul ghiaccio, anche se lo strato di neve che lo copriva facilitava la marcia. Per tutto il tempo non fece che pensare all'acqua che c'era sotto. Will invece chiacchierava allegramente, ogni tanto fischiettava fra sé, dimostrando di sentirsi completamente a suo agio. Così Alec si assestò meglio lo zaino in spalla e cercò di non pensare a cosa sarebbe successo se il ghiaccio avesse ceduto.

Procedettero per tutto il giorno sulle colline, seguendo una direzione dettata forse dall'istinto di Will o da uno scopo noto a lui solo. La neve era meno alta sotto gli abeti, appena un sottile strato di polvere bianca che copriva il terreno.

— Will — chiese Alec, — di cosa stiamo andando a caccia?

— Di tre uomini — rispose l'altro fingendosi serio ma senza troppo successo.

— Cosa? Uomini? Con questi? — Alec indicò il fucile a canna lunga, che sparava un solo colpo alla volta, che lo stesso Will gli aveva dato.

— Be', forse non ci sarà bisogno di sparare. Può darsi che si arrendano con le buone.

— Pensavo che andassimo a caccia di selvaggina. Per procurarci roba da mangiare.

— No, i cacciatori ne prendono più che a sufficienza con le trappole. Sì, potremmo anche trovare un bel cervo, o qualcos'altro, al ritorno. Ma solo dopo avere sistemato i ladri.

— Ladri?

Will allungò il passo costringendo Alec a trottare per stargli alla pari. — Quei tre — spiegò, — si unirono a una squadra di nostri esploratori sul finire dell'estate. Io credevo che cercassero solo un posto caldo e sicuro dove passare l'inverno. Invece un paio di settimane fa se la sono svignata con un carro carico di viveri, armi e munizioni.

— Un paio di settimane fa? A quest'ora potrebbero già essere in Asia.

— No. Per uscire dalla base hanno sparato contro le nostre guardie e ne hanno uccise due, ma uno di loro è rimasto ferito. Le altre guardie li hanno seguiti per un tratto, e siamo stati informati che qualche esploratore li ha visti, da lontano. Non vogliamo fare del male a nessuno, se non ne siamo proprio costretti.

— Allora pensi di catturarli e riportarli indietro?

— Sì. Si sono rintanati in una caverna e sono a corto di cibo. Credo che il ferito sia in cattive condizioni, e forse gli altri saranno ragionevoli.

— E in caso contrario?

— È proprio per questo che abbiamo portato i fucili.

Passarono la notte nei boschi, mangiando il cibo che si erano portati appresso, accanto a un piccolo fuoco. Dormirono nel sacco a pelo, e quando si svegliò, Alec era intirizzito dal freddo.

Nella tarda mattinata si trovavano a metà del pendio di un colle privo di vegetazione. Sotto lo strato di neve, dove il vento aveva lasciato qualche chiazza sgombra, il terreno era nero, riarso. Qua e là s'intravvedevano i resti di cespugli sparuti che sporgevano dalla neve scuri e contorti.

— Ecco la caverna — disse Will puntando il fucile verso la sommità della collina, dove si scorgeva una fessura fra due grossi macigni.

Un rotolio di sassi fece girare di scatto Alec, col fucile puntato. Vide un occhio, contorto e nodoso come i cespugli, con una rada barbetta bianca, il viso ossuto, la bocca sdentata e un berretto di pelliccia calcato sugli occhi.

— Sono ancora là dentro — disse avvicinandosi cautamente. — Sono tre giorni che non si vede né fumo né fuoco.

— Non c'è molta legna qua intorno — disse Will.

— Già — confermò il vecchio esploratore.

— Va bene. Bravo. — Will sfilò lo zaino, vi frugò dentro e ne estrasse due oggetti di metallo. Erano bombe a mano. Dopo essersele infilate nelle tasche del giaccone, disse: — Voi due restate qui per coprirmi. Vado a vedere se sono disposti a ragionare. — Prese il fucile e si avviò verso la caverna.

