11

Tutto si era risolto in un pasticcio cruento. Furetto si arrampicò sul ripido versante dell'altura per allontanarsi dalle urla dei moribondi.

Billy-Joe era rimasto laggiù, insieme a quasi tutto il resto della banda, ridotto in brandelli sanguinanti di carne annerita dalle esplosioni. Quanto a Furetto era pressoché incolume: solo qualche graffio qua e là oltre a un doloroso squarcio alla gamba sinistra.

Qualcosa era andato maledettamente storto. Invece della solita scorreria durante la quale tutte le bande assalivano gli stranieri, la faccenda si era risolta in un combattimento fra le bande. Subito, fin dall'inizio. Furetto non riusciva a capacitarsene.

Adesso Billy-Joe e gli altri erano morti tutti. Un massacro. Il rumore delle esplosioni gli rintronava ancora le orecchie.

Ma era vivo. Questo era l'importante. Ancora vivo. Ferito, ma vivo. Poteva sopportare il dolore. Non ci faceva caso. Adesso doveva allontanarsi il più possibile, nascondersi. Se una delle altre bande lo avesse catturato, si sarebbero sfogati su di lui. L'avrebbero torturato di sicuro; e di sicuro sarebbe morto. Ma lentamente, non come Billy-Joe. Non come gli altri.

Ansimando, con gli occhi annebbiati dalle lacrime, il frastuono delle esplosioni che gli echeggiava ancora in testa, la gamba ferita che stava diventando insensibile, Furetto si aggrappò al fogliame per risalire l'erta scoscesa, trascinandosi lontano dal campo di battaglia, disposto ad andare dovunque, purché non dove gli altri potessero trovarlo solo e indifeso.

Quando raggiunse la cresta dell'altura non aveva più fiato e si sentiva troppo debole per proseguire. Rotolò sulla schiena ansando e socchiudendo gli occhi alla vivida luce del cielo.

— Ehi, guardate cosa c'è qui — disse una voce alle sue spalle.

— Mi sembra morto — disse un'altra voce.

— Non ancora. Ma morirà.

Furetto chiuse gli occhi e attese che cominciasse l'agonia.


Alec fissava la navetta in fiamme. Un enorme squarcio si era aperto nella fiancata, e dall'interno si riversava un denso fumo nero che si mescolava alle fiamme.

— Dobbiamo fare tacere il mortaio — disse con urgenza Will Russo — altrimenti andrà distrutta anche l'altra navetta.

Alec balzò in piedi e corse all'autoblindo. Kobol stava già gridando nel microfono dell'elmetto: — Spegnete l'incendio! Quando il fuoco raggiungerà i serbatoi del carburante farà saltare in aria anche l'altra navetta.

Alec si arrampicò sull'affusto del laser e fece cenno a Kobol di tacere. Afferrò il suo elmetto, se lo calcò in testa e prese il microfono. — Qui Alec Morgan. Raccogliete tutti gli uomini, imbarcateli sulla navetta incolume e partite subito. Capito? Immediatamente!

— Una sola navetta può portare… — obiettò Kobol.

Alec gli agitò il pugno sotto il naso e Kobol tacque. — Confermate! — gridò. — Chi è alla radio?

Per un lungo istante l'auricolare si limitò a ronzare, poi una voce disse: — Qui Jameson. Una sola navetta non può portare più di una trentina di uomini.

— Stipateli dentro senza discutere. Lasciate veicoli e attrezzature.

Alec guardò in direzione dell'aeroporto e vide che la navetta indenne cominciava ad allontanarsi rullando da quella in fiamme.

— Abbiamo tre feriti, qui — disse ancora la voce di Jameson — due piloti sono morti quando la navetta è stata colpita.

— Caricate a bordo i feriti. Voglio che una dozzina di volontari restino qui con me con tutti i veicoli-terra. Così la stiva della navetta è sgombra e può accogliere tutti quelli che devono partire.

