13

Alec non vedeva e non sentiva. Era completamente assorto in un unico pensiero. Tra poco avrebbe incontrato suo padre. Suo padre!

Attraversarono boschi e colline sulle autoblindo su cui avevano preso posto anche gli uomini di Russo. Percorsero poi una strada tutte buche, non un'autostrada di cemento come quella fra Oak Ridge e l'aeroporto, ma un'arteria asfaltata, stretta e tortuosa, dissestata in modo indescrivibile. Da tutte le crepe spuntavano erbacce e canne.

Gianelli, seduto dietro ad Alec, parlava con Angela. — Vuoi dire davvero che voi andate sempre a piedi? Portandovi dietro armi e bagagli?

— Certo — rispose lei divertita. — Se troviamo qualche veicolo, naturalmente ci montiamo sopra. Ma non ce ne sono molti ancora in grado di funzionare, solo qualcuno col motore elettrico o a batterie solari. C'è rimasta troppo poca benzina per gli altri.

— Dunque andate a piedi — ripeté Gianelli stupito. — E vi portate tutto sulla schiena.

— A meno di non trovare dei cavalli o altri animali da soma. L'altr'anno, siccome mi ero fatta male a una gamba, ho percorso cinquecento "clic" in groppa a una mucca.

— Quale gamba?

— La destra.

— Mi sembra perfettamente a posto.

— Sì, e non c'è bisogno che la tocchi!

Alec si voltò e disse: — Gianelli… tra quegli alberi potrebbero nascondersi centinaia di banditi. Rimandate a un altro momento i vostri scherzi.

Gianelli arrossì e strinse le labbra, ma si allontanò dalla ragazza. Angela fissò per un lungo momento Alec senza parlare, finché lui non tornò a voltarsi.

Davanti a loro si cominciavano a vedere le prime case della città, e Alec si accorse di avere le mani sudate e tremanti. Strinse più forte il bordo del parafango con una e spostò con l'altra la cinghia del mitra sulle spalle. È qui, si disse, in una di quelle case. Era eccitato, gli batteva forte il cuore e ansimava. È qui! Ma qualcosa in lui gli diceva di correre, di scappare, di attraversare tutto il pianeta, di tornare sulla Luna, ma di non entrare in quella città.

Tuttavia non vedeva l'ora d'incontrare suo padre.

Dai suoi studi, Alec sapeva che Coalfield era un piccolo centro, però pareva enorme confronto alla base lunare. Tanti edifici in superficie, all'aperto! E tutti diversi! Alcuni a un piano, altri a tre, con le facciate di mattoni, o di legno o di blocchi di pietra. Le finestre lo guardavano, vuote, buie, misteriose. Strada, dopo strada, dopo strada, incroci, diramazioni ogni cento metri o pressappoco.

Ma vuote. Morte. Nessuno ci viveva. Non c'era nessuno in strada. Niente veicoli. Niente in vista a parte le case silenziose e i mulinelli di polvere sollevati dal vento.

Si voltò per guardare Will, appollaiato sul parafango opposto. — La città è stata abbandonata dopo l'esplosione solare — gli spiegò Will. — Ogni tanto ci viene qualcuno, ma non per abitarci. Il terreno non è adatto alla coltivazione ed è troppo difficile difendere la città dalle scorrerie dei banditi.

— Come fai a sapere dov'è mio padre?

Will scoppiò in una sonora risata. — Oh, sarà al solito posto.

Il solito posto era un edificio di mattoni a un piano con un'insegna sulla facciata che diceva: UFFICIO POSTALE U.S. — COALFIELD, TENN. — 33719.

Will propose di fare disporre le autoblindo intorno all'edificio in postazione difensiva. Alec trasmise l'ordine a Jameson, poi si spostò con la sua autoblindo nel cortile sul retro dov'era parcheggiato un veicolo scoperto basso e largo, nel quale Alec riconobbe una jeep, per averla vista nei microfilm di storia.