Alec si inginocchiò nella neve e puntò il suo fucile in quella direzione.

— Sono dei tipacci — mormorò il vecchio. — La settimana scorsa hanno preso Johnny Fuller, gli hanno sparato nelle ginocchia, e poi l'hanno lasciato a dissanguarsi nella neve. Per fortuna l'ho trovato io prima dei lupi.

Will intanto si era avvicinato al grosso macigno sulla sinistra della caverna.

— Ehi, voi, lì dentro!

Silenzio.

— Sappiamo che siete lì. Sappiamo che avete fame e freddo, e che il vostro amico ha bisogno di un dottore. Uscite e vi riporteremo alla base. Sono medico e posso aiutare il ferito.

— Per poi impiccarci! — gli gridò di rimando una voce, che ad Alec sembrò giovane e tremula.

— Questo spetta alla giuria. Avrete un regolare processo.

— Ci rifiutiamo di uscire! — Era decisamente una voce giovane, incrinata dalla paura.

Will parlò con loro per una buona mezz'ora, pazientemente, con gentilezza. Cercò di fargli capire quanto fosse disperata la loro situazione, e li incitò a uscire dalla caverna senza opporre resistenza.

Finalmente la voce disse: — Va bene… va bene… hai vinto.

Will si voltò per sorridere ad Alec, poi si alzò, e disse verso la caverna: — Bene, sapevo…

Lo sparo echeggiò fra i massi e scaraventò Will all'indietro facendolo rotolare lungo il pendio roccioso. Un individuo coi capelli biondi uscì di corsa dalla caverna dirigendosi verso destra. Alec aveva posato il fucile sulle ginocchia, ma ora, senza pensarci, lo sollevò all'altezza della spalla e sparò. Una scheggia di roccia si staccò davanti al fuggitivo, che scivolò fino a fermarsi portandosi le mani alla faccia. Alec tornò a sparare mandandolo a schiacciarsi contro un masso. Il fuggitivo ebbe un violento sussulto, e infine si afflosciò a terra.

Alec puntò il fucile verso l'imbocco della caverna. Dall'interno esplose uno sparo e la neve si sollevò a pochi centimetri dalla faccia di Will. Alec continuò a sparare finché non ebbe vuotato il caricatore. Poi strisciò fino a raggiungere Will. C'era una macchia di sangue sul suo giubbotto. Aveva gli occhi aperti ma annebbiati.

— Non… non… — mormorò Will. Alec sentì ancora degli spari alle sue spalle. Era il vecchio che mirava all'imbocco della caverna.

— No… dagli una possibiltà… sono spaventati — disse Will con un filo di voce.

— Gliel'ho data, la possibilità — rispose Alec, sfilando le bombe a mano dalle tasche di Will. Una era viscida di sangue. Infilò il dito nell'anello della linguetta, prese il fucile di Will con la mano libera e si avviò, tenendosi chino, verso la caverna.

La sparatoria era cessata. Appiattendosi contro il macigno di fianco all'ingresso, Alec gridò: — Vi do cinque secondi. Uscite con le mani alzate o vi faccio saltare in aria.

La stessa voce di prima, stridula e incrinata, urlò: — No, aspetta… Lui sta male… devo trascinarlo.

Ma Alec contava, non ascoltava. Arrivato a cinque guardò Will steso sulla neve, poi strappò la linguetta della bomba e la lanciò nella caverna.

— Ehi… no… aspetta!

L'esplosione suonò stranamente attutita. Dalla caverna uscì uno sbuffo di fumo e Alec sentì un grido acuto, lungo. Alec lanciò anche la seconda bomba e l'esplosione offuscò tutti gli altri rumori. Quando il fumo si fu dissipato nell'interno della caverna regnava il silenzio.

Alec si accostò cautamente all'ingresso col fucile puntato. Gli ci volle qualche secondo per adattare gli occhi alla penombra. Quello che restava dei due corpi era appena sufficiente per capire che si trattava dei resti di due uomini.