Russo, che aveva raggiunto l'autoblindo insieme ad Angela e agli altri due, chiese: — Non potreste lasciarci usare qualcuna delle vostre armi per respingere i banditi?

— Salite — disse Alec. E al conducente: — Muoviamoci, svelto!

Kobol, aggrappato alla ringhiera mentre l'autoblindo partiva con un sobbalzo, accostò la faccia a quella di Alec per sussurrare: — Parto anch'io con gli altri. Non voglio restare qui.

— Bene. Ma tieniti in contatto. Ti saprò dire quando dovrete tornare a prenderci.

— D'accordo.

Si fissarono a lungo. Non ha intenzione di tornare a prendermi, pensò Alec, e lui sa che io lo so.

L'autoblindo procedeva a scossoni sul terreno erboso. Altri due proiettili caddero vicino alla pista ma troppo lontano dalle navette per provocare danni. Il fumo dell'incendio stava dissipandosi.

— Forse il fuoco si è spento — gridò Angela per farsi sentire sopra al sibilo del vento e al rumore delle esplosioni.

— Ne dubito — disse Russo scrollando la testa.

Alec, in piedi dietro l'abitacolo del conducente, vide i suoi uomini correre verso la navetta indenne, che si trovava ora nell'angolo più lontano del campo col muso controvento. Le autoblindo formavano un sottile scudo fra la navetta e i boschi dove continuava a infuriare la battaglia. Ma i laser non sparavano. Gli uomini andavano avanti e indietro fra i veicoli, sbirciando in direzione della boscaglia con l'aria perplessa degli spettatori che cercano di afferrare il senso di uno spettacolo insolito.

Quando arrivò all'altezza della navetta. Alec impartì ordini e gli uomini cominciarono a imbarcarsi. Kobol non si vedeva, e Alec pensò che probabilmente era già a bordo.

Quando l'ultimo uomo fu scomparso nel portello della navetta, Jameson, che stava ai piedi della scala, disse: — Il carico è completo. Quindici uomini si sono offerti volontariamente di rimanere. Il pilota sta controllando se ci sono danni che impediscano il decollo.

Russo posò la mano sulla spalla di Alec costringendolo a voltarsi. — Senti, non voglio mettere il naso nei tuoi affari, ma se non vi servite dei laser per ripulire i boschi in fondo alla pista, sarà difficile che la nave possa partire.

— Hai ragione — ammise Alec, e chiamò Jameson. — Voglio un conducente e due armieri su ogni mezzo.

— Provvedo subito.

— Tu resti?

— Sì.

Alec gli sorrise. — Bene. Ti ringrazio.

In quella Kobol comparve sulla soglia del portello. — Insisti sempre nel volere rimanere qui? — gridò.

— Certo. Qualcuno deve pur farlo.

— No — rispose Kobol. — Ascolta. C'è abbastanza posto nella stiva per tutti. La stiva è pressurizzata, come sai.

— Io resto — gli gridò di rimando Alec.

— Per cercare tuo padre?

— Per tenere a bada i banditi e permettervi di partire. E anche per cercare i materiali fissili che non abbiamo trovato a Oak Ridge.

— Io non vedo banditi — ribatté Kobol. — Solo fuoco di mortaio. Potrebbe essere tuo padre.

Will Russo gli scoccò un'occhiata disgustata e si allontanò.

— Senti, Martin… — cominciò Alec.

— No, senti tu. Sappiamo benissimo tutt'e due perché resti. Mi si rivolta l'anima nel vedere ammazzare della brava gente per i tuoi interessi personali.

Alec provò l'impulso di salire di corsa la scaletta e prenderlo per il collo. Ma si trattenne. — E allora perché non resti anche tu con noi, e lasci che uno di questi bravi ragazzi s'imbarchi al tuo posto?

Kobol mise in mostra i denti in un sorriso privo di allegria. — Se ti va di fare l'idiota non pretendere che io ti segua. Torno alla stazione spaziale e di lassù invierò un rapporto completo su quello che hai fatto. Sono sicuro che interesserà molto al Consiglio. E anche a tua madre.