Mentre scendeva a terra, si chiese dove suo padre trovasse il carburante. Se doveva fare lunghi viaggi dovevano esserci dei depositi situati lungo la strada. In quella sopraggiunse Will Russo che presolo per un braccio lo pilotò verso una porta che da tempo aveva perso i battenti.

Dentro era buio. Percorsero uno stretto corridoio, svoltarono un angolo… Ed eccolo!

Stava in piedi al centro di un ampio locale, circondato da scaffali vuoti e sedie e tavoli rotti e malandati. Mancava parte del tetto e attraverso lo squarcio penetrava la luce del sole. Il pulviscolo si muoveva pigramente nell'aria immobile. Per quanto la stanza fosse grande, Douglas Morgan dava l'impressione di riempirla tutta. Era alto, grosso, con spalle e torace ampi. Will Russo era pressappoco della stessa taglia, ma mentre Will pareva un grosso cucciolo allegro e gioviale, Douglas Morgan sembrava un enorme orso grigio.

Aveva la mascella quadrata, capelli grigioferro alti sulla fronte ampia, che scendeva a incorniciare la mascella volitiva unendosi alla barba grigia squadrata. Gli occhi azzurri avevano la durezza dell'acciaio. Adesso stavano fissando senza battere ciglio Alec, che s'era immobilizzato sotto quello sguardo.

Non mi piace per niente pensò Alec. E non gli somiglio. Forse mi odia per questo.

— Sei Alec, vero? — La voce era forte, imperiosa, anche quando conversava. — Hai proprio i geni di tua madre.

E i tuoi no?, si chiese Alec. — Sì, sono Alec — rispose.

— Be', avvicinati e lasciati guardare. Non ti mordo.

Alec si avvicinò lentamente a suo padre. Era un gigante, una montagna d'uomo. Si scrutarono a vicenda. Nessuno dei due tese la mano. Nonostante il sole che filtrava attraverso il tetto squarciato, Alec aveva freddo.

— È un buon combattente. — La voce di Will interruppe il duello di sguardi. — Mi ha aiutato a catturare un pericoloso nido di mortai. Si è comportato molto bene.

— È già qualcosa — commentò Douglas.

— Ma dopo ho vomitato — aggiunse Alec.

Douglas inarcò le sopracciglia. — Davvero? Hai l'anima sensibile, eh? Be'… ammazzare un uomo non è uno scherzo. Sii contento di essere tu quello che è sopravvissuto e ha vomitato, e non quello per il quale hai vomitato.

— Perché non ci sediamo a bere qualcosa? — propose Will. — Il viaggio è stato lungo e soprattutto polveroso, e poi ho idea che si debba brindare.

— Brindare a che? — chiese Douglas.

— A questa riunione di famiglia.

— Ah, dici? — Douglas sfoderò un sorrisetto sardonico. — Certo. Naturalmente durante il viaggio ti sarai procurato qualcosa di forte. Stappa la bottiglia e beviamo.

— Ce l'ho nello zaino — disse Will avviandosi alla porta.

— Mi spiace di non avere fatto ripulire la stanza e di non averla decorata per la grande occasione — disse Douglas ad Alec. — Eh, il mobilio è un po' carente. Ti spiace metterti a sedere lì? — e indicò il pavimento vicino a un banco di legno tutto scheggiato e mancante di alcuni pezzi che correva lungo una parete. Alec alzò le spalle e si accoccolò sui talloni. Douglas lo imitò, con una certa fatica. — Mi sono preso i reumatismi durante le piogge primaverili — disse. — Non riesco a farmeli passare.

Will tornò con una grossa bottiglia di metallo. Si mise a sedere di fronte a Douglas e Alec e svitò il tappo annusando il contenuto.

— Puah! Non dovevo tenerla al sole.