Alec si avvicinò al biondo a cui aveva sparato. Non dimostrava più di quattordici anni. Era disarmato.

Alec si voltò e vide che il vecchio si era avvicinato a Will.

— È un brutto affare — disse l'esploratore mentre Alec lo raggiungeva. — La pallottola l'ha centrato in una costola. Speriamo che non gli abbia perforato un polmone.

— Possiamo muoverlo?

— Per forza. Vuoi che lo piantiamo qui?

Con la camicia che Alec si era tolto e aveva strappato a strisce, fasciarono il torace di Will senza stringere troppo. Poi Alec mandò il vecchio a chiedere soccorsi, e infilando la spalla sotto l'ascella di Will, dalla parte sana, lo aiutò ad alzarsi.

— Cosa… — balbettò il ferito — cosa ne è di quei ragazzi?

— Non preoccuparti per loro.

Fu meno brutta di quanto Alec avesse temuto.

Poco prima che calasse la sera incontrarono tre esploratori mandati dal vecchio. Avevano portato una barella su cui caricarono il ferito, e reggendola tutt'e quattro trasportarono Will al campo che il vecchio aveva improvvisato per la notte in un posto riparato dal vento. Dormirono accanto al fuoco che alimentarono a turno per tutta la notte.

La mattina dopo arrivò un carro che riportò Alec e Will alla base. Douglas, Angela e molti altri li aspettavano all'ingresso principale.


Due sere dopo Douglas entrò d'improvviso in casa di Angela. Lei e Alec avevano cenato alla mensa e adesso stavano scaldandosi davanti al camino quando Douglas entrò senza preavviso. La sua mole rese più piccola e stretta la stanza.

— Be', almeno siete vestiti — disse, senza preamboli.

I due giovani scattarono in piedi.

— Certo che siamo vestiti — ribatté freddamente Angela. — E adesso chiudi la porta altrimenti ci congeliamo.

Douglas chiuse la porta con una gomitata. — Siete desiderati a casa di Will. Subito.

— Cos'è successo? — chiese Alec.

— Non c'è tempo per spiegare. Venite subito.

Alec prese Angela per mano e tutti e tre si avviarono di buon passo nella notte gelida. In breve, raggiunsero l'abitazione di Will, tre case dopo quella di Angela. Alec aveva il cervello in tumulto. Un'infezione, pensò. È successo qualcosa a Will. Forse la ferita è più grave di quanto avessi creduto.

Entrarono, ed ecco là quel grosso cucciolo seduto sul divano del soggiorno, circondato da una mezza dozzina di uomini e donne mezzi sbronzi, seduti sul pavimento. Un bel fuoco scoppiettava nel camino, e tutti ridevano e sollevavano i bicchieri.

— Oh! — esclamò Will quando entrarono. — Eccolo qua! Dategli un bicchiere e brindiamo tutti al mio compagno d'armi e salvatore!

Qualcuno mise un bicchiere in mano ad Alec. Qualcun altro lo riempì di whisky. Tutti, fatta eccezione per Will, si alzarono in piedi e si voltarono verso Alec, mentre il gigante dai capelli rossi declamava con gran serietà: — Ad Alec, che mi ha salvato la vita!

— Ad Alec! — risposero gli altri in coro.

Il whisky andava giù liscio e scaldava più del sole. Ma dopo avere bevuto, Alec chiese: — Perché questa riunione? — Anche Angela era un po' perplessa… e felice.

Will sorrideva beato. Era vestito, ma sotto la camicia si notava il rigonfio delle bende.

— I miei colleghi medici — spiegò — hanno finalmente ammesso che sono fuori pericolo e che posso alzarmi…

— Fra pochi giorni, Will — lo interruppe un uomo anziano sforzandosi di essere severo. — Fra pochi giorni.

— E va bene. Fra pochi giorni — acconsentì Will. — Così ho pensato: se fra qualche giorno posso alzarmi, vuol dire che posso tornare a Utica per cercare dell'altro whisky. E allora perché non festeggiare la mia miracolosa guarigione con la bottiglia che ho già?