Il portello scorrevole cominciò a chiudersi. Quando Kobol scomparve alla vista di Alec stava ancora sorridendo. Il suo era il sorriso di un uomo che è riuscito ad avere la meglio sul nemico.

— Alec — lo chiamò Ron Jameson — siamo pronti a muoverci.

Ci volle un momento prima che Alec riuscisse a rimettere a fuoco le idee. Si voltò e vide Will Russo seduto sul paraurti dell'autoblindo. Con un profondo sospiro di esasperazione, picchiò sul tettuccio dell'abitacolo e gridò al conducente: — Via!

L'autoblindo balzò in avanti mentre Alec si affibbiava il sottogola dell'elmetto. — Bene. Potete rispondere al fuoco… ma cosa ne è stato della ragazza? Dov'è?

— Angela? — rispose Russo. — L'ho mandata avanti a dire ai nostri di ritirarsi per non essere colpiti da voi.

L'autoblindo stava acquistando velocità sulla pista sconnessa. Alec notò che il fuoco era diminuito. Dai boschi non venivano più spari. E se Kobol ha ragione?, pensò. Se tutta questa messinscena non è altro che una trappola ideata da mio padre?

— Meglio stare alla larga dal relitto della navetta — stava dicendo Russo. — Non si può mai sapere…

La navetta esplose con una violenza che per poco non gettò a terra Alec. L'autoblindo sobbalzò e slittò mentre una enorme palla di fuoco bianco si allargava fin quasi a lambirli. Alec sentì il calore sul viso.

Il conducente deviò per allontanarsi dal fuoco. Alec, aggrappato al corrimano, vide la sfera abbagliante trasformarsi in una nera colonna di fumo che si allargò poi in alto a fungo.

— Accidenti che scoppio! — esclamò Russo.

Dopo pochi momenti ripresero a correre sulla pista con tutta la velocità consentita dai motori elettrici, e Alec riuscì per la prima volta a scorgere col binocolo alcune figure che correvano fra gli alberi.

Avevano un'aria malmessa, un modo di fare furtivo, erano coperti di stracci, ma erano tutti armati e si stavano disponendo in fila ai margini del bosco.

— Sono i tuoi? — chiese Alec a Russo passandogli il binocolo.

— No — rispose l'altro dopo avere dato una rapida occhiata. — Sono i banditi. E dispongono di lanciagranate, per cui io comincerei a colpirli coi laser a lunga gittata.

Mentre Alec impartiva gli ordini del caso al microfono, si sentirono provenire dal bosco tre spari rapidi smorzati.

— Fuoco di mortaio — constatò Will Russo con calma. Non portava elmetto né giubbotto antiproiettili. Se ne stava semplicemente lì, seduto sul seggiolino catapultabile, ridicolmente piccolo per lui, con le gambe penzoloni oltre il bordo dell'affusto e i piedi calzati di mocassini che quasi sfioravano terra. Sembrava perfettamente a suo agio e sorrideva felice.

Tre proiettili di mortaio esplosero davanti a loro facendo sussultare Alec.

— Tu non hai paura? — gridò a Russo.

Will alzò le spalle. — Forse. Ma ho imparato da molto tempo che la paura è inutile. Perciò la ignoro.

Alec lo fissò con tanto d'occhi.

— Di' un po'. — L'espressione di Russo si era fatta decisa. — Se svoltiamo lì ed entriamo nel bosco — disse indicando a sinistra — probabilmente potremmo portarci alle spalle dei mortai e catturarli.

Ad Alec parve di sentire Kobol che gli diceva: Ti fidi di questa gente?

— D'accordo — rispose dopo un po', e prese il microfono.

Ma Russo lo ammonì. — Meglio non comunicare più per radio d'ora in poi. Quelli potrebbero sentire.