Douglas allungò la mano, prese la bottiglia e annusò a sua volta: — Scommetto che con un gallone di questa roba potrei fare cinquanta "clic" con la mia jeep. — Passò la bottiglia ad Alec. — Forza, sei tu l'ospite d'onore. Bevi per primo. Se sopravvivrai l'assaggeremo anche noi.

— Non è poi male — disse Will. — Il contadino che me l'ha venduta mi ha giurato di averla distillata l'estate scorsa.

Alec si portò la bottiglia alle labbra. Il vapore che ne saliva gli fece lacrimare gli occhi. Bevve un sorso: bruciava e aveva un pessimo sapore. Non tossire! ordinò a se stesso.

— Mica male — disse poi cercando di parlare con voce normale.

Douglas si fece dare la bottiglia. — Be', se lo sopporti tu, credo di riuscirci anch'io.

Alec guardò suo padre trangugiare una lunga sorsata, mentre quel poco che lui aveva bevuto gli bruciava ancora lo stomaco. Bevvero due volte ciascuno prima che Douglas dicesse: — Abbiamo molte cose da dirci.

— Infatti — convenne Alec.

— Forse dovrei andarmene… — disse Will.

— No, resta — ordinò Douglas.

Questo significa che non parleremo di mia madre, pensò Alec, e disse: — I materiali fissili sono spariti.

— È vero. Li abbiamo portati a nord… per custodirli.

— Ne abbiamo bisogno.

— Lo so. Lo sapevo fin da prima che tu nascessi.

— E allora perché li hai portati via? Perché non li hai portati tu stesso sulla Luna? Perché ci hai voltato le spalle e sei rimasto qui? — disse Alec tutto d'un fiato.

Douglas guardò la bottiglia che teneva in mano, poi scosse di colpo la testa come se avesse preso una decisione irrevocabile. — È una lunga storia. Ma tutto porta a un unico innegabile fatto: l'istallazione lunare non può sopravvivere con le sue sole forze. Ha bisogno della Terra. Altrimenti è destinata a morire.

— È ovvio. Ci occorrono quei materiali.

— Non si tratta di questo — Douglas appoggiò un gomito a uno scaffale che gli stava alle spalle. — C'è dell'altro… Non si tratta solo di quei materiali, ma della vita stessa dell'istallazione lunare.

— Non ti seguo.

— Senti… Quando la base lunare è stata creata non fu progettata perché si mantenesse da sola. D'accordo? Quando il sole esplose i lunari si trovarono improvvisamente abbandonati a se stessi.

— E ci siamo mantenuti da soli per più di venticinque anni — ribatté Alec. — Egregiamente!

— Egregiamente — gli fece eco suo padre. — Stronzate! Ma ragiona un po' con un minimo di obiettività: la base lunare funziona tuttora con le macchine istallate prima dell'esplosione solare, non è così? Nessuno ha costruito nuovi reattori, nuovi impianti di lavorazione, nuovi pannelli solari, nuove navette. O sbaglio? Nessuno ha mai nemmeno tentato di rettificare gli impianti di lavorazione in modo da farli funzionare al voltaggio prodotto dalle batterie solari, sì o no? No! Invece non avete fatto che scendere sulla Terra per procurarvi i materiali fissili indispensabili per i reattori nucleari.

— E allora?

— Allora cosa succederà quando avrete consumato tutto il carburante fissile che sarete riusciti a trovare? — chiese Douglas.

— Possono passare secoli prima che questo succeda!

— Secoli… millenni… che differenza fa? Il punto è — insisté Douglas — che un giorno accadrà e a meno che voi non abbiate le cognizioni e l'intelligenza per ideare nuove apparecchiature… dei generatori a fusione, per esempio… e quel giorno sarà la fine. Per tutti.

— Ma avverrà in un futuro così lontano… — obbiettò Alec.

— E le medicine?

— Fabbrichiamo sinteticamente tutte quelle necessarie.