— Logica perfetta! — disse Douglas ridendo.

La festa durò tutta la notte. Verso l'alba qualche donna se la svignò dicendo che andava a preparare il caffè e la colazione. Douglas era stravaccato sul sofà vicino a Will. Gli altri, divisi in gruppetti, stavano parlando fra loro. Douglas indicò il tratto di sofà ancora libero, e disse ad Alec: — Vieni, siediti. — Era un ordine, non un invito.

Con un sorriso incerto come il suo passo, Alec girò intorno a un gruppetto di uomini seduti davanti al fuoco morente, e si lasciò cadere di peso sul divano.

— Bene — disse Douglas con fare tranquillo e cordiale — ormai sei qui già da tre mesi. Pensi ancora che io sia un orco?

Alec si accorse che Will lo guardava, seminascosto dalla mole imponente di suo padre. Rideva come se avesse predisposto lui quel colloquio per riconciliarli.

— No — ammise Alec. — Non ti giudico un mostro. Però non sono ancora d'accordo con te anche se apprezzo quello che sei riuscito a fare qui.

— Bene! — Douglas alzò le mani come un gladiatore vittorioso. Con una reggeva un bicchiere vuoto, invece della spada.

— E adesso — continuò poi, — dobbiamo sistemare alcune cose. Primo, sono del parere che tu debba sposare la ragazza. Per me è come una figlia e…

— Un momento — lo interruppe Alec. — Sposare Angela?

— Naturalmente.

— Questo riguarda solo lei e me. Tu non c'entri.

— Col cavolo che non c'entro! — esplose Douglas. — È praticamente mia figlia. E tu, mio figlio lo sei davvero. Se credi di potere fare il tuo comodo e poi piantarla dopo averla messa incinta, ti assicuro che faresti meglio a pensarci su due volte.

— No, aspetta…

— No, aspetta tu — insisté Douglas. — La sposerai, e poi ti metterai a capo di una delegazione che andrà a parlare con Kobol. Ci sono alcune cose che voglio tu metta bene in chiaro con lui.

— Non sono sicuro di volerlo fare.

— Non sei sicuro? Cosa diavolo intendi dire con questo? Non puoi avere la botte piena e la moglie ubriaca. O stai con noi, o contro di noi. Qui non si può essere neutrali. Hai appena detto che sei dei nostri.

— Non l'ho detto!

— E allora vuol dire che sei contro di noi! — tuonò Douglas.

Will gli pose una mano sulla spalla. — Calmati, Doug… aspetta un…

Ma Douglas si liberò con uno strattone e si alzò imitato subito da Alec, che gli arrivava appena alle spalle.

— E adesso ascoltami bene, figliolo — disse Douglas con voce bassa e minacciosa. — Ti ho lasciato rimanere qui a fare niente, a riempirti la pancia, a stare al caldo e al riparo per tre mesi. Tu, dietro le mie spalle, hai fatto il tuo comodo con quella che per me è una figlia. Ho chiuso un occhio, e finora non ho detto niente. E adesso cosa ti chiedo in cambio? Niente, niente di niente, salvo un briciolo di lealtà. E tu rifiuti?

Fremendo di rabbia, Alec rispose con una voce tanto bassa e soffocata che lui stesso riusciva appena a sentirla: — Hai ragione. Rifiuto.

— E allora vattene! — gridò suo padre indicando la porta. — Prendi la tua roba e sparisci!

— È proprio quello che sto per fare.

Alec si avviò alla porta. Tutti lo guardavano ammutoliti, e Will aveva l'aria di stare peggio di quando gli avevano sparato.

— Un momento — lo richiamò Douglas. — Puoi prendere tutto quello che vuoi, meno Angela. Non sei degno di lei, anche se sei stato abbastanza abile da farle perdere la testa.

— Prenderò quello che mi pare — disse Alec.

— Provati a portare via Angela e ti farò inseguire e uccidere come un animale. Te lo prometto!

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