Un'altra scarica di proiettili da mortaio esplose poco lontano, facendo sobbalzare l'autoblindo. Alec si accovacciò istintivamente e sentì il "ping" di una scheggia contro la fiancata dell'autoblindo. Davanti a loro si levò una colonna di fiamme. Gli altri veicoli cominciarono a sparare coi laser. Quando i boschi presero fuoco si udirono delle urla in distanza.

Alec si chinò sul tettuccio e ordinò al conducente di svoltare a sinistra.

Dieci minuti dopo si arrampicavano su uno stretto sentiero che si snodava fra la vegetazione salendo verso la sommità del colle.

— Come…

— Shhh! — Russo si portò un dito alle labbra.

Alec si chinò per sussurrargli: — Come fai a sapere dove sono i mortai?

— Lo suppongo — sussurrò di rimando Russo. — Ma non hanno una portata molto lunga, perciò devono essere quassù, da qualche parte.

A quella velocità ridotta i motori erano quasi silenziosi. Il fogliame era tanto fitto da sfiorare le gambe di Alec accovacciato sulla piattaforma del laser. Davanti la visibilità era limitata a pochi metri nel folto, e meno ancora ai lati. Potrebbero attirarci in un'imboscata in qualunque punto, pensò Alec, e noi siamo solo in tre. In lontananza, dietro di loro, si sentiva il crepitìo delle fiamme e degli spari. La cima degli alberi nascondeva quasi completamente il cielo, ma Alec ebbe l'impressione che fosse diventato grigio. Era il fumo?

Poi si sentì un rombo come di un tuono lontano. Ma invece di diminuire fino a tacere, aumentò, diventando così forte da far vibrare perfino la carrozzeria dell'autoblindo.

— La navetta sta decollando!

Alec si alzò in piedi cercando di sbirciare attraverso il fitto fogliame. Un lampo argenteo rombò in cielo, poi il tuono diminuì, diventò sempre più sommesso, finché…

Il mostruoso schianto prodotto dal superamento del muro del suono squarciò l'aria. Alec non l'aveva mai sentito prima, ma sorrise nonostante lo choc e il dolore. — Ce l'hanno fatta! Sono partiti!

— Bene — commentò Russo soddisfatto.

Kobol sta tornando alla stazione spaziale. Fra pochi giorni sarà sulla Luna, da mia madre…

Russo gli posò la mano sulla spalla. — Ascolta! — sussurrò.

Era il rumore attutito degli spari di un mortaio.

— Ordina di fermarsi!

L'autoblindo si fermò. Il rumore si ripeté. Proveniva da destra, il sentiero invece curvava nella direzione opposta.

— Dobbiamo scendere — sussurrò Russo, controllando il funzionamento del fucile.

Alec si chinò per ordinare al conducente: — Sta' lì e non uscire. Se qualcuno ti dà fastidio, usa il laser col telecomando.

Alec impugnò il mitra. Era brutto, con la canna tozza, un lungo caricatore nell'impugnatura e un sostegno metallico che si poteva appoggiare alla spalla o al fianco. Russo era già saltato a terra e scrutava fra i cespugli. Alec lo raggiunse.

— Hai tolto la sicura? — chiese Will.

Alec guardò e vide che si era scordato di farlo. Arrossendo, la spinse indietro col pollice.

Si avviarono in mezzo al sottobosco, tenendosi chini. La fitta vegetazione graffiava faccia, braccia e gambe di Alec. Il sole che filtrava tra il fogliame gli bruciava il collo. C'erano ovunque insetti, e nel giro di pochi minuti Alec si sentì assalire e pungere come mai gli era capitato prima. Russo invece non ci faceva caso, e così Alec cercò di resistere alla voglia di grattarsi e scacciare gli insetti.

Il fuoco del mortaio in azione era diventato più forte e frequente.

— Hanno una grande quantità di munizioni — mormorò Russo che lo precedeva, senza voltarsi. — Consumano tutte quelle che hanno prodotte durante l'inverno nella speranza di impadronirsi delle vostre armi.