— Oh, certo! — commentò con pesante ironia Douglas. — Ma quanti di voi hanno già le ossa troppo fragili per sopportare la gravità terrestre? Quanti sono destinati a un colpo di sole perché non hanno sufficiente melanina nella pelle? Vedo per esempio che ti sei preso una bella scottatura sulla nuca.

Alec era confuso. — Ma questi sono caratteri ereditari. La medicina non può…

— Giusto! — esclamò Douglas. — Cosa mi dici di quei quattro o cinque di voi che ogni anno muoiono di cancro? Eh?

Sempre più confuso, Alec rispose: — Ma il cancro è inevitabile, inguaribile. Lo sanno tutti.

— Ah, davvero? — Douglas scoccò un'occhiata a Will, poi tornò a rivolgersi ad Alec. — Si dà il caso che sulla Terra, prima dell'esplosione solare, fossero state scoperte diverse medicine che guarivano il cancro.

— Sul serio?

Douglas annuì. — E l'incidenza del cancro fra voi aumenta del cinque per cento all'anno. Fra un paio di generazioni… pfft! — schioccò le dita.

— No!

— L'ho calcolato io stesso. Cancro, difetti congeniti, malattie ereditarie… sono tutti in aumento sulla base, a causa degli accoppiamenti fra le stesse persone e i loro discendenti. Prima dell'esplosione solare questo era un problema che non si poneva per il continuo scambio di personale fra la Terra e la Luna. Ma nella popolazione della colonia che ha sempre vissuto lassù e non ha più avuto contatti con gli altri, gli effetti ereditari degli accoppiamenti fra consanguinei cominciano già a mostrarsi.

— Non può essere vero.

— Come, non può? Credi che i computers mentano? No, dicono la verità. Sono spietati. A loro non importa se quello che ti dicono può essere sgradevole, si limitano a valutare il problema e a dirti qual è la risposta.

— Non ci posso credere. La risposta di un computer dipende dai dati fornitigli.

Douglas alzò le spalle. — I dati che ho immesso erano le anamnesi di persone da tempo sulla Luna. La colonia è moribonda. È troppo piccola e isolata per poter sopravvivere. Oh, certo, magari riuscirà a resistere ancora per un paio di generazioni… diciamo una cinquantina d'anni. Ma ne dubito. Quando sono partito c'erano già parecchi indizi di logorio, e scommetto che adesso c'è molta tensione nell'aria. Nessuno sa come costruire nuovi macchinari. È vero ci sono molti buoni tecnici, ma non dei veri scienziati, per così dire. E qualche astronomo. E le malattie genetiche le nascondete, come si suol dire, sotto il tappeto, perché nessuno sa come trattarle o cosa deve fare per eliminarle.

— Ha ragione — disse con gentilezza Will ad Alec. — Io ero medico, lassù, sai? Quello che Douglas dice è la verità.

Alec li guardò torvo tutt'e due: — Così avete deciso che la colonia deve morire e siete partiti senza avere intenzione di fare ritorno.

— Non è esatto — ribatté Douglas. — La colonia morirà se resterà isolata. Io cerco di salvarvi costringendovi a ricollegarvi col resto dell'umanità, con la Madre Terra. E perché questo sia possibile devo creare una civiltà vitale qui, sulla Terra. Capisci?

Un'ondata d'ira ribollente stava sopraffacendo Alec. — Questo è un modo elegante per dire che ti stai creando un piccolo impero per tuo uso e consumo quaggiù, e vuoi costringere la colonia lunare a farne parte.

Douglas ribatté con un triste sorriso: — Vedo che tua madre ti ha bene istruito. — Allargò le braccia. — Chiamalo impero, rinascimento, tentativo di evitare che la razza umana scompaia completamente… chiamalo come diavolo ti pare, ma io sono deciso a riannodare i fili della civiltà, in un modo o nell'altro. E voglio che tu lavori con me. Sei mio figlio, e…

— E un giorno erediterò tutto questo? — gridò Alec. — L'erede designato? Il principe ereditario?