— Spero che non abbiano colpito nessuna autoblindo — rispose Alec.

— Impossibile — disse Russo. — Sono proprio le autoblindo il loro obbiettivo. Se una banda riesce ad accaparrarsene un paio diventerà padrona della zona finché dureranno il laser e il carburante. Quei mezzi sono come un regalo di Natale, per loro.

Alec annuì. Non ci aveva pensato.

— Ma vogliono anche le altre armi, naturalmente. Tutti muoiono dalla voglia di avere delle belle armi nuove.

Barbari, pensò Alec. Non sono altro che barbari.

Si sdraiarono bocconi e procedettero strisciando sotto i grovigli di rampicanti. — Alt! — ordinò a un tratto Russo.

Alec rimase immobile come una statua. Sentiva il battito del proprio cuore, sentiva il fradiciume del terreno e del sudore che gli inzuppava tutto il corpo. Gocce gli colavano dalla fronte sugli occhi.

Russo gli scivolò accanto per mormorare: — Su quel grosso albero in cima alla salita.

Alec sollevò la testa. Un uomo stava accucciato su uno dei rami più bassi di un imponente albero che si rizzava sulla cresta, protendendo verso il cielo i rami carichi di foglie primaverili. L'uomo teneva un binocolo accostato agli occhi.

— È una vedetta — mormorò Russo. — I mortai devono trovarsi a distanza di voce da lui.

— Colpiamolo!

Russo gli posò la mano sulla spalla. — Se lo colpiamo prima di sapere esattamente dove si trovano i mortai, non facciamo altro che mettere sul chi vive i serventi dei pezzi. Vieni, seguimi.

Lentamente, in silenzio, strisciando come serpenti con Russo alla testa, cominciarono a compiere un ampio cerchio. Dopo un poco Alec capì il motivo di quella manovra. Stavano portandosi alle spalle della vedetta e dei mortai.

L'accerchiamento durò circa un quarto d'ora. Infine Russo si sollevò cauto sulle ginocchia, e dopo essersi guardato intorno si alzò in piedi. Adesso si trovavano sul versante opposto della collina, in mezzo ai cespugli che arrivavano al petto. Il grosso albero su cui stava la vedetta era appena visibile. Solo la cima spuntava oltre la cresta.

— Sei sicuro che sia lo stesso albero? — chiese Alec. — A me sembrano tutti uguali.

— Non per chi ha vissuto qui a lungo — rispose Russo.

— Capisco. E adesso?

— Adesso prendiamo un po' di respiro poi corriamo a tutta velocità verso l'albero. Appena avvisteremo la vedetta la faremo fuori, e quando avremo scorto i serventi dei mortai spareremo anche a loro.

— Sei sicuro che siano là?

— Sì — rispose Will. — Anche se da qualche minuto hanno smesso di sparare. Può darsi che si apprestino ad andarsene.

Alec controllò ancora una volta il mitra.

— Pronto? — chiese Russo.

— Sì.

— Bene. — Aspirò una profonda boccata d'aria. — Via!

Corsero attraverso i cespugli fino alla cresta. Appena l'ebbero raggiunta, Alec vide Russo, che lo precedeva di poco, portarsi il fucile alla spalla e sparare. Qualcosa cadde dall'albero, ma così in fretta che Alec ne ebbe appena una visione confusa. Inoltre aveva raggiunto nel frattempo anche lui la cresta e aveva scorto otto uomini, intenti a smontare i mortai, che si erano interrotti, voltandosi sorpresi.

Affusti, canne e proiettili erano sparsi intorno a loro sul terreno. Per un attimo rimasero tutti immobili, poi si precipitarono verso le loro armi. Alec si ritrovò a sparare senza quasi accorgersene. Il mitra crepitava e sobbalzava fra le sue mani. Zolle di terreno si frantumarono sotto gli occhi degli uomini colti di sorpresa. Quattro caddero subito all'indietro agitando le braccia. Altri due barcollarono, si chinarono nel tentativo di afferrare le armi, e vi caddero sopra. Due si precipitarono nel folto, allontandosi.