— Qualcosa del genere — mormorò Douglas.

— Allora sei pazzo! Non sai che i principi ereditari passano il tempo a complottare per uccidere il re?

Douglas non disse niente. Rimase lì seduto sul pavimento. Guardò suo figlio, a lungo. Poi, lentamente si alzò e uscì. Alec lo seguì con lo sguardo, senza muoversi.

Will Russo scrollò la testa. — Non dovrei ficcare il naso in una faccenda che riguarda solo voi due, ma, perdio, non gli dovevi dire una cosa tanto cattiva! Sono vent'anni che aspettava di vederti.

— Be', mi ha visto — disse Alec, nauseato da tutta la faccenda. — Che cosa si aspettava? Che mi congratulassi perché ci aveva piantato? Che gli dessi una medaglia per aver voltato la schiena alla base lunare in modo da crearsi un impero qui?

— Ci sono molte cose che tu non capisci.

— Non è vero — disse brusco Alec alzandosi. — Capisco perfettamente. Può fare tutti i ragionamenti che vuole, ma sta di fatto che gioca a fare il re qui invece di comportarsi da cittadino responsabile sulla Luna. E cerca di sottometterci impedendoci di procurarci i materiali fissili. Sa che senza non possiamo sopravvivere.

— Non sopravviverete neanche se riuscirete ad averli — gli disse Will con gentilezza. — È questo quanto cercava di farti capire.


Pareva che il pomeriggio non finisse mai. Alec lo trascorse percorrendo le strade della città morta, prendendo a calci i cumuli di polvere, guardando le erbacce e i rari fiori stenti che si piegavano al vento. Intorno alla città crescevano ovunque alberi fitti e rigogliosi, ma per qualche inspiegabile motivo quelli piantati lungo le vie erano ridotti a nudi scheletri.

Gli ci vollero parecchie ore per riuscire a calmarsi, per riacquistare sufficiente controllo da presentarsi ai suoi uomini senza paura che gli tremassero le mani. Mio padre è convinto di aver ragione, pensò. E ha convinto Will e gli altri. Tutto quel che la mamma mi ha detto sul suo conto è vero. È capace di razionalizzare tutto, e una volta persuaso che i suoi ragionamenti sono giusti non gli importa se gli altri vivono o muoiono. Dice che si comporta così per il nostro bene. Che bastardo!

La fiammeggiante bellezza del tramonto passò inosservata ai suoi occhi. Solo quando cominciò a fare buio, il timore di restare solo in un ambiente sconosciuto lo indusse a tornare sui suoi passi. Con tutte quelle diramazioni e incroci, non gli fu facile ritrovare l'ufficio postale, ma finalmente ci arrivò. I suoi stavano mangiando insieme a quelli di Will intorno a un fuoco, di fronte all'ufficio postale.

— Oh, eccoti finalmente! — disse Jameson quando Alec uscì dall'ombra di un'autoblindo. — Cominciavo a pensare di mandare un paio di uomini a cercarti.

— Come vedi, ti preoccupavi per niente — rispose Alec.

I suoi uomini e quelli di Will avevano fatto amicizia. Le ragazze ridevano e civettavano. Angela non c'era. Alec si mise a sedere per terra accanto al fuoco e divise il pasto con gli altri. Non si preoccupò di chiedere cosa bollisse nella pentola. Era una cosa insipida, o per lo meno lui non sentiva nessun sapore.

Angela comparve mentre lui finiva di mangiare.

— Papà vuole vederti — disse asciutta.

Alec si alzò e la seguì. — Non è tuo padre — le disse con asprezza mentre si avviavano verso il retro dell'ufficio postale.

Le lampeggiarono gli occhi e disse bruscamente: — Molto più di… — poi si riprese, ci ripensò e concluse: — Hai ragione. Non è il mio vero padre.