Alec si accorse solo allora che aveva sparato tenendo il mitra appoggiato al fianco cospargendo il terreno di bossoli. Si drizzò, e portò l'arma alla spalla cercando di mirare contro i due fuggitivi.

Russo gli batté la mano sulla spalla. — Basta così. Lasciali andare.

— Ma loro…

— Buon Dio, giovanotto, cosa vuoi? Ne abbiamo ammazzati sette e catturato i mortai e le armi portatili. Cosa vuoi di più?

Russo sembrava irritato. Non arrabbiato, ma irritato come un padre con un bambino cattivo.

Alec abbassò il mitra. — Come fai a sapere che sono morti?

Guardando i corpi sparpagliati sotto di loro, Russo rispose: — Se non lo sono ancora lo saranno presto.

Si avviarono lentamente lungo il pendio. La vedetta giaceva immobile sotto l'albero col corpo macchiato di sangue, le gambe rattrappite e la faccia contorta. Alec si voltò per guardare i sei uomini sorpresi mentre smontavano i mortai, e gli si rivoltò lo stomaco. Erano ridotti a pezzi. Enormi squarci smembravano i corpi caduti in posizioni grottesche. Uno, al posto della faccia, aveva un ammasso sanguinolento rosso e grigio. Sciami di insetti ronzavano già sui cadaveri.

Uno si lamentava. Alec si allontanò barcollando. Gli si era offuscata la vista ma sentiva ancora: — Per favore… per favore…

— Mi dispiace, figliolo, non posso fare niente per te.

Uno sparo.

Alec si appoggiò a un albero e vomitò.

Dopo pochi istanti che a lui parvero ore, Russo gli si avvicinò. — È la prima volta che vedi dei morti ammazzati. — Era una constatazione, non una domanda.

— La prima volta — mormorò Alec. — Sono stato io il responsabile…

— Okay… Porta le loro armi sull'autoblindo. Prenditela calma. Dovrai fare una dozzina di viaggi. Io intanto li seppellirò.

— Cosa?

Alzando le spalle, Russo rispose quasi con ritrosia: — Un giorno o l'altro qualcuno mi ammazzerà e non mi piacerebbe che mi lasciassero lì dove sono morto a fare da pasto agli uccelli.

— Ma sei stato tu a ucciderli. Cioè, noi…

— Sì. E adesso bisogna seppellirli. — Tacque e dopo una breve pausa spiegò: — Tu uccidi i nemici quando loro sono in grado di uccidere te. Se sono disarmati e scappano li lasci perdere. Se sono morti, li seppellisci. E non prendi prigionieri a meno di non avere un valido motivo per farlo.

— Queste sono le leggi della guerra, qui?

— Le leggi della sopravvivenza.

Alec annuì per dimostrare di aver capito, sebbene non fosse d'accordo. Cominciò a raccogliere i fucili e le carabine che gli uomini avevano lasciato sparpagliati in giro. Russo prese fra le braccia, quasi con tenerezza, uno dei cadaveri e lo portò vicino agli alberi.

— Ehi, Alec, vieni un po' qui! — disse.

Alec si precipitò infilando un nuovo caricatore nel mitra mentre correva.

Russo aveva deposto a terra il morto. Appeso per i pollici a un ramo sporgente dell'albero, c'era un ragazzo, un vero spaventapasseri coperto di stracci, con gli occhi sbarrati per la paura e il dolore. I pollici erano gonfi e bluastri. Gli avevano ficcato in bocca uno straccio sporco. Da una ferita a una gamba colava sangue.

Russo estrasse un coltello dalla cintura e liberò il ragazzo, poi gli tolse lo straccio dalla bocca. Il corpo gli si afflosciò fra le braccia.