— E tu non sei mia sorella.

— E allora?

— Allora cerca di ricordartelo.

— Non lo dimenticherò.

Douglas sedeva a bordo della jeep parcheggiata nel cortile. L'unica luce era quella delle stelle. La luna non era ancora sorta.

— Grazie, Angela — disse piano Douglas. — Se non ti spiace, vorrei parlare con Alec da solo.

— No, non mi dispiace… papà. — Ad Alec parve che pronunciasse l'ultima parola con particolare enfasi.

— Be'? — chiese Alec avvicinandosi alla jeep. Riusciva a malapena a scorgere l'espressione di suo padre nel buio.

— Che progetti hai? — gli chiese Douglas.

Alec esitò, poi rispose mentendo: — Non lo so ancora di preciso. Devo parlare con mia madre e col Consiglio.

— Lei ne fa ancora parte?

— Lo presiede.

— Avrei dovuto immaginarlo — borbottò Douglas. — Le società matriarcali hanno bisogno di un'ape regina.

Alec strinse i pugni ma non disse niente.

— Ascoltami bene — riprese Douglas. — Nei prossimi giorni tu e i tuoi uomini avrete la dissenteria. Non è mortale, ma…

— Abbiamo molti medicinali.

— Stronzate! Le pillole non vi serviranno a niente; credimi sulla parola. Una volta che avete cominciato a nutrirvi della flora e della fauna locale i bacilli intestinali cambiano e vi pigliate la dissenteria. È inevitabile. E anche se non morirete, desidererete di essere morti. Non sarete in grado di difendervi. A meno che non vi chiudiate a bordo delle navette, qui sarete perduti. E io non posso permettermi di lasciare che i miei uomini restino qui a farvi la guardia e a proteggervi per chissà quanti giorni.

— Andatevene pure — replicò duramente Alec. — Non abbiamo bisogno della vostra protezione.

— Potreste venire con noi.

— Per aiutarti a costruire il tuo impero?

— Per aiutarmi a salvare tua madre e gli altri.

— A questo penserò io procurandomi i materiali fissili.

Douglas scosse la testa con fermezza. — No. Non ci riuscirai. Sono troppo lontani da qui, e troppo ben protetti. Morirete tutti prima di aver percorso cento chilometri.

— Sono venuto qui per prendere quei materiali.

— Morirai.

— Hai intenzione di uccidermi tu?

— Non occorre che io alzi un dito! — esclamò Douglas esasperato. — Puoi morire in mille modi, qui: per mano dei banditi, per ferite o malattie… diavolo, potresti perfino morire di fame, se, come penso, ignori tutto dell'arte della sopravvivenza.

— Mi procurerò quei materiali, in un modo o nell'altro.

— Oh, davvero? — replicò con sarcasmo Douglas. — Be', scoprirai che non sarà molto facile riuscirci. Intanto, quando parlerai con tua madre ti ordinerà di tornare. La conosco, non permetterà che il suo prezioso figlio resti qui allo sbaraglio. Potrebbe farsi male.

— Può darsi che tu la conosca — replicò furibondo Alec, — ma non conosci me.

— È vero. Ed è un peccato perché non potrò mai conoscerti: o tornerai alla base o morirai nel giro di una settimana.

— Vedremo.

— Certo. Ed è anche un peccato che l'educazione che ti hanno impartito sia destinata a esserti fatale. Forse avresti finito col diventare qualcuno che sarebbe valsa la pena di conoscere. Sei abbastanza testardo da somigliarmi, questo te lo concedo.

Detto questo, girò la chiavetta dell'accensione e accese il motore. Un motore elettrico, scoprì con stupore Alec. Senza aggiungere altro, Douglas fece marcia indietro fino all'imbocco del cortile e sparì nella notte.

Alec rimase ancora qualche istante, gingillandosi con l'impugnatura del mitra, prima di rendersi conto che avrebbe potuto uccidere suo padre.

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