— Dovevano averlo fatto prigioniero — disse Russo.

La faccia emaciata del ragazzo aveva le guance incavate e qualche spuntone di barba gli cresceva sul mento. Guardò il fucile di Russo e poi Alec che impugnava il mitra.

— No… no… — gemette. Russo allentò le corde che gli stringevano i pollici e il ragazzo emise un lamento.

— Cosa ne facciamo di lui? — chiese Alec. — Cosa dice la legge in questi casi?

Reggendo il corpo sparuto per le spalle, Russo chiese: — Riesci a reggerti?

Il ragazzo annuì e si allontanò vacillando di qualche passo. Russo scosse la testa e guardò Alec. — Non ce la farà mai da solo.

— Per piacere — piagnucolò il ragazzo. — Okay. Okay.

— Puoi parlare? — gli chiese bruscamente Alec. — Come ti chiami? Perché sei qui?

— Furetto. Vivo qui. Nei boschi. Loro mi hanno preso. Volevano uccidermi. Dopo. Lentamente.

— Non ha armi — disse Russo. — Neanche un coltello.

Esaminandolo attentamente Alec si accorse che quel ragazzo doveva aver pressappoco la sua età. Deve avere sempre sofferto la fame, pensò.

— Abbiamo una cassetta di pronto soccorso a bordo — disse istintivamente.

Russo stava per ribattere, ma Furetto cadde in ginocchio con un gemito.

— Ricordi cosa ti ho detto dei prigionieri? — chiese Russo a Alec.

— Ho una buona ragione. Conosce la zona. Potrebbe essermi utile.

— Non aspettarti che ti sia grato — lo ammonì Russo. — Non fidarti minimamente di lui.

Ma Alec stava già avvicinandosi al giovane e lo aiutava ad alzarsi. — Vieni — gli disse. — Ti medicheremo subito la gamba.


Quando tornarono all'aeroporto la battaglia era finita da un pezzo. Russo lasciò Alec sul limitare dei boschi, dicendo che doveva andare a controllare i suoi uomini e che sarebbe tornato prima del tramonto. Alec proseguì con Furetto sdraiato al suo fianco, silenzioso ma con gli occhi aperti.

Jameson guardò con evidente disprezzo il prigioniero ferito, ma ordinò che gli si medicasse la gamba. Poi fece ad Alec un resoconto della battaglia. — Continuavano a starsene rintanati fra gli alberi, perciò non era possibile inseguirli con le autoblindo, così ci siamo limitati a pattugliare il margine dei boschi cercando di impedire che si avvicinassero di più. Ci hanno lanciato un sacco di granate, ma non hanno fatto gravi danni.

Due autoblindo erano state colpite dagli shrapnel, ma funzionavano ancora. Alcuni uomini erano rimasti feriti, ma non in modo grave.

Jameson sbirciò fra gli alberi con un'espressione da falco cacciatore. — Quel Russo sta con tuo padre, eh? Sono dalla nostra parte o cosa?

— Oggi erano dalla nostra — rispose Alec stringendosi nelle spalle. — Ma non so cosa succederà domani. Voglio che gli uomini stiano all'erta. Disponi dei turni di guardia.

— Il tuo prigioniero?

— Deve essere sorvegliato ininterrottamente.

— Quando torneranno a prenderci?

— Quando li chiamerò.

Alec capì che Jameson era scettico su questo punto, tuttavia, dopo un breve silenzio, disse soltanto: — Disporrò i turni di guardia — e si allontanò lasciando Alec solo.

Alec si appoggiò con la schiena alla cabina del conducente, e si diede un'occhiata intorno. Al centro dell'aeroporto fumava ancora lo scheletro annerito della navetta distrutta. Nei boschi regnava il silenzio. Le ombre si allungavano sul terreno ai raggi del sole che tramontava.

Alec si rese conto che si trovavano completamente soli, in un mondo alieno e pericoloso.